Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbracciava

Numero di risultati: 22 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Sull'Oceano

171693
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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A occidente, sul cielo splendidamente stellato, s'alzava la luce zodiacale, in forma d'una grande piramide biancheggiante, che toccava quasi lo zenit col vertice, e abbracciava circa a un quarto dell'orizzonte. Il tratto di via lattea che corre fra lo Scorpione e il Centauro e i quattro diamanti bellissimi della Croce del Sud, appariva mirabilmente vivo. E le nubi di Magellano, le vaste nebulose solitarie che facevano battere il cuore e brillar la penna dell'Humboldt, formavano intorno al polo australe due maravigliose macchie bianche, sfumate nell'infinito. E si vedevano stelle cadenti a ogni tratto, come una pioggia rada di fiori di fuoco, che strisciavano il cielo di luce argentea, rossigna, dorata, azzurra; ma più grandi assai in apparenza, per effetto della maggior purezza atmosferica, di quel che si vedano sul nostro orizzonte. La chiarezza del cielo era tale che il bastimento vi disegnava netti i suoi cordami e i suoi alberi neri, e guardando dalla piazzetta, si vedevano stelle fra le sartie, stelle fra i paterazzi, nei vari delle griselle, intorno alle antenne; e stelle pure si riflettevano nel mare quieto, in modo che non pareva di navigare, ma di volare sopra un naviglio aereo dentro agli splendori del firmamento. Eppure quasi nessuno guardava. Ciascuno di quei mille e settecento atomi viventi aveva dentro di sè una speranza, o un timore, o un rammarico, appetto al quale tutti quei milioni di mondi non gl'importavan di più d'un nuvoletto di polvere sollevato da terra col piede. A prua, infatti, si sentiva un mormorio vivissimo di conversazioni; ma più raccolto e più eguale dell'altre sere; e non canti nè grida: si capiva che tutti parlavano d'interessi, di faccende, di cose serie. Al momento della separazione delle donne dagli uomini, si udirono dei: - Buona notte! - piedi di sottintesi, e cento voci vibranti: - A domani, dunque! - È l'ultima notte! - Domani a terra! - Fra ventiquattr'ore in America! - Ed eran già tutti sotto da un pezzo, che dalle scale dei dormitori veniva su ancora un bisbiglio sonoro e come la respirazione d'una moltitudine commossa. Era il flusso d'un mare d'anime prodotto dall'avvicinarsi d'un mondo.

Pagina 380

Enrichetto. Ossia il galateo del fanciullo

179063
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1871
  • G.B. PARAVIA E COMP.
  • Roma, Firenze, Torino, Milano
  • paraletteratura-galateo
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Pagina 17

Una famiglia di topi

205142
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1903
  • R. Bemporad &Figlio
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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- disse Rita aggrappandosi con le due mani al braccio del padre, mentre Nello gli abbracciava le gambe. - E poi - soggiunse questi - io divento grande, lavoro, e riguadagno tutto quello che abbiamo perduto. - Ecco un ragazzo che ha più coraggio di me - disse il conte, pigliando il figliuolo in braccio, e baciandolo. - Ma - soggiunse - che dirai tu, quando i tuoi compagni di scuola ti domanderanno perchè non hai più la tua carrozza, e i tuoi be' vestitini eleganti e.... - La voce del conte tremava: - Dirò - rispose il fanciullo a testa alta e con accento vibrato - come hai detto tu: che siamo diventati poveri perchè abbiamo voluto salvare prima di tutto l' onore: e l'onore non si compra a quattrini. - Bravo ragazzo! - conchiuse il padre rasciugando ancora una lagrima, e dando un bacio alla moglie - ora andiamo a desinare. - A punto la Letizia stava apparecchiando. In quel frattempo, i topini domandavano tutti a Dodò: - Ebbene, hai capito niente tu? - Sì, ho capito che il padrone ha perduto tutto quello che aveva. - Oh povero signore! e come l' avrà perduto? - chiese la Caciotta. - Non lo so, mamma, - rispose gravemente Dodò. - Sicchè, ora i topi dovranno sgomberare? - domandò Moschino grattandosi un orecchio. - Speriamo di no, Dio mio! - esclamò il povero Ragù, che aveva una paura estrema di capitare un' altra volta nelle mani dell' antico padrone. Intanto bisogna esser buoni - conchiuse Dodò - e mangiar quel che si trova, senza cercare le leccornìe, che non si possono più avere. Tutti si misero a tavola. Il conte mangiava di mala voglia; la moglie e i figliuoli lo guardavano e stavano zitti: nessuno pensava ai topini. Ma i topini, che avevano udite le raccomandazioni di Dodò, non osavano domandar nulla, per paura di contristare il padrone. Eppure avevano fame: da sei ore non mangiavano. Allora Dodò prese una risoluzione. Aspettò che fosse diviso il formaggio portato in tavola dalla Letizia su due pampini in un tovagliolo, e impadronitosi pian pianino d' una di quelle foglie, la portò di trotto nel piatto destinato a' suoi; e tutti i topi si misero subito ad addentarla di gusto. Il conte vide tutto, e fu preso da una gran tenerezza. - Oh Dodò! - esclamò - tu pure vuoi dirmi che sopporterai la miseria senza lagnarti. Povera bestia! povera bestia! - E preso in mano il topino, lo coprì di baci. Dodò lasciava fare, e quando il conte l' ebbe posato di nuovo su la tavola, ei gli prese un dito con le manine, e cominciò a leccarlo furiosamente, alzando la testa e guardando il padrone, come per attestargli la devozione sua e di tutta la piccola famiglia de' topi. Da quella sera, Dodò non ebbe più altro pensiero che quello di confortare il padrone; il quale passava la maggior parte della giornata in casa a lavorare nel suo studio o in quello della contessa, facendo conti, ricevendo creditori, scrivendo lettere, gettando su la carta progetti di nuove speculazioni. Delle volte, mentre si torturava il cervello a trovar qualche accomodamento, d' un tratto sentiva un balzo su le ginocchia: era Dodò, che dal piano inferiore della scrivania saliva a fargli una visita, a carezzarlo e a baciarlo. Allora il povero signore si distraeva per un po' da' suoi pensieracci, e tutto commosso delle premure del suo topino, gli diceva tante cose affettuose, come a un altro figliuolo. Dodò doveva aver imparato a conoscere i creditori del conte da' modi sgarbati con cui entravano in casa; e bisogna dire che, non ostante la sua grande pazienza, proprio non li poteva vedere. Quando ce n' era qualcuno in salotto, ei v'andava di corsa, gli girava in torno e s' industriava di salire alla chetichella sul divano, per potere appiccicargli un morso da lasciargli il segno. Il conte sorrideva tristamente, se lo pigliava in braccio e lo metteva sur un' altra sedia, dicendogli: - Via, Dodò, sta' fermo, sta' buono, povera bestia! - Ma Dodò non si chetava, e testardo come un mulo, tornava all'assalto, senza mai darsi pace fin che quell' altro non fosse andato via. Allora il padrone se lo pigliava su le ginocchia, e carezzandogli il dorso, gli diceva: - Povero Dodò! hai paura che ci portino via la roba di casa, eh, povera bestia? Ma non la porteranno via, no, Dodò: non aver paura, povero vecchio! - E il topino che intendeva, si strug- geva in cuor suo di non potere rispondere, e badava solo a leccare, a leccare le mani del conte. Ah, se gli fosse riuscito d' acchiappare il dito a uno di quei brutti uomini, che venivano a tormentare il padrone! Una volta, alla fine, se ne potè cavare la voglia. Sonnecchiava, dopo colazione, nella solita libreria, dietro una bella fila di libri rilegati, quando gli parve d' udir delle voci. Tende gli orecchi; la Letizia diceva: - S' accomodi! passi! vado ad avvisare il padrone. - Bene, bene! - rispondeva una voce burbera. Dodò fiutò l' aria: quell' odore non gli era nuovo. Appoggiò le mani a un libro, sporse il musetto: - Ah pezzo di brigante! l' aveva riconosciuto. - Era uno che un' altra volta, essendo venuto in casa, visto Moschino sur una sedia, gli aveva gridato: - Va' via, brutta bestiaccia! - e aveva afferrato il bastone. Ma sì! Moschino con le sue gambe da grillo, in tre salti era scappato sotto un armadio, di dove non lo avrebbe snidato neppure il diavolo. Stava giusto pensando a codesto, quando gli parve di sentire uno stropiccìo su' libri, dall' altra parte; si mette in ascolto, annusa l' aria: - è lui, è lui che vuol rubare - pensava Dodò - i libri a' padroni. Ora ti concio io! - Pian pianino, ritirando le unghie, senza pur toccare il legno con le zampe, Dodò striscia da quella parte dove il rumore si facea più distinto, e arriva in tempo per vedere una manaccia pelosa che pendeva sopra un volume. Fece un balzo di quelli come non ne aveva fatti più da molti mesi, e i suoi quattro dentini, lunghi e

Pagina 87

Cipí

206517
Lodi, Mario 1 occorrenze
  • 1995
  • Edizioni E. Elle
  • Trieste
  • paraletteratura-ragazzi
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Infine, alzò le sue lance dorate in un arco di meravigliosi colori che abbracciava tutta la terra in segno di pace. Allora gli uccelli uscirono dai rifugi e ripresero la vita interrotta dalla guerra. — Chi ha vinto la lotta? — si domandavano. — Nessuno. — Anche le altre volte? — Sempre. — E perché la fanno? — Chi lo sa?!

Angiola Maria

207115
Carcano, Giulio 1 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Pagina 129

Lo stralisco

208451
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Sorrideva e li abbracciava in silenzio. Partí e cavalcò per tre settimane, oltre le montagne, lungo il fiume Ceyhan, oltre Adana, e Içel, oltre la foce del turbolento Göksu, lungo il mare. Piú in là, al limite di un piccolo villaggio sparso fra rocce grandi come elefanti, comprò una casetta che sembrava una roccia fra le altre, a pochissima distanza dalla spiaggia. Da li sentiva il rumore delle onde, continuamente, ma come un silenzio. Conobbe le persone del villaggio e si fece qualche amico, con il quale beveva il tè, cucinava e parlava quietamente delle cose presenti. Visse a lungo in pace, facendo il pescatore.

Pagina 69

I miei amici di Villa Castelli

214301
Ciarlantini, Franco 1 occorrenze
  • 1929
  • Fr. Bemporad & F.°- Editori
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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In cima al Calvario la Madonna, contornata dagli angioli, si fermava ed abbracciava piangendo la Croce nuda. Le lagrime che Ella spargeva intorno si cambiavano in perle bianche. Nei libri dei botanici si chiamano vischio bianco, ma il popolo le chiama «le lacrime della Madonna».

Pagina 56

Tutti per una

214904
Lavatelli, Anna 1 occorrenze
  • 1997
  • Piemme Junior
  • Casale Monferrato (AL)
  • paraletteratura-ragazzi
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Pagina 50

Il Plutarco femminile

217447
Pietro Fanfano 1 occorrenze
  • 1893
  • Paolo Carrara Editore
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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Lo sposo accoglieva con lieta affezione i suoi consigli; e quando i principi italiani gli proposero di farlo re di Napoli, se abbracciava il loro partito egli rifiutò per cagione di queste savio parole che Vittoria gliene scrisse: "Mi basta d'esser la moglie di un prode e onorato capitano, nè cerco di esserla di un re traditore." Il d'Avalos però morì di ferite a Milano, quando essa aveva 35 anni: lo pianse amaramente e lo fece pietoso soggetto di tante sue poesie. Era bella, tuttora giovane; aveva fama di cortese e di saggia, e molti signori e grandi personaggi si sarebber tenuti felici della sua mano; tuttavia ella, chiusa nel suo dolore, non aprì ll'animo ad altro affetto, se non a quello di Dio e della vita beata. Passati di poco i 50 anni, and� a Roma, patria do'suoi antenati; e qui morì nel 1547. Le poesie di questa gran donna dicono i letterati che sono le più belle tra quelle degli imitatori del Petrarca, e che tra le poetesse di quel secolo essa è la prima: le sue lettere parimente si danno per modello di eleganza e di senno. I più gran personaggi di quel tempo la onorano e la celebrarono: basti qui ricordare i due più sommi ingegni, l' Ariosto, che ne cantò lodi altissime, e il divino Michelangelo, che l'amò e la riverì come cosa sovrumana" Qui tacquesi la signora Laurìna; ed allora la direttrice, con quel modo più umano che seppe le fece dolce rimprovero dell'essersi fatta aspettare, ammonendola come verso tutti si debbono usare gli uffici di civiltà; ma specialmente verso più persone insieme radunate: e che questa mancanza di riguardo era più grave in lei, nobile e ricca, perchè poteva esser presa per alterigia e per dispregio a persone da meno di sè; quando invece i nobili e i ricchi dovrebbero essere i primi a usare tali ufficj, mostrandosi con tutti affabili ed umani. La Laurìna si scusò meglio che potè, accertando che non lo aveva fatto per male, ma per esser dovuta tornare indietro a riprendere i fogli, dei quali si era scordata; ma che sperava di non cadere un'altra volta in simile mancanza. Poi, voltatasi garbatamente al maestro, gli domandò: "Signor maestro, ha ella veruno avvertimento da darmi?" Dacchè lo desidera, rispose il maestro, le noterò quattro o cinque cose non belle nel suo bel discorso. Quel commercio di lettere della Vittoria col suo marito, non dico che sia errore; ma a me è parsa sempre frase sgarbata, e metafora mal acconcia, nè saprei partirmi dalla bella e schietta voce corrispondenza: e frase parimenti sgarbata e metafora anche peggio acconcia, mi pare il consacrarsi allo studio, ed abbracciare il partito d'uno per darsi tutto allo studio, attendervi assiduamente; e seguitare le sue parti o simile. I nomi proprj delle donne si sogliono usare sempre con l'articolo, la Giulia, la Caterina; e quel sentirle dire che Vittoria gliene scrisse, mi ha dato un po' nell'orecchio. Lei però la scuso, perchè questa leziosaggine è usata spesso da coloro che pretendono di parlare in punta di forchetta; e non sanno. Lo tenga a mente: benchè, parlandosi di donne celebri, pare che si possa comportare. Errore assoluto poi è l'usare qui per quivi, come ha fatto lei, dove scrive che la Vittoria and� a Roma e qui morì. Il qui rappresenta sempre il luogo dove è chi parla; e quando si vuole accennare luogo lontano da chi parla, si dice quivi. C' è chi porta esempi di buoni scrittori, che hanno usato l'una di queste due particelle per l'altra; ma, se gli esempj sono antichi, sono alterati da' copiatori o dagli editori; se sono moderni, non hanno autorità Finito che ebbe il maestro, si fecero altre discussioni in cose di lingua, finchè venne il tempo di andarsene.

