Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il discorso dell'on. Degasperi a Milano

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Giolitti il quale, pur accettando il principio antisociale del controllo nelle aziende industriali, meditava già di sfruttare la situazione per spingere verso la collaborazione ministeriale, giovandosi anche della tolleranza che egli lasciava alla già forte pressione fascista. Fisso in questo scopo, egli scioglieva nell’aprile 1921 la Camera e nella relazione al Re faceva appello ai lavoratori perché «invitassero i loro rappresentanti tutti a prendere nella vita politica una parte attiva anziché limitarsi alla funzione della sola critica»; e, tra amici, diceva: «bisognerà che si decidano a calar giù dall’albero». Cosicché il calcolo parlamentare soffocò il tentativo sociale e i popolari non hanno la fortuna di un periodo relativamente tranquillo come fu quello dell’ultimo decennio del secolo XIX nel quale il Centro germanico elaborò e fece votare la legislazione sociale più progredita del mondo. Non è però che i nostri sforzi si allentassero e che sia mancato ogni risultato. Basti accennare alla regolazione dei contratti agrari (legge Micheli e Mauri), al latifondo, alle proposte per le camere dell’agricoltura, ai progetti per la registrazione delle associazioni sindacali e per il Consiglio superiore del lavoro. Ma è certo che la bufera politica sopravvenuta troncò o rese nulla gran parte dell’opera legislativa che un partito come il nostro, venuto dalla scuola cattolica sociale, avrebbe voluto e potuto svolgere in favore del paese. Un altro punto sul quale si concentrarono in questi ultimi anni gli sforzi del partito, fu quello dell’organizzazione del Parlamento che è anche il problema della formazione parlamentare del governo. Ma si ricordi come scoppiò la crisi Bonomi. Labriola, che era allora nella grande compagine della democrazia, proclamò che bisognava «liberare il governo dalla triennale schiavitù dei popolari». Di Cesarò rimproverò ai ministri popolari di essere stati in Vaticano in occasione d’un grande lutto. Di fronte alla crisi, la direzione del partito confermava che la collaborazione del gruppo popolare non è possibile senza garanzie di carattere programmatico ed organico che diano maggiore stabilità alla vita parlamentare. Il quadro sintetico e conclusivo di questa situazione è dato da quella seduta dei direttori dei gruppi democratici e popolari che si raccolsero nel febbraio del ’22 nella sede della democrazia. Fu là che, frustrato ogni tentativo di corridoio e di manovra subacquea, i democratici addivennero con noi ad una discussione che portò ad una intesa programmatica sulla libertà d’insegnamento (esame di Stato), e alla proclamazione del principio del comitato di maggioranza che doveva organizzate il governo. Ben si ricorda però che ogni soluzione logica della formazione della maggioranza venne frustrata dalla spregiudicata manovra di Mussolini che, smentendo Federzoni, dichiarò di votare per l’ordine del giorno Celli. E si venne così a Facta, ministero che doveva cadere per la contraddizione interna e perché vano si dimostrò ogni sforzo di raggiungere una tregua fra i due estremi. Mussolini aveva parlato della possibilità dell’insurrezione contro lo Stato e i socialisti proclamarono lo sciopero generale politico. La situazione si svolse così, che il Consiglio nazionale popolare, raccolto il 20 ottobre 1922, a due anni dalla riunione che abbiamo citato nel principio, si credette in presenza di una minaccia della rivoluzione di destra, onde l’appello diceva: «Non è vano il timore che siano in pericolo le istituzioni dello Stato italiano», ma continuava «non si può tornare indietro e credere di poter governare senza mantenere saldo il regime democratico non nella forma inorganica e accentratrice di ieri, ma nella forma organizzata e decentrata di domani», e concludeva facendo appello alle nuove forze della nazione di voler decidersi a vivere entro le istituzioni costituzionali rinunciando alle organizzazioni armate. La collaborazione che venne data poi, a rivoluzione compiuta, non rinnega queste tendenze perché, come verrà proclamato a Torino, essa mira alla normalizzazione costituzionale. C’è bisogno di dire, conclude l’oratore, che anche su questo terreno, a giudicare dai risultati immediati, noi siamo dei vinti?

Il contegno dell'on. Degasperi e dei liberali nell'ultima fase

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Accettando questo criterio e non esagerando converremo tutti che essa almeno è una questione la quale riguarda Trento come capitale del paese ed un complesso di relazioni morali e di vincoli economici fra questa capitale e due importanti vallate. Da questo largo punto di vista e non da quello semplicemente dell’interesse locale abbiamo il diritto ed il dovere di riguardare quindi il problema, anche come consiglieri comunali di Trento ed in ogni caso quali rappresentanti politici del paese.

