Sul terreno economico è ormai un dato fermo; il socialismo economico di stato per i democratici doveva essere la concessione limite ai socialisti per immunizzarsi dai violenti assalti dati al potere politico; e per i socialisti doveva essere la prima conquista per arrivare al potere o meglio alla dittatura politica. Si è così costituito uno stato nello stato, che ha acquistato il diritto alla intangibilità; i sindacati dei trasporti marittimi e terrestri, locali e statali, sono la rete rossa che lega lo stato e la economia pubblica e privata; il sindacato metallurgico crea il legame fra industrie parassitarie e banche sovventrici, unendo nel medesimo interesse, contro lo stato s'intende, capitale e lavoro, finanza, imprese e lavoratori; le cooperative rosse, che hanno conquistato lavori pubblici ed istituti sovventori creati e finanziati dallo stato, formano la loro economia, rivoluzionaria a parole e collaborazionista nei fatti. E qui sta il grottesco e la tragedia insieme. Alle masse han predicato l'abolizione della proprietà, il comunismo più o meno larvato, il sindacato come mezzo di lotta permanente per arrivare alla dittatura economica e politica, quale fine ultimo. Al contrario, hanno fermato le conquiste immediate sulle seconde e sulle terze trincee; l'avvento diviene lontano e bisogna fare il cammino a ritroso; bastano le cooperative fornite dallo stato, bastano i sindacati come ragione economica ed elemento permanente e organizzato della lotta di classe; basta la libertà nell'attuale ordinamento politico; bastano alcune riforme del consiglio del lavoro e a carattere semiborghese. Per questa via si arriverà un giorno alla collaborazione parlamentare che negherà trenta anni di lotta. Anche questa volta la tattica prende la mano al programma; le ideologie scompaiono nella realtà; i contrasti teorici perdono la loro violenza e la visione della ricostruzione statale non ha più la linea logica e forte del rinnovatore, del rivoluzionario, che sa aspettare purché sa vincere.
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