Pagina 68

Il ponte della felicità

219145
Neppi Fanello 1 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
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- disse scherzosamente Loredana, mentre abbracciava la cara vecchietta. Entrarono insieme nella camera dove Lucrezia Sagredo dormiva in un lettino accanto a quello di nonna Bettina. Ormai la povera cieca era affidata del tutto alle cure della nonna, perchè Loredana non aveva più un momento libero a cagione dei suoi impegni di lavoro. Ma con il frutto di questo poteva provvedere al benessere delle due donne. Il Màuria disimpegnava le faccende domestiche e coltivava .... era comparsa nonna Bettina. l'orto, che ora all'avvicinarsi della primavera già cominciava a rinverdire. - Esci subito, Lori? - Sì, mamma. Devo andare con il maestro a collocare nella libreria di San Marco le nove figure di filosofi che egli ha finito di eseguire in questi giorni. - Quanto lavora, quell'uomo! - È infaticabile! Pensa che ha già l'incarico di dipingere una Deposizione per la lunetta del cortile nelle Procuratie Nuove. - Ebbene, vai, figliuola, e che Dio ti accompagni. - Loredana s'incamminò verso la casa del Tintoretto. Quando doveva trovarsi con il suo maestro e con la bionda Marietta era sempre molto contenta; ma quella mattina si sentiva anche più serena del solito. Nello studio di San Marcilian una sorpresa l'attendeva. Il Tintoretto stava chiacchierando con un signore dall'aspetto imponente e dai capelli e dalla barba candidi. Marietta, in piedi accanto al padre, guardava con ingenua ammirazione il nuovo venuto. Intimidita, Loredana fece l'atto di ritirarsi; ma Marietta l'aveva scorta e già le correva incontro esclamando: - Vieni a vedere il vincitore di Lepanto. - Sebastiano Veniero volse verso Loredana le imperiose pupille; ma il suo sguardo si raddolcì subito vedendo quella bella e timida fanciulla che si inchinava con profondo rispetto. - È Loredana Sagredo, la mia allieva, - disse il Tintoretto, presentandola. - Sagredo? - mormorò Sebastiano Veniero che corrugò le sopracciglia come se volesse richiamare alla mente qualcuno. - Chi mi ha parlato di lui? - È la figlia del pittore Lorenzo Sagredo, fatto prigioniero dai Turchi a Famagosta, - aggiunse il Tintoretto. - Ah, ora ricordo! - mormorò l'ammiraglio veneto, sorridendo al pensiero di Alvise che aveva lasciato nel porto di Petala in procinto di salpare con la Santa Cattarina per la Turchia onde liberare Lorenzo Sagredo: conduceva con sè un figlio Il Tintoretto stava chiacchierando con un signore.... di Ali pascià, prigioniero di guerra, che rappresentava il prezzo del riscatto. - Vedrai, piccina, che prima dell'estate tuo padre sarà di ritorno. - Possibile? - chiese Loredana scotendo tristemente il capo. - Alvise Benedetti mi aveva promesso di ricondurlo; ma è morto. - Alvise Benedetti vive e manterrà la sua promessa, - disse Sebastiano Veniero dolcemente. Gli occhi di Loredana si fissarono, increduli, sul viso del vecchio ammiraglio, e due lacrime scesero lungo le sue guance. - Non piangere! - le disse commosso il Veniero accarezzandole i bei capelli lucenti. La fanciulla gli prese le mani e, non potendo parlare, gliele baciò devotamente. Marietta invece, incapace di tenere più a lungo la lingua a freno, esclamò, abbracciando l'amica: - Come sono contenta, Loredana!... Se ieri il babbo non avesse avuto l'incarico di fare il ritratto del nostro grande ammiraglio, oggi non lo avresti trovato qui e tu ignoreresti ancora la felicità che ti aspetta. -

Pagina 156

Al tempo dei tempi

219244
Emma Perodi 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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Si strappava i capelli, si percuoteva, abbracciava la statua dell'amico, lo chiamava coi nomi più teneri e ripeteva sempre: - Infelice! Aveva fatto tanto per me ed è stato calunniato. Mi ha amato teneramente e lo hanno accusato di volermi uccidere. Sventurata Principessa che ha perduto il figlio, ella che era stata per me una seconda madre affettuosa. Fratello, - aggiungeva, baciando le labbra insensibili della statua - fratello mio, ora sento quanto mi eri caro! - Il Reuccio si chiuse nell'oratorio ov'era la statua dell'amico, e vi trascorse sei mesi senza voler vedere più nessuno, neppur la moglie, pregando sempre e sempre chiamando il suo Gaetano, l'amico vero. Al termine dei sei mesi il Reuccio volle fare una passeggiata, non per distrarsi, ma per visitare i luoghi ov'era stato insieme con l'amico. Fece sellare un cavallo e andò al bosco ove insieme avevano cacciato. Stanco della passeggiata, dopo tanto tempo che non usciva più, sedette sotto una querce, ma era tanto il dolore che provava, che non riuscì a prender sonno. Mentre pensava all'amico e si angustiava, ecco che giungono le due colombe bianche col collarino nero, una da levante e l'altra da ponente, e vanno a posarsi su un ramo basso. - Che notizie ci sono, comare? - Che volete che ci sia? Lui si salvò e l'amico che lo protesse diventò di marmo perchè parlò. - Ma non c'è rimedio? - Sicuro che il rimedio c'è. Bisognerebbe che uno ci uccidesse con un medesimo dardo e col nostro sangue bagnasse la statua di marmo del Principino; allora il marmo tornerebbe carne. - Il Reuccio, a sentir questo, balza su, prende l'arco che aveva portato per cacciare, lo scocca e le due colombe gli cadono ai piedi morte. Le raccoglie, balza in sella e via alla Reggia. Col sangue delle colombe bianche col collarino nero, copre tutta la statua e la statua diviene di carne. Il Principino rinvivisce, e figuriamoci la gioia della madre, e anche del Reuccio nel riacquistare l'amico fidato, il fratello! Ordina una festa per tutto il Regno, una speciale per Palermo e a Corte fa preparare un banchetto, balli, suoni e illuminazioni. Il Principino rivelò tutta la perfidia de' suoi accusatori, ma non volle che il Re li condannasse a morte, perché era buono come un angiolo e rendeva sempre il bene per il male. La Reginuzza prese a voler bene al Principino come a un fratello e volle che sposasse la propria sorella che era bellissima.

