Mettendo a confronto diritto ad abortire e libertà di coscienza, il saggio cerca analizzare il rapporto tra diritti inviolabili e doveri inderogabili, nell'ottica della tecnica del "divieto di abuso del diritto", così come declinata nel diritto costituzionale. Per altro verso, il contributo propone di leggere la diffusione dell'obiezione di coscienza come una manifestazione di quella cultura della "disobbedienza intermittente" che legittima la disobbedienza civile ove "parziale" e "limitata" ad alcune specifiche situazioni. La parte finale del saggio è, pertanto, dedicata allo svolgimento di alcune considerazioni critiche sulla disobbedienza intermittente, quale strategia politica del pluralismo sociologico, in ragione delle preoccupazioni per la tenuta dell'unità del corpo politico.
Dopo aver chiarito che oggetto della prova sono sia il fatto che la madre, ove informata, avrebbe avuto il diritto di abortire, sia il fatto che questa avrebbe effettivamente scelto di abortire, la sentenza afferma che l'onere della suddetta prova grava sulla madre, anche se il medico non ha contestato ex art. 115 c.p.c. le circostanze da lei allegate; ciò in virtù di un'interpretazione del principio di non contestazione alla luce del principio di vicinanza della prova.