La Corte costituzionale ritorna sul rapporto tra diritto di difesa e modifica dell'imputazione, consentendo all'imputato di accedere al giudizio abbreviato anche a seguito della contestazione in dibattimento del fatto diverso. La sentenza, però, non chiude definitivamente la questione e lascia aperti molti interrogativi difficilmente risolvibili sul piano interpretativo.
La Suprema Corte nega, ancora una volta, la possibilità di accedere alla messa alla prova per adulti nei procedimenti che, all'entrata in vigore della l. 28 aprile 2014, n. 67, si trovino pendenti in cassazione. L'A., preso spunto dalla pronuncia segnalata, ricostruisce il dibattito giurisprudenziale sull'applicabilità della nuova ipotesi di "probation" processuale ai processi in corso, in cui i termini per accedere all'istituto siano scaduti prima dell'entrata in vigore della novella.
L'esatta percezione delle ripide procedure normativamente previste, "ut supra" sistematicamente inquadrate, fornisce un essenziale contributo per addivenire consapevolmente alla non facile scelta del peccatore fiscale se accedere o meno ad un "purgatorio", che possa infine condurlo in "paradiso" o farlo partecipare subito all'"inferno" (tributariamente inteso, ben s'intende).
Il contratto di anticresi: a) ha una causa satisfattoria, perché finalizzato all'estinzione del credito; b) ha causa di garanzia, perché dà luogo ad una vera e propria garanzia reale immobiliare, relativa però ai soli frutti pendenti, con i requisiti di specialità, diritto di prelazione e diritto di seguito; c) realizza infine uno scambio di godimenti ed è un contratto di durata. L'istituto più affine all'anticresi, per ragioni storiche e di disciplina positiva, è il pegno; cui perciò occorre richiamarsi per risolvere molti dubbi interpretativi. In particolare quelli concernenti "l'abuso" del creditore (per reagire al quale si potrà domandare il sequestro: art. 2793 c.c.); la circolazione dell'anticresi (che potrà avvenire solo insieme al credito e con custodia del creditore-cedente se il debitore non consente: art. 1263 c.c.); la liceità per l'anticresista di usare in proprio anziché locare il fondo urbano e la possibilità di escludere convenzionalmente la facoltà di locare (da ammettere, ma limitatamente alla fase in cui la garanzia non debba essere escussa: art. 2787 c.c.; art. 2791 c.c. - pegno di cosa fruttifera). La presenza di un godimento sul bene da parte del creditore spiega il fatto che l'anticresi sia molto più ampia, e molto più sicura, di una cessione dei crediti futuri (fitti ancora a scadere) o di una semplice delega all'incasso. Tra l'altro, la cessione dei frutti futuri ha nell'anticresi un vero e proprio carattere "rotativo". Sulle locazioni stipulate dall'anticresista si respinge la tesi molto diffusa della "cessazione immediata" di esse al cessare dell'anticresi per sostenere invece che queste andranno avanti fino a naturale scadenza, purché rientrino nel potere di amministrazione che per legge spetta al creditore anticretico. Quanto al dovere di pagare i tributi relativi all'immobile, si individua nell'anticresista il soggetto passivo d'imposta, benché tale profilo sia svalutato dall'Amministrazione Finanziaria e dalla dottrina più diffusa. - Parte II - L'anticresi permette una reciproca concessione di godimenti temporanei: si concede un immobile, in cambio della concessione di un capitale ("contrafruitio"). Il titolare dell'immobile ottiene un capitale pari ad una parte del valore del bene (di cui conserva la proprietà) per un periodo di tempo prestabilito. Il titolare della somma ottiene invece la disponibilità di un immobile, con il diritto a riavere indietro il proprio capitale alla fine della "contrafruitio". Il proprietario riceve un mutuo a condizioni oggi inesistenti sul mercato: senza interessi; senza rate, dovendo restituire il capitale solo alla scadenza del contratto. Rimane titolare del bene, per il quale però non paga né le spese né le imposte. Anche l'anticresista / utilizzatore riceve l'immobile a condizioni oggi inesistenti: non paga un affitto, non paga un prezzo; non è debitore di nessuno (anzi è creditore). I vantaggi per l'uno e per l'altro (risparmi) non sono soggetti