Pagina 21

Mitchell, Margaret

221918
Via col vento 3 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Pagina 1024

Il primo giorno del suo arrivo, mentre rideva e abbracciava Rossella e zia Pitty, disse che era rimasta tanto tempo lontana da quelli che amava che le sembrava di non potere mai essere abbastanza vicina a loro con la nuova abitazione. In origine la casa era a due piani; ma quello superiore era stato distrutto dalle cannonate; e il proprietario, al suo ritorno, non aveva avuto i mezzi per ricostruirlo. Si era contentato di rimettere un tetto al piano superstite; ciò che dava alla costruzione l'aria piatta e sproporzionata di un giocattolo. Sollevata dal suolo e costruita su alti scantinati, la casa aveva una grande scalinata di accesso che la faceva apparire un po' buffa. Ma l'aspetto tozzo e schiacciato dell'insieme era in parte modificato dalle due belle querce che l'ombreggiavano, e da una magnifica magnolia carica di candidi fiori che era proprio dinanzi alla scalinata. Il prato che si stendeva davanti alla casa era folto di verde trifoglio ed era limitato da una siepe di ligustri e di caprifoglio. Qua e là qualche vecchio arbusto di rosa metteva nuove gemme e il mirtillo bianco fioriva intrepido, come se non vi fosse stata la guerra e i cavalli yankee non avessero mangiato i suoi germogli. Rossella pensò che era la casa piú brutta che si potesse trovare, ma a Melania neanche le Dodici Querce, in tutta la loro grandezza, erano mai apparse piú belle. Era casa sua, e finalmente si sentiva sotto un tetto proprio con Ashley e Beau. Lydia Wilkes venne da Macon, dove abitava con sua sorella dal 1864, e si stabilí con suo fratello, rendendo cosí piú angusta la piccola casa. Ma Melania e Ashley l'accolsero volentieri. I tempi erano cambiati, il denaro era scarso, ma nulla aveva alterato la regola delle famiglie meridionali che avevano sempre spazio sufficiente per ospitare le parenti povere o zitelle. Gioia si era sposata e, secondo Lydia, aveva fatto un matrimonio al disotto della sua condizione, con un tale proveniente dal Mississippi: un uomo col viso rosso, che parlava a voce alta ed era sempre di umore chiassoso e giocondo. Lydia non aveva approvato quel matrimonio, perciò non abitava volentieri in casa di suo cognato; ed era stata ben lieta nell'apprendere che suo fratello aveva una casa sua, di guisa che ella poteva lasciare un ambiente che non le piaceva e non vedere piú sua sorella scandalosamente felice con un uomo indegno di lei. Il resto della famiglia pensò, invece, che la stupida Gioia non avrebbe potuto far niente di meglio; e si meravigliarono che fosse riuscita a trovare un marito. Questo era un gentiluomo e non era sprovvisto di mezzi; ma per Lydia, nata in Georgia ed educata in Virginia, chiunque non provenisse dalla costa non poteva essere che un villano e un barbaro. Probabilmente il marito di Gioia fu tanto lieto di esser liberato dalla sua compagnia quanto Lydia fu felice di andarsene. Oramai era una vera e propria zitellona. Aveva venticinque anni e li dimostrava tutti; non vi era quindi piú per lei alcun bisogno di tentare di essere attraente. I suoi occhi chiari e senza ciglia guardavano il mondo con indifferenza e le sue labbra sottili avevano sempre un atteggiamento altero e poco simpatico. Vi era però in lei una dignità e una fierezza che le si addicevano meglio della dolcezza giovanile che aveva quando stava alle Dodici Querce. La sua posizione era quasi quella di una vedova. Tutti sapevano che Stuart Tarleton l'avrebbe sposata se non fosse stato ucciso a Gettysburg; quindi si aveva per lei il rispetto che si ha per una donna che è stata desiderata, se pure non è giunta al matrimonio. Le sei camere della piccola casa furono modestamente arredate coi mobili piú economici - di pino e di quercia - che si trovarono nel negozio di Franco, perché Ashley era costretto a comprare a credito e, non volendo caricarsi di troppi debiti, acquistava soltanto il puro necessario. Questo mise in imbarazzo Franco, che voleva bene ad Ashley, e desolò Rossella. Entrambi avrebbero dato volentieri, senza aumento di prezzo, i piú begli arredi di mogano e di legno di rosa; ma i Wilkes rifiutarono ostinatamente. La loro casa era veramente brutta e disadorna; e per Rossella era una pena vedere Ashley abitare in quelle stanze prive di tappeti e di tende. Ma egli aveva l'aria di non accorgersi della povertà dell'ambiente; e quanto a Melania, era cosí felice di avere una casa propria per la prima volta da quando si era sposata, che era addirittura orgogliosa della sua abitazione. Rossella avrebbe sofferto atroci umiliazioni se avesse dovuto ricevere le visite degli amici senza tappeti né cuscini e senza abbastanza sedie, tazze e cucchiaini. Ma Melania faceva gli onori di casa come se si trovasse fra tende di velluto e cuscini di broccato. Malgrado la sua felicità, Melania non stava bene. La nascita di Beau le aveva rovinato la salute e il duro lavoro di Tara le aveva tolto ogni forza. Era cosí magra che le ossa sembravano uscirle dalla pelle sottile. Vista a distanza, quando giocava col piccino nel cortile, sembrava una bambina, priva com'era di seno e con le anche piallate come quelle di un giovinetto; e poiché non aveva il buon senso - pensava Rossella - di mettere dei volantini nell'interno del corpetto e in fondo al busto, la sua magrezza eccessiva era visibilissima. Come il suo corpo, anche il volto era affilato e pallido e le sue ciglia di seta, delicate come antenne di farfalla, spiccavano troppo nere sulla pelle priva di colore. Gli occhi apparivano eccessivamente grandi, cerchiati da occhiaie profonde, ma la loro espressione era rimasta immutata dai giorni della spensierata adolescenza. La guerra, le pene, le fatiche non avevano avuto alcun potere sulla loro dolce serenità: erano gli occhi di una donna felice, una donna attorno alla quale tutte le tempeste potevano agitarsi senza scomporla menomamente. «Come fa a conservare quello sguardo?» si domandava Rossella guardandola con invidia. Sapeva che i suoi occhi a volte sembravano quelli di un gatto affamato. Che cosa aveva detto una volta Rhett degli occhi di Melania? Ah sí, che avevano la luce tranquilla di due candele... Candele riparate dal vento, luci soavi che brillavano di felicità, ora che erano in una casa loro, fra persone amiche. L'alloggio modesto era continuamente pieno di gente. Melania era sempre stata molto amata, quindi tutti si affrettavano a festeggiare il suo ritorno e ognuno le portava un regalino per la casa: ninnoli, quadretti, uno o due cucchiai d'argento, tovaglie, tappeti; oggetti che erano stati salvati dal saccheggio di Sherman e conservati con cura, ma che tutti oggi giuravano essere assolutamente inutili per loro. Vecchi compagni d'armi di suo padre venivano a trovarla conducendole altri commilitoni per far loro conoscere «la cara figliuola del vecchio colonnello Hamilton». Le vecchie amiche di sua madre la circondavano volentieri, perché Melania aveva per le persone anziane una deferenza che la gioventú dei nuovi tempi sembrava aver dimenticata. Le sue coetanee, spose, madri e vedove, le volevano bene perché essa aveva sofferto come loro, ma il dolore non l'aveva inasprita e quindi era sempre disposta a prestare un orecchio simpatico ai loro sfoghi. E la gioventú andava da lei perché sapeva di incontrarvi altra gioventú e perché in quella casa si passava il tempo piacevolmente. Attorno a Melania si compose quindi rapidamente un gruppo formato da ciò che era rimasto di meglio della società ante-guerra di Atlanta; tutti poveri quanto a denaro, ma pieni di fierezza e di orgoglio. Melania aveva in sé tutte le qualità che quei nobili decaduti apprezzavano: l'orgoglio della povertà, il coraggio che non si lamenta, la gaiezza, l'ospitalità e soprattutto, la fedeltà alle vecchie tradizioni. Melania rifiutava perfino di ammettere che vi fosse un motivo di cambiare in quel mondo cosí mutevole. Sotto il suo tetto sembrava che tornassero gli antichi giorni, e i suoi amici riprendevano cuore e provavano perfino minor disprezzo per la vita dei nuovi ricchi e dei repubblicani. Guardando quel volto giovine che esprimeva una fedeltà inflessibile alle antiche idee, essi dimenticavano per un attimo i fedifraghi della loro casta, verso i quali provavano collera e timore. E ve n'erano molti. Uomini di buona famiglia che la povertà aveva trascinato alla disperazione, e che erano andati verso il nemico, accettando una posizione dai conquistatori perché la loro famiglia non morisse di fame. Vi erano giovani ex-combattenti cui mancava il coraggio di affrontare i lunghi anni occorrenti per costruire una fortuna. Questi giovani, seguendo la guida di Rhett Butler, marciavano di pari passo coi «Carpetbbaggers» nel trovare maniere poco pulite per guadagnar denaro. Alcune figlie delle famiglie piú in vista di Atlanta venivano considerate come le peggiori traditrici. Queste fanciulle erano ancora bambine durante la guerra e quindi mancava loro il rancore che animava i loro genitori. Non avevano perduto né mariti né fidanzati. Avevano scarsi ricordi di un passato di ricchezza e di splendore; e gli ufficiali yankee erano bei giovani, ben vestiti e spensierati. E davano dei magnifici balli, avevano splendidi cavalli e adoravano le ragazze dei paesi del Sud! Le trattavano come principesse; cercavano di non offendere le loro suscettibilità... Perché non fare amicizia con loro? Erano certamente piú piacevoli dei giovinotti della città che erano malvestiti, troppo seri e che lavoravano continuamente, sicché non rimaneva loro piú tempo per divertirsi. Vi erano quindi state parecchie fughe in compagnia di ufficiali yankee; e molte famiglie erano rimaste profondamente ferite. Vi erano fratelli che incontravano per istrada le sorelle e non le salutavano; madri e padri che non pronunciavano piú il nome delle figliuole. Tristezze che la dolcezza di Melania dissipava. Le signore anziane dicevano che ella era un ottimo esempio per le fanciulle della città; e queste non la prendevano in uggia perché ella non faceva sfoggio delle proprie virtú. Melania non si accorgeva che stava diventando il centro di una nuova società. Trovava che le altre persone erano molto gentili nel venire a farle visita e nel desiderare di averla nei loro piccoli circoli di lavoro e nei loro gruppi musicali. Atlanta aveva sempre amato la buona musica, ed ora vi era una rinascita di interesse per le arti che andava aumentando a misura che la vita diventava piú aspra e difficile. Ascoltando una bella musica era piú facile dimenticare le impudenti facce nere e le uniformi azzurre che affollavano le strade. Melania fu abbastanza perplessa quando si trovò, senza averlo voluto, a capo del Circolo Musicale del Sabato, nuovamente formato. Le sembrava impossibile l'essere stata elevata a quella posizione semplicemente perché era in grado di accompagnare al pianoforte chiunque, perfino le signorine McLure che erano stonate ma insistevano nel cantare dei duetti. La verità era questa: Melania aveva diplomaticamente fatto in modo da amalgamare le Dame Arpiste, il Circolo della Gaiezza e l'Associazione Signorine Mandoliniste e Chitarriste col Circolo Musicale del Sabato; sicché adesso ad Atlanta si poteva eseguire della musica che meritava di essere ascoltata. Infatti, si diceva che l'esecuzione della «Fanciulla di Boemia» fosse superiore a quella data a Nuova York e a Nuova Orléans da orchestre di professionisti. Fu dopo la fusione delle Dame Arpiste col nuovo circolo che la signora Merriwether disse alle signore Meade e Whiting che Melania doveva essere presidente del circolo, dichiarando che se era riuscita a venire a capo delle Dame Arpiste, sarebbe riuscita in ogni altra cosa. Melania fu anche eletta segretaria dell'Associazione per l'Abbellimento delle Tombe dei Gloriosi Caduti e del Circolo di Lavoro per le Vedove e le Orfane dei Confederati. Questo nuovo onore le fu conferito dopo una seduta burrascosa che minacciò di terminare con la rottura di molte amicizie che datavano da anni. La disputa era sorta sulla questione se bisognava o no strappare le erbacce dalle tombe dei soldati dell'Unione che erano accanto a quelle dei Confederati. Quelle tombe maltenute rendevano inutili gli sforzi delle signore per abbellire quelle dei loro caduti. Il Circolo di Lavoro era favorevole; l'Associazione era contraria. I due campi si infiammarono; le signore parlavano tutte insieme sicché era impossibile intendersi. La riunione aveva luogo nel salotto della signora Merriwether; e il nonno Merriwether che era stato relegato in cucina, raccontò in seguito che lo strepito gli ricordava le fucilate che avevano iniziato la battaglia di Franklin. E aggiunse che certamente si sarebbe sentito piú sicuro alla battaglia di Franklin che a un'adunata di signore. Non si sa come, Melania riuscí a spingersi nel centro della folla eccitata; e non si sa come riuscí a far udire la sua voce dolce al disopra del tumulto. Aveva il cuore in gola e la voce tremante nell'osare rivolgersi a quel gruppo indignato; ma continuò a gridare: - Vi prego, signore! - finché ottenne un po' di calma. - Volevo dire... è un pezzo che ci penso... che non solo dovremmo strappare le erbacce, ma anche piantare dei fiori su... Io... non so quello che penserete; ma ogni volta che vado a portare dei fiori alla tomba del mio diletto Carlo, ne metto qualcuno sulla tomba di uno yankee sconosciuto che è accanto alla sua. Ha l'aria cosí abbandonata! Fu un nuovo clamore di voci eccitate; questa volta le due organizzazioni si trovarono d'accordo. - Sulla tomba di uno yankee! - Piuttosto dissotterrarlo e gettare al vento i suoi resti! - Oh, Melly, come hai potuto...! - Hanno ucciso tuo fratello! - C'è mancato poco che non ti ammazzassero! - E il tuo bambino! - Hanno cercato di incendiare Tara! Melania si appoggiò alla spalliera della sedia per sorreggersi dinanzi a quell'ondata di biasimo. - Lasciatemi finire, signore! - gridò supplichevole. - So che non ho il diritto di parlare in questa faccenda perché nessuno dei miei è stato ucciso, eccetto Carlo; e grazie a Dio so dov'è sepolto! Ma vi sono tante fra noi che non sanno dove sono sepolti i loro mariti, figli e fratelli, e... Si sentí soffocare; nella stanza fu un silenzio di tomba. Gli occhi fiammeggianti della signora Meade si incupirono. Ella aveva fatto un viaggio lungo e penoso fino a Gettysburg, dopo la battaglia, per riportare a casa la salma di Darcy; ma nessuno le aveva saputo dire ove fosse stato sepolto. In qualche fossa scavata frettolosamente in terra nemica. E la bocca della signora Allan tremò: suo marito e suo fratello si erano trovati a Ohio durante l'incursione di Morgan e l'ultima cosa che aveva saputo sul loro conto era che erano caduti sulle rive del fiume quando la cavalleria yankee aveva fatto irruzione. Non sapeva dov'erano stati sepolti. Il figlio della signora Allison era morto in un campo di prigionieri nel Nord; e lei, piú povera di tutte, non aveva avuto i mezzi per riportarne la salma a casa. Altre avevano letto sulle liste: «Disperso - probabilmente morto» e non avevano mai piú saputo altro degli uomini che avevano visto partire. La voce di Melania si levò nuovamente nel silenzio. - Le loro tombe sono in qualche luogo, in paese yankee, come le tombe dei loro soldati sono qui... e sarebbe tremendo pensare che qualche donna yankee propone (come ho udito dire da qualcuna) di dissotterrarli per gettare al vento i loro resti... Si udí nella sala un singhiozzo represso. - Ma com'è tranquillizzante il pensare che qualche buona donna yankee... (deve esservene qualcuna, checché si dica!) strappa le erbacce dalle tombe dei nostri caduti e porta loro un fiore! Se Carlo fosse morto nel Nord, sarebbe un conforto per me il pensiero che qualcuno... E non m'importa di quello che voi, signore pensate di me.... - la sua voce si spezzò... - ma darò le dimissioni da tutti e due i Circoli e... estirperò le erbacce da tutte le tombe yankee che troverò e vi pianterò dei fiori... Voglio vedere chi oserà impedirmelo! Con questa sfida finale, Melania scoppiò in lagrime e cercò di avviarsi vacillando verso la porta. Il nonno Merriwether raccontò che dopo questo discorso tutte le signore piangevano abbracciando Melania; la riunione finí con un accordo generale e Melania fu eletta segretaria di tutt'e due le associazioni. - E tutte quante hanno promesso di adoperarsi per le tombe yankee. Il male è che mia nuora voleva che andassi anch'io ad aiutare, visto che non ho nulla da fare. Io ritengo che miss Melly abbia avuto ragione e che le altre avessero torto; ma andare ad estirpare le erbacce alla mia età e con la mia lombaggine! Melania faceva parte del Comitato femminile dell'Orfanotrofio e aiutava a scegliere i libri per l'Associazione Libraria Maschile di recente formazione. Perfino i Tespiani che una volta al mese recitavano una commedia, reclamarono il suo aiuto. Melania era troppo timida per apparire alla ribalta; ma le toccò occuparsi dei costumi, fatti, si capisce, in grandissima economia. Fu lei che diede il voto decisivo nel Circolo di Lettura Shakespeariano perché le opere del poeta fossero alternate con quelle di Dickens e di Bulwer-Lytton piuttosto che coi poemi di Byron com'era stato suggerito da un giovine membro del Circolo che Melania, nel suo intimo, temeva fosse un tipo impertinente e sfacciato. Nelle sere della tarda estate la sua piccola casa debolmente illuminata era sempre piena di ospiti. Non vi erano mai sedie sufficienti e spesso le signore sedevano sui gradini del porticato anteriore, con gli uomini appoggiati alla balaustra o seduti sul prato. A volte Rossella, vedendo gli ospiti che sedevano sull'erba sorseggiando il tè - l'unico rinfresco che i Wilkes potevano permettersi di offrire - si chiedeva come mai Melania potesse esporre la sua povertà cosí, senza vergogna. Ella si guarderebbe bene dal ricevere - specialmente persone di riguardo come quelle che andavano da Melania - finché non potesse arredare nuovamente la casa di zia Pitty com'era prima della guerra e non potesse offrire agli invitati vini scelti e sciroppi, prosciutto e pasticci di cacciagione. Il generale John Gordon, l'eroe della Georgia, si recava spesso in casa Wilkes con la sua famiglia. Padre Ryan, il prete-poeta della Confederazione, non mancava mai di andare a salutare Melania quando si trovava di passaggio per Atlanta e in quelle serate deliziava gli altri invitati recitando loro qualcuno dei suoi poemi. Alew Stephens, l'ex-vice-presidente, era egli pure fra gli assidui; e quando si sapeva della sua presenza preso i Wilkes, la casa si riempiva di gente che rimaneva per ore ed ore sotto l'incanto della voce squillante di quel debole invalido. Di solito vi erano dozzine di bambini col capo ciondoloni per il sonno fra le braccia dei genitori; non vi era famiglia che non desiderasse che i suoi figliuoli potessero piú tardi raccontare di essere stati baciati dall'uomo che aveva tenuto le redini della Grande Causa. E tutti i personaggi eminenti che per una ragione o per l'altra giungevano in città, non mancavano di andare in casa Wilkes dove spesso passavano la notte. In queste occasioni Lydia era costretta a dormire su un materasso nella stanzetta di Beau e Dilcey correva da zia Pitty a farsi prestare le uova per la colazione della mattina seguente; ma Melania intratteneva gli ospiti graziosamente come se fosse stata la dama di un castello. No, Melania non si accorgeva che la gente si riuniva attorno a lei come attorno a una logora e amata bandiera. Quindi fu stupita e imbarazzata una sera quando il dottor Meade, dopo aver passato in casa sua una piacevole serata durante la quale aveva letto il «Macbeth» con delizia dell'uditorio, le aveva baciato la mano dicendole con la stessa voce usata in altri tempi nei discorsi in pro della Causa Gloriosa: - Cara miss Melly, è sempre un privilegio e un piacere venire in casa vostra, perché voi - e le donne come voi - siete il cuore di noi tutti; siete tutto ciò che ci è rimasto. Ci è stato tolto il fiore della nostra gioventú e il riso delle nostre donne. Ci hanno rovinato la salute, hanno distrutto le nostre abitudini, annichilito la nostra prosperità, ci hanno ricacciato indietro di cinquant'anni e hanno collocato un fardello troppo pesante sulle spalle dei nostri ragazzi che dovrebbero andare a scuola e dei nostri vecchi che dovrebbero godere il sole. Ma potremo ricostruire, perché abbiamo dei cuori come il vostro su cui posare le fondamenta. E fintanto che abbiamo questa ricchezza, si prendano pure tutto il resto, gli yankees!

