Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abietti

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La Stampa

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AA. VV. 1 occorrenze

Ma a differenza delle rozze tirannidi che trasformano i loro protetti in abietti adulatori, il PBI non pretendeva né elogi né difese, anzi, riconosceva ai clientes il diritto a criticare e fustigare gli errori del governo consentendo loro di fare la bella vita e di avere la coscienza a posto. La dittatura perfetta riusciva in questo modo ad apparire come la democrazia perfetta e soltanto gli imprudenti che superavano il limite di guardia criticando il regime in marnerà troppo aspra andavano il galera o erano vittime di incidenti. È vero che nelle democrazie come quella spagnola certe cose non accadono. Il meccanismo che potrebbe determinare un eccesso di ingerenza da parte dello Stato finanziatore della vita culturale attraverso leggi straordinarie che fissano tariffe doganali, sussidi o quote, è infinitamente più complesso e diffuso, ma non per questo risulta meno dannoso per l'esistenza di una cultura libera e critica capace di mettere perennemente in discussione i valori e le istituzioni esistenti. Tale tipo di cultura non può sorgere in una società dove la vita artistica e letteraria poggiano su aiuti che in verità diventano rapidamente e inconsapevolmente rendite, concessioni, privilegi, creando uno stato di dipendenza del patrocinato nei confronti del patrocinante. Anche con le migliori intenzioni un siffatto sistema degenera sempre in discriminazione per motivi sia personali («gli amici degli amici») che di lealtà (o slealtà) politica distorcendo in maniera tanto discreta quanto profonda le nobili finalità per le quali è nato. Nel frattempo esso stimola la formazione di gruppi di pressione allo scopo di accaparrarsi la parte del leone delle elargizioni statali e alla fine chi riceve più aiuto non è il più bisognoso bensì colui che riesce a premere meglio. Indubbiamente coloro che hanno accesso ai media - il terrore dei governi - si trovano in una posizione di superiorità assoluta nei confronti degli altri artisti perché si fanno sentire meglio. Chi alza allora la voce in favore dei ballerini e dei musicisti, ad esempio, veri orfani fra gli orfani del mondo dell'arte? Alla fine, in un sistema con queste caratteristiche prima o poi si consolida una cultura papavero come quella che, ahimè, sembra voler prevalere anche nelle società democratiche del mondo occidentale. L'illuminante espressione «arte papavero» venne utilizzata per la prima volta negli anni quaranta del secolo scorso dal poeta surrealista peruviano Cesar Moro in una polemica con il poeta cileno Vicente Huidobro che, a differenza del pacato scambio di vedute che mantengo con Molina Foix e Vidal-Beneyto, fu di una asprezza e una ferocia molto surrealiste. Come il bianco papavero da oppio dalle foglie ruvide, il sussidio ufficiale debilita dall'interno fino all'esaurimento l'attività creativa. L'artista diventa meno pugnace, meno audace, meno indipendente, meno libero. Pur non esigendo nulla dalla creatività, la dipendenza la rende banale. Non bisogna lasciarsi ingannare dalle sue insolenze, dalle acrobazie verbali, dai gesti spettacolari che spesso mascherano soltanto il vuoto. L'arte papavero distrae, intrattiene. Nei momenti migliori è brillante, seduttrice. Perché chiedere di più? C'è ancora in giro qualche imbecille che crede che un romanzo, un film, uno spettacolo di balletto o una messa in scena teatrale possano esercitare un effetto sismico sulla vita delle persone e cambiare il corso della storia? Si, il sottoscritto. Io sono convinto che il creatore debba difendere con le unghie e : coni denti la propria indipendenza : nei confronti del potere senza ubbidire ad altri demoni che le proprie idee e ossessioni. Alla bisogna deve cercare aiuto in ogni angolo della società, ma come faceva Bunuel, il quale chiedeva soldi alle contesse ma mai ai governi. I veri artisti, i veri creatori, sono sempre dei controgoverni, dei governi ombra che non smettono mai di impugnare le certezze, le retoriche, le finzioni, le verità ufficiali. Attraverso le opere che dipingono, compongono o narrano essi ci ricordano perennemente che, al contrario di quanto sostiene il potere, il mondo va molto male e la vita reale è sempre al di sotto delle aspettative e dei sogni delle persone. Questo hanno fatto in passato e fanno oggi quei propagatori dell’insoddisfazione che Rimbaud chiamava orribili lavoratori. Qualcosa non funziona nella cultura di un paese quando, anziché lottare per cambiare il mondo e rivoluzionare la vita, gli artisti si sforzano di conquistare protezioni e sussidi ufficiali. Per questo motivo è preferibile che lo Stato, se ha intenzione di promuovere la cultura, trasferisca il grosso del compito alla società civile attraverso politiche, quali gli incentivi fiscali, che stimolano il mecenatismo e le iniziative culturali private. In questo modo l'aiuto decentrato si diversifica, i pericoli del favoritismo e la discriminazione si allontanano e l'effetto soporifero del monopolio statale sulla cultura è molto contenuto. Octavio Paz l'ha spiegato con molta lucidità: si incomincia chiedendo sussidi all’«orco filantropico» per poter creare e si finisce creando per poter ottenere sussidi. I paesi anglosassoni sono un buon esempio dei benefici della cessione delle attività di promozione culturale alla sodata civile da parte dello Stato. In Inghilterra, per farne un esempio, il teatro è meno protetto che nel resto dell'Europa occidentale ma questo non gli ha impedito di diventare da decenni il migliore del mondo. Conosco fin troppo bene le enormi difficoltà che devono sfidare i cineasti, gli autori teatrali, i registi all'inizio della carriera. Cosa dire dei musicisti, dei ballerini, degli scultori? Per scrivere una poesia o un romanzo bastano carta e matita, certo, ma nella stragrande maggioranza dei casi lo sforzo che un giovane scrittore deve fare per trovare un editore disposto a pubblicare e distribuire i suoi libri non è inferiore a quello che tocca al giovane regista cinematografico in cerca di un produttore per il suo film. Ben vengano gli aiuti, purché arrivino a coloro che ne hanno bisogno senza limitarne l'originalità e l’indipendenza. C'è chi è allarmato dai monopoli che minacciano il mondo della comunicazione. Noi liberali sappiamo meglio di altri che i monopoli sono sempre una fonte di inefficienza e di corruzione. Tutti i monopoli, compresi quelli culturali.

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