Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

Risultati per: abitanti

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Astronomia

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J. Norman Lockyer 13 occorrenze

Tutti gli abitanti della Terra ne occupano la superficie; essi, ed in generale tutti gli oggetti terrestri, sono trattenuti sovra tal superficie dal loro peso, che è una forza la quale tende ad avvicinarli al centro della Terra.

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In conseguenza di questi fatti, tutti gli abitanti della Terra hanno il basso, i piedi, verso il centro di essa, e l’alto, il capo, nella direzione opposta, all'infuori della superficie della Terra. Tutti ci appoggiamo coi piedi ad essa superficie, tutti portiamo alta la testa, ed abbiamo lo spazio celeste sopra il nostro capo.

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Gli abitanti dei paesi che distano da noi di una mezza circonferenza circolo massimo e che si trovano quindi rispetto a noi dall'altra parte del centro della Terra, volgono verso di noi i loro piedi e noi nostri verso di loro: possiamo dire che essi sono sotto di noi, ed essi dicono che noi siamo sotto di loro. Questi abitanti di punti della Terra diametralmente opposti hanno i piedi rivolti gli uni verso gli altri, e soglionsi per questo chiamare antipodi.

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Questo che diciamo per noi, abitanti dell'emisfero nord della Terra, è vero ancora per un osservatore che abiti nell'altro emisfero, in Australia ad esempio. Le apparenze essenzialmente non mutano; solo l’australiano vede la sua cupola celeste, il cielo suo ingemmati da configurazioni stellari differenti dalle nostre.

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Il cielo è incommensurabile, indefinito, senza fondo; la Terra, benchè per sè stessa così grande, in confronto al cielo è molto piccola, tanto piccola da potersi, quasi senza errore, ritenere come un semplice punto in mezzo allo spazio disseminato di astri, sicchè diventa lecito dire che gli abitanti antipodi si toccano quasi coi piedi. Riuniamo le loro due mezze sfere di cielo, le loro due vòlte celesti; esse vengono a formare la intera sfera celeste, denominazione che si dà a cagione appunto delle ottiche apparenze, a quell'insieme di astri, che, per la loro sterminata lontananza, appaiono tutti situati ad una stessa distanza da noi e infissi alla vòlta azzurra del firmamento, vòlta che è una pura e semplice parvenza.

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In T1 T2 T3 T4, sono segnate quattro posizioni della Terra nella propria orbita: in ciascuna delle quattro posizioni, la porzione della Terra rivolta al Sole ha giorno, e gli abitanti di essa non vedono le stelle perché «scompare ogni astro in faccia al Sol» e perché le stelle restano offuscate dal grande splendore della luce solare; la parte od emisfero opposto ha notte, e sugli orizzonti degli abitanti suoi splendono come gemme le stelle.

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mente visibili agli abitanti della Terra le configurazioni stellari sparse sulla mezza sfera celeste ABD; le stelle prossime ad A. si vedranno a levante, le stelle D a ponente; e per tutti i trecentosessantacinque giorni dell'anno, e per un'infinita serie di anni, sarà sempre così.

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Ricordiamoci, infatti, d'aver già considerato la Terra nella sua posizione T1 quando gli abitanti suoi vedono a mezzanotte le stelle B; consideriamola ora nella sua posizione T3 ci persuaderemo senz'altro che quelle stesse stelle B sarebbero visibili solo di giorno e sono in realtà offuscate dal

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A passare da T1 in T3 la Terra impiegò sei mesi; lasciamone passare altri sei, e la Terra ritornata in T1, riporrà i suoi abitanti in condizione di veder di nuovo durante la notte al medesimo posto le stelle B. Parmi così abbastanza spiegata la diversità del cielo stellato in due epoche opposte dell’anno.

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Ne deriva che al solstizio d'inverno il Sole culmina allo zenit degli abitanti del tropico del Capricorno; all'altro

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solstizio culmina allo zenit degli abitanti del tropico del Cancro; agli equinozii passa allo zenit chi si trova sull'equatore.

