Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

Risultati per: aberrazione

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Plico del fotografo: trattato teorico-pratico di fotografia

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Venanzio Giuseppe Sella 31 occorrenze
  • 1863
  • Tipografia G.B. Paravia e Comp.
  • Torino
  • Fotografia
  • UNIPIEMONTE
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Da ciò nasce nelle immagini degli specchi sferici un difetto di nitidezza, che si dinota col nome di aberrazione sferica, e che dicesi per riflessione, onde distinguerla dall’aberrazione sferica che producono le lenti, che dicesi aberrazione per rifrazione.

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Aberrazione sferica. — Questa aberrazione, che non si deve confondere colla curvatura della immagine prodotta da una lente, è un difetto delle lenti, che deriva dalla loro figura sferica, in virtù della quale i soli raggi vicinissimi all’asse possono concorrere sensibilmente in un punto comune. Ciò succede quando l’apertura angolare della lente non oltrepassa 10 a 12 gradi. Con una apertura angolare più grande i raggi che attraversano la lente presso i suoi margini sono rifratti in modo, che vanno a tagliare l’asse al di qua, ossia più vicino alla lente che il foco dei raggi centrali. Dal che risulta che il foco di tutti i raggi luminosi emanati da uno stesso punto di un oggetto, non è un punto unico, e da ciò nasce la confusione nelle immagini che si ottengono colle lenti. La qual confusione deriva dalle caustiche, o superficie brillanti, che si formano presso l’immagine, dovute, come qui abbiamo detto, dalla più o meno lontana intersezione dei raggi rifratti dalla lente.

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Infatti il foco di una lente, supposta priva di aberrazione, quando essa è rivolta verso un punto lucido a grande distanza, p. e., una stella, i cui raggi cadono paralleli sulla lente, non è che un punto lucido posto in un piano perpendicolare all’asse della lente; ma se il piano si avanza, o si fa retrocedere, il punto lucido si stende in un disco indistinto di luce; ciò, che è vero per un punto, è vero per una riunione di qualunque numero di punti luminosi, che fuori del foco si confondono gli uni cogli altri in altrettanti circoli, per cui l’immagine dapprima si confonde, e poi sparisce affatto, se maggiormente si allontana dal foco. La nitidezza dell’immagine non si può dunque ottenere che in un punto solo, cioè al foco della lente, e la confusione che si trova fuori del foco, supposta la lente assolutamente priva di aberrazione sferica, è proporzionale alla distanza dell’immagine dal foco, ed all’apertura della lente, per cui essendo F la lunghezza focale, d la distanza dal punto F, ed A l’apertura della lente, la confusione si troverà colla proporzione F/d = A/x. Da questo nasce, che con un diaframma molto piccolo si può avere una immagine abbastanza nitida anche a notevole distanza dal vero foco, per cui in essa si possono avere nitidi nel tempo stesso oggetti vicini ed oggetti lontani. In questo caso si ha realmente una profondità di foco, ed una lente di pochissimo valore può dare una immagine nitida quando viene usata con un piccolo diaframma.

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Aberrazione cromatica. — Questa aberrazione deriva dalla diversa rifrangibilità dei raggi colorati che compongono la luce. Perciò essa chiamasi anche spesso aberrazione di rifrangibilità; ma sarebbe forse più esatto chiamarla col nome di dispersione cromatica, perchè essa non è propriamente un’aberrazione “consistendo essa (come si esprime il signor Porro in una sua memoria alla società fotografica di Parigi) in una decomposizione dell’onda incidente, in apparenza unica, in un numero infinito di onde elementari componenti, che, in virtù delle loro differenti velocità di vibrazione, benchè arrivate nel tempo stesso sulla prima superficie del mezzo dirimente, provano, al momento di penetrarvi, delle resistenze differenti, e producono in noi la sensazione dei colori, il cui carattere dinamico non è altra cosa che la velocità di vibrazione.”

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Le lenti che abbiano una forte aberrazione sferica non danno un foco precisamente in una sola superficie, e si chiamano come dissimo, a foco profondo, ma queste lenti, quando vengono usate con larga apertura, non possono produrre una immagine perfettamente nitida in alcun punto, non avendo esse alcun punto ove si trovi il loro vero foco; si direbbe che esse sono lenti senza foco.

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Per ottenere una lente affatto priva di aberrazione cromatica bisognerebbe costruire delle lenti composte di sette vetri diversi, o almeno di tre vetri diversi, ma ciò offrirebbe maggiori difficoltà pratiche, per la difficoltà di combinare più di due vetri. Del resto, anche supponendo che si arrivasse ad ottenere un acromatismo perfetto, siccome nell’ottenere questo si tiene sol conto dei raggi paralleli, non sarebbe tuttavia evitata ogni aberrazione cromatica, quando si fa servire la lente agli usi pratici per la fotografia, perchè gli oggetti che si riproducono, sono generalmente a poca distanza, e così inviano raggi obliqui sulla lente.

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5° Havvi uno spessore del vetro, ed una posizione del diaframma, che combinate producono una trasfigurazione matematicamente nulla, una aberrazione molto piccola ed un campo grande; ma la superficie focale è allora sferica, essa ha il suo centro nell'interno dello spessore del vetro, che è terminato da due curvature convesse.

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7° Con due vetri semplici convenevolmente combinati si può arrivare a diminuire considerevolmente la trasfigurazione e la aberrazione, e ad ottenere una pianezza soddisfacente per la superficie focale sino a circa 30 gradi di campo per la fotografia, e sino a 3 gradi per l’astronomia; ma al di là di questo limite questi difetti aumentano rapidissimamente.

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E per contro se in un oggettivo i pennelli luminosi paralleli soffrono la minore aberrazione sferica possibile, e l'immagine è al centro del campo della massima nitidezza, un tale oggettivo non potrebbe essere quello che soddisfi nel tempo stesso alla massima pianezza del campo, quando si opera con pennelli luminosi molto obliqui, ossia quando si prende l’immagine di oggetti vicini.

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Nei due oggettivi non conviene che sia alterata la forma delle lenti collo scopo di produrre un grande spostamento delle immagini come praticavasi in alcune camere oscure, per esempio nel così detto quinetoscopio, in cui la lente di fronte è tagliata obliquamente al suo asse in una delle sue facce, in modo da avere quasi una forma prismatica, perchè con una tale disposizione l’oggettivo non può a meno di produrre una molto forte aberrazione cromatica e sferica, per cui l’immagine risulta indistinta, e trasfigurata.

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