Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbracciava

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Donna Paola

244852
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1897
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
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La madre tirava un poco a sè la bambina e fingeva di sorridere, e quando era sola, in camera sua, soltanto allora, abbracciava la bimba, con una stretta frenetica. Don Ottaviano urlava: - Ci farete ammazzar tutti, con quel vostro pomo tricolore! Ma la bimba non voleva lasciarlo, gridava, gridava, glielo aveva dato il suo papà, quel cappellino col pomo tricolore. Infine, i viveri cominciando a mancare, i soldati diventarono più rabbiosi e chiesero quattrini: il maggiore portò la imbasciata a don Ottaviano. Costui un giorno dette ai soldati trenta ducati messi da parte per le feste di Natale ma di notte, aiutato dalla cognata donna Cariclea, dalla zia Rachele e dalla serva Ottavia, seppellì, in un angolo dell'orto, il tesoro della Madonna, collane di oro, anelli, orecchini, ex-voto di argento, pissidi, calici, candelabri, altri arredi sacri. L'altare famigliare, che era nel grande salone di famiglia, dedicato alla Vergine, restò spoglio di ogni ornamento. Il seppellimento fu fatto misteriosamente: - Benedetto, benedetto! - diceva don Ottaviano, baciando piamente ogni arnese sacro, prima di sotterrarlo. E singhiozzava, il povero prete. Poi dette ai soldati altri venti ducati, che erano una dote da estrarsi, il primo di novembre, per far maritare una zitella del paese: ma non bastarono. Donna Cariclea dette loro venti marenghi che il marito le aveva lasciati; ma non bastarono. Zia Rachele dette a questi svizzeri furiosi quindici ducati di economie fatte, in molti anni, a grano a grano; ma non bastarono. Ottavia, la serva, aveva diciotto carlini: li dette. In breve, nel palazzo non ci fu più un soldo, nè un pizzico di farina, nè una goccia di vino. Gli ufficiali svizzeri si vergognavano: specialmente il maggiore, che era una persona assai gentile, chinava il capo, offeso nel suo orgoglio di militare. Ora i soldati volevano il tesoro della Madonna: lo volevano giocare a carte. - La Madonna non ha tesoro - diceva don Ottaviano: - ditelo voi, donna Cariclea, - La Madonna non ha tesoro - ripeteva la coraggiosa signora. Il maggiore andava e veniva, parlamentando fra i soldati e la famiglia. - Se non ci danno il tesoro, ammazziamo la bimba - mandavano a dire i soldati. - Raccomandiamoci alla Vergine, cognata mia - mormorava il prete. Così, prevedendo imminente la morte, tutta la famiglia si raccolse nello stanzone, innanzi all'altare denudato, e si mise a pregare. Don Ottaviano aveva vestito i paramenti sacri e stava inginocchiato sui gradini dell'altare. Era una settimana, dieci giorni di accampamento: nessuna notizia, nessun soccorso. Ora l'umore degli Svizzeri era cambiato. Chiedevano un banchetto: volevano che nel cortile s' imbandisse una grande mensa , volevano i gnocchi, se no , mettevano fuoco alla casa. Il parroco giurava di non aver nulla, nulla da dare, neppure un tozzo di pane: il maggiore con le lagrime agli occhi lo scongiurava, che cercasse, che mandasse, per pietà della vita di tutte quelle donne, vecchie e giovani. Furono spediti corrieri a, Carinoia, a Casale, a Cascano, per trovar farina. Ma intanto i soldati andarono nella legnaia, ne cavarono fuori tutte le fascine e le disposero attorno alle mura del palazzo. I corrieri che erano andati per farina tardarono assai: forse erano stati arrestati, forse erano morti. Un mormorio crescente saliva dal grande cortile. Nel salone le donne dicevano le litanie, salmodiando. L'ora passava, lenta. - Se fra dieci minuti non arriva il corriere con la farina, i soldati danno fuoco - venne a dire il maggiore. - Non potete fare più nulla per poi? - chiese donna Cariclea. - Più nulla, signora. - Portar via questa piccolina? Io non mi dolgo