Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La questione dell'università italiana

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Ma questo progetto, oltreché con ogni probabilità non incontrerebbe le simpatie dei tedeschi, non potrebbe essere accettato dagli italiani. Che cosa vorrebbe dire un’accademia italiana o una semi—universita‘ incompleta in terra tedesca, come vi si adatterebbe la nostra dignità e quella dei docenti? Del resto noi non avremmo conquistato che una scuola professionale mai un centro di cultura nazionale. Poiché, o signori, quale è la ragione prima della nostra domanda? Certo vi hanno parte anche motivi professionali: che il medico, il professore, l’avvocato possano studiare in quella lingua nella quale insegnano e non debba accadere, come avviene a taluno, di rifare poi per la pratica i suoi studi in italiano. Ma non è questa, o signori, la ragione principale. Noi vogliamo università italiana su suolo italiano per stabilirvi la nostra palestra di cultura e i nostri laboratori della scienza, ove agli studenti italiani austriaci sia possibile di coltivarsi anche oltre quello che tende l’esaminatore, ove la gioventù prenda amore alla scienza alle lettere, sì da crescere degna della nostra grande cultura nazionale! Le università, o signori, sono state sempre non solo i laboratori del pensiero scientifico, ma anche le fucine ove si idearono e produssero i grandi rivolgimenti intellettuali dei popoli. Ebbene, o signori, noi vogliamo un’università italiana la quale ci metta in grado di gareggiare con le altre nazioni dell’Austria, noi vogliamo un’università ove si formi una generazione che trovi il vanto non nello sprezzare i tedeschi e la loro cultura, richiamandosi ai nostri grandi Padri, ma nel far sempre meglio dei tedeschi nel superare la loro cultura, vogliamo in poche parole una università italiana la quale sviluppi il nazionalismo positivo dei doveri e non solo dei diritti, in maniera che si possa dire agli italiani in Austria non che gli italiani sono semplicemente gli avversari nazionali degli slavi o dei tedeschi, ma che sono un popolo, che è più colto e più sviluppato degli slavi e dei tedeschi. E questa nostra domanda, o signori, ci è garantita dalla costituzione nel paragrafo 19 delle leggi fondamentali. La legge c’è, ma chi vi pon mano? I tedeschi ci sogliono rinfacciare difficoltà pratiche, mancanza di professori e di studenti. Il corpo docente italiano di Innsbruck, con la sua risposta al prof. Waldner, pubblicata dai giornali, si dispensa dal confutare questo poco solido argomento. Ma se anche la nostra debolezza esistesse di fatto, non si entrerebbe nel circolo vizioso di non concederci la cultura, perché non abbiamo la cultura? Una debolezza vera fu forse che per il passato non abbiamo affermato abbastanza forte questo diritto, e a questo c’è ancora tempo di rimediare; marchiamo forte il nostro diritto di un’università italiana. E poiché per ora le circostanze pratiche e la voce comune indicano Trieste come sede dell’Università, affrontiamo tutti la ritrosia del Governo e la pervicacia dei tedeschi radicali con un grido unanime: Viva l’università italiana di Trieste! Ancora una dichiarazione che riguarda specialmente noi, studenti delle Associazioni cattoliche. Lo studente socialista Ferdinando Pasini, fungendo da relatore dell’ottavo congresso della Società degli studenti trentini, finiva la sua relazione con le precise parole che non posso fare a meno di leggere: «Tutta quanta la mia relazione è stata fatta col tacito presupposto, che la nostra campagna sia diretta ad ottenere un vero istituto superiore di studi aperto a tutti i soffi della scienza moderna, senza menoma restrizione allo spirito della libera ricerca e del libero pensiero, non quale anche la loro solita intransigenza ed intolleranza, i clericali già cominciano a pretendere. Gli studenti di quel partito, nel loro congresso del 18 settembre a.c. a Mezzocorona, vollero occuparsi, quest’anno, anche della questione universitaria, ma in seduta