Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbracciava

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Una famiglia di topi

205142
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1903
  • R. Bemporad &Figlio
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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- disse Rita aggrappandosi con le due mani al braccio del padre, mentre Nello gli abbracciava le gambe. - E poi - soggiunse questi - io divento grande, lavoro, e riguadagno tutto quello che abbiamo perduto. - Ecco un ragazzo che ha più coraggio di me - disse il conte, pigliando il figliuolo in braccio, e baciandolo. - Ma - soggiunse - che dirai tu, quando i tuoi compagni di scuola ti domanderanno perchè non hai più la tua carrozza, e i tuoi be' vestitini eleganti e.... - La voce del conte tremava: - Dirò - rispose il fanciullo a testa alta e con accento vibrato - come hai detto tu: che siamo diventati poveri perchè abbiamo voluto salvare prima di tutto l' onore: e l'onore non si compra a quattrini. - Bravo ragazzo! - conchiuse il padre rasciugando ancora una lagrima, e dando un bacio alla moglie - ora andiamo a desinare. - A punto la Letizia stava apparecchiando. In quel frattempo, i topini domandavano tutti a Dodò: - Ebbene, hai capito niente tu? - Sì, ho capito che il padrone ha perduto tutto quello che aveva. - Oh povero signore! e come l' avrà perduto? - chiese la Caciotta. - Non lo so, mamma, - rispose gravemente Dodò. - Sicchè, ora i topi dovranno sgomberare? - domandò Moschino grattandosi un orecchio. - Speriamo di no, Dio mio! - esclamò il povero Ragù, che aveva una paura estrema di capitare un' altra volta nelle mani dell' antico padrone. Intanto bisogna esser buoni - conchiuse Dodò - e mangiar quel che si trova, senza cercare le leccornìe, che non si possono più avere. Tutti si misero a tavola. Il conte mangiava di mala voglia; la moglie e i figliuoli lo guardavano e stavano zitti: nessuno pensava ai topini. Ma i topini, che avevano udite le raccomandazioni di Dodò, non osavano domandar nulla, per paura di contristare il padrone. Eppure avevano fame: da sei ore non mangiavano. Allora Dodò prese una risoluzione. Aspettò che fosse diviso il formaggio portato in tavola dalla Letizia su due pampini in un tovagliolo, e impadronitosi pian pianino d' una di quelle foglie, la portò di trotto nel piatto destinato a' suoi; e tutti i topi si misero subito ad addentarla di gusto. Il conte vide tutto, e fu preso da una gran tenerezza. - Oh Dodò! - esclamò - tu pure vuoi dirmi che sopporterai la miseria senza lagnarti. Povera bestia! povera bestia! - E preso in mano il topino, lo coprì di baci. Dodò lasciava fare, e quando il conte l' ebbe posato di nuovo su la tavola, ei gli prese un dito con le manine, e cominciò a leccarlo furiosamente, alzando la testa e guardando il padrone, come per attestargli la devozione sua e di tutta la piccola famiglia de' topi. Da quella sera, Dodò non ebbe più altro pensiero che quello di confortare il padrone; il quale passava la maggior parte della giornata in casa a lavorare nel suo studio o in quello della contessa, facendo conti, ricevendo creditori, scrivendo lettere, gettando su la carta progetti di nuove speculazioni. Delle volte, mentre si torturava il cervello a trovar qualche accomodamento, d' un tratto sentiva un balzo su le ginocchia: era Dodò, che dal piano inferiore della scrivania saliva a fargli una visita, a carezzarlo e a baciarlo. Allora il povero signore si distraeva per un po' da' suoi pensieracci, e tutto commosso delle premure del suo topino, gli diceva tante cose affettuose, come a un altro figliuolo. Dodò doveva aver imparato a conoscere i creditori del conte da' modi sgarbati con cui entravano in casa; e bisogna dire che, non ostante la sua grande pazienza, proprio non li poteva vedere. Quando ce n' era qualcuno in salotto, ei v'andava di corsa, gli girava in torno e s' industriava di salire alla chetichella sul divano, per potere appiccicargli un morso da lasciargli il segno. Il conte sorrideva tristamente, se lo pigliava in braccio e lo metteva sur un' altra sedia, dicendogli: - Via, Dodò, sta' fermo, sta' buono, povera bestia! - Ma Dodò non si chetava, e testardo come un mulo, tornava all'assalto, senza mai darsi pace fin che quell' altro non fosse andato via. Allora il padrone se lo pigliava su le ginocchia, e carezzandogli il dorso, gli diceva: - Povero Dodò! hai paura che ci portino via la roba di casa, eh, povera bestia? Ma non la porteranno via, no, Dodò: non aver paura, povero vecchio! - E il topino che intendeva, si strug- geva in cuor suo di non potere rispondere, e badava solo a leccare, a leccare le mani del conte. Ah, se gli fosse riuscito d' acchiappare il dito a uno di quei brutti uomini, che venivano a tormentare il padrone! Una volta, alla fine, se ne potè cavare la voglia. Sonnecchiava, dopo colazione, nella solita libreria, dietro una bella fila di libri rilegati, quando gli parve d' udir delle voci. Tende gli orecchi; la Letizia diceva: - S' accomodi! passi! vado ad avvisare il padrone. - Bene, bene! - rispondeva una voce burbera. Dodò fiutò l' aria: quell' odore non gli era nuovo. Appoggiò le mani a un libro, sporse il musetto: - Ah pezzo di brigante! l' aveva riconosciuto. - Era uno che un' altra volta, essendo venuto in casa, visto Moschino sur una sedia, gli aveva gridato: - Va' via, brutta bestiaccia! - e aveva afferrato il bastone. Ma sì! Moschino con le sue gambe da grillo, in tre salti era scappato sotto un armadio, di dove non lo avrebbe snidato neppure il diavolo. Stava giusto pensando a codesto, quando gli parve di sentire uno stropiccìo su' libri, dall' altra parte; si mette in ascolto, annusa l' aria: - è lui, è lui che vuol rubare - pensava Dodò - i libri a' padroni. Ora ti concio io! - Pian pianino, ritirando le unghie, senza pur toccare il legno con le zampe, Dodò striscia da quella parte dove il rumore si facea più distinto, e arriva in tempo per vedere una manaccia pelosa che pendeva sopra un volume. Fece un balzo di quelli come non ne aveva fatti più da molti mesi, e i suoi quattro dentini, lunghi e

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