Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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«Diabolik» 9, Anno XLIII (1 Settembre 2004)

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Patricia Martinelli 1 occorrenze

AGNESE È STATA VISTA IN VARI LOCALI IN COMPAGNIA DI UN CERTO MATTEO KUNSTMANN CHE ABITA QUI.

La Stampa

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AA. VV. 1 occorrenze

Allora ci si tiene in esercizio con qualche passeggiata o con una partita a bocce, chi abita in pianura rispolvera la bicicletta cercando strade poco frequentate, ma la rigidità si fa sentire come inseparabile compagna; «A sun reid», «Sono rigido», è il lamento che accompagna dal mattino alla sera ogni movimento richiesto. Il corpo è sempre più lento, la psiche pure, mentre il tempo appare sempre più veloce, si accorcia giorno dopo giorno, come la luce nei freddi pomeriggi di dicembre. Il vecchio non sa nemmeno cosa rispondere a chi gli chiede «come va?». Non può certo dire «bene», ma non vuole neanche lagnarsi, come a volte ha sentito fare ad altri più vecchi di lui. E allora, «A suma que!», «Siamo qui!»; non stupore in questa affermazione ma piuttosto tanta sapienza. Non significa tanto «sopravviviamo», ma piuttosto «stiamo ancora al mondo»; «siamo qui!» è l'affermare il presente proprio mentre tutto ciò a cui si guarda e si può guardare è il passato, il passato che vive nella memoria, il passato che è il grande patrimonio del vecchio. Persone ed eventi popolano questo passato e da esso emergono nitidi e forti i ricordi della fanciullezza, gli anni più lontani, quasi che il vecchio cerchi il bambino che è in lui; il vecchio ha bisogno del bambino, quello nascosto in lui e i bambini che gli stanno attorno, segno della generazione che viene. Forse oggi la tristezza di molti vecchi è accresciuta propria dalla scarsità di bambini attorno a loro; un mondo si chiude e non riescono a scorgere le promesse di quello futuro... I vecchi vivono di ricordi, e nei ricordi si rifugiano come per stringere l'unica ricchezza che rimane loro. Contare i giorni diventa un'arte, una maestria, a volte una fatica, ma diviene un esercizio indispensabile; contare i giorni perché è l'ora di riconciliarsi con la finitudine della vita, con la quale ci si scontra anche assistendo alla morte attorno a sé dei pochi coetanei rimasti, delle persone che erano state compagne di una vita. «Vengono meno i compagni - dice un proverbio monferrino - e ne appare uno nuovo; il bastone», trasposizione popolare del famoso enigma della Sfinge; «Qual è l'animale che al mattino cammina a quattro zampe, a mezzogiorno a due e alla sera a tre?». Si entra nell'«atrio della morte», uno spazio che in questi decenni si sarà anche esteso, ma che resta pur sempre l'anticamera della morte, una situazione in cui l'attesa non è certo più beve perché più lunga di qualche anno... Finché sulle labbra dei vecchi non compare un'altra espressione: «L'è ura d'andé», «È ora di andare!». Quella frase che da adulti si diceva ai bambini per mandarli a letto alla sera, ora da vecchi la si ripete a se stessi perché si è ormai stanchi di vivere: vivere, infatti, è un mestiere e alla lunga stanca. «È ora di andare»; rappacificata confessione di chi, seduto con lo sguardo sfocato, scruta la strada soleggiata fuori dall'uscio di casa o, d’inverno, il fuoco che crepita nel camino e che non si ha più la forza di rattizzare. Stanchi anche di chiedere l'aiuto degli altri, di aspettare che vengano a sostenerci, ad accompagnarci: di loro si ha bisogno, si sa anche che lo fanno volentieri, eppure non si vuole essere loro di peso... È proprio ora di andare! Questo è quanto riesco a leggere della mia vecchiaia ormai imboccata e della vecchiaia di quanti ho conosciuto e amato. Come sarà d'ora in poi il mio percorso? Troverò ispirazione nella speranza cristiana? Oppure, ma non vi è contraddizione, seguirò il sentiero che ho imparato da giovane alla scuola dei vecchi della mia terra? E sarà una vecchiaia segnata dalla malattia, dalle sofferenze, dall'oblio fino all'ottundimento? Ma il mio compito, il compito di ciascuno di fronte alla vecchiaia che incalza non è prevederla bensì prepararla, colmando la vita di quanto può sostenerci fino alla morte.

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