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La zona pertanto dei 365 paralleli celesti percorsi dal Sole nel corso di un anno è compresa fra i due paralleli estremi SA, S'A', i cui corrispondenti sulla superficie terrestre, cioè i due tropici, limitano quella fascia o zona che geograficamente denominasi torrida, e i cui abitanti veggono due volte all'anno culminare il Sole al loro zenit.

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Abbiamo veduto quali conseguenze il moto di rotazione della Terra produca rispetto al Sole per abitanti situati ai poli, sull'equatore, e fra quelli e questo in ciascun emisfero terrestre. Ora ci conviene studiare le conseguenze stesse per rispetto alle stelle.

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Natura ed arte

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Giovanni Virginio Schiaparelli 5 occorrenze

Simili usurpazioni periodiche del mare sul continente hanno anche luogo presso di noi in conseguenza del flusso e del riflusso: e, quantunque siano di periodo breve e si facciano su piccolissima scala, non credo si possano considerare come una benedizione pei paesi dove si producono (Olanda, Frisia, litorale nord-ovest della Germania): vediamo anzi gli abitanti tentare di difendersene con immense dighe. Per Marte molto dipenderà dalla natura chimica delle sostanze disciolte nell'Oceano. Se, per esempio, quelle acque fossero salate come quelle dei mari terrestri, la zona delle aree invase dal mare ad ogni ritorno dell'estate (che si fa su Marte a periodi di 23 mesi circa dei nostri) potrebbe servire alla formazione di vaste saline, o dar luogo a vegetazioni di carattere speciale. In nessun caso potrebbero quelle acquo supplire alla coltivazione delle aree continentali, ed ai bisogni dell'agricoltura quale noi l'intendiamo.

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E passando ad un ordine più elevato d'idee, interessante sarà ricercare qual forma d'ordinamento sociale sia più conveniente ad un tale stato di cose, quale abbiamo descritto; se l'intreccio, anzi la comunità d'interessi, onde son fra loro inevitabilmente legati gli abitanti d'ogni valle, non rendano qui assai più pratica

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In tal modo senza supporre cose miracolose e senza vagare all'impazzata nei campi dell'ignoto, con sobrio uso d'analogie e con plausibili deduzioni, possiamo spiegarci non solo la varia lunghezza e il vario aspetto sotto cui ci appaiono i così detti canali, cioè le valli coltivate di Marte; ma ancora dalle necessità pratiche della vita degl'ipotetici suoi abitanti possiamo dedurre e l'esistenza delle geminazioni, e la varia larghezza delle linee che le compongono, le mutazioni del loro intervallo. E si riesce a comprendere perché le strisce, dette canali, qualche volta sembrano portarsi più verso destra, e qualche altra volta più verso sinistra, sempre conservando il medesimo orientamento.

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E quando il ciclo vegetativo sarà compiuto su tutte le zone della valle, allora soltanto si potranno aprire le porte inferiori per lasciare l'uscita alle acque residue, non senza prima aver riempito i vasti serbatoi necessari all'uso quotidiano di quegli abitanti, e alla coltura dei giardini durante l'intervallo della lunga siccità. Dell'irrigazione avvenuta non rimarrà che qualche traccia accidentale, il terreno ritornerà arido, e l'osservatore terrestre o non vedrà più affatto la valle, o appena ne discernerà qualche lieve indizio.

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e più opportuna, che sulla Terra non sia, l'istituzione del socialismo collettivo, formando di ciascuna valle e dei suoi abitanti qualche cosa di simile ad un colossale falanstero, per cui Marte potrebbe diventare anche il paradiso dei socialisti. Bello altresì sarà indagare, se sia meglio ordinar politicamente il pianeta in una gran federazione, di cui ogni valle costituisca uno stato indipendente, oppure se forse, a reggere quel grande organismo idraulico da cui dipende la vita di tutti, e a conciliare le diverse necessità delle diverse valli, non sia forse più opportuna la monarchia universale di Dante. Ed ancora si potrà discutere, a quale rigorosa logica dovrà essere subordinata la legislazione destinata a regolare un così grandioso, vario e complicato complesso d'affari: quali progressi debbano aver fatto colà la Matematica, la Meteorologia, la Fisica, l'Idraulica e l'arte delle costruzioni, per arrivare alla soluzione dei problemi estremamente difficili e varii, che si presentano ad ogni tratto. Qual singolare disciplina, concordia, osservanza dello leggi e dei diritti altrui debba regnare sopra un pianeta, dove la salute di ciascuno è così intimamente legata alla salute di tutti; dove son certamente sconosciuti i dissidii internazionali e le guerre: dove quella somma ingente di studio e di lavoro e di mezzi, che i pazzi abitanti d'un altro globo vicino consumano nel nuocersi reciprocamente, è tutta rivolta a combattere il comune nemico, cioè le difficoltà che l'avara Natura oppone ad ogni passo.

