Traendo spunto da un ricorso proposto al giudice amministrativo contro l'autorizzazione ottenuta dai verbalizzanti per accedere a documenti di uno studio professionale per i quali era stato eccepito il segreto, la Corte di Cassazione delinea, in consonanza con la sentenza del Consiglio di Stato impugnata, un'esclusione definitiva di quel giudice, mentre il riparto tra Commissioni Tributarie e giudice ordinario sembra dipendere dal nesso esistente tra documenti coperti dal segreto e atto finale di accertamento e, forse, dal soggetto che agisce in giudizio (rispettivamente, professionista/contribuente, ovvero cliente).
La Cassazione torna ad occuparsi di una questione molto interessante: l'obbligo di applicazione della procedura di cui alla l. n. 223/1991 allorquando si tratti di procedere, per cessazione dell'attività (art. 24, secondo comma), al licenziamento collettivo dei dipendenti di una società dichiarata fallita che peraltro non abbia i requisiti per accedere al trattamento straordinario di integrazione salariale previsto dall'art. 3 della stessa l. n. 223/1991. La Corte, sulla base della complessiva disamina del quadro normativo (comunitario e nazionale) di riferimento, giunge alla condivisibile soluzione, peraltro propria dell'orientamento giurisprudenziale maggioritario in materia,per la quale il curatore è tenuto, in tal caso, ad implementare la procedura di licenziamento collettivo prevista dalla l. n. 223/1991. Né in senso contrario può rilevare che la società fallita sia esclusa dal campo di applicazione dell'intervento straordinario di integrazione salariale di cui al citato art. 3 e che l'attività aziendale sia già cessata. A tal proposito, la sentenza in nota chiarisce, infatti, sotto il primo profilo, che l'istituto del licenziamento collettivo, giusta la corretta interpretazione della Direttiva comunitaria 75/129/CEE (e successive modifiche) e del combinato disposto degli artt. 4 e 24 l. n. 223/1991, non è necessariamente legato al trattamento di integrazione salariale ed al trattamento di mobilità che ne può conseguire e, sotto il secondo profilo, che l'obbligo del curatore di avviare la procedura di licenziamento collettivo di cui alla l. n. 223/1991 sempre sussiste in presenza dei prescritti requisiti dimensionali e numerici e delle causali di legge.
Gli amministrati possono avere interesse ad accedere ai documenti redatti nella sequenza degli atti dell'uno, come dell'altro procedimento. Il brocardo lex posterior non derogat legi priori speciali è tuttora valido, sicché l'accesso ai documenti elettorali, sarebbe impossibile nel silenzio delle norme di settore. Ma, l'antinomia atti amministrativi accessibili, atti elettorali preclusi cadrebbe se dalla lettera e contenuto della legge successiva si desumesse la volontà di abrogare la legge speciale anteriore. Lo stesso se dalle norme si evidenziasse impossibile la coesistenza della normativa speciale anteriore con quella generale successiva. Ora, la l. n. 241 del 1990 palesa l'esaustività delle regole sul diritto di accesso, volto al generale riordino del sistema nell'intento di adottare trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa.
In questa ottica, se si concorda circa il fatto che la possibilità di accedere alle registrazioni di cui trattasi è esclusivamente finalizzata all'effettivo esercizio del "diritto di difendersi provando", nulla sembrerebbe ostare al fatto che un ingiustificato diniego da parte del P.M. produca nullità generale a regime intermedio ex artt. 178, comma 1 lett. c) e 180 C.P.P. . Nullità che sembra destinata ad inficiare interrogatorio di garanzia e riesame.
Oltre i suddetti strumenti conoscitivi, sarebbe necessario fornire i medici di strumenti operativi adeguati, come la possibilità di accedere ad una banca dati per conoscere se il loro assistito sia in possesso di armi. Sarebbe, inoltre, necessario supportare la delicata attività dei medici con strumenti normativi, come la previsione di un obbligo giuridico di segnalare alle Forze di polizia le persone assistite affette da gravi malattie di mente, o dedite all'uso di sostanza stupefacenti, che risultino essere in possesso di armi. Tali innovazioni e proposte di miglioramento non possono prescindere da una costante, fattiva collaborazione tra Forze di polizia e medici certificatori.
Quanto al primo aspetto, la decisione ribadisce il carattere necessario ed imprescindibile della comunicazione, che mette il guidatore nella condizione di accedere ai sistemi di riabilitazione previstiti dall'ordinamento per ripristinare il punteggio originario. L'affermazione, in linea di principio condivisibile, lascia però adito a dubbi circa lo spazio residuo per l'applicazione dell'art. 21 octies, l.n. 241/1990, soprattutto nei casi in cui fosse provata la conoscenza della decurtazione del punteggio da parte del destinatario del provvedimento. Quanto al secondo profilo, relativo al riparto di giurisdizione, merita attenzione il delinearsi di due opposti orientamenti giurisprudenziali. Da un lato, quello secondo cui anche per il provvedimento di revisione della patente disposto in conseguenza dell'esaurimento dei punti, così come per il provvedimento di revisione adottato ai sensi dell'art. 128, comma 1, del Codice della strada, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo. Dall'altro, quello che, al contrario, ritiene che la natura sanzionatoria e non discrezionale del provvedimento radichi la giurisdizione del giudice ordinario. Su entrambi i profili vale soffermarsi, anche in considerazione delle più recenti pronunce del Consiglio di Stato e delle Sezioni Unite della Cassazione.
Dunque, la pretesa che la domanda di rimborso sia sottoscritta dal soggetto passivo, anziché da un suo delegato, seppur non esplicitamente ammessa dall'VIII direttiva, non risulta legittima in relazione allo spirito e agli obiettivi delle disposizioni comunitarie che consentono agli operatori di accedere al recupero dell'imposta assolta in Stati membri diversi da quello ove sono stabiliti.
L'utilizzazione di questo criterio può generare asincronie tra gli adempimenti ai quali sono tenuti il professionista ed il suo cliente; l'Agenzia prende atto dell'esistenza di queste asincronie, senza accedere a soluzioni interpretative che per evitarle avrebbero derogato ai principi generali.
L'autore prospetta che le modifiche recate nel tempo all'art. 2112 e la più recente giurisprudenza della Suprema Corte siano idonee a consentire di accedere ad una soluzione unitaria, nell'ambito della quale l'accento vada posto sull'elemento della continuità, in capo al cessionario, di un'attività d'impresa che era già riconoscibile in capo al cedente.,