Trattato di economia sociale: introduzione all’economia sociale

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Toniolo, Giuseppe 2 occorrenze
  • 1906
  • Opera omnia di Giuseppe Toniolo, serie II. Economia e statistica, Città del Vaticano, Comitato Opera omnia di G. Toniolo, voll. I-II 1949
  • Economia
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Ciò, evidentemente, perché tali scuole, rifiutando affatto o accettando in modo imperfetto e fallace il governo della morale sopra l'economia, aveano indotto nelle menti concetti erronei o almeno indeterminati intorno all'utile materiale (economico) ed ai rapporti e limiti fra l'utile individuale e quello collettivo. Queste tristi prove e queste ragioni scientifiche sospinsero, da ultimo, gli studiosi a ricercare la somma guarentigia di certezza e stabilità dei principi economici in una norma superiore all'uomo. E questa norma si additò nella legge etica, obbiettiva ed imperante, cioè imposta da Dio all'uomo, e manifestata alla ragione ed al sentimento umano; essa medesima raffermata in forma di rivelazione divina positiva,la quale storicamente e scientificamente apparisce siccome la più sicura conferma e la massima perfezione della legge stessa razionale.

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L'altra parte che può dirsi dei riformatori sociali (democratici cristiani), più preoccupati della lotta sociale operaia e della urgenza dei suoi rimedi — pure accettando questi fondamentali indirizzi e provvedimenti, fanno appello al di sopra di essi, ad un più intenso intervento dell'azione giuridica dello Stato, per regolare i rapporti fra le classi in conflitto, mercé tre serie di provvidenze: «il contratto di lavoro o meglio di salariato, la legislazione sociale tutrice e promotrice della elevazione delle moltitudini operaie, e le unioni professionali autonome di capitalisti e di operai, collegate da commissioni miste»; nella quale direzione ricompaiono più di recente Lorin, Goyau, Turmann, Pottier, Vermeersch, Verhaegen, Hitze, Ballerini, Rodriguez de Cepeda, Castroviejo, Aznar, Mauri, Caissoti, Toniolo, ecc.

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Per la solenne inaugurazione della cassa rurale di prestiti S. Giacomo

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Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1897
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 30-45.
  • Politica
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Ma, si replica; non accettando a soci che solo i cattolici praticanti, fomentate l'ipocrisia e il bigottismo; voi così mutate il credito in opera confessionale, usate e abusate della costrizione morale, per attirare a voi il povero che cerca pane e lavoro. Così ha blaterato più volte il giornalismo massonico, nella speranza di farci desistere. La costrizione morale! Signori, non vi è più cieco di chi non vuol vedere. E non è questa costrizione morale quella che governa il mondo in tutti gli ordini sociali, privati e pubblici? Il fanciullo che studia pel timor del castigo o per l'allettativa del premio, l'adulto che non si vendica dell'offesa per non dar nelle mani del giudice, l'onesto impiegato che va assiduo al suo banco, per la promozione che aspetta, sono tutti costretti moralmente al dovere. Il paradiso, a cui aneliamo, l'inferno che temiamo, sono vere costrizioni morali al ben vivere. Onde Davide diceva: inclinavi cor meum ad faciendas iustificationes tuas in aeternum propter retributionem (P. 118). Chi oserebbe accusar d'ingiustizia il premio, perché non si dà a tutti? Ovvero di violenza la promessa, perché in certo modo costringe a un fine? O secolo sciocco, che volendo togliere ogni timore e ogni speranza, ogni premio e ogni castigo, riduce l'uomo allo stato di bestia! Ma si cela il reo intento, declamando ai quattro venti, che bisogna fare il bene solo per sentimento del bene! E quando il cattivo esempio, gli empî discorsi, le oscene letture, dal Lucrezio Caro al Zola, hanno spento il sentimento del bene, che resta? Il suicidio e i peculati per puro sentimento di bene!

