La rassegna, anzitutto, prende in esame alcuni casi per i quali la Corte di giustizia è stata richiesta, dai giudici nazionali, di una pronuncia in via pregiudiziale, riguardo all'interpretazione del diritto ambientale comunitario. Questa circostanza offre l'occasione per alcune considerazioni preliminari sul ruolo svolto dalla Corte in materia ambientale, sia attraverso le interpretazioni fornite in seguito alle richieste formulate dalle giurisdizioni interne, sia avendo riguardo all'indirizzo seguito in tema d'inadempimento, da parte degli Stati membri, degli obblighi derivanti dal Trattato e dalla legislazione comunitaria. Il ricorso al rinvio pregiudiziale, negli ultimi dieci anni, ha avuto un notevole incremento. Talora i giudici nazionali tendono a prospettare dei dubbi che potrebbero essere risolti attraverso la comparazione dei casi e l'attenta lettura dei precedenti, senza rimettere la questione alla Corte. Dopo qualche iniziale cautela, in parte dovuta alla consolidata abitudine dei giudici di fare prevalente, se non esclusivo, riferimento all'ordinamento interno, le giurisdizioni degli Stati membri hanno abbandonato ogni cautela e sono sempre più propense ad investire la Corte quando i casi che devono discutere prospettano, per la loro soluzione, qualche applicazione controversa del diritto europeo. A questa diversa attitudine del giudice nazionale si deve affiancare l'intenso impegno volto a far valere, per iniziativa della Commissione, la responsabilità dello Stato membro per l'inadempiente degli obblighi che gli derivano dal patto comunitario. L'istituzione del Tribunale di primo grado ha consentito di distinguere le competenze per le quali riservare alla Corte un intervento di seconda istanza e, tuttavia, l'Europa a venticinque ha reso pressante il problema di contenere e selezionare il contenzioso comunitario, tanto che sarebbe bene considerare l'opportunità d'introdurre un filtro inteso ad evitare l'eccessivo ricorso alla Corte anche per la via dell'interpretazione pregiudiziale prevista dall'art. 234 del Trattato.
L'autore coglie l'occasione della presentazione di una recente pubblicazione in tema di mobbing per offrire una chiave di lettura degli assetti centrali del diritto del lavoro, implicati dall'oggetto specifico del mobbing e già presenti in filigrana nella trattazione del libro: il valore creativo della giurisprudenza; la dialettica con il diritto civile, necessaria alla comprensione dei nodi e delle infrastrutture del diritto del lavoro; la dialettica con i valori costituzionali e l'assetto normativo della legislazione ordinaria; quella tra diritto sostanziale e tutela. Il mobbing risente di questi quattro filoni interpretativi specialmente mettendo in tensione il rapporto reciproco tra il diritto del lavoro e la giurisprudenza sul danno alla persona. L'implicazione della persona nel rapporto, l'abitudine a fondare le ricostruzioni sui valori costituzionali, il difficile intreccio tra i comportamenti leciti del datore di lavoro e l'esercizio dei poteri imprenditoriali erano già patrimonio del diritto del lavoro, che in ciò aveva anticipato il diritto civile, ma che ha poi subito un'iniziativa giurisprudenziale sul danno alla persona sviluppatasi tutta dentro il diritto civile, ed in particolare sul terreno della responsabilità extracontrattuale. L'art. 2087 c.c. è stato oggetto di una riscoperta utile a trasferire i risultati di tale giurisprudenza sul terreno, tipicamente contrattuale, del rapporto di lavoro, che con l'art. 2087 aveva conosciuto il prototipo dei doveri di protezione. L'art. 1 della Costituzione, sul fondamento personalistico della Repubblica e l'art. 4, sul fondamento lavoristico, si collegano all'art. 2 in modo che esprima (da norma giuridica insuperata qual è) la doppia dimensione dei diritti dell'uomo: posizioni riconosciute e garantite per un fondamento etico. Lo scontro di civiltà sarà evitato solo accettando l'incontro sulla cultura dei diritti dell'uomo, terreno di confronto tra la cultura di ispirazione religiosa e quella della filosofia umanistica, entrambe particolarmente radicate in Europa, per una visione cristiana dei diritti.
A seguito di incessanti atti persecutori, minacce di vario tipo e con ogni mezzo, che hanno costretto la vittima a mutare ogni sua abitudine di vita, infine viene disposta nei confronti del soggetto assillante la misura cautelare prevista dall'art. 283 c.p.p. Tale inquietante caso è stato preso in esame per effettuare una ricognizione sulle norme penali tese a punire il fenomeno dello stalking, evidenziandone l'insufficienza, e sulle proposte legislative in tal senso, non sempre aderenti al principio di sufficiente determinatezza della fattispecie penale.
Che sia a causa di radicate opzioni culturali o per consolidata abitudine, i giudici di merito hanno fin da subito ridimensionato il portato della novella legislativa cui avrebbe dovuto conseguire, per opinione pressoché unanime, l'affermazione della indennità risarcitoria come regola e della reintegrazione come sanzione residuale. La tecnica utilizzata a tal fine è duplice: da un lato, vi è il rigetto della distinzione concettuale che nel nuovo testo della disposizione statutaria separa il profilo relativo alla illegittimità del licenziamento da quello concernente l'individuazione della sanzione applicabile, attraverso la riproposizione di una nozione di "fatto", rilevante ai fini del licenziamento, comprensiva sia dell'elemento oggettivo che soggettivo; dall'altro, la perdurante applicazione del principio di proporzionalità tra fatto e sanzione. Il contributo analizza la più recente (per quanto esigua) produzione giurisprudenziale in materia di licenziamenti per motivi soggettivi senza trascurare le contestuali precisazioni in ordine al nuovo rito.
Le continue trasformazioni del modello tra diritto privato - matrice infine riconosciutagli, ma senza trame le conseguenze, specie in tema di tutela - e diritto amministrativo - matrice che si è andata a sovrapporre anche oltre misura alla natura negoziale dell'istituto, specie mediante l'espansione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - hanno dato luogo ad un ibrido di difficile gestione. Nello scritto è specificamente analizzata, in termini critici, la perdurante tendenza a stravolgere i connotati di ogni istituto quando riferito alla d.i.a. [Dichiarazione Inizio Attività] - s.c.i.a. [Segnalazione Certificata di Inizio Attività].