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Ma scoppiò in lagrime pensando agli occhi di Melania nel momento in cui Lydia le direbbe che aveva sorpreso Ashley che abbracciava Rossella. E che farebbe Melania? Lascerebbe Ashley? Che altro potrebbe fare, per salvare la propria dignità? E che farebbero allora Ashley e lei? Le lagrime le inondavano il volto mentre questi pensieri si agitavano freneticamente nel suo cervello. «Ashley morrà di vergogna e mi odierà perché l'ho trascinato in questo impiccio.» A un tratto le sue lagrime cessarono perché un terrore mortale le aveva invaso il cuore al ricordo di Rhett. Che farebbe suo marito? Forse non saprebbe nulla. Com'era quel vecchio cinico proverbio? «Il marito è sempre l'ultimo a sapere.» Forse nessuno andrebbe a dirglielo. Bisognava avere un bel coraggio per andare a narrare una cosa simile a Rhett, dato che Rhett aveva la reputazione di ammazzare prima, e poi interrogare. Dio, Dio, fate che nessuno abbia il coraggio di dirglielo! Ma rivide il volto di Baldo sulla soglia dell'ufficio; il suo occhio freddo, chiaro, senza rimorso, pieno di odio per lei e per tutte le altre donne. Baldo non temeva né Dio né gli uomini e detestava le donne abbiette. Le aveva odiate tanto da ucciderne una. E certo parlerebbe con Rhett, malgrado tutto ciò che potrebbe fare Ashley per dissuaderlo. A meno che Ashley non lo uccidesse, Baldo parlerebbe con Rhett, ritenendo che questo fosse il suo dovere di cristiano. Si spogliò e si gettò sul letto; nel suo cervello era un turbine che mulinava vorticosamente. Se almeno potesse chiudersi a chiave e rimanere per sempre in quella stanza tranquilla senza vedere mai piú nessuno, forse Rhett non verrebbe a saper nulla stasera. Lei direbbe di avere mal di capo e di non potere perciò andare al ricevimento. E l'indomani mattina avrebbe certamente trovato il modo di difendersi. - Non voglio pensarci adesso - disse disperatamente nascondendosi il volto fra i guanciali. - Ci penserò piú tardi, quando potrò sopportare quest'idea. Udí rientrare la servitú al cader della notte e le sembrò che i preparativi della cena fossero molto silenziosi. O forse era la sua coscienza colpevole? Mammy venne a bussare all'uscio, ma Rossella la mandò via dicendole che non voleva cenare. Passò ancora del tempo e finalmente udí Rhett che saliva le scale. Lo udí passare dinanzi alla sua stanza senza fermarsi. Emise un profondo respiro. Evidentemente non sapeva nulla e, grazie a Dio, continuava a rispettare la sua gelida preghiera di non mettere piede nella sua camera; altrimenti, se egli l'avesse veduta in questo momento, avrebbe letto nel suo volto che qualche cosa di grave era accaduto. Bisognava soltanto che ella raccogliesse le sue forze per potergli dire che si sentiva troppo male per andare al ricevimento. Ma vi era tempo per calmarsi. Da quel terribile momento le era sembrato che il tempo non esistesse piú. Udí Rhett che si muoveva nella sua camera e rivolgeva ogni tanto la parola a Pork. Non ebbe il coraggio di chiamare. Rimase sul letto, tremante nell'oscurità. Dopo parecchio tempo egli bussò alla porta. - Avanti - disse Rossella cercando di dominare il tremito della sua voce. - Sono invitato ad entrare nel santuario? - chiese Rhett aprendo l'uscio. Entrò e richiuse. - Sei pronta? - Era buio e non lo vedeva; la voce le sembrò incolore. - Mi dispiace, ma ho l'emicrania. - Strano che la sua voce fosse cosí naturale! - Credo che non potrò venire. Vai tu, Rhett, e scusami con Melania. Vi fu una lunga pausa; quindi egli parlò con voce mordente. - Sei una piccola strega, vigliacca e pusillanime. Egli dunque sapeva! Rossella riprese a tremare, incapace di aprir bocca. Lo udí frugare nel buio, accendere un fiammifero, e la camera fu illuminata. Egli si avvicinò al letto e la guardò. Era in abito da sera. - Alzati. - La sua voce era sempre senza colore. - Andiamo al ricevimento. Sbrígati. - Non posso, Rhett. Devi capire... - Capisco. Alzati. - Rhett! Baldo ha osato...? - Baldo ha osato. È un uomo coraggioso, Baldo. - Avresti dovuto ucciderlo, perché ha mentito. - Non uccido le persone che dicono la verità. Ora non c'è tempo di discutere. Alzati. Ella si sollevò a sedere, stringendosi attorno le coperte, scrutandolo in viso. Era cupo e impassibile. - Non voglio venire, Rhett. Non posso finché... non si chiarisca questo malinteso. - Se non ti fai veder stasera, non potrai piú mostrarti in giro in questa città finché vivi. E se io posso sopportare di avere per moglie una sgualdrina, non sopporto di avere una codarda. Verrai stasera, anche se tutti da Alex Stephen in giú, ti negheranno il saluto, e la signora Wilkes ti metterà alla porta. - Rhett, lascia che ti spieghi. - Non ti voglio ascoltare. Non c'è tempo. Vèstiti. - È un malinteso... Lydia, Baldo e la signora Elsing. Mi odiano. Lydia mi odia talmente, che è capace anche di dir male di suo fratello pur di farmi apparire in cattiva luce. Se mi lasci spiegare... («Madre di Dio» pensò angosciata. «Se egli mi dice: "Spiègati!" che posso dirgli? Come spiegare...?») - Avranno raccontato le loro invenzioni a tutti quanti. Non posso venire. - Verrai; dovessi trascinarti per il collo e spingerti a calci per tutta la strada. Vi era una luce fredda nei suoi occhi, quando egli l'afferrò costringendola ad alzarsi. Raccolse il busto e glie lo gettò. - Mettilo. Te lo allaccerò io. Sono praticissimo. No, non chiamerò Mammy ad aiutarti; saresti capace di richiudere la porta, rintanandoti qui dentro da quella vigliacca che sei. - Non sono vile! - esclamò Rossella, punta sul vivo. - Io... - Oh, risparmiami la solita fiaba sull'uccisione del soldato yankee e sull'arrivo dell'esercito di Sherman. Oltre a tutto, sei anche vile. Se non per te, devi venire stasera per amore di Diletta. Vuoi rendere la sua posizione anche peggiore? Svelta, méttiti il busto. Ella si tolse in fretta lo scialle e rimase rigida dinanzi a lui. Forse, se egli la guardasse e la vedesse cosí bella, quell'espressione spaventosa scomparirebbe dal suo volto. Era tanto tempo che non la vedeva in camicia! Ma non la guardò. Era dinanzi all'armadio, esaminando rapidamente le vesti. Ne trasse fuori una nuova, di seta verde giada. Era molto scollata davanti e la gonna era drappeggiata dietro su un enorme sellino; su questo posava un gran ciuffo di vivide rose di velluto. - Metti questo - disse gettando l'abito sul letto e avvicinandosi a lei. - Stasera niente colori smorti: grigio tortora o viola pallido. La tua bandiera deve sventolare all'albero maestro. E metti molto belletto. Sono sicuro che la moglie del fariseo accusata di adulterio non era cosí pallida. Vòltati. Afferrò le stringhe del busto e le tirò talmente da strapparle un gemito. Era spaventata, umiliata e confusa. - Ti fa male, eh? Rise brevemente ed ella non lo vide in volto. - Peccato che questo cordone non sia attorno al tuo collo. La casa di Melania brillava di luce in tutte le stanze; ed essi udirono la musica fin dalla strada. Man mano che si avvicinavano all'ingresso, giungeva il suono eccitante e piacevole delle voci degli invitati. La casa rigurgitava. Gli ospiti sciamavano sulla veranda e molti erano seduti sui banchi alla luce fioca delle lampade sospese agli alberi dello spiazzo. «Non posso entrare, non posso» pensò Rossella seduta in carrozza, stringendo convulsamente il fazzoletto appallottolato. «Non posso. Non voglio. Salterò a terra e fuggirò, ritornerò a Tara. Perché Rhett mi ha costretta a venir qui? Che farà la gente? Che farà Melania? Non posso apparire dinanzi a lei. Voglio fuggire!» Come se le avesse letto nel pensiero, Rhett le strinse il braccio come in una morsa. - Non ho mai saputo che un'irlandese fosse vile. Dov'è il tuo coraggio tanto vantato? - Ti prego, Rhett, torniamo a casa e ti spiegherò. - Hai un'eternità per spiegarti e soltanto una sera per mostrarti come una martire nell'anfiteatro. Scendi, cara, e fammi vedere come i leoni ti divoreranno. Scendi. Percorse il viale d'accesso: il braccio a cui si appoggiava, rigido come il granito, le comunicava un certo coraggio. Sí, perdio, li affronterebbe. Che cos'erano se non un'orda di gatti malvagi urlanti e striscianti, gelosi di lei? Glie la farebbe vedere. Non le importava ciò che pensavano. Solo Melania... solo di Melania le importava. Erano giunti sotto al porticato e Rhett si inchinava a destra e a sinistra col cappello in mano. La sua voce era fredda e gentile. La musica s'interruppe quando essi entrarono. Le sembrò che dalla moltitudine sorgesse un rumore come il muggito del mare che andò diminuendo fino a spegnersi completamente. Qualcuno eviterebbe di salutarla? Ebbene, per la camicia di Giove, facessero pure! Alzò il mento e sorrise. Prima che si fosse voltata a parlare con coloro che erano piú vicini, qualcuno si fece largo fra gli invitati. Uno strano mormorio fece arrestare i battiti del suo cuore. Quindi ella vide che era Melania la quale accorreva frettolosamente per andarle incontro e salutarla prima di tutti. Le sue piccole spalle erano spinte indietro; a fronte alta ella si avvicinò a Rossella, come se questa fosse stata l'invitata piú importante, e le passò un braccio attorno alla vita dicendole con la sua voce chiara: - Che bel vestito, tesoro! Vuoi farmi un favore? Lydia non è potuta venire stasera ad aiutarmi. Vuoi avere la bontà di ricevere gli invitati insieme con me?

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Passa l'amore. Novelle

241167
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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La Trisuzza, vedendosi scoperta, scese rapidamente i pochi gradini, e, non sapendo come comportarsi, abbracciava donna Ortensia, che voleva fare la severa, la burbera, rimproverandola: - Chi vi ha chiamato?... Andatevene, compare Tinu; di quest'affare riparleremo un'altra volta; venite quando è in casa il padrone. - Non mi dici neppure una parola, Trisuzza? - Come se col pianto si riparasse a qualche cosa! - fece donna Ortensia, svincolandosi e andando ad affacciarsi alla porta per accertarsi se passava gente per la via. In quell'istante la Trisuzza sussurrò qualcosa a Tinu, che rispose affermativamente con gli occhi. - Via, lesto - disse donna Ortensia. - E riflettete bene intorno a quel che vi ho detto. Ripassate domani alla stess'ora, e salite su a dirittura. In chiesa, terminate le funzioni, l'addobbatore proseguiva l'opera sua sotto la direzione dl don Pietro. Il sacrestano chiudeva le porte, O tutti e tre parlavano a voce alta, quasi non si trovassero nella casa di Dio. È vero che dal tabernacolo dell'altare erano stati tolti il Sacramento e la pisside con le ostie consacrate. Il cattivo esempio intanto lo dava il sacrestano, abituato a stare in chiesa come in casa sua; l'addobbatore aveva la scusa di essere un po' sordo e di figurarsi, come tutti i sordi, che fossero tali anche gli altri. Don Pietro, seduto in un posto dello stallo dei canonici, doveva gridare per forza, se voleva essere udito dall'addobbatore che Io consultava frequentemente, sapendo che bisognava contentarlo, perchè infine era colui cha pagava. Lavorando, ragionavano anche del più e del meno, per passare il tempo. E fu così, a proposito di certa carne di vaccaccia vecchia che il Municipio permetteva al macellaio di vendere come carne di vitella, fu così che l'addobbatore disse a don Pietro: - Si sa che voscenza non ne ha mangiato. A voscenza piace la carne tenera.... la vitellina di latte.... macellata in casa. E il sacrestano, ridendo, accennava di sì con la testa. Dapprima don Pietro non aveva capito la maligna allusione; ma l'addobbatore soggiunse: - E c'è chi è rimasto a bocca asciutta! E per ciò va sbraitando qua e là che.... che.... Ma i buoni bocconi sono di chi sa pigliarseli; è vero, signor don Pietro? - Certe cose, non si dicono neppure per ischerzo! - egli rispose. - Vi parrebbe bello se qualcuno si permettesse d'insinuare che vostra figlia.... - In primis, io non ho figlia.... E poi il cavalier Ferro diceva soltanto: - A questo mondo così: uno toglie di bocca all'altro la preda! E don Pietro Sbano me l'ha fatta! - Dio gli perdoni! Dio gli perdoni! - E che male c'è? Che cosa ne abbiamo di questa vitaccia, se non.... - Zitto! Rispettate il luogo dove siete! Se l'aspettava. Non gli dispiaceva per lui, ma per quella disgraziata, che a quest'ora andava per le bocche di tutti gli sfaccendati di Ràbbato. Avrebbe dovuto dunque gettarla in mezzo a una via o consegnarla con le sue stesse mani al cavaliere? Ma che doveva importargli dei pettegolezzi, delle calunnie della gente? Male non fare, paura non avere. Intanto la ragazza era in salvo. Povero don Pietro! Se in quel punto avesse avuto la visione di quel che accadeva in casa sua! Se avesse visto che la Trisuzza, mentre donna Ortensia badava in cucina, afferrava lesta lesta la mantellina di panno, se la buttava in testa e scendeva a due a due gli scalini! Tinu Mendola, appoggiato alla cantonata, l'attendeva da un quarto d'ora; e appena ella uscì dalla porta le fe'cenno di seguirlo da quel lato del vicolo.

Pagina 29

Donna Paola

244852
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1897
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
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La madre tirava un poco a sè la bambina e fingeva di sorridere, e quando era sola, in camera sua, soltanto allora, abbracciava la bimba, con una stretta frenetica. Don Ottaviano urlava: - Ci farete ammazzar tutti, con quel vostro pomo tricolore! Ma la bimba non voleva lasciarlo, gridava, gridava, glielo aveva dato il suo papà, quel cappellino col pomo tricolore. Infine, i viveri cominciando a mancare, i soldati diventarono più rabbiosi e chiesero quattrini: il maggiore portò la imbasciata a don Ottaviano. Costui un giorno dette ai soldati trenta ducati messi da parte per le feste di Natale ma di notte, aiutato dalla cognata donna Cariclea, dalla zia Rachele e dalla serva Ottavia, seppellì, in un angolo dell'orto, il tesoro della Madonna, collane di oro, anelli, orecchini, ex-voto di argento, pissidi, calici, candelabri, altri arredi sacri. L'altare famigliare, che era nel grande salone di famiglia, dedicato alla Vergine, restò spoglio di ogni ornamento. Il seppellimento fu fatto misteriosamente: - Benedetto, benedetto! - diceva don Ottaviano, baciando piamente ogni arnese sacro, prima di sotterrarlo. E singhiozzava, il povero prete. Poi dette ai soldati altri venti ducati, che erano una dote da estrarsi, il primo di novembre, per far maritare una zitella del paese: ma non bastarono. Donna Cariclea dette loro venti marenghi che il marito le aveva lasciati; ma non bastarono. Zia Rachele dette a questi svizzeri furiosi quindici ducati di economie fatte, in molti anni, a grano a grano; ma non bastarono. Ottavia, la serva, aveva diciotto carlini: li dette. In breve, nel palazzo non ci fu più un soldo, nè un pizzico di farina, nè una goccia di vino. Gli ufficiali svizzeri si vergognavano: specialmente il maggiore, che era una persona assai gentile, chinava il capo, offeso nel suo orgoglio di militare. Ora i soldati volevano il tesoro della Madonna: lo volevano giocare a carte. - La Madonna non ha tesoro - diceva don Ottaviano: - ditelo voi, donna Cariclea, - La Madonna non ha tesoro - ripeteva la coraggiosa signora. Il maggiore andava e veniva, parlamentando fra i soldati e la famiglia. - Se non ci danno il tesoro, ammazziamo la bimba - mandavano a dire i soldati. - Raccomandiamoci alla Vergine, cognata mia - mormorava il prete. Così, prevedendo imminente la morte, tutta la famiglia si raccolse nello stanzone, innanzi all'altare denudato, e si mise a pregare. Don Ottaviano aveva vestito i paramenti sacri e stava inginocchiato sui gradini dell'altare. Era una settimana, dieci giorni di accampamento: nessuna notizia, nessun soccorso. Ora l'umore degli Svizzeri era cambiato. Chiedevano un banchetto: volevano che nel cortile s' imbandisse una grande mensa , volevano i gnocchi, se no , mettevano fuoco alla casa. Il parroco giurava di non aver nulla, nulla da dare, neppure un tozzo di pane: il maggiore con le lagrime agli occhi lo scongiurava, che cercasse, che mandasse, per pietà della vita di tutte quelle donne, vecchie e giovani. Furono spediti corrieri a, Carinoia, a Casale, a Cascano, per trovar farina. Ma intanto i soldati andarono nella legnaia, ne cavarono fuori tutte le fascine e le disposero attorno alle mura del palazzo. I corrieri che erano andati per farina tardarono assai: forse erano stati arrestati, forse erano morti. Un mormorio crescente saliva dal grande cortile. Nel salone le donne dicevano le litanie, salmodiando. L'ora passava, lenta. - Se fra dieci minuti non arriva il corriere con la farina, i soldati danno fuoco - venne a dire il maggiore. - Non potete fare più nulla per poi? - chiese donna Cariclea. - Più nulla, signora. - Portar via questa piccolina? Io non mi dolgo di morire; vorrei salvare la bimba. - Mi ucciderebbero con lei, signora. - Che Dio ci assista, dunque - mormorò donna. Cariclea. E Dio li assistette. Un corriere da Cascano ritornò. Portava farina: poca, insufficiente, ma ne portava. Così le serve lasciaron di pregare e scesero in cucina, a fare i gnocchi, per i soldati. Ma i soldati non vollero togliere le fascine: e la morte parve solo ritardata di qualche ora; si capiva che dopo il banchetto i soldati sarebbero diventati più feroci; non avrebbero conosciuto più ragione. Essi, nel cortile, tumultuavano; le povere serve, in cucina, manipolavano la pasta, instupidite; su, nello stanzone, il parroco aveva confessato e dato l'assoluzione a tutti i suoi parenti. La piccolina di donna Cariclea spalancava gli occhi, spaventata; ma non piangeva. A un tratto, il pesante martello del portone risuonò, tre volte, sonoramente. Un silenzio profondo. Ma nessuno aprì. Tre altri colpi: e il battito del piede ferrato di un cavallo risuonò innanzi al portone. - Chi va là? - chiese la sentinella, senz'aprire. - Viva Francesco II! - gridò una voce affannosa. - Viva, viva! - urlarono i soldati. Era una staffetta: un soldato pallido e grondante sudore. Chiese del colonnello, del maggiore, di un capo; non aveva che due parole da dirgli. Il maggiore alto e biondo, il colosso affettuoso e fiero, occorse; la staffetta si rizzò, gli parlò all'orecchio. Il maggiore restò imperterrito, assente col capo; la staffetta ripartì, precipitosamente. Il maggiore salì sul terrazzino interno che dava sul cortile, fece suonare la tromba, due volte: - Soldati - disse con voce tonante - abbiamo innanzi a noi Garibaldi, alle spalle arriva Vittorio Emanuele. Facciamo il nostro dovere. Viva Francesco II! - Viva! - disse qualche voce. E lentamente si misero in tenuta di partire. Andavano fiacchi, lenti, molli, attaccandosi la giberna, visitando i fucili; e il maggior loro dolore, per quei mercenari brutali, era di non poter banchettare, di non poter mangiare i gnocchi che le povere serve facevano in cucina. Gli ufficiali andavano, venivano, gridavano; ma inutilmente. - Consolatevi, signora - disse il maggiore a donna Cariclea, entrando nel salone ora vengono i Garibaldini. Ella non osò consolarsi. Stringeva la piccolina sul petto e non parlava. II parroco non levava la testa. - Addio, signori, non ci vedremo più - disse il maggiore. - Noi andiamo alla morte. E non tremava la sua voce. Uscì, si pose alla testa dei soldati, marziale, bellissimo a cavallo, camminando serenamente alla battaglia; dietro di lui i soldati svizzeri andavano, come pecore, stretti stretti, taciturni, torvi. Nessuno osò levare la voce, nel palazzo deserto, devastato; per un'ora tutti tacquero, innanzi all'altare, subendo ancora I'incubo di quell'assedio. - Ora vengono i Garibaldini - disse, a un tratto la bambina. E vennero. Portavano la camicia rossa, ma erano coperti di polvere, con le scarpe rotte, stanchi, sfiniti; volevano bere, volevano mangiare, non ne potevano più. - Che daremo loro? - diceva don Ottaviano, disperandosi. I Garibaldini non credevano che non ci fosse nulla. Erano una quarantina, estenuati; avevano trovato la devastazione dappertutto. Dappertutto i Borbonici avevano mangiato tutto, bevuto tutto, non vi era più nulla; come potevano dunque battersi? Un ufficiale, buonissimo, parlamentava con donna Cariclea e col parroco; era inutile, non vi era nulla, nulla. Ma un clamore venne dal cortile; i Garibaldini avevano scoperto la cucina e il caldaione dei gnocchi. - Ah, Borbonici, canaglia! Avevate da mangiare e ce lo negavate! Borbonici della malora, che vi porti via il diavolo! Ma fra quelle voci irritate, furiose, una vocina sorse: - Viva Garibaldi! La piccolina, in mezzo ai Garibaldini, agitava il suo cappelluccio col pomo di seta tricolore. Mentre la baciavano, levandola su in trionfo, ella strillava sempre. La madre piangeva.