Pagina 42

La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1907
  • Murri, La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi, Roma, Società Nazionale di Cultura, 1907, 1-297.
  • Politica
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Ed accettando la Chiesa così, come essa chiede di essere accettata, nello spirito di Colui che la fondò, cadrebbero molte preoccupazioni che oggi, di qua come di là dai confini di essa, ne intorbidano nelle coscienze il concetto e l'azione. Fra queste, le più delicate e importanti sono forse quelle che riguardano i rapporti fra la Chiesa e la società civile. È noto oggi a tutti come, caduto, con gli antichi regimi, il privilegio politico del quale godevano gli istituti ecclesiastici, (foro speciale, mano morta, esenzione militare, autorità civile unita sovente alla ecclesiastica, ecc.) e sostituite per legge agli antichi rapporti disposizioni che coartano in molte cose la libertà ecclesiastica, né lo Stato, sul quale premono potentemente correnti laiche ed atee, vuole arrestarsi dove è, geloso della potenza del clero e desideroso di togliere radicalmente alla vita civile ogni impronta di cristianesimo; né la Chiesa o cede alla persecuzione o si rassegna a godere del solo diritto civile; posizione, quest'ultima, ripugnante ed assurda, dove essa Chiesa è tale robusta organizzazione ed esige sì vasti e complessi mezzi di azione — scuole, benefizi, monasteri, chiese, atti solenni di culto pubblico, matrimonio religioso ecc. — da non poter intendersi né che il dritto comune basti a sì possente associazione né che lo Stato si disinteressi interamente della vita di essa. Dunque, né l'ingiustizia della persecuzione né l'ipocrisia del dritto comune; e poiché oggi, nelle condizioni a noi note di civiltà e di cultura, è vano pensare ad un amichevole accordo delle due società, non ci è possibile attenderci che la lotta fra di esse. E questa lotta avrà, del resto, numerosi vantaggi; terrà deste ed alacri le forze e gli animi dei contendenti e li porterà a svolgere, nella maniera più conforme alle esigenze degli spiriti, le attitudini e l'opera propria. Solo, la lotta sia gara serena, senza fanatismi ed intolleranze: gara di educazione, di servigii resi ai progressi della cultura e della vita morale dei popoli, di perfezionamento nei mezzi di giovare agli umili ed ai dolorosi, di organizzare gli sforzi e gli animi umani, di promuovere la vita intensa e l'incremento della persona e della coscienza umana.

Pagina 250

La filosofia neo-tomista e il movimento moderno della filosofia cristiana

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Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1900
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1900-1902, pp. 104-107.
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A questa immediata decadenza della filosofia neo-tomista pura è seguita la reazione; una terza scuola è sorta, la quale accettando i postulati della filosofia neo-tomista, varia nel metodo, nella estensione, nella unità scientifica, nella critica storica, nella sintesi causale. Questa scuola è appena bambina in Italia e non ha ancora autorevoli rappresentanti tranne in parte I. Petrone nella metafisica, Toniolo nella sociologia, Molteni Giuseppe e qualche altro; in Francia ha principale De Mercier [sic] Evidentemente si tratta del famoso Désiré Mercier che, come è noto, operò in Belgio., in America Zham, in Belgio Pottier, in Germania Görres e in parte Cathrein, Pesch, Biederlack.

Pagina 106

Il Parlamentarismo in Italia e la funzione del partito socialista

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1907
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 166-191.
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Sonnino, accettando il potere, non si assicurasse la facoltà di sciogliere, alla prima opportunità, la Camera; egli forse sperò di vincere questa con la bontà e la rapidità del lavoro, di potere giungere alle vacanze estive, lontane di soli quattro mesi e quindi a novembre, ed in questo tempo lavorare a procurarsi una maggioranza stabile, o aver tempo almeno di fissare le linee caratteristiche di un indirizzo di governo e cadere poi dignitosamente su questo. Ma quel che l'on. Sonnino sperava, la maggioranza antica temeva, e, a quel che si vide, temeva grandemente; per lo che si affrettò a rovesciare l'inviso ministero. È inutile chiedersi qui sino a che segno il proposito dell'on. Sonnino fosse basato su previsioni illusorie e quali doti mancassero a lui per riuscire nella prova. Certo egli parve difettare, nel momento della lotta, di quella sicurezza di sé e dei proprii atti di quel vigore di affermazione che dominano avversarii fiacchi e ne sconvolgono i piani e si impongono agli incerti; e questa sicurezza di sé mancò, oltre che a lui, anche al suo alleato, il partito socialista. Se esso fosse stato alla Camera, il giorno in cui si decisero le sorti del nuovo ministero, assai probabilmente queste, non sarebbe caduto; poiché pa{{173}}recchi voti di astenutisi e di contrarii si sarebbero uniti ai voti del partito socialista per procurare al governo uno maggioranza, benché debolissima.

