La sentenza di primo grado afferma che la compromissione della funzionalità dell'intero fabbricato, conseguente al ripristino, giustifica la conservazione delle parti difformi mentre, secondo il giudice d'appello, abdicare alla demolizione per l'"eccessiva onerosità" dell'intervento, trasforma l'istituto in una sorta di ''condono mascherato''. Insomma "summum jus". Il conflitto fra le decisioni non è solo interpretativo ma indicativo di una certa ''vetustà'' degli approcci tradizionali al problema e della necessità di una più attuale lettura delle norme nel senso dalla conservazione di quanto realizzato pur nella formale mancanza di titolo ma nella sostanziale compatibilità con il territorio e l'ambiente, considerando gli aumenti di volumetria e di superficie utile nel più ampio schema di perequazione. Troppe volte i ''mini-abusi'' non confliggono con la tutela dell'ambiente e del territorio ma con il puntiglio delle amministrazioni locali: vanno senz'altro evitati e repressi e non scrivendo leggi nuove ma applicando con maggiore decisione (e buon senso) quelle che ci sono.