Intanto, una forma di accordo è unanimemente giudicata impossibile: quella che consisterebbe in una conciliazione formale ed espressa dello Stato italiano e della Santa Sede: essa non potrebbe aver luogo, nelle circostanze presenti, che sotto forma di una piena ed aperta abdicazione di questa seconda alle sue rivendicazioni su Roma, ed a questo, almeno per oggi e per parecchi anni ancora è impossibile venire. Né, del resto, quando una tale conciliazione avesse avuto luogo, la questione sarebbe risolta: poiché rimane l'altra, che è per noi principale, de' rapporti fra lo svolgersi dell'attività ecclesiastico-religiosa e lo svolgersi dell'attività politico-sociale, in Italia, dove la prima è ancora così intensa e potente e dove tanti sono ancora i punti di contatto e di intersecazione. E per questo è anche impossibile quell'altra forma di accordo che sarebbe la libertà piena della Chiesa ed il suo disinteressarsi d'ogni questione direttamente politica: il diritto comune è una norma sufficiente là dove la libertà religiosa costituisce una vigorosa tradizione, superiore ai dissensi religiosi, e dove il cattolicismo è in minoranza: in Italia, dove esso è religione comune ed ha una gerarchia solida e popolarissima e mezzi di azione e di influenza potenti, parlare d'una libertà all'americana come possibile oggi, e senza che una profonda trasformazione d'animi si sia prima prodotta fra i cattolici e abbia posto la religione fuori della politica dei partiti, è un ignorare i termini storici e concreti della questione. La libertà religiosa piena e sincera sarebbe un privilegio «di fatto» pel partito politico clericale.
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