Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il banchetto in onore di Mons. Dott. de Gentili. Il brindisi dell'on. Degasperi

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

«Se questa sera fossimo radunati a celebrare un giubileo segnato dal tempo, nelle parole di un brindisi vibrerebbe sotto gli accenti festivi anche la nota malinconica e forse, oratore mal pratico come sono io, non saprei evitare la resonanza dell’elogio funebre. Ma oggi festeggiamo non l’estensione ma l’intensità di una vita e se vogliamo rallegrarci, ricordando, del molto cammino percorso, lo facciamo sostando in mezzo alla via in atto di procedere, perché sappiamo di celebrare un’energia non infiacchita, una visione non turbata, una volontà decisa di andare avanti. Così questa sera brindando al passato, brindiamo ad un tempo all’avvenire. Ricordando i tempi in cui Don Gentili all’alba appena della nostra giornata cattolico-sociale fu giornalista e conferenziere, propagandista e organizzatore, noi auspichiamo il pieno meriggio in cui mons. Gentili veda per l’opera sua e dei suoi amici i progressi e la diffusione della stampa nostra quale egli, nell’impeto del giovanile desiderio del bene, deve avere sognato, veda il trionfo delle associazioni, a cui ha dato impulso od opera, e su questo paese al cui risorgimento ha dedicato tutta la bellezza della sua intelligenza e tutta la meravigliosa fibra di lavoratore, veda splendere in un dominio glorioso il sole della democrazia cristiana. Ben sappiamo, o amici, che questo è l’augurio migliore che gli possiamo fare, e che è l’unico premio, che la sua anima generosa poté ambire quaggiù. La sua fatica dura da quasi vent’anni, e furono l’una dopo l’altra giornate piene di sforzo, di sacrifizio, di prove, alternate da conforti, e noi che gli siamo cresciuti d’attorno ci siamo dovuti dire spesso la nostra meraviglia nel vedere questa gagliarda fibra rinvigorirsi innanzi alle difficoltà, questa mente divenir sempre più lucida in mezzo alle complicazioni e questa volontà ingigantire nella lotta più fiera. Ma più grande fu ancora la nostra ammirazione quando abbiamo visto che mano mano che cresceva le sua personalità scompariva la sua individualità e più si teneva nell’ombra l’individuo, perché sovratutto rifulgesse il principio e dominasse sola la causa, cui egli e noi siamo chiamati a servire. Ed ecco la ragione del nostro ossequio, ecco perché sentiamo ch’egli non solo nella carica, ma nello spirito, è il capo delle nostre associazioni cattoliche. Gli avversari hanno scritto come per ischerno che Don Gentili ci ha imposta la dittatura, tanto forse per confermare col Manzoni che il povero senno umano cozza spesso coi fantasmi creati da sé. Ma del resto comprendiamo la dispettosa meraviglia degli avversari nel vedere che noi benché siamo parchi per i nostri capi di aggettivi laudativi, di epiteta ornantia e di maiuscole, di elogi, epitaffi e mausolei, altrettanto siamo ricchi di disposizioni e di raccomandazioni per la disciplina, per la concordia. Signori, un dittatore non ha seguaci, ma servi, non collaboratori, ma meccanici esecutori. E noi tutti invece, quanti lavoriamo nel campo cattolico, siamo qui uomini liberi che oggi come altre volte nel nostro passato, nei momenti di debolezza o di differenza chiediamo al presidente del Comitato Diocesano la parola dell’incoraggiamento e della concordia; e l’abbiamo chiesta e la chiederemo a lui, non solo perché lo crediamo migliore di noi, ma perché l’insegnamento ch’egli ci dà lo fa risalire alla Chiesa, al nostro Vescovo, al Papa, nei quali egli ci addita di trovare le ragioni del nostro lavoro e della nostra disciplina. Sì che oggi noi possiamo esser lieti che l’onorificenza pontificia venga a dare espressione esteriore a quell’autorità di mons. Gentili, si basi sulla stima della sua persona e sul consenso al suo indirizzo. Amici! La vita militante dell’azione cattolica è un po’ vita di campo, lontana dal focolare domestico e dagli affetti familiari e oramai dall’uomo di vita pubblica il pubblico pretende che non viva se non per lui. Ma questa sera, poiché oltre che al capo vogliamo pur esprimere i nostri auguri, anche all’amico, a me pare di non poterlo far meglio che congiungendo alla sua persona che sta sul proscenio della vita pubblica il nome venerato di un’altra che sta nell’ombra ma alla quale egli è congiunto da tenerissimo affetto. Penso alla sua mamma ottuagenaria e mandando il pensiero riverente a Lei, nell’occasione che festeggiamo il figlio, mi pare d’includere nell’augurio l’uomo intiero, come venne alla ribalta per una umile vita di lavoro, come vive nella modestia della sua distinta posizione sociale, come auguriamo sia felice nei lunghi anni che rimarrà l’orgoglio di Lei e l’orgoglio nostro».

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