Pagina 65

Il marito dell'amica

245176
Neera 1 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Era sola con Emanuele; ella lo abbracciava e il giovane dopo aver risposto ai primi amplessi, tentava di allontanarla, preoccupato, lasciandole l'impressione di una sofferenza repressa. Maria allora non aveva compreso. Ora comprendeva. Nell'aria calda del meriggio il volto del professore le si ripresentava con una espressione nuova. Sapeva adesso in qual modo egli l'amava. Anche lui!... Ebbe un fremito e un rossore, null'altro; affrettò il passo, leggera, come se due ali la portassero. Fu svegliata bruscamente dall'estasi. Una coppia moveva verso lei, Sofia ed Emanuele; Sofia la chiamava forte, battendo le mani per il piacere di averla ritrovata, assicurando che temeva fosse caduta nel burrone. Quando le fu vicina volle abbracciarla, secondo il suo costume; Maria la respinse, sotto l'impulso di una avversione repentina. - Mi pare indisposta - susurrò Sofia all'orecchio di Emanuele, e volgendosi di nuovo a lei, graziosissima, le disse: - Vuoi prendere il braccio di mio marito? Le due parole mio marito trapassarono Maria da parte a parte; ella fece un balzo, turbatissima; rispose di no, in modo secco, che non ammetteva replica. Sofia sul momento restò mortificata, ma raggiunta la compagnia non pensò più all'amica, mettendo tutto sul conto dei nervi. In vagone, intanto che un treno direttissimo li riconduceva a Milano, l'allegra brigatella si trovò di nuovo tutta riunita in un solo scompartimento; un po' pigiati, con grande piacere delle signore Bonamore, Guidobelli e Sofia, che mostravano tuttavia di lagnarsene, cacciando ogni tanto qualche sospiro, allungando i piedini per stare più comode. Maria aveva cercato un posto lontano da Emanuele; ma erano di fronte e si guardavano. Si guardavano deliberatamente, lei con una espressione nuova, egli con una raddoppiata tenerezza negli occhi. - Mi ricorderò per sempre del 14 aprile - disse il maggiore in ritiro, seduto accanto a Maria, intenzionato di farle mia corte seria. Maria sorrise, distratta, guardando davanti a lei, come se quelle parole fossero uscite da un'altra bocca. Il movimento monotono della ferrovia sembrava cullare le idee che le insorgevano dentro; non tentava neppure di combatterle. Ammetteva ciò che non aveva mai voluto ammettere: la fatalità di certi momenti. Ella aveva ancora nei polmoni l'ossigeno robusto della montagna; sotto gli occhi la morbidezza dei prati lombardi e nell'anima un tumulto confuso, delle audacie nuove, arditissime. - La donna che cede all'amore (era il dottore che commentava, dopo averlo raccontato, un piccante aneddoto dell'alta società milanese) la donna che cede all'amore è sempre rispettabile, anche quando ha l'apparenza di commettere una colpa. Nessuno protestò. Le signore abbassarono il mento fra i nastri dei loro cappellini, con tacita e pudica approvazione. Il maggiore esclamò, pieno di fuoco: - Sicuro! Sicuro! Maria pensava che tutte le donne celebri per bellezza, per ingegno, per coltura, per cuore, tutte le donne cantate dai poeti, idealizzate dagli artisti, avevano amato fortemente; come si ama in questo mondo vivo, in mezzo alla natura palpitante; come l'uomo vuole e deve amare, come pretende di essere amato. Guardò Emanuele, rapidamente, con una vampa sul volto, e chiuse, le palpebre. Le passarono in un baleno davanti agli occhi i loro incontri sulla scala buia, e tornò a guardarlo, alla sfuggita, aprendo le palpebre adagio adagio. - Che bella campagna, non è vero? disse il maggiore. - Sì, rispose Maria, appoggiando il fazzoletto alla fronte che le si imperlava di sudore. La Guidobelli rivolse qualche parola al professore, ed Emanuele parlò per cinque minuti, colla sua voce dolce e fredda, di una gentilezza convenzionale. Maria non ne perdette un suono, colla testa voltata al finestrino del vagone, intenta a guardare i salici che fuggivano rapidamente come ombre grigie nel verde grasso dei campi; ripetendo fra sè: Lo amo, lo amo, lo amo. Certe meditazioni che una volta, alle Stancias, l'avevano turbata sotto la forma mite di uno scrupolo, l'assalivano addesso brutalmente. Tornava a chiedere a sè stessa se la sua virtù non fosse stata piuttosto egoismo e ipocrisia; e che cosa era infine la virtù, se non una maschera per gl'ignoranti? Non accade lo stesso colla religione? Ai bambini si fa recitare meccanicamente il pater noster e si dà a baciare un pezzo di legno o un foglio di carta, ma qual'è la persona intelligente che si arresta alla forma esterna? Non era essa stata troppo bambina? Il treno si fermò in una piccola stazione; una casa di mattoni rossi fiancheggiata da uno steccato di legno, al quale faceva ressa una folla di contadini. Un po' più in là, verso un campo di trifoglio, un gruppo attrasse l'attenzione di Maria; era una donna, bella, ritta e appoggiata con un braccio al collo di una giovenca che si piegava docile allargando in uno sguardo mansueto i suoi grandi occhi a fior di testa. Guardando meglio, Maria si accorse che un vincolo simpatico univa la giovane contadina all'animale; erano gravide tutte e due, placidamente serene nel benessere completo della maturanza, mostrando alla piena luce del giorno l'orgoglio del loro sesso - e subito tutto ciò che era intorno, la folla dei contadini, la folla dei viaggiatori, le grida, i rumori, il movimento della piccola stazione tutto le parve mettesse capo a quelle due creature, quasi sintesi unica dell'armonia universale. E ancora, quando la locomotiva correva, nel rimpicciolimento del paesaggio, Maria vide disegnarsi netto il contorno vigoroso della donna e giganteggiare colle sue forme arrotondate; mentre la giovenca mugghiava sommesso, aspirando le tentazioni del trifoglio. Tutto è amore; concluse Maria mettendo fuori del finestrino le braccia perchè si sentiva soffocare e le pareva che le vesti diventassero strette ai larghi aneliti del suo petto. Provava una dolcezza straordinaria a pensare che Emanuele l'amava, l'amava al punto di morirne. Essa non lo aveva compreso subito; sospettava un volgare capriccio ed era invece una vera passione. Come poteva dubitarne ora? Ora che lo aveva veduto sull'orlo di quell'abisso, e che nello sguardo disperato di lui le si era rivelato un abisso ancor più profondo? Quale tenerezza la spingeva verso l'uomo timido e onesto, che non sapeva fingere, che non sapeva vestirsi di orpello teatrale, che non aveva il coraggio della lotta, ma che sapeva guardare in faccia la morte colla sua freddezza di filosofo antico! Quel crescendo di un amore che era cominciato colla placidezza dell'affetto, per giungere alla più violenta passione, non la meravigliava più. Non aveva ella stessa subita una eguale metamorfosi? Perchè prima non si era data a lui liberamente, passando sopra a tutti i pregiudizi della società, mostrando che lo amava al di sopra del mondo intero? Ah! come era stata vile, allora. L'aria frizzante del tramonto le sferzava le braccia e il volto, ma Maria non se ne accorgeva, assorbendola avidamente cogli ultimi raggi del sole, forte di una vita nuova che era entrata in lei, come se un vincolo misterioso avesse legato i suoi sensi ai sensi della natura tutta, ed ella ne sentisse la potente energia recarle torrenti di sangue al cuore. La voce di Emanuele, quella voce che solo per lei aveva note vellutate, quasi calde, le mormorò: - Maria... Si volse. Il treno era fermo, il vagone vuoto. Tutti erano scesi, già perduti nel brulichio della stazione, dalle cui porte spalancate si intravedeva un altro brulichio di persone aspettanti. Ella non disse nulla. Lo guardò negli occhi, seguendolo nel breve spazio del vagone, e prima di metter i piedi sul predellino gli si strinse contro, nell'angolo semibuio, e lo baciò sulla bocca.

Pagina 163

L'indomani

246190
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
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Egli mi abbracciava e poi cadeva sul letto. Non c'era niente di male, nevvero? Ma quando il lavoro divenne scarso e che egli non potè andare tutti i giorni a lavorare, me lo vedevo confitto in casa da mattina a sera brontolando, prendendosela con tutti, anche con me, che ero una bocca inutile e che se fossi stata un uomo avrei almeno potuto aiutarlo. Io, naturalmente, non rispondevo nulla, e, sul tardi, se egli usciva per «cacciare i dispiaceri,» come diceva lui, non potevo impedirglielo. Così incominciò a bere tutti i giorni, proprio allora che mancavano i denari! - Mi pare che non fosse un padre modello! esclamò Marta. - Bisogna compatirlo. Gli uomini, quando non hanno lavoro, fanno tutti così. Prima non era cattivo; andandogli male i suoi affari gli si guastò il sangue. Gli dicevo bene qualche volta: «Babbino non bere, che sprechi i denari e la salute.» Ma egli mi rispondeva che le donne devono tenere la lingua a casa. Anche questo è giusto. Dunque, più mio padre beveva e meno i padroni volevano prenderlo a giornata; meno egli andava a giornata e più beveva. Le lascio considerare! Dovetti allora lavorare per due; fortuna che la salute c'era. Andavo durante il giorno a falciare, a sarchiare, a battere il grano, a cardare il lino, e molte ore della notte le passavo cucendo abiti per le donne e per i ragazzi, che in questo ci riescivo benino, ed anche mi piaceva. In complesso non mi lagnavo; tolto di alcune feste in cui vedevo le mie compagne andare alla sagra tutte vestite in ghingheri, ed io non potevo accompagnarle; prima perchè non avevo abito, nè scarpe, nulla; poi chi avrebbe avuto cura della casa e di mio padre? Il mio destino era questo. - E non ti capitò allora di prendere marito? - Com'era mai possibile? Avevo due camicie in tutto! - Nessuno ti fece mai la corte? - Se non uscivo nemmeno! - Dovevano sapere che eri una brava ragazza e che saresti stata un'ottima moglie. - Ma non avevo nulla. E mio padre chi lo avrebbe preso? Si sposa una persona, non se ne sposano due. Del resto le giuro che non avevo affatto voglia di prendere marito; mi bastava mio padre. - Oh! - fece Marta - non è la stessa cosa. Appollonia si strinse nelle spalle; la differenza, secondo lei, non valeva la pena di essere discussa. - Per finire, a che punto arrivò tuo padre? - Mio padre arrivò al punto che non si moveva più dall'osteria. Standosene là tutto il giorno gli capitava a volte di fare una commissione, di scaricare roba, di tenere un cavallo, tanto per buscare qualche soldo. - E allora te li portava? - Oh! nossignora, li beveva per farsi passare il dispiacere di non poter guadagnare di più. Per parte mia ero contenta che trovasse modo di farsi passare i dispiaceri ma quando mi veniva a casa barcollante che non gli si poteva far intendere una ragione, e mi toccava prenderlo, svestirlo, metterlo a letto senza cavarne un costrutto al mondo, proprio come un bambino appena nato, le confesso che mi sentivo nel cuore uno stringimento e un desiderio di essere al suo posto; al suo posto per fare diversamente, capisce? - Si, sì, capisco. - Ma ognuno ha la sua parte e nessuno può cambiarla. Negli ultimi tempi non andavo più nemmeno a messa; egli veniva a casa a qualunque ora, in quello stato, e se non c'ero io rompeva ogni cosa, bestemmiando, che se ne andava tutto il frutto della messa. Il signor curato lo sapeva e diceva che facevo bene. Finalmente, quando fu la sua ora, si sentì male davvero. L'oste e i vicini dicevano: È ubbriaco! Io capivo che non era ubbriaco questa volta. Lo avevo chiamato «Babbino, babbino» e non rispondeva più. Allora corsi, era di notte, a chiamare il dottore. C'era la neve tanto alta! Il dottore brontolò che non era tempo da disturbare i cristiani. Poveretto! ma anche noi, come si doveva fare? Un po' per uno. E si tornò insieme, nella neve, con un freddo che non si sentiva nemmeno. Quando arrivammo a casa, mio padre rendeva l'ultimo respiro! Dopo una pausa, Marta disse: - Fu in quell'occasione che ti decidesti di andare al servizio? - Io veramente non ci pensavo. La signora Oriani venne a trovarmi il giorno del funerale e mi disse: «Che vuoi fare qui sola? Vieni da me.» Non avevo nessuna ragione per rifiutare. Poi mi sono trovata contenta. La signora Oriani è morta presto: anche questo era destino. E così va! - Quanti anni hai adesso? - chiese Marta. Appollonia rispose filosoficamente: - Trentotto, trentanove o quaranta, chi lo sa!