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Storia sentimentale dell'astronomia

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Piero Bianucci 7 occorrenze

A chiudere la questione fu Jean-Baptiste Biot (1774-1862) quando il 26 aprile 1803 una gragnuola di meteoriti si abbatté sulla campagna intorno a L’Aigle, novemila abitanti, cittadina della Bassa Normandia, 140 chilometri a nord-ovest di Parigi.

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Guardando la carta di Marte disegnata da Schiaparelli in anni di paziente lavoro, Camille Flammarion (1842-1925) scriveva: “se quei canali sono autentici, non sembrano naturali, e pare piuttosto che siano dovuti alle combinazioni di un ragionamento o che rappresentino... l’opera industriale degli abitanti del pianeta”.

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Lowell, che nel 1893 si era costruito a Flagstaff, in Arizona, un osservatorio dotato di un telescopio rifrattore da 45 centimetri e poi addirittura di un rifrattore Clark da 61 centimetri, concluse che la geminazione era dovuta all’apertura di sbarramenti per regolare il regime idrico di un pianeta assetato, i cui abitanti avevano ingaggiato una disperata battaglia per la sopravvivenza e con un sofisticato sistema di canali cercavano di sfruttare nel miglior modo possibile le scarse risorse di acqua ancora disponibili sul pianeta.

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La prima fotografia, o meglio la prima immagine disegnata dalla luce, è del 1826 e rappresenta due case e i tetti visti da una finestra sul cortile dell’abitazione di Joseph Nicéphore Niépce a Saint-Loup-de-Varennes, un paese di mille abitanti nella regione della Borgogna. Riscoperta nel 1952 dopo peripezie degne di un giallo, oggi è conservata presso l’Università del Texas ad Austin. L’immagine, che misura 25,8 per 29 centimetri, ha intorno una cornice dorata di dubbio gusto. Si tratta, in realtà di una eliografia che richiese 7 ore di esposizione in una bella giornata d’estate. Non è facile interpretare l’immagine perché è quasi uniformemente nera e durante la lunga posa le ombre si spostarono confondendo la prospettiva. Niépce collocò in una camera oscura una lastra di peltro (lega fatta al 95 per cento di stagno e per il resto di rame, argento, antimonio e piombo) sulla quale aveva spalmato un sottile strato di bitume di Giudea diluito in olio di lavanda. Esposto a una luce intensa, il bitume si schiariva, ma all’epoca non si sapeva come fissare l’immagine. Questa, in ogni caso, era un positivo in esemplare unico, non riproducibile.

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In quel paesino di 500 abitanti a un centinaio di chilometri da New York, il suo compito era di studiare i radiodisturbi sia nelle onde lunghe (4000 metri) sia nelle onde corte (14 metri). Queste ultime richiedevano antenne particolari, tali da permettere di individuarne anche la direzione di provenienza.

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I resti di Copernico riposavano sotto il pavimento della “sua” cattedrale a Frombork, un villaggio oggi di 4000 abitanti, ma poiché erano finiti in mezzo alle ossa di un centinaio di monaci, identificarli sembrava un’impresa disperata. Invece, grazie alle moderne tecnologie investigative, ci è riuscito nel 2005 l’archeologo Jerzy Gassowski.

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Attenzione, però: non da tutta la Luna si può godere lo spettacolo: come noi non vediamo mai la faccia opposta della Luna, così gli abitanti di essa non vedono mai la Terra: per questo nel Somnium sono chiamati privolvani, cioè “privati della vista della Volva”.

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