segreta, dove, secondo le scarse e riservate notizie della Voce Cattolica si discusse vivamente e a lungo sulla questione, e si decise di invitare i deputati e in modo speciale quelli di parte clericale a occuparsi energicamente della università italiana, provvedendo al sentito bisogno degli studenti accademici italiani. Di occuparsi in che modo ai deputati di parte clericale non è qui veramente detto, e noi ne resteremmo ancora all’oscuro, se non sapessimo fin dal giugno scorso, che nella festa universitaria della fondazione della Società Cattolica in Innsbruck, tra i discorsi e i brindisi delle persone importanti intervenute, ce n’è stato anche uno, e precisamente un deputato “in nero ammanto” che credette bene di augurare alla futura università cattolica italiana! E questo, mi diceva in confidenza uno di quei giovani véliti del clericalismo, questo è il programma e il voto di noi studenti cattolici: vogliamo proprio una università di carattere confessionale, sul tipo di quella che si sta piantando ora in Salisburgo. Non ne abbiamo ancora proclamata e iniziata pubblicamente la lotta, ma, a dire la verità, se due anni fa al congresso di Pergine abbiamo espresso il voto per una Università a Trento, si era perché crediamo che una università cattolica non possa sussistere in Austria fuorché a Trento. Denuncio fin d’ora, o signori, queste perfide intenzioni che non si ha il coraggio di portare alla luce del sole, perché si sappia qual valore dobbiamo accordare alla cooperazione, che costoro vorrebbero fingere alla nostra causa, le denuncio con tutte le forze dell’anima contro un tale programma, destinato a buttare presto o tardi, e probabilmente nel momento più difficile della lotta, il flagello della guerra civile tra gli italiani dell’Austria e magari a distruggere per sempre tanti sforzi ininterrotti ch’essi hanno fatti per migliorare le condizioni intellettuali della loro nazione; le denuncio esortando i nostri deputati di parte non clericale a continuare nella campagna universitaria col metodo seguito fino ad oggi; cioè col prescindere affatto dai clericali, anzi con l’ignorarne addirittura l’esistenza poiché essi non offrono per tutte, indistintamente, le varie correnti del pensiero moderno, quelle garanzie di libertà che noi saremmo sempre disposti a garantire anche al loro pensiero; e perché noi piuttosto di mettere capo ad una università, che riuscirebbe un pericolo costante per la civiltà ribadendo i ceppi dell’ingegno umano, preferiamo mille volte e più di rinunciarvi per ora e per sempre». Signori! io non v’ho letto questo sfogo del signor Pasini per avere occasione di un attacco personale. E certo però ch’egli è un ingannato o un ingannatore. Giacché, come fu già dichiarato da un mio collega in una solenne adunanza di studenti ad Innsbruck, è falso che l’Associazione universitaria cattolica tridentina abbia avuta l’idea di un’università italiana cattolica, ovverosia confessionale; e sappia il signor Pasini, che se l’idea l’avessimo avuta, avremmo avuto anche il coraggio di pubblicarla come abbiamo avuto il coraggio di manifestare tant’altre idee di ordine religioso che hanno costato a qualcuno di noi, oltre che ingiurie e isolamento perfetto, anche pugni e schiaffi. Ma di questo, o signori, si è già parlato abbastanza ad Innsbruck. Volevo soltanto «denunciare» anch’io qualche cosa qui davanti al vero popolo trentino, innanzi ai suoi rappresentanti, volevo, ripeto, «denunciare» anch’io qualche cosa. Denuncio fin d’ora, o signori, — dirò anch’io col Pasini, — questo perfido sistema di creare pregiudizi o false opinioni in riguardo agli avversari per poi annientarli, sistema che è tanto più da deplorarsi quando si tratti di una questione che è di tutti gli italiani. Riguardo a noi, i fatti vennero a smentire queste false insinuazioni. Nessuno di noi mancò in quei giorni né al lavoro delle assemblee, né a quello dei comitati. Pareva che la pace fosse fatta e non si dovesse temere «il flagello della guerra civile». Ma poi, passate le burrasche, parvero