ad alcuna imposta. Al termine del periodo prestabilito, il creditore riavrà indietro il suo capitale; il proprietario riavrà il suo immobile. L'atto notarile pubblico dà ad entrambe le parti un titolo esecutivo, tanto per il debito pecuniario, quanto per l'obbligo di rilascio dell'immobile (art. 474 c.p. c.). E comunque è possibile garantire entrambi i contraenti in modo ottimale (si è esaminato, per es., il patto marciano). L'anticresi ha di per sé, come garanzia, ha un impatto fiscale assai contenuto, essendo soggetta ad imposte fisse di trascrizione e di registro (ovvero 0,5% se concessa da un terzo). Occorre naturalmente valutare l'imposta relativa al rapporto obbligatorio cui accede. L'anticresi può accedere ad un contratto preliminare di compravendita, senza rilevanti aggravi fiscali, e garantire il promissario acquirente permettendo altresì la sua anticipata immissione nel godimento dell'immobile, con tutti gli utili e oneri, imposte relative al bene, ecc. L'anticresi può essere uno strumento alternativo anche per facilitare l'accesso al credito bancario. Chi riceve un finanziamento può garantire con un immobile, offrendolo non solo come valore in termini di vendita forzata (ipoteca), ma anche come valore d'uso (anticresi). L'anticresi è poi per il creditore molto più sicura, e molto più ampia, di una cessione dei fitti o crediti a scadere, ovvero di una delega ad incassarli. Infine, si è immaginato uno schema di "mutuo anticretico", quale finanziamento bancario non-fondiario, che consenta di realizzare lo scambio di godimento tra privati ("contrafruitio") grazie ad una cessione del credito bancario anticretico, riconducendo però l'intera operazione alle sicurezze (in termini di gestione professionale dell'attività creditizia) ed alle agevolazioni fiscali, dei finanziamenti a medio-lungo termine.
Il tema degli effetti giuridici da riconnettere ai contratti di maternità surrogata all'interno degli ordinamenti d'origine dei genitori intenzionali prende rilievo nell'agenda politica internazionale degli Stati, nei lavori della Conferenza dell'Aja di diritto internazionale privato e nel panorama degli studi internazionalprivatistici. A causa dello spostamento all'estero di coloro che intendono accedere a questa tecnica, si è paventato il rischio di un vero e proprio "turismo procreativo", che non solo solleva delicati interrogativi giuridici ed etici, in special modo nelle ipotesi di maternità surrogata commerciale, ma che determina una situazione di incertezza sullo status giuridico da riconoscere al minore. In Italia è intervenuta la Corte di Cassazione, che, nel pronunciarsi per la prima volta su un caso di maternità surrogata transnazionale, ha negato effetti al certificato di nascita straniero attestante il rapporto di filiazione tra la coppia d'intenzione ed il neonato per contrarietà all'ordine pubblico internazionale. Di senso opposto, la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia, che ha accertato una violazione dell'art. 8 della CEDU a seguito della decisione dei giudici di merito italiani di allontanare il neonato dalla coppia d'intenzione. Dopo una rilettura internazionalprivatistica della sentenza della Corte di Cassazione italiana, proveremo ad enucleare alcune ragioni che, anche alla luce della giurisprudenza europea, militano a favore di un tempestivo inquadramento giuridico della maternità surrogata transnazionale, rilevando da subito che, a nostro avviso, le due sentenze si contraddicono solo apparentemente. Entrambe sono, in effetti, accomunate dalla volontà di realizzare un giusto bilanciamento tra l'interesse pubblico al rispetto delle leggi vigenti (le discipline italiane della procreazione medicalmente assistita, dell'adozione e della filiazione) e l'interesse del minore a non subire discriminazioni nel godimento di diritti fondamentali, quali il diritto all'identità personale, il diritto di acquisire una nazionalità, il diritto ad una vita familiare, solo perché generato grazie a surrogazione di maternità. Risulterà evidente come l'elemento dirimente nella soluzione di questi casi è, in maniera larvata o manifesta, il significato in concreto attribuito al c.d. interesse superiore del minore.