Pagina 171

Il modernismo che non muore

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 37-59.
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Il conflitto nacque, e non poteva non nascere, per il fatto che i maggiori rappresentanti del modernismo, posti dinanzi all'ostilità violenta ed irreducibile delle autorità ecclesiastiche verso la coscienza, la critica e la democrazia, non mollarono, non cercarono fuori di queste un criterio indiretto o personale di conciliazione, non sottilizzarono; ma continuarono diritti per la loro via, subendo e accettando la condanna che li metteva fuori della Chiesa gerarchica ed ufficiale. Il significato e il valore storico del tentativo, in quanto era tentativo di rinnovare dall'interno la Chiesa senza spezzarne la compagine esteriore, e cioè d'accordo con l'autorità, sta tutto in questa crisi. Le piccole soluzioni intermedie, le conciliazioni, gli accomodamenti sono cronaca di individui, non storia di un momento dialettico nella vita della Chiesa. Come dopo il 1848-49 il neoguelfismo era morto, e ben morto, benché continuassero ad esserci dei neo-guelfi per molto tempo ancora, e V. Gioberti ne stese l'atto di morte nel Rinnovamento, così fra il 1907 e il 1910 il modernismo cattolico è morto, e ben morto; e giova prenderne nota, per andare innanzi.

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I cattolici e la questione politica in Italia

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Averri, Paolo 1 occorrenze
  • 1897
  • Averri, I cattolici e la questione politica in Italia, Torino-Roma, Giacinto Marietti, 1897, 4-31.
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Così anche, mentre dall'una parte i vizi gravissimi` che si vanno manifestando del regime borghese e allo sgomento che destano i partiti estremi ai quali esso ha aperto la via si unisce lo svanire doloroso di tante illusioni che accompagnarono il risorgimento precipitato e fittizio di Italia, dall'altra invece, accettando in parte i dati del diritto nuovo e con l'assimilazione del pensiero moderno, ritardata, spesso, tuttavia, da prevenzioni eccessive, disciplinando l'intelletto a ricerche nuove sulle verità antiche, si è venuta formando in parecchi, e si diffonde ora, una concezione grandiosa della vita pubblica da instaurare; il fondo della quale concezione è puramente religioso, ma si colora nelle forme esteriori di un programma politico-sociale ammirabile: e la coscienza riacquistata del proprio valore e le speranze nuove ringiovaniscono la propaganda sociale e politica del cattolicismo; e, per mezzo ad una trasformazione non molto evidente ma rapida, si va formando lo spirito e la coscienza di un partito nuovo la cui vitalità intravista spaventa già gli avversari e la cui forza di espansione imbarazza i calcoli ponderati e prudenti degli uomini del primo periodo di preparazione segreta ed inconscia del movimento.

Pagina 15

Teogonie clericali

403799
Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1908
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 108-137.
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Allora e dopo i cattolici hanno quindi occupato qualche posticino lasciato vuoto da moderati; ma non importa; il piano dei cattolici d'azione era formato; gettarsi per la sola via aperta, proporsi di arrivare lentamente ma sicuramente alle elezioni politiche, adattandosi a farlo nel modo che piacesse alla Santa Sede, rassicurando questa sull'ortodossia e sul carattere conservatore dei loro propositi, accettando le condizioni che ad essa piacesse porre; prima fra queste il distacco netto da...quei giovani i quali dichiaravano necessaria una certa autonomia del movimento politico. Da allora, quei cattolici laici di azione hanno lavorato nell'ombra, e talora con timide manifestazioni, per raggiungere il loro intento; hanno complottato con il governo — con tutti i governi — alla Camera, per mezzo dell'on. Cornaggia: hanno rinsaldato le alleanze amministrative con i moderati; hanno fondato giornali a scopo puramente elettorale, come il Corriere d'Italia, hanno ridestato le passioni clericali sopite; hanno combattuto la Lega democratica nazionale, che aveva il coraggio di dichiarare che la politica non è religione, e viceversa. In premio di tutto questo, essi sono oramai giunti ad ottenere il loro intento. La politica internazionale della Santa Sede non fa più ostacolo, poiché anch'essa si è, in questo breve periodo di tempo, sostanzialmente trasformata: quelli che in Vaticano combattevano ogni concessione allo Stato italiano sono in parte soddisfatti del carattere conservatore e profondamente clericale della nuova politica. Un partito politico clericale si viene così formando per mezzo di elettori organizzati ufficialmente e con candidati i quali debbono avere una almeno tacita investitura dalle mani dell'autorità. ecclesiastica. Negar questo è ipocrisia di cattivo genere ed i giornali clericali ne usano ancora spesso.

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