ritornare i consigli antichi, e da Vienna si tentò ogni mezzo per cacciarci dal comitato, si tirarono in campo le nostre opinioni religiose ed ecclesiastico—politiche, e si tentò in pubblica adunanza di metterle in contraddizione, udite, o signori, con l’università italiana. Era la pratica della teoria, tanto applaudita a Rovereto, di Ferdinando Pasini, il quale non contento di escludere noi studenti e di presentare ordini a nome di tutti gli studenti accademici trentini, esortava «i deputati di parte non clericale a continuare nella campagna universitaria col metodo seguito fino ad oggi, cioè di prescindere affatto dai clericali, anzi con l'ignorarne addirittura l’esistenza». Ebbene, o signori, contro tale altezzoso sistema di sorpassarci e di ignorarci, noi protestiamo energicamente e con tutta l’anima e v’assicuro che cercheremo di far sentire in tutte le occasioni la nostra esistenza. Vivaddio! Non è questo nostro paese nella sua gran maggioranza cattolico? Non sta il popolo, il vero popolo, dietro di noi, o i suoi rappresentanti non sono in maggioranza di parte cattolica? Non c’è bisogno di esortazioni, ma se fosse il caso noi vorremmo dire ai nostri deputati: Rispondete a queste esortazioni di parte anticlericale con l’occuparvi con sempre maggiore energia della questione universitaria, e gli studenti e l’immensa maggioranza del Trentino saranno con voi. Ancora una cosa. Il signor Pasini terminava la sua applaudita filippica, motivandola con l’assicurare che i clericali non concederebbero agli avversari la libertà di pensiero e di ricerca. Lasciate che gli risponda con un augurio. No, o studenti anticlericali, andate pure nei laboratori, nei gabinetti, nelle biblioteche, cercate di ricercare, studiate e ristudiate col vostro ingegno libero da tutti i ceppi. Cercate! Novelli Ulissi, ripartite da Itaca, non cacciati dalla noia, come diceva nella sua ultima conferenza sulle funzioni sociali del pessimismo il prof. Pasini, ma attirati dalla sete del vero e del buono. Avventuratevi sul mare tempestoso, passate le colonne d’Ercole, lanciatevi arditamente per l’oceano infinito, vagate e cercate! Se la stella vi sarà propizia, se non farete prima naufragio, troverete il monte della salute. Dopo tante fatiche e tante aberrazioni ritornerete sulle antiche vie degli avi, alla religione delle vostre madri, al Vero davanti al quale chinan la fronte e Dante Alighieri e Michelangelo e Raffaello e il Vico e il Muratori e Alessandro Manzoni e tutte le maggiori glorie italiane.

Due monumenti

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Ebbene, o amici, la storia dovrà decidere se noi cattolici trentini abbiamo accettato coraggiosamente la sfida, e se abbiamo combattuto da valorosi la battaglia. La guerra, la battaglia! Voi abitatori delle valli e dei monti non ne avete ancora sentito che i rumori lontani, ma ora il nemico è venuto ed ha fatto la dichiarazione di guerra. Per cinque anni giravano le città e i villaggi, parlando di vantaggi economici, di progresso e di scienza. Ma ora che ci hanno detto chiaro che cosa essi intendano per progresso, di qual specie di scienza intendevano di dire: baldanzosi per la conquista di un paio di città, si credettero sicuri tanto da calare la maschera e lanciar sfide a tutto il Trentino. Ebbene, noi cattolici, questa sfida l’accettiamo: e l’accettiamo non soltanto per respingere gli aggressori ma anche per conquistare. In queste due parole c’è tutto il nostro programma: formare una falange irremovibile che sostenga qualunque assalto e non lasci passare il nemico e contemporaneamente addestrare delle squadre di cavalleria leggera che muovano all’assalto e alla riconquista: c’è posto per i vecchi e per i giovani. Accenno a ciò qui in questa adunanza, credo opportunamente, perché i battaglioni di questo esercito sono formati quasi tutti dalle Società agricole operaie. Ricordatevene, o amici, sulle Società operaie pesa ora, si può dire, l’esito della battaglia, il destino della patria. Che non avvenga di nessuna di quelle