Il caso riguarda una coppia italiana che, dopo aver atteso a lungo per l'adozione e nell'impossibilità di accedere alla procreazione assistita, ha deciso di recarsi in Russia, concordando con una madre surrogata di dare alla nascita il loro figlio. La maternità surrogata è oggetto di disciplina in Russia, ma risulta proibita in Italia, dove al rientro la coppia è stata coinvolta in una serie di processi conclusisi con l'allontanamento del minore presso un'altra famiglia. La Corte stigmatizza il comportamento dell'Italia per non aver propriamente valutato l'interesse del minore e aver quindi ordinato l'allontanamento del bambino avendo riguardo solo al comportamento dei genitori intenzionali, accusati di frode e di aver aggirato il divieto di surrogazione di maternità in vigore in Italia. Questa nota suggerisce, alla luce sia dei precedenti della Corte europea, sia delle esperienze dei vari Paesi europei, che i giudici italiani dovrebbero adottare un approccio più completo con riguardo a casi aventi ad oggetto dei minori, inclusa una maggiore comprensione delle concrete questioni poste al loro esame dal caso concreto. Essi dovrebbero perciò considerare che la conservazione della famiglia esistente, anche se formatasi in violazione del divieto di surrogazione di maternità vigente in Italia, può costituire l'opzione più adeguata per proteggere gli interessi del minore - una soluzione che sfortunatamente pare contraddetta dalla giurisprudenza italiana attuale.
La recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sul caso Grande Stevens ha destato notevole scalpore in ambiente penalistico: ciò che infatti emerge a una prima e piana lettura della pronuncia è soprattutto che essa costituisce in mora l'ordinamento italiano e così la sua tendenza a replicare sanzioni amministrative in sanzioni penali, formalmente distinguendone le fattispecie ma in realtà duplicando l'afflizione per le medesime condotte illecite, senza neppure accedere all'articolazione di differenti sanzioni (amministrative o penali) in relazione a diversi gradi di disvalore di comportamenti pur strutturalmente assimilabili. Ciò che invece è rimasto sin qui nell'ombra è che quella pronuncia produce fondamentali risvolti, così sistematici come pratici, per il diritto amministrativo delle sanzioni per come l'abbiamo conosciuto sinora, investendone gangli vitali: il procedimento amministrativo irrogativo di sanzioni, ossia di misure afflittive nel senso rischiarato da Strasburgo, deve necessariamente "ibridarsi" con il giusto processo per poter stare nell'alveo di legalità perimetrato dalla Corte europea, con tutte le conseguenze giuridiche che da ciò discendono.
Peraltro, proprio l'indagine sulla natura giuridica della fattispecie già nota come "cessione di cubatura" - in qualche modo da considerare quale "prodromo" della categoria generale dei negozi di diritti edificatori - mette subito in evidenza la ricaduta che sul piano fiscale hanno avuto ed hanno tuttora le diverse congetture elaborate da parte della Giurisprudenza di legittimità e dall'Amministrazione Finanziaria da un lato (che si è espressa in relazione alla cubatura in termini di diritto strutturalmente assimilabile alla categoria dei diritti reali immobiliari di godimento) e altra parte della medesima Giurisprudenza (sostenuta anche da quella amministrativa) che hanno al contrario individuato in essa efficacia e colorazione solo obbligatorie, esaltando il ruolo conclusivo e determinante del provvedimento abilitativo edilizio emesso dalla pubblica autorità, il solo che attribuisca consistenza alle situazioni giuridiche generate dall'attività negoziale delle parti del contratto. Anche in materia di negoziazione di diritti edificatori, in qualche modo "tipizzati" dalla norma di cui all'art. 2643 n. 2-bis c.c. (introdotto dal D.L. 70/2011), l'indagine sulla loro natura giuridica è pregiudiziale rispetto a qualsiasi individuazione del relativo regime fiscale; e segnatamente sul punto le opinioni espresse in dottrina (dalla natura di diritti reali tipici o atipici, a quella di "beni immateriali di origine immobiliare"; all'altra di meri interessi legittimi "pretensivi" o di mera "chance edificatoria'; ecc...) così come dalla Giurisprudenza amministrativa, pur dopo l'emanazione del D.L. 70/2011, sono tra esse alquanto differenziate con evidenti diverse ripercussioni sul consequenziale regime fiscale, rilevandosi comunque che la mera collocazione del nuovo n. 2-bis nell'alveo dell'art. 2643 c.c. (sia pure dettato in materia di trascrizione) non pare costituire di per sé comprova e fondamento ineluttabili della realità di tali diritti, in quanto già l'ordinamento conosce ipotesi di trascrizione di contratti sicuramente con efficacia obbligatoria o dubbiosamente reale. Da quanto sopra detto si capisce bene che le inferenze sul piano fiscale - sia per quanto attiene alle imposte indirette che a quelle dirette - appaiono condizionate dalla linea di pensiero cui si reputa di poter accedere. Al riguardo è essenziale riflettere sulla circostanza per cui, con riferimento alle nuove politiche di pianificazione del territorio, la realità delle disparate situazioni giuridiche da esse ingenerate potrebbe non costituirne più un tratto identitario e costitutivo (per l'assoluta distanza che si può interporre tra il fondo "originante" il diritto edificatorio e quello "accipiente" destinato ad accoglierlo ma anche, in generale, per la probabile assenza di quella "immediatezza" che è tipica dei diritti reali, dovendosi al contrario tenere in debita considerazione tutto il procedimento amministrativo finalizzato a dare concreta esplicazione a quel diritto); sicché anche l'interprete sul piano fiscale deve trame coerenti e convergenti conclusioni, che possono essere anche diverse rispetto a quelle cui in tempi addietro si era pervenuti con riguardo alla "cessione di cubatura".