di morire; vorrei salvare la bimba. - Mi ucciderebbero con lei, signora. - Che Dio ci assista, dunque - mormorò donna. Cariclea. E Dio li assistette. Un corriere da Cascano ritornò. Portava farina: poca, insufficiente, ma ne portava. Così le serve lasciaron di pregare e scesero in cucina, a fare i gnocchi, per i soldati. Ma i soldati non vollero togliere le fascine: e la morte parve solo ritardata di qualche ora; si capiva che dopo il banchetto i soldati sarebbero diventati più feroci; non avrebbero conosciuto più ragione. Essi, nel cortile, tumultuavano; le povere serve, in cucina, manipolavano la pasta, instupidite; su, nello stanzone, il parroco aveva confessato e dato l'assoluzione a tutti i suoi parenti. La piccolina di donna Cariclea spalancava gli occhi, spaventata; ma non piangeva. A un tratto, il pesante martello del portone risuonò, tre volte, sonoramente. Un silenzio profondo. Ma nessuno aprì. Tre altri colpi: e il battito del piede ferrato di un cavallo risuonò innanzi al portone. - Chi va là? - chiese la sentinella, senz'aprire. - Viva Francesco II! - gridò una voce affannosa. - Viva, viva! - urlarono i soldati. Era una staffetta: un soldato pallido e grondante sudore. Chiese del colonnello, del maggiore, di un capo; non aveva che due parole da dirgli. Il maggiore alto e biondo, il colosso affettuoso e fiero, occorse; la staffetta si rizzò, gli parlò all'orecchio. Il maggiore restò imperterrito, assente col capo; la staffetta ripartì, precipitosamente. Il maggiore salì sul terrazzino interno che dava sul cortile, fece suonare la tromba, due volte: - Soldati - disse con voce tonante - abbiamo innanzi a noi Garibaldi, alle spalle arriva Vittorio Emanuele. Facciamo il nostro dovere. Viva Francesco II! - Viva! - disse qualche voce. E lentamente si misero in tenuta di partire. Andavano fiacchi, lenti, molli, attaccandosi la giberna, visitando i fucili; e il maggior loro dolore, per quei mercenari brutali, era di non poter banchettare, di non poter mangiare i gnocchi che le povere serve facevano in cucina. Gli ufficiali andavano, venivano, gridavano; ma inutilmente. - Consolatevi, signora - disse il maggiore a donna Cariclea, entrando nel salone ora vengono i Garibaldini. Ella non osò consolarsi. Stringeva la piccolina sul petto e non parlava. II parroco non levava la testa. - Addio, signori, non ci vedremo più - disse il maggiore. - Noi andiamo alla morte. E non tremava la sua voce. Uscì, si pose alla testa dei soldati, marziale, bellissimo a cavallo, camminando serenamente alla battaglia; dietro di lui i soldati svizzeri andavano, come pecore, stretti stretti, taciturni, torvi. Nessuno osò levare la voce, nel palazzo deserto, devastato; per un'ora tutti tacquero, innanzi all'altare, subendo ancora I'incubo di quell'assedio. - Ora vengono i Garibaldini - disse, a un tratto la bambina. E vennero. Portavano la camicia rossa, ma erano coperti di polvere, con le scarpe rotte, stanchi, sfiniti; volevano bere, volevano mangiare, non ne potevano più. - Che daremo loro? - diceva don Ottaviano, disperandosi. I Garibaldini non credevano che non ci fosse nulla. Erano una quarantina, estenuati; avevano trovato la devastazione dappertutto. Dappertutto i Borbonici avevano mangiato tutto, bevuto tutto, non vi era più nulla; come potevano dunque battersi? Un ufficiale, buonissimo, parlamentava con donna Cariclea e col parroco; era inutile, non vi era nulla, nulla. Ma un clamore venne dal cortile; i Garibaldini avevano scoperto la cucina e il caldaione dei gnocchi. - Ah, Borbonici, canaglia! Avevate da mangiare e ce lo negavate! Borbonici della malora, che vi porti via il diavolo! Ma fra quelle voci irritate, furiose, una vocina sorse: - Viva Garibaldi! La piccolina, in mezzo ai Garibaldini, agitava il suo cappelluccio col pomo di seta tricolore. Mentre la baciavano, levandola su in trionfo, ella strillava sempre. La madre piangeva.

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