Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abissini

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La Stampa

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AA. VV. 1 occorrenze

Sono in arrivo tempi grami per i padani-abissini, vessati da un'Italia che «continua ad assomigliare all'Est comunista, all'Italietta fascista, al Regno Pontificio, molto più che all'Occidente liberista», si dilunga il senatùr in un intreccio di azzardati riferimenti storici. Con buona pace di quanti pensavano che il vero erede dell'Abissinia dovesse essere, semmai, il Mezzogiorno d'Italia, degradato nell'editoriale a patria dello statalismo e dei privilegi dell'assistenzialismo. «L'indipendenza della Padania, non la Bicamerale e il presidenzialismo», ammonisce Bossi. Ma attenzione: all'epoca gli italiani sfruttarono le incongruenze presenti nel trattato firmato insieme al neoimperatore d'Abissinia Menelik (Trattato di Uccialli, 1889) per rimettere in discussione i termini del protettorato italiano sull'Etiopia e far precipitare la situazione. Galeotte furono le due versioni dell'accordo, redatto in italiano e in aramaico. Oggi, nei rapporti diplomatici sempre più tesi con «Roma ladrona», meglio affidarsi a una lingua sola, evitando le traslazioni in lumbard. La Storia insegna.

Il Corriere della Sera

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AA. VV. 9 occorrenze

L'indomani, 30 gennaio, un plotone di ascari arabo-somali si avvicina nelle prime ore del mattino al guado e si scontra con un gruppo di abissini che avevano fra loro una schiava o «donna di campo» secondo il gergo militare etiopico. Si impegna una scaramuccia, cadono parecchi abissini, altri vengono fatti prigionieri assieme alla schiava. Parecchi dei nemici fuggono.

Al mattino del 4 febbraio sul terreno dello scontro si scorgono parecchi cadaveri di abissini; e molti altri etiopi giacciono feriti. Essi vengono curati, mentre altri prigionieri sono rastrellati dalle pattuglie che sono al comando di un tenente e di un maresciallo.

Altre genti Borana, con molto bestiame, fanno atto di sottomissione al generale avvertendolo anche della vicina presenza di gruppi abissini appostati entro caverne. Subito ascari e lancieri attaccano le singole grotte e riescono dopo breve lotta a espugnarle, quasi tutte facendo vari prigionieri. Ma qualcuno di questi naturali fortilizi resiste e i difensori incavernati non accennano a volere uscire. Poiché cala la notte si mettono sentinelle vicino alle imboccature delle caverne affinché gli abissini non possano fuggire approfittando del buio. All'alba del 1° febbraio, gruppi di abissini, con cinquanta buoi e cinque muletti, escono dalle caverne e si arrendono.

La lotta continua anche dopo il tramonto, nell'oscurità notturno, e solo verso mezzanotte cessano gli ultimi colpi di fucileria che inseguono i fuggiaschi abissini.

In questa località, che è mèta ultima del rastrellamento, la colonna incontra gruppi di abissini, ne uccide una diecina, ne cattura parecchie diecine e poi nella stessa giornata, inizia la marcia di ritorno verso Neghelli. Nella giornata successiva, raggiunta Malca Guba a mezzogiorno, la truppa sosta per cibarsi e in quel momento un abissino si costituisce prigioniero, avvertendo che circa 200 etiopi attendono la colonna italiana al ritorno per assalirla dalle alture. Alle 15 il generale invia sulle posizioni e levate che fiancheggiano la pista un sottile reparto. Gli abissini si accorgono - della minaccia di aggiramento e attaccano risolutamente al centro la nostra colonna. il capitano De Rege Thesauro di Donato, alla testa del suo squadrone Lancieri di Aosta, che incita all'assalto, cade fulminato da una pallottola «dum-dum» alla testa. Più tardi a un fratello del glorioso caduto, che è sottotenente nello stesso Reggimento di lancieri, il generale comandante della colonna esprime le sue condoglianze insieme a parole di nobile esaltazione per il magnifico sacrificio del congiunto, il sottotenente s'irrigidisce sull'attenti e risponde semplicemente: «Generale, noi siamo tutta una famiglia di militari».

Non soltanto i residui abissini battuti nel combattimento di Ddei Ddei e di Bogol Magno, nelle giornate del 13 e dei 14 : gennaio avevano preso i sentieri che attraverso la boscaglia adducono alle rive del Daua Parma, ma anche tutti quegli armati che proteggevano la ritirata del Comando di Ras Desta insieme con un nucleo di fitaurari e degiac avevano scelto l'itinerario Neghelli-Mega.

Ai giornali inglesi, avvezzi a narrare le frottole degli Abissini, è pervenuta stamane una notizia che dà al pubblico un'idea delle vere condizioni etiopiche. Un missionario protestante canadese, il reverendo John Trewin, un missionario americano, il reverendo Harold Street, con la moglie, i suoi 4 figliuoli e la cameriera, l'americana Brayll, sono tenuti prigionieri da un capo della provincia di Gamo, nella regione di Uollamo. Tutti costoro sono membri della Missione per l'interno del Sudan che ha il suo quartier generale a Londra.

Migliaia di Abissini perirono. Ras Desta fuggì in autocarro con una guardia del corpo di 10 schiavi, e non osò nemmeno rientrare nella sua capitale. Dove sia ora è un mistero: non si sa nemmeno se sia vivo o morto. Se è vivo, la sua carriera è finita».

Nella loro fuga disastrosa, le singole unità abissine provvidero ad affidare scorte di sacchi di dura a taluni gruppi di genti Borana intimiditi dalle armi abissine e dalia loro inferiorità numerica, mentre altri Borana più animosi, come già è stato raccontato, sebbene armati solo di lance e di frecce, si gettavano a una caccia spietata contro gli abissini disseminati nella boscaglia. Taluni di questi Borana segnalarono spontaneamente i nascondigli delle provviste abissine, ma quando le nostre pattuglie giunsero sul posto le provviste erano già stai te in gran parte riprese dagli armati amhara. Questa situazione di fatto, assieme alla necessità di affermare il nostro prestigio non soltanto nella cerchia della nostra occupazione militare, ma anche oltre, imponeva ed impone continue puntate offensive in tutte le direzioni, per assicurarsi il controllo della zona anche contro eventuali ritorni offensivi di nuclei rinfrancati e riassettati dopo i durissimi colpi del gennaio.

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