La nuova disciplina sulla difesa d'ufficio prevede requisiti più rigorosi in termini di competenza professionale per poter accedere all'apposito elenco unico nazionale, che viene contestualmente istituito. Il rafforzamento delle competenze e della preparazione professionale è certamente un servizio non solo alla parte nel processo, ma a tutto l'esercizio della giurisdizione. Alcuni aspetti critici nell'esercizio della funzione di difensore d'ufficio non vengono affrontati dal Legislatore e vengono ricordati dall'A. in una prospettiva di ulteriore futuro affinamento della normativa.
Nel procedimento elettorale riveste particolare rilievo il compito riservato ai seggi speciali, che incorporati nella sezione normale od ospedaliera, consentono di esercitare il diritto elettorale attivo a tutti gli elettori che si trovano nell'impossibilità di accedere personalmente ai seggi. Si tratta di quegli elettori che sono ricoverati in case di cura con almeno 100 e fino a 199 posti letto o che sono astretti in luoghi di detenzione e di custodia preventiva o che ricoverati in ospedale, a giudizio della direzione sanitaria, non possono recarsi alle cabine per esprimere il voto o che sono autorizzati ad esprimere il voto a domicilio, qualora abitino in vicinanza di un luogo di cura in cui operi un seggio speciale. Lo scopo del lavoro è quello di illustrare il procedi mento di funzionamento dei seggi speciali, in modo da offrire un quadro sufficientemente organico dei loro compiti.
I diritti degli studenti "migranti" riposavano sul diritto interno allo Stato membro ospitante. Così essi potevano essere soggetti al pagamento di tasse di iscrizione più elevate dei cittadini dello Stato membro ospitante e non avere accesso agli aiuti al mantenimento erogati da tale Stato. Tali studenti non avevano neppure il diritto di risiedere nello Stato ospitante ai sensi del diritto dell'UE. A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, la Corte di giustizia (CG) ha riconosciuto agli studenti "migranti" dell'UE svariati diritti nei confronti sia dello Stato membro di origine che dello Stato membro in cui si trasferivano, ciò al fine di promuovere la mobilità degli studenti nell'UE. In alcune decisioni di grande importanza, la CG ha affermato che il diritto primario dell'UE riconosce agli studenti "migranti" il diritto di accedere a pari condizioni agli istituti di formazione professionale e di istruzione nello Stato ospitante (rispettivamente, sentenze "Gravier" e "Bressol"), il diritto di non pagare tasse d'iscrizione più alte dei cittadini dello Stato ospitante (casi "Commissione c. Belgio" e "Commissione c. Austria"), il diritto di non subire discriminazioni rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante per quanto concerne la percezione del sostegno finanziario durante gli studi, sia pure entro certi limiti (sentenza "Bidar"). Quale condizione indispensabile per l'esercizio della libertà di circolazione, la CG ha anche riconosciuto agli studenti "migranti" il diritto di risiedere sul territorio dello Stato ospitante (sentenza "Raulin"). Inoltre, la CG ha statuito che "allorché uno Stato membro prevede un sistema di aiuti alla formazione che consente a studenti di beneficiarne nell'ipotesi in cui compiano studi in un altro Stato membro, esso deve far sì che le modalità di concessione di tali aiuti non creino una limitazione ingiustificata al detto diritto di circolare e soggiornare nel territorio degli altri Stati membri" (sentenza "Morgan and Bucher"). Sebbene questi diritti siano ora, per la gran parte, previsti dalla legislazione dell'UE, è ancora fondamentale il ruolo della CG nella definizione dello "status" giuridico degli studenti "migranti" nello Stato ospitante e del sostegno finanziario che essi possono ricevere dallo Stato di origine e nello Stato ospitante. Spetta principalmente alla Corte bilanciare i diritti degli studenti con gli interessi generali degli Stati membri. La giurisprudenza europea mostra che la Corte è riuscita finora a rafforzare i diritti degli studenti "migranti" senza omettere di considerare gli interessi generali degli Stati membri.