Pagina 99

La ballerina (in due volumi) Volume Primo

246998
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1899
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
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Pagina 130

Una peccatrice

249586
Giovanni Verga 3 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
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E questa donna, che avea dato appuntamento per la sera al suo amico, che ascoltava tremando le ore che segnava l'orologio del salotto, poichè temeva ch'io m'incontrassi con lui, abbracciava i miei ginocchi, come ieri Maddalena abbracciava i tuoi; mi supplicava colle lagrime più ardenti, colle carezze più tenere, cogli accenti più deliranti di non lasciarla sì tosto, di non lasciarla in collera, poichè s'era accorta ch'io avevo sospetto di quello che dovevo vedere mezz'ora più tardi... Dopo amai una maritata; credei che una signora che rischia di romperla colla società, e colla sua felicità istessa, dovesse molto sentire quest'affetto, al quale sacrifica il suo decoro, la pace domestica, e, presso di noi, fors'anche la vita... Quindici giorni dopo, a caso, in una festa da ballo, seppi, da uno di quegli amici che s'incontrano dappertutto, che da tre giorni egli era in relazione con quella signora... e le espressioni appassionate di lei, che egli mi citò, erano le stesse di quelle che aveva impiegato per farmi credere al suo amore... In seguito amai una fanciulla... pura siccome un angiolo: come direbbe il il signor Darmont nella Traviata; ella aveva tutto ciò che può far credere alla purità del cuore: distinzione d'educazione, coltura d'ingegno, bontà di sentimenti... Io l'amai come un pazzo, quella fanciulla dal viso pallido e dagli occhi cerulei... Scesi persino alle puerilità del collegiale... passare sotto i suoi veroni, seguitarla al passeggio e in chiesa... Quella giovanetta rispose finalmente alle mie lettere, mi promise amore e fedeltà, nell'istesso tenore, suppongo, in cui l'aveva promesso sei mesi prima ad un giovane che sposò alcune settimane appresso... E dopo questo, dopo innumerevoli esempi, che ogni giorno cadono sott'occhio, credi che si possa più averi fede nell'amore propriamente detto, in quest'amore chiesto o giurato spesso col rituale alla mano, senza passare almeno per uno scolare di primo anno? - Ti rispondo colle tue parole: Credo che abbi ragione almeno per metà; ma confessa che per l'altra tu esageri un pochino, lasciandoti trasportare, al solito, dalla tua immaginazione. - Può essere anche questo; - rispose sorridendo il giovane; - del resto colla Maddalena l'ho rotta tranquillamente o diplomaticamente, come vuoi meglio. Infine vuoi una parabola per convincerti? - Fuori la parabola! - Ecco! - e Pietro trasse dal suo portasigari, che avea trasformato anche in portafogli e portamonete, un bigliettino in carta profumata ed involto in una sopracoperta piccolissima color rosa; colla stessa flemma ne prese un sigaro ed un fiammifero. Acceso il foglietto, cominciò accenderne tranquillamente il sigaro. Raimondo ebbe il tempo di leggere le ultime frasi assai tenere del bigliettino, scritto con quel carattere minuto ed uguale che sembra particolare alle signorine distinte, firmato in basso colle sole iniziali. - Hai veduto? - gli domandò Pietro trionfante, buffandogli in faccia il fumo azzurrognolo del sigaro. - Ho guardato ma non ho visto, come il cieco della Bibbia. - È semplicissimo: vi è un detto celebre: Fumo di gloria non val fumo di pipa: ciò che in parentesi dimostrerebbe che le mie più belle produzioni-erba non valgono il fumo delizioso di questo regalia; io ne faccio un altro: Amor di donna, e d'uomo, se si vuole, non dura piú di cenere di carta, o biglietto amoroso... o sigaro regalia. Spero di farmi nome almeno coi proverbi... giacchè non l'ho potuto con opere di maggior lena... Ma guarda laggiù, imbecille!... - Che c'è? - Cospetto!... la signora che incontrammo l'altra volta alla Villa! - È vero. - Che donna... Perdio!... - Non è poi quella maraviglia che mi vai cantando... - Non ho parlato di maraviglie. Ti dico semplicemente che a Catania, e in tutta Sicilia anche, son poche le donne che sappiano recare così bene il suo pardessus reine-blanche, e che sappiano appoggiarsi con tanta grazia al braccio di quel briccone in guanti paglia e pince-nez che ha la fortuna di premere quel polsino contro le sue costole. Essi passarono quasi rasente a quella donna, che questa volta non li vide, o fece le viste di non vederli, e che sorrideva del suo riso incantevole al suo cavaliere, mentre gli parlava. - Hai udito che bella voce! - esclamò Pietro, premendo il braccio del suo compagno; - all'accento mi parve torinese... lo adoro tutto il Piemonte in questo momento... - Eppure veduta dappresso non è bella... - È adorabile, se non è bella! Essa non ha la bellezza regolare, compassata, che direi statuaria, e che non invidio ai modelli dei pittori; ma ha occhio che affascina, e sorriso che seduce carezzando, quando questo fascino ci può fare atterrire coi suoi brividi troppo potenti. Questa donna alta e sottile, di cui le forme voluttuosamente eleganti sembrano ondeggiare lente e indecise sotto la scelta toletta che le riproduce con tutta l'attrattiva vaporosa delle mezze tinte, ha tutte le perfezioni per poter coprire ed anche far ammirare come pregi altre imperfezioni; questa donna che ha bisogno di tutta la delicatezza e la bellezza di contorno del suo collo da inglese per non far troppo spiccare la piccolezza della sua testa da bambina; di tutta la flessibilità della sua vita per far dimenticare l'estrema sottigliezza del suo corpo; di tutta l'abbagliante bianchezza dei suoi denti per fare una bellezza della sua bocca alquanto grande, con cui ella sorride sì dolce cha sarebbe a desiderarsi di vederla sempre sorridere; che si serve di tutte le ombre, di tutti i riflessi più lucidi, più belli, più azzurrognoli dei suo magnifici capelli neri per nascondere che la sua fronte è alquanto larga ed alta del soverchio di tutta la limpidità dello sguardo dei suoi occhi, infine, per farne ammirare la pupilla di un riflesso molto chiaro; questa donna mi colpisce mille volte dippiù coll'effetto direi strano, sorprendente, poichè rubato a Dio, della sua beltà... Io non potrei giammai esprimerti l'effetto che mi fa questa bellezza, che non è tale che quasi per un miracolo, poichè non ha nulla per esserlo, ed in cui tutto sembra formare un assieme di grazia e di incanto; questa bellezza che ha bisogno di tutte le risorse della toletta, di tutte le seduzioni dei modi e dell'accento, di tutto l'incanto dello sguardo e del sorriso, per circondarsi di questo vapore trasparente... illusorio, lo confesso, che la fa bella però, che la fa adorabile, poichè sembra non farla vedere che in nube, attraverso l'incenso e l'orpello; questa bellezza che vuol essere tale a dispetto della natura che l'avea fatta comune; questa figura plastica che non ha di bello che gli elementi, direi, per divenir tale, e lo spirito creatore che fa nascere tutte le grazie di cui si circonda; che si mette allo specchio donna per sortirne silfide... maga... sirena... - To... to... to!... Pietro, amico mio, ne saresti innamorato?... - lo! - rispose il giovane scrollando le spalle, come cadendo dalla sua esaltazione, - sei pazzo! - Eppure tutti i pregi di costei non valgono un solo di Maddalena. Venti ancor più belle di lei non farebbero un angioletto così bello e perfetto qual è la piccina, come mi piace chiamarla; che pure hai abbandonato senza un pensiero. Pietro fissò uno sguardo sull'amico, poi un altro sulla signora ch'era già molto lontana, e rispose semplicemente, abbassando il capo: - Maddalena non sa neanche annodarsi il nastro del cappellino come colei. - È graziosa! - esclamò Raimondo. - Dunque ameresti dippiù una donna che avesse bisogno, per essere amata, d'impiegare prima due ore allo specchio? - Sì, lo confesso... Chiamala anche civetteria, o ciò che vuoi; nella donna che dovrei amare io vorrei tutte queste cure minute, tutte queste precauzioni delicate, tutte le perfezioni dello spirito e le squisitezze dell'educazione, tutti questi dettagli dell'assieme, insomma, che servirebbero a formarmi l'aureola della donna che dovrei avvicinare colla riverenza e il delirio dei sensi, che tal prestigio dovrebbe recarmi, poichè a riverenza del cuore io non l'ho più. Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso... tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta.. tutto ciò che può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore m'inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest'essere non è come il mio, debole e creta... E allora io l'amerei... un giorno, un'ora, ma l'amerei... Quanto alle altre donne, le amerò allorchè scoprirò un cuore nella donna. Pietro, dopo questa scappata, rimase muto alcuni altri secondi, aspirando voluttuosamente, colle narici dilatate, il fumo del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua imaginazione. Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando: - Che ne dici della mia tirata, Pilade? - Non è cosa nuova in te. Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta. - Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi... - disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d'amarezza. - Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano... Io, povero sciocco, che m'ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque... eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più... fossero anche di cavoli. Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l'incolpabilità delle azioni umane rimarebbe sugli scritti dei penalisti: ecco che, almeno una volta, parlo da saggio... - Ed anche il merito delle azioni umane, in tal caso... E tu sei superstizioso in quest'idea? - Al fanatismo! - Ma se tu fossi destinato ad amare quella donna, che non hai veduto che due volte, in passando?... Pietro cominciò dallo scrollare le spalle, al solito; indi rimase alcuni minuti in silenzio, e disse tristamente, come se quell'idea gli facesse pena o paura: - Chi lo sa!?...