che sono qui rappresentate ciò che accadde a qualcun’altra, la quale limita la sua attività a qualche pratica religiosa in comune, alla bandiera forse issata con qualche entusiasmo e poi ripiegata e messa nell’armadio ove con essa viene seppellita anche la vita sociale. Si ricordino tutti quelli che lavorano nel campo delle società operaie che esse hanno assunto ora — di fronte al Trentino cattolico — un grande compito d’istruzione e di educazione. In piazza ora si parla stortamente e a rovescio dell’inquisizione, di Galilei, dell’evoluzione, della democrazia; ebbene ora conviene spiegare nelle Società operaie che cosa fu l’inquisizione, che ne fu di Galilei, che cosa è l’evoluzione, qual’é la democrazia vera, che cosa vuole la democrazia cristiana. Solo, o signori, a patto di formare nel Trentino una coscienza nuova, d’infondere nelle valli un nuovo slancio di vita, saremo degni della vittoria. Qualcuno mi obbietterà che è cosa difficile, impossibile. A quello io addito Civezzano, perché gli serva d’esempio. Anche questo paese una volta andava a rilento e passava per «malva», ed ora dobbiamo venire da Trento a Civezzano per imparare che cosa sia la vita che cosa frutti un lavoro continuo. Con una settantina di Società operaie come quella di Civezzano noi rideremmo di qualunque sfida. Avanti dunque — dico rivolto alle altre - al lavoro, preparatevi alla guerra! Due grandi eccitamenti, due grandi fiotti di vita sono venuti a noi in questi ultimi tempi: 1) il Congresso cattolico che fu come le nostre grandi manovre, ove si vide il lavoro pratico, sociale prestato in cinque anni dai cattolici, e si sentì anche lo spirito nuovo che informava le masse dei contadini e degli operai poichè, o amici, non era più «la scarpa grossa» isolata, impaurita da ogni cosa nuova che si batteva sui marciapiedi di via Larga, ma erano cinque, anzi diecimila «scarpe grosse» organizzate in assetto di guerra; e passavano via superbi della loro coccarda sotto una bandiera, soggiogati da un’idea comune; 2) il Congresso degli altri, l’offesa recata, la sfida lanciata. C’è qualcuno al quale piacerebbe quel bustarello tolto via donde l’hanno messo e rotolato chissà dove! No, amici, lasciatelo lì anche perché ci serva d’ammonimento. Come quel generale persiano aveva l’incarico dal re di ripetergli ogni qual tratto: «O re, ricordati della sconfitta di Maratona», affinché il re ben si preparasse alla riscossa contro la Grecia, così quel busto ci ammonisca sempre del dovere sacro che abbiamo di rintuzzare l’offesa, di marciare alla riscossa. Se ognuno di voi che passa davanti al busto di Canestrini si ricordasse dell’obbligo di istruirsi, di prepararsi alla battaglia, allora nelle Società operaie si educherebbero tal «rospi» che quel tal dottore, riuscirebbe a stento a schiacciare Allora il nostro esercito — lasciate che m’immagini la nostra conquista morale in modo palpabile — fatto più cosciente più svelto e più leggero, discenderà dai monti nostri, su cui imperano le nostre croci, alle città, e forse allora si apriranno quelle certe finestre dei signori «filistei» che le hanno chiuse al di del congresso, compariranno alla luce del sole certe bandiere che non si vollero issare e faremo campo in piazza Dante dinanzi al monumento di Canestrini. E non l’oltraggeremo, no! ma se l’iscrizione sarà spazzata via dalle ali del tempo (vedi discorso Altenburger) e se gli anticlericali nelle angustie della sconfitta non provvederanno a rifarla, ce la faremo noi la scritta, magari sulle tracce della vecchia, di fronte al Vaticano. E scriveremo: A G. Canestrini — studiò e faticò molto —— ma sbagliò la strada - Ri- posa in pace. Allora l’arma non sarà un trofeo della vittoria del «libero pensiero», come si augurava il barone Altenburger, ma un ricordo della sua sconfitta. E l’unico interprete e testimone fedele dei sentimenti e delle idee della nostra età resterà il monumento alla Comparsa dedicato al divin Redentore il quale disse: Non praevalebunt!

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