L'ampliamento delle possibilità della Regione di accedere alla Corte potrebbe invece tradursi in una più ampia tutela dei diritti fondamentali, nonché nella copertura di talune "zone franche" oggi presenti nella giustizia costituzionale.
La definizione della nozione di controllo, al fine di accedere al regime di applicazione dell'Iva di gruppo, risulta più chiara avuto riguardo alla normativa comunitaria e a quella domestica, specialmente in tema di controllo ex art. 2359 c.c. e di consolidato Ires; ciò che consente di risolvere anche la connessa problematica afferente la costituzione in pegno di quote o azioni e i conseguenti riflessi ai fini del predetto regime fiscale.
L'A. prende spunto dal provvedimento per compiere alcune riflessioni sull'opportunità di accedere ad applicazioni più elastiche di talune misure cautelari, specialmente a fronte di situazioni che abbiano ad oggetto atti dispositivi dell'azienda anche di natura fraudolenta.
Peraltro il modello per accedere alla procedura è già disponibile in bozza sul sito dell'Agenzia delle entrate. La "voluntary" domestica, l'estensione, cioè, alle persone fisiche diverse da quelle riguardate dalla estera e alle società ed altri enti anche con riferimento ad attivi italiani, conferisce al provvedimento la veste di una pacificazione fiscale, almeno sino alla finestra temporale concessa per accedere alla procedura, ovvero il 30 settembre 2015.
Si potrà accedere all'istituto anche oltre i termini previsti dalle norme vigenti fino al 31 dicembre 2014, nonché, per i tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate, a prescindere dalla circostanza che la violazione sia già stata constatata o che siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento, delle quali i soggetti interessati abbiano avuto formale conoscenza, salvo la formale notifica di un atto di liquidazione o accertamento o il ricevimento delle comunicazioni di irregolarità in materia di imposte sui redditi e di IVA.
[Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive]
La seconda ordinanza in commento, in riforma della prima, dichiara in via cautelare il diritto della lavoratrice ricorrente ad accedere alle prestazioni straordinarie di un fondo di sostegno al reddito e all'occupazione. Il provvedimento solleva più di qualche perplessità ove si consideri che, pur potendosi convenire, in linea generale, sull'ammissibilità di una tutela urgente anticipatoria di sentenze dichiarative o costitutive, nella specie la possibilità di accedere al fondo richiedeva il necessario incontro delle volontà dei contraenti sulla risoluzione del rapporto contrattuale in essere e sulle relative condizioni. È infatti alquanto dubbio che la tutela d'urgenza possa estendersi al punto da anticipare la costituzione di un nuovo rapporto negoziale o l'accertamento del diritto di accedervi passando per la risoluzione del vecchio.
I soggetti titolari di reddito d'impresa, per accedere al regime "Patent box", devono esercitare, direttamente o indirettamente, attività di ricerca e sviluppo finalizzata alla produzione di specifici beni immateriali. Con il "nexus approach", metodo accolto dalle linee guida OCSE [Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico] per verificare il reale collegamento fra agevolazioni fiscali concernenti i redditi derivanti dalla proprietà intellettuale e l'attività sostanziale sottesa, i benefici fiscali riconosciuti ai redditi derivanti dai beni immateriali sono determinati in funzione delle spese sostenute per la realizzazione degli stessi. Il "nexus" consente, quindi, di adottare un'analisi proporzionale dei redditi in modo tale che la quota di parte di essi che può beneficiare del regime "Patent box" è quella determinata nella stessa proporzione esistente fra costi qualificati e costi complessivi per l'attività di ricerca e sviluppo. Emerge immediata la differenza con i crediti d'imposta per ricerca e sviluppo: mentre con il regime "Patent box" sono i redditi a beneficiare direttamente di riduzioni o esclusioni da imposizione, con i crediti d'imposta sono le spese ad essere utilizzate direttamente quale parametro dei benefici fiscali.