Pagina 13

«E mi abbracciava, e mi baciava frenetico, ardente. «In mezzo a quelle parole che mi facevano piangere di gioia una frase mi era rimasta fitta dolorosamente come una spina nel cuore: egli avea detto. Non puoi vivere sempre come vivi!... «Quella vita che aveva formato il mio paradiso, adunque, quella vita che noi non avevamo vissuto che per amarci, che per comunicarcela l'un l'altro coi baci, non poteva sempre durare... non era stata che la luna di miele!... «Quando pensai al come vivere un sol giorno senza tal vita, fremetti di terrore, e corsi a vestirmi per nasconderlo a lui. «Uscimmo a piedi lungo la cinta esterna della città, per godere di un magnifico lume di luna. Pietro si mostrò sì allegro, sì contento della nostra felicità, che per qualche tempo riuscì a scacciare anche i miei tristi presentimenti. Non seppi nascondergli la penosa impressione che mi avevano lasciato le sue parole: Non puoi vivere sempre come vivi. « - Sì, - mi rispose egli, - i piaceri, lo feste, ti sono necessarii, poichè ti fanno brillare come un diamante messo in luce... sono necessarii al mio istesso amore per provare quello che provavo d'indefinibile nel fascino che ti faceva abbagliante fra tutte le pompe del tuo lusso. « - Queste parole mi fanno male, Pietro! - supplicai stringendomi contro il petto il suo braccio. « - Perchè? - domandò egli sorpreso. « - Perchè mi provano che tu non potrai amarmi sempre come mi hai amata, come ormai è necessario che tu mi ami perchè io viva! « - Sei pazza! - esclamò egli, baciandomi sulla bocca. «Rimasi fredda, muta a quel bacio; fissando i miei occhi nella luna per dissimulare ch'erano umidi di pianto. Le lagrime che solcarono le mie guancie mi tradirono. « - Ma che hai dunque? - esclamò Pietro fermandosi, vivamente commosso, e abbracciandomi: - che ti ho fatto, Dio mio?!... « - Oh, perdonami... perdonami! - singhiozzai, ponendomi le sue mani sulle labbra; - son io che son folle!... perdonami, Pietro!... tu puoi farmi felice con una parola... Mi ami ancora?... mi ami sempre... come mi amavi?... «Pietro soffocò quelle parole sulle mie labbra coi baci, suggendo avidamente le mie lagrime. « - Oh! che ti ho fatto io per meritarmi questo?! - mi diss'egli colla voce tremante, dominando a stento la sua emozione. Non ti adoro come sei degna di essere adorata?!... Amarti ancora!... ma ogni giorno che passa è un affetto nuovo che si aggiunge all'immenso affetto di cui ti amo!.. « - Grazie! grazie, amico mio! Tu non sai qual bene mi facciano queste parole... come io ne aveva bisogno!... E... e... se qualche giorno... se mai... - ed io stentavo a proferire fra i singhiozzi che mi soffocavano, - tu non mi amassi più, tu non mi amassi come prima, come io voglio essere amata da te... tu me lo dirai... dammi parola che me lo dirai!... meglio questo che I'agonia dell'incertezza... Tu non sai mentire, Pietro!... tu me lo dirai!... « - Narcisa!... « - Oh! fammela questa promessa, Pietro!... tu puoi farmi felice con questa parola... « - Ma sei pazza... calmati, amor mio... « - Oh no! te lo chiedo ginocchioni... promettimi... promettimi che tu mi dirai... che me lo dirai quando non mi amerai più!... «E le mie ginocchia, senza avvedermene, si piegarono. « - Mio Dio! Narcisa... lo non so quello che tu abbi stasera; ma se ciò può farti piacere quantunque io senta tutta l'inutilità di tale promessa... se ciò può servire a calmarti... ebbene!... io te la do. « - Oh! grazie, grazie! - esclamai baciandolo in fronte, con un doloroso trasporto; - grazie!... Io sarò più tranquilla!... potrò almeno godere senza sospetto questi giorni di felicità che puoi darmi... « - Narcisa!... per pietà!... « - Oh, no... Pietro! non vedi che son felice ora?!... «Egli rimase triste e pensieroso lungo tutta la strada. «Io provavo un inenarrabile godimento nell'appoggiarmi al suo braccio, nel sentire palpitare contro il mio polso quel cuore che ancora palpitava per me. Tre o quattro volte alzai gli occhi su quel volto maschio ed energico che adoravo, che divoravo dello sguardo, come se fossi avara del bene che possedevo ancora di saziarmene. « - Confessiamo: - disse Pietro nel salire le scale della casa ove andavamo, sorridendo ancora con una lieve tinta di mestizia, come per scacciare la penosa preoccupazione che ci aveva invaso ambedue; - confessiamo che siamo pure i gran fanciulli, e che i nostri discorsi sono stati ben singolari per due innamorati che vanno ad una festa da ballo. «Respirai più liberamente quando la carrozza ci trasportava rapidamente verso la nostra abitazione: mi parea d'essermi levato un gran peso dal cuore col togliermi quella maschera di convenienza che la società esige, e che, quella sera, in mezzo a quella splendida folla, mi era sembrata odiosa. «L'indomani Pietro si rimise a studiare di lena, come non l'avevo mai veduto lavorare. Io passavo i giorni nel suo gabinetto di studio, disegnando o sfogliando i fiori dei quali era sempre piena la giardiniera che contornava il suo tavolino e dei quali spargevo le foglie sulla carta in cui egli scriveva; o, quand'egli lo voleva, andavo al pianoforte e gli suonavo il pezzo che domandava. «Egli usciva sempre la sera per darsi un poco di distrazione, che le occupazioni assidue del giorno gli rendevano necessaria. Qualche volta l'accompagnavo. Una sera volli rimanere in casa per vedere ciò che avrebbe fatto: uscì solo. «Quattro mesi prima sarebbe stato più avaro del tempo che avrebbe potuto passarmi vicino. «Di tratto in tratto egli si mostrava preoccupato, quasi triste... sembrava staccarsi con isforzo alle sue penose meditazioni per prodigarmi ancora quelle sue ferventi carezze, che mi fanno obliare in un bacio tutti i terrori dell'avvenire. «Non potevo esser gelosa... Alla festa, ove l'accompagnai, avevo veduto le più eleganti e belle dame sorridergli con quella grazia che dà diritti a sperare, prodigargli le più obbliganti attenzioni, e l'avevo veduto rimaner freddo e cortese innanzi a quelle attrattive, cercando avidamente il mio sguardo e il mio sorriso. Egli è troppo generoso e nobile per potermi parlare come mi parla e guardarmi come egli lo fa se il rimorso di un altro affetto lo facesse arrossire. No! il mio Pietro è troppo elevato per scendere sino alla dissimulazione... egli avrebbe piuttosto la forza brutale di abbandonarmi. «Eppure questa certezza, che per molte sarebbe una consolazione, per me è il più crudele disinganno, perchè mi toglie persino la speranza dell'avvenire... Quello che scrivo mi scotta le mani, come mi brucia il cuore... Avrei sempre la speranza di riavere il cuore di Pietro che si allontanasse da me per un'altra donna, poichè egli dovrebbe, tosto o tardi, accorgersi che giammai, giammai donna potrà amarlo come lo amo io, giammai simile amore potrà suggerire alla donna tutti gli incanti più raffinati per fargli bella la vita, per fargli sentire tutte le infinite percezioni di questo amore colle pulsazioni violente delle sue arterie... ma Pietro stanco del mio affetto, di me... Pietro disilluso del prestigio che mi faceva bella ai suoi occhi... io non l'avrò più!... mai... mai più!!... «Dio! Dio mio!... la morte... piuttosto la morte!... «Alcune notti egli è rientrato assai tardi... Ho udito che raccomandava di non far rumore per non isvegliarmi... come se avessi potuto dormire, io!... mentre soffocavo i singhiozzi nascosta dietro la portiera dell'uscio. «Oh, egli ha potuto pensarlo ch'io dormissi... prima che egli fosse ritornato!... «È desolante, è spaventevole tutta questa insensibile gradazione che ogni giorno sempre più assopisce nel suo cuore tutte quelle sensazioni minime, delicate, squisite, che la passione suscita e sublima, e che muoiono con essa... «È dunque morto il suo cuore per me... Dio mio?!... «No! egli mi ha parlato ancora di quelle parole, tenendo la mia mano fra le sue, fissandomi sempre del suo sguardo, che avea tutta l'espressione d'allora... Ma ciò non è durato sempre!... sempre!... a dissetarmi di questo bisogno ardente che ne ho!... «Quand'io gli parlo della sua tristezza, della sua preoccupazione, della sua freddezza sin'anche, egli si mostra qualche volta come impaziente, e dissimula appena una lieve tinta del dispetto che prova di non saper meglio nascondere le sue impressioni. Io leggo chiaramente nel suo cuore: egli ha ancora la generosità d'imporsi per me un sentimento che non prova, di nascondermi quelle illusioni perdute che egli si rimprovera come una colpa sua, colpa che però non ha, di cui il pentimento gli dà la forza di stordirsi nelle mie carezze sino alla febbrile e quasi ebbra eccitazione che può scambiarsi coll'esaltazione della passione. «Un giorno era uscito prima ch'io fossi levata, e avea mandato a dirmi che, invitato da alcuni amici, avrebbe desinato fuori. La sera non era ancora venuto a vedermi; verso le 9 feci attaccare, impaziente d'attendere più oltre, e andai a cercarlo dove sapevo trovarsi ogni sera. «Feci fermare il legno dinanzi il Caffè di Sicilia e mandai il piccolo jokey a cercarlo; egli si alzò subito da un crocchio d'amici, fra i quali era seduto, e venne a mettersi in carrozza con me. « - Ti chiedo mille scuse, mia cara, della noiosa giornata che ti ho fatto passare; - mi diss'egli; però distinsi nel suo accento una sfumatura d'impazienza. Io gli strinsi la mano, poichè ero assai commossa, e non risposi. «La carrozza attraversò tutto il corso Vittorio Emanuele e prese la stada d'Ognina. Fuori l'abitato volli scendere e prendere il braccio di lui. Il calesse ci seguì ad una cinquantina di passi. «Entrambi sentivamo di avere un penoso discorso da intavolare, che non avevamo il coraggio di incominciare, e che perciò ci faceva rimanere in silenzio. «Provava il bisogno però di parlargli, di aprirgli il mio cuore; per averne la forza pensai alle sere istesse passate al fianco di lui... sere di cui le rimembranze erano ancora palpitanti di piacere, e a misura che il mio pensiero le vedeva più vive, che il mio cuore batteva più forte, che i miei occhi si velavano di lagrime, io mi stringevo al suo braccio come fuori di me, come se avessi voluto con quella stretta attaccarmi a quel passato che idolatravo; infine non potei più frenare i singhiozzi. «Pietro si fermò in mezzo alla strada, commosso profondamente, ma non sorpreso da quella scena che forse si aspettava. « - Che hai dunque Narcisa? - esclamò egli, prendendomi le mani. « - Oh, Pietro! - esclamai infine, - tu non sei lo stesso di prima! No! tu non mi ami come prima!... « - Narcisa, tu sei folle coi tuoi dubbi penosi... Se non ti amassi come prima, potrei fare la vita che faccio?... «Queste parole, che cercavano di esprimere un pensiero consolante, erano dure per me: esse parlavano di quella vita che avea fatto la nostra felicità come di un sagrifizio. « - È vero adunque, - proseguii, - questa vita ti è penosa?!... tu sei stanco di farla?!... « - Ascoltami, Narcisa! - interruppe egli, stringendomi le mani, quasi avesse voluto infondermi forza per ascoltare quello che avea a dirmi, e raddolcire quanto vi poteva essere di amaro; non si può sempre vivere di questa vita che noi abbiamo fatto, che è la mia più dolce memoria, senza avere delle ricchezze, che io non posseggo, e neanche tu, e le possedessi, io non potrei accettarle da te; bisogna che io mi faccia una posizione, che risponda alle aspettative che si son potute basare sul mio primo lavoro, che è bello del tuo riflesso soltanto. Per ciò fare bisogna piegarsi un poco a tutte quelle convenienze che la società esige rigorosamente. Io ho dimenticato tutto per te, sei intieri mesi: gli amici, il mio avvenire, gli impegni assunti; anche una madre che adoravo, la più buona, la più santa fra le madri, che aveva pur diritto all'amore del figlio suo, e che sei intieri mesi non ha avuto una parola da lui, non l'ha abbracciato una volta... Oh, credimi, Narcisa... è colla più viva commozione, colla più profonda riconoscenza anche, che io rammento questi sei mesi d'amore... Ma perchè quest'amore istesso duri con tutti i suoi incanti bisogna che esso sia assaporato lentamente: in fondo all'ebbrezza che stordisce si trova presto la disillusione che uccide l'amore... ed io voglio amarti sempre, mia Narcisa! «Soffocai i miei gemiti col fazzoletto, e rimasi muta, pietrificata dinanzi a lui che mi stringeva ancora le mani, e mi fissava quasi avesse voluto leggere nei miei occhi. «Dio mio! quello che soffersi in quel punto, credo che non potrò soffrirlo mai più... neanche al momento... «Quand'ebbi la forza di parlare gli dissi tristemente, divorando tutta l'estensione del mio dolore per nasconderglielo: « - Se mi amassi ancora, come dici, non avresti mai proferito ciò... « - Narcisa! - replicò egli, tradendo una viva impazienza, - non son uso a mentire... mi pare... « - Oh no! tu non mentisci... o piuttosto tu vuoi ingannare te stesso, perchè hai pietà di me... Grazie, Pietro! « - Io avrei dovuto parlarti da qualche tempo su questo proposito, - mi diss'egli; ho temuto sempre di farti dispiacere, ed ho indugiato. Tentai di lavorare per adempiere in parte agli obblighi impostimi, ma ti confesso che nulla mi è riuscito.... Mia madre mi ha scritto molte volte le più calde preghiere perchè io vada ad abbracciarla... «Egli aveva esitato a proferire l'ultima frase, e l'avea poscia pronunziata colla precipitazione di colui che prende una risoluzione decisiva. «Mi aggrappai al suo braccio, poichè sentivo le gambe piegarmisi sotto. « - È giusto, - mormorai quindi a metà soffocata: - tua madre ha ragione!... «Ebbi il coraggio supremo di non piangere. Egli rimase muto, facendo sforzi visibili per dominare la sua commozione. « - Mi accorderai almeno quindici giorni prima di partire? - gli diss'io, gettandogli le braccia al collo, piangendo in silenzio. « - Oh! amor mio! - esclamò Pietro quasi con le lagrime agli occhi: - non credevo di essermi meritate tali parole!... « - Ebbene!... fra quindici giorni tu partirai per vedere tua madre!... «Volle abbracciarmi, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ma mi allontanai di un passo, supplicandolo colle mani giunte di non farlo. «Temevo di perdere la forza della mia risoluzione in quell'abbraccio, al quale mi sentivo spinta violentemente da tutte le passioni, suscitate sino al parossismo, che tumultuavano in me. «Egli rimase colpito e sorpreso da quell'apparente freddezza, e m'accorsi ch'era anche indispettito. « - Grazie! - mi rispose freddamente. «E rimase muto... E non una parola di più... Come se avesse temuto ch'io mi pentissi di ciò che gli avevo accordato. «Ripresi il suo braccio per continuare a passeggiare, mentre non avevo la forza di strascinarmi. Lo guardavo: era freddo, pensieroso, quasi cupo. « - Oh,Pietro - gridai quindi singhiozzante, non sapendo più frenarmi, avvinchiandogli Ie braccia al collo; - mi ami?... mi ami come prima?!... Oh, Pietro!.... una volta mi promettesti, mi giurasti... che mi avresti confessato quando tu non mi avresti amato più... come prima... Pietro!... confessalo che non mi ami più!... « - Narcisa! te ne supplico... queste parole mi fanno male! - m'interruppe egli impallidendo. « - Oh, per pietà!... per pietà, Pietro! Me, l'hai promesso... me l'hai giurato!... Sii uomo!... dillo, dillo che non mi ami più! «Invece di volere questa conferma al mio doloroso sospetto, attendevo, con ansia smaniosa, una parola in contrario, che avesse potuto farmi gettare nella sue braccia, delirante di passione. Egli esitò... egli non l'ebbe;... e rimase muto, immobile... come combattuto da un'interna tempesta. « - Non ha dunque cuore quest'uomo! - gridai come una pazza, dopo avere invano atteso, in una terribile angoscia, col petto anelante, le mani giunte, le lagrime agli occhi, quella risposta. Non ha cuore per comprendere quello che si passa nel mio, per farmi felice anche con una menzogna! avevo detto in quelle parole. « Quelle parole però mi perdettero. « Pietro non capì il vero senso appassionato, addolorato, ansioso, che dava loro il mio cuore in quello stato, proferendole; egli capì soltanto tutte quello che vi è di duro, di sprezzante, d'insultante anche - sì, d'insultante - in queste parole prese alla lettera, che parevano dire: Siete un vile! mentre avevano detto: Non avete pietà di me? «Egli si levò pallido, coll'occhio, un momento innanzi umido di lagrime, asciutto e quasi fosco, coi lineamenti duri e severi; egli... quest'uomo! ebbe la forza di dirmi colla sua voce più calma ed incisiva: « - È meglio forse che ci separiamo, Narcisa. «Ebbi paura di lui. «Non potrei mai riprodurre tutto quello che vi era di lacerante in quelle fredde parole che soffocavano in lui il risentimento, che fa supporre pur sempre l'amore, per esprimere la calma ed inflessibile decisione della mente. «Mi sentivo morire, e caddi annichilata sul muricciolo accanto alla strada; Pietro mi diede il braccio, mi sollevò, e mi strascinò quasi sino alla carrozza. «Là, inginocchiata sul tappeto, col volto nascosto fra i cuscini, piansi lagrime ardenti, disperate. «Ora che ci penso a mente più serena, io non risento tutto il pentimento di quelle parole delle quali gli chiesi perdono a mani giunte, colle espressioni più umili, e che mi parvero aver deciso la mia condanna; se Pietro mi avesse amato ancora, egli non avrebbe dato la significazione letterale a quelle parole;... se il suo cuore non fosse stato morto per me, egli non avrebbe potuto prendere quella risoluzione. «Era finita dunque per me!... per sempre!... Ed io, folle!... folle!... gli chiedevo ancora quella franca confessione che mi avevo fatto promettere in un delirio d'amore, come se le parole avessero potuto illudermi, quando tutto parlava in lui chiaramente. «Passai una notte d'inferno, lacerando coi denti il merletto dei guanciali inzuppati di lagrime. «Quando il chiarore incerto che penetrava dalle tende del verone cominciò ad oscurare il globo d'alabastro della lampada da notte, mi alzai, ancora vestita degli abiti che indossavo la sera scorsa... Esitai un istante prima di tirare il cordone del campanello: volevo illudermi ancora su tutta l'estensione della mia