Dopo l'emanazione della circolare n. 10/E del 2015, sono entrate nel vivo le valutazioni concernenti l'opportunità per i contribuenti di accedere alla procedura di collaborazione volontaria. Diventano, quindi, di stretta attualità le considerazioni che, invero, non riguardano soltanto la determinazione del costo della regolarizzazione (anche nel confronto con altre opzioni presenti nell'ordinamento e, almeno apparentemente, alternative alla "disclosure") e l'individuazione delle dinamiche procedurali della medesima, ma, più in generale, talune riflessioni circa i caratteri di un mutato contesto internazionale, che, di fatto, renderà molto rischioso il tentativo di mantenere una illecita "esterovestizione" delle proprie attività.
Decreto "Investment Compact" ha introdotto numerose e rilevanti innovazioni alla disciplina di favore per le "start-up" innovative introdotta con il D.L. n. 179/2012: sono stati ampliati i requisiti per accedere allo "status" di "start-up" innovativa, si sono previste nuove misure di agevolazione e, infine, si è tratteggiata la figura della c.d. PMI innovativa. Si tratta di una serie di interventi che contribuiscono a delineare, con sempre maggiore chiarezza, un sistema organico di misure fiscali teso all'incentivo dell'imprenditorialità innovativa.
Il Decreto legislativo sulla certezza del diritto (D.lg. n. 128/2015) introduce nel nostro ordinamento fiscale il regime dell'adempimento collaborativo. Si tratta di uno strumento, già implementato con successo in altre giurisdizioni, finalizzato a promuovere l'adozione di forme di "comunicazione" e "cooperazione rafforzate" tra "Fisco" e "contribuente". In fase di prima applicazione il regime, attivabile su opzione, è riservato ai "grandissimi contribuenti", ovvero soggetti con ricavi superiori ai 10 miliardi di euro. In futuro, la soglia verrà progressivamente abbassata fino a 100 milioni di euro. Ad ogni modo, per accedere al regime è richiesto che l'impresa sia dotata di un sistema di "rilevazione", "misurazione", "gestione" e "controllo" del "rischio" fiscale.
E, sulla base di queste premesse, i giudici meneghini negano la legittimazione ad accedere alla tutela prevista dall'art. 2598 c.c. alla reclamante in quanto autrice, artista e produttore. Seguendo l'"iter" argomentativo della decisione milanese, il presente contributo ripercorre anzitutto le più rilevanti letture dottrinali e giurisprudenziali delle nozioni di imprenditore e di rapporto concorrenziale. In secondo luogo, l'A. si sofferma sul rapporto tra la disciplina della libera concorrenza e quella dell'illecito concorrenziale, con particolare riguardo agli orientamenti sviluppatisi in seno all'Unione Europea; immaginando infine, le possibili ricadute nel mercato delle "collecting societies", nella più ampia prospettiva del mercato unico digitale all'indomani della direttiva 2014/26/UE.
In un contesto in cui il rimedio dell'impugnativa della deliberazione invalida sembra presentare un carattere sostanzialmente unitario - in quanto il tipo vizio che si deduce, che si tratti di un vizio formalmente qualificato come di annullamento o piuttosto di nullità, è sempre in realtà il medesimo, risolvendosi nella non conformità del procedimento deliberativo alle regole che lo governano, così come sempre la medesima è l'attitudine della delibera nulla o annullabile a produrre effetti - ci si deve allora chiedere se non sia possibile, andando al di là del dato meramente letterale, accedere ad un'interpretazione che estenda il potere di rilievo officioso del giudice anche a tutte le ipotesi di delibere invalide ex art. 2377 c.c., almeno quando adottate in violazione di norme imperative poste a tutela di interessi comunque generali.
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