sventura. « - È alzato il signore? - domandai alla cameriera che veniva a prendere i miei ordini. « - Anzi Giuseppe, il suo cameriere, crede che non sia nemmeno andato a letto; poichè l'ha udito passeggiare tutta la notte. «Fui commossa profondamente; dunque anch'egli aveva provato tutta la lotta di quella disperata passione! «Mi acconciai allo specchio, con triste civetteria; non volevo accrescere il suo dolore colle tracce del mio; volevo attaccarmi a lui con tutte le risorse di quell'eleganza che egli aveva tanto ammirato in me; e passai nelle sue stanze. «Lo trovai che scriveva, seduto al tavolino nella sua stanza da studio, con un lume ancora acceso dinanzi, sebbene morente. «Oh, signor Raimondo, mi perdoni questi dettagli, sui quali insisto con il doloroso piacere che si prova a ritornare sui particolari di dolci malinconiche rimembranze. «I fiori che ornavano ogni mattina la giardiniera, situata a semicerchio attorno al suo tavolino, quei fiori fra i quali egli s'immergeva, direi, quando si metteva a scrivere, e che avvolgevano i suoi sensi in un vapore di colori e di profumi, e suscitavano mille indefinite percezioni nella sua mente; quei fiori dei quali egli avea detto di aver bisogno come dell'aria per lavorare e per pensare a me, erano appassiti; le tende delle finestre chiuse, sicchè eravi quasi buio nella stanza; attraverso l'uscio aperto della sua camera da dormire vidi il letto scomposto, colle lenzuola lacerate e cadenti a terra, ed un cuscino sul tappeto accanto ad una poltrona rovesciata. «Pietro mi voltava le spalle, colla testa appoggiala fra le mani; aveva dinanzi un monte di quaderni e di fogli di carta, dei quali alcuni lacerati; sul foglio che gli stava sotto la mano era scritta l'intestazione di una lettera e tre o quattro versi cancellati. Egli non mi udì avvicinare, e si riscosse bruscamente quando mi vide vicino a lui. Poscia si alzò e venne a stringermi la mano, sorridendo tristamente. « - Volevo venire a farmi perdonare le mie cattiverie di ieri sera... però non potevo supporti alzata a quest'ora. « - Non ho dormito, Pietro... - gli risposi colle lagrime agli occhi. «Egli volse i suoi in giro per l'appartamento, quasi avesse voluto nascondermi il disordine; li abbassò, e rimase muto. «Non aveva voluto confessarmi che ancor esso avea sofferto: sentii stringermi il cuore dolorosamente. «Venni ad appoggiarmi alla sua spalla, come nei bei giorni in cui sentivo un brivido percorrerlo allo sfiorargli il volto coi miei capelli, e lo guardai in silenzio, spalancando gli occhi per dissimularne le lagrime. Vidi lo sforzo ch'egli faceva per contenersi, baciandomi sulle labbra; ma quel bacio commosso non aveva il febbrile trasporto di una volta, che gli avrebbe fatto stringere il mio corpo fra le sue braccia fino a soffocarmi... Fu solo.. quasi triste.. « - Tu scrivi? - gli diss'io con un coraggio di cui non mi sarei creduta mai capace. «Come colto in fallo egli abbassò gli occhi sulle carte che gli stavano ammonticchiate dinanzi alla rinfusa, e rispose con un cenno del capo, quasi avesse dubitato di avere la mia forza. « - Scrivi a tua madre, Pietro... Le hai detto che fra quindici giorni sarai da lei?... «Questa volta egli non rispose e si recò la mia mano alle labbra. «Mi portai l'altra al cuore, per comprimerne i battiti, dei quali il rumore mi spaventava. «Oh, signor Raimondo... un uomo di ferro avrebbe avuto pietà di quest'agonia straziante, che mi affascinava però colla forza stessa del dolore, che mi strascinava a misurare tutta l'estensione della mia disgrazia... Pietro!... egli!.. non ebbe pietà di quest'agonia, che pure avrebbe dovuto indovinare dalla calma disperata del mio accento, dal tremito convulso delle mie braccia, che si appoggiavano alla sua spalla, dalla terribile tensione del dolore che inaridiva le lagrime sulla mia orbita... Egli non ebbe una parola... una sola!... o piuttosto non ne ebbe la forza... Egli rimase colle labbra fredde e tremanti sulla mia mano, che recava quella percezione al cuore come una stilettata, cercandovi forse la forza di rispondermi. «Un impeto cieco, disperato mi spingeva. « - Son venuta a chiederti una grazia, Pietro, - gli dissi; - questi ultimi quindici giorni che hai avuto la bontà di concedermi... io... io vorrei passarli in Aci-Castello... su quella bella spiaggia che visitammo sì spesso nelle nostre passeggiate notturne... Siamo al 28 di Ottobre, il 13 di Novembre partirai. «Speravo ch'egli soffocandomi dei suoi baci, avesse annullata la sua risoluzione della sera... Non fu nulla di ciò... « - Oggi stesso manderò Giuseppe ad affittarvi un casino: - mi rispose stringendomi le mani e figgendomi gli occhi in volto come cercandovi la spiegazione di quel desiderio; - e domani partiremo. Vuoi che usciamo assieme oggi? «Quella domanda fu il mio colpo di grazia: quando egli mi amava come un pazzo mi avrebbe pregata di non uscire; in appresso non mi avrebbe fatto quella domanda poichè non si sarebbe potuto supporre che l'uno di noi potesse uscir solo... negli ultimi giorni mi amava ancora abbastanza per non propormi una passeggiata come un compenso, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ciò che equivaleva a dichiararmela una compiacenza, come avea fatto in quel momento. «Mi voltai a cogliere un fiore da un vaso di porcellana per recare il fazzoletto alla bocca... Mi sentivo soffocare... Ebbi appena la forza di mormorargli: « - No... no... grazie... Non uscirò tutta la giornata... «Io stessa non udii il suono di quelle parole... Forse neanche egli le avrà udite... Uscii barcollando, operando uno sforzo supremo per dominare il mio dolore immenso, aggrappandomi alle tende che incontravo per non cadere... Nel mio salotto caddi su di una duchesse, annichilata. «Pietro passò al mio fianco tutto il giorno. Mi faceva una pena orribile a vedere gli sforzi che faceva per contenere la sua commozione, per combattere la lotta che ferveva in lui, per mantenersi saldo nella risoluzione che parea essersi fissata, e che quei momenti avevano fatto ondeggiare in lui... Egli fu amoroso con me, come si può esserlo sino ai limiti della commozione, senza il trasporto però della passione, di quell'amore caldo, cieco, irresistibile, quale egli me l'avea fatto provare, quale ormai m'era necessario per vivere, quale avrebbemi fatto dimenticare, almeno, per un'ora, in un bacio, tutta l'estensione dell'immensa sventura che mi percuoteva. «Egli non ebbe una parola, non una sola parola che alludesse alla nostra separazione; ma neanche un'altra che la facesse mettere in dubbio. «Un momento mi parve cattivo e spietato quell'uomo che non mi amava più. «Poi gli baciai le mani, delirante, piangendo a calde lagrime; gli avvinchiai le braccia al collo e lo soffocai quasi fra le mie lagrime e i miei baci, come se avessi voluto farmi perdonare la triste impressione di quel momento. «Giammai! giammai io ho amato Pietro di quest'amore immenso, frenetico, divorante di cui l'ho amato in quel punto... «L'indomani partimmo per Aci-Castello. «No! se anche scrivessi questi versi col sangue che tale tortura ha stillato dal mio cuore, io non potrei arrivare a descrivere tutto lo strazio ineffabile di quest'agonia immensa che è durata 15 giorni; in cui ho dovuto divorare lo mie lagrime; soffocare gli urli disperati del mio cuore, perchè m'impedivano di vedere, di sentire come ogni ora di più il cuore di lui s'allontani dal mio; come quelle sensazioni impercettibili, che formavano l'amore sovrumano di cui quest'uomo mi adorava, vadano morendo in lui... lo non potrò esprimere quello che ho provato di orribile in tutta l'intensità del dolore, quando, con la terribile lucidità che mi dà la mia angoscia, ho letto chiaramente in quel cuore... troppo chiaramente, per mia sventura!... la sorpresa, la tristezza di lui, direi anche, il rimorso delle perdute illusioni del suo amore di un tempo che cerca invano... lo l'ho veduto quell'uomo, quel cuore, chiudere gli occhi, immergersi nel vortice delle più tempestose carezze, soffocarmi coi più febbrili trasporti... frenetico... furibondo quasi, cercando quelle illusioni che avea adorato in me... e nulla!!... nulla!!... e staccarsene pallido, annichilato... quasi piangendo come un fanciullo, guardandosi attorno come smemorato, come cercando ancora quelle sensazioni che non sa più trovare in me... e che io!!!... disgraziata!!... io non posso più dargli!!... «Oh, signore! nessuno!... no! nessuno potrà mai arrivare a comprendere la sublime agonia di quell'istante! «Dio!... Dio mio!... se impazzissi! «No! Dio non è giusto! No! Dio non ha pietà di questo dolore sovrumano! «Pietro è triste, malinconico ogni giorno di più, la pietà istessa che risento di me, di quest'amore di cui l'amo, ch'egli comprende, e del quale non può contraccambiarmi, malgrado tutti i suoi sforzi generosi, questa pietà lo distacca da me, lo fa fuggire, come se temesse di trovare un rimorso nei miei occhi, che, Dio sa con qual coraggio gli nascondono quello che si passa in me. Egli è sdegnato contro se stesso e dolente della simulazione che deve imporsi per compassione di me, delle menzogne che deve giurarmi col volto cosperso del rossore della vergogna. La notte lo sento passeggiare spesso sino all'alba, ora in cui parte per la caccia, e non ritorna che a sera, stanco, spossato, come se avesse voluto nella stanchezza dei sensi addormentare il rimorso del suo amore perduto, e trovarvi una pace che la tempesta delle sue passioni non gli accorda giammai. Eppure, dopo queste corse che hanno gonfiato i suoi piedi, che hanno logorato le suo forze sino alla prostrazione, egli non trova sonno nel letto... egli si stanca ancora a passeggiare per la sua camera... «Qualche volta ho trovato l'indomani il suo fazzoletto e i suoi guanciali umidi: al sapore acre ho conosciuto che erano lagrime... «Lui! questo carattere orgoglioso e forte, quest'uomo di ferro... ha pianto!... ha pianto di dolore, di rimorso, di rabbia, per quest'amore che gli sfugge, che vorrebbe imporsi. «No!.. tale martirio non può durare per entrambi... Io sarò forte!... sì, quest'amore istesso me ne darà la forza. «Morire, mio Dio! morire nelle sue braccia almeno... addormentata dalle sue carezze!... «Abbiamo passato 13 giorni su questa spiaggia che mi sembra deliziosa, malgrado le ore crudeli che vi ho provate. Si dice che il dolore rende fosche le tinte più brillanti del luogo ove si prova... Anch'io ho sentito ciò altravolta; ma quì, in questi ultimi giorni, questi luoghi io li ho amati nei loro minimi particolari; forse perchè mi è caro anche il dolore di quest'agonia che posso provare vicino a lui. «Nel momento in cui scrivo per parlare di lui, per illudermi con lui... sola, di notte, nella mia camera da letto... vedo, attraverso le tende della mia finestra aperta, sbattute dal vento tempestoso di questi ultimi giorni d'autunno che spoglia gli alberi delle foglie, la massa antica, imponente, severamente e grandemente poetica del vecchio e rovinoso castello che pende da una balza suI mare; coi suoi muri massicci e screpolati, sui quali stridono i gufi in mezzo alle ginestre che vi germogliano, che disegnano Ia loro massa bruna su questo cielo trasparente ove risplende la più bella luna del mondo; con questo mare immenso, lucido, che da questa lontananza sembra calmo e lievemente increspato e che muggisce colla sua voce potente fra i precipizii dell'abisso che circonda le fondamenta del castello. «L'altro giorno volli vedere questo castello a metà distrutto, su cui sembra talvolta vedere ancora passeggiare le scolte luccicanti di ferro fra i merli dei torrioni; che mi fa vivere in mezzo agli uomini di una volta che l'hanno abitato coi vivi ricordi che tramanda e che sembrano infondersi incancellabilmente alla sua vista. Pietro volle dissuadermene, dicendo che la strada per giungervi era molto pericolosa per una donna. « - Non sarai tu con me? - gli dissi, come se mi fosse stato impossibile un accidente vicino a lui, o come se quest'infortunio avessi dovuto amarlo, dividendolo con lui. «Egli... costui, cui l'amore avea dato squisite percezioni, cui avea fatto oprare un miracolo di genio e di sentimento nel suo dramma, capì appena tutto il senso di quelle parole. «Mi diede il braccio, come per nascondermi il suo imbarazzo, e mi accompagnò alla salita che precede l'ingresso della rocca. «I muri della torre principale che guardano il paesetto, sembrano di un'altezza smisurata, guardati dal basso, in quel punto, elevati come sono su di un immenso scoglio che dalla parte del mezzogiorno sospende le sue torri sul mare. Due tavoloni di querce sono gettati su di un arco in rovina per traversare l'abisso orribile che si stende al di sotto, in fondo al quale mormora il mare di un sordo rumore, e che fa venire le vertigini al solo guardarlo. «Pietro passò innanzi e mi porse la mano raccomandandomi di non guardare il precipizio per non avere la vertigine; all'incontro io provavo un'affascinante sensazione nel mirare quella gola oscura, a quasi duecento piedi sotto di noi, ove, fra le acute punte degli scogli, biancheggiava la spuma minuta delle onde rotte e imprigionate nella caverna, su cui l'assito che ci sosteneva si piegava sotto il peso dei nostri corpi scricchiolando. «Se cadessimo,qui, abbracciati! - esclamai io quasi involontariamente, stringendo la mano di Pietro che mi guidava. «Mi pareva più dolce quella morte; e preferibile alle torture che provavo, e che supponevo anche in lui. « - Quale pazzia! - mormorò egli stringendo il mio braccio, come per prevenire l'effetto di un capogiro, e accelerando il passo, che avea reso ardito e sicuro, quasi per garantire la mia vita ch'eragli sospesa. «Egli non ha detto: Che cara pazzia!... Ha detto semplicemente: Quale pazzia!... «Ho veduto dalla sommità di quelle torri questo mare azzurro che si confonde con il ceruleo dell'orizzonte, che si stende nella sua grande immobilità in lontananza e freme e spumeggia ai miei piedi; ho veduto quelle barche che sembravano giocatoli da quell'altezza, quel litorale sparso di ville e di paesetti, e Catania... Catania ove Pietro mi aveva tanto amato... «Vi fissai un lungo sguardo, non avvertendo le lagrime che bagnavano le mie guance. « - Che guardi? - mi domandò egli, come se mi avesse domandato: Perchè piangi? « - Catania! - risposi colla voce ancora tremante. «Egli sentì forse tutto quanto vi era di passione e di rimembranze in quella parola; e lo provò anch'egli fors'anche in quel momento, poichè soggiunse, come cedendo ad una generosa risoluzione: « - Vuoi che ritorniamo a Catania? «Non risposi e restai cogli occhi umidi e fissi sul golfo in fondo al quale biancheggiavano le cupole che indicavano la città, appoggiandomi al braccio di lui. Sentivo quanto vi era di nobile sacrifizio in quella proposta; ciò ch'escludeva l'amore, ch'era quello che mi bisognava. « - Dov'è Siracusa? - domandai poscia, come non accorgendomene, cedendo ad un intimo impulso. «Pietro mi additò un punto tra mezzogiorno e ponente, dietro il Capo Passaro che si vedeva distintamente, ove dovea essere il suo paese natale. « - Perchè non mi conduci a Siracusa piuttosto? - gli dissi gettandogli le braccia al collo, singhiozzando e fissando nei suoi i miei occhi brillanti di lagrime. Egli abbassò gli occhi, baciandomi le mani, e rispose, dopo avere esitato un istante: « - Se lo vuoi... « - No! Io non lo voglio... Ciò che io voglio è il tuo amore! il tuo amore sfrenato, ardente, quale lo sentivi per me, quale cerchi ancora come smanioso e non sai più trovare, quale io spero qualche volta illudendomi, e tento tutte le occasioni per travedere in te... e non m'accorgo, pazza, disgraziata ch'io sono, che tu non lo trovi... che tu hai la generosità, la nobiltà di fingerlo meco; ciò di cui senti rimorso;... e che tutto... tutto!... perfino le tue carezze, perfino i tuoi sacrifizii mi dimostrano che tu non senti più per me... « - Partiamo! - soggiunsi poco dopo strascinandolo pel braccio, soffocando l'emozione che sentivo prorompere nell'eccitazione della corsa, poichè mi sentivo morire. «L'ultimo raggio di sole rischiarava ancora i merli della più alta torre, e nell'abisso che dovevamo traversare era buio profondo; e gli echi ne erano mugghianti; e gli sprazzi di spuma biancheggiavano come giganteschi fantasmi. «Un momento mi sembrò che l'immenso fascino di quello spaventevole abisso attraesse l'abisso doloroso del mio cuore; che quei bianchi fantasmi mi stendessero le braccia come a prepararmi un letto eterno che dovesse accogliermi assieme all'uomo che adoravo tanto più freneticamente quanto più lo vedevo allontanarsi da me... Un momento il mio piede si stese sul precipizio e la mia mano strinse più forte la sua per allacciarlo in un modo che nulla sarebbe valso a rapirmelo mai più... « - No! no! gridò il mio cuore gemente: no!... ch'egli viva! ch'egli sia felice!... io non potrò mai essergli grata abbastanza dei giorni che mi ha dato, dei sacrifizi che ha avuto la bontà d'imporsi per me!... Ch'egli sia felice... anche con un'altra!... « Un'altra!... Ecco quell'idea terribile, sanguinosa, che mi ha attraversato il cuore come un ferro infuocato, e alla quale non avrei forse saputo resistere se ci avessi prima pensato... «Mi avvidi, quasi con gioia, come se fossi stata salvata da un immenso pericolo, che camminavamo sul selciato della strada. «Una o due volte, in quella notte agitata e febbrile passata al davanzale della mia finestra, ho avuto dei momenti di speranza, d'illusione, speranza tale che mi faceva mettere dei gridi di gioia, che mi faceva comprimere le tempia fra le mani, quasi le arterie che battevano di felicità, minacciassero di sconvolgermi la ragione... Egli mi avea proposto di accompagnarmi a Catania!... egli aveva avuto forse un istante d'amore per me!... dell'amore di una volta!... «Oh! Dio! Dio!... morire almeno in tal momento!... «Ieri volli uscire con lui; volli fare una passeggiata in barca. Egli prese i remi, ed entrambi, soli, ci cullammo nella piccola barchetta da pescatori su quelle onde azzurre come il cielo. «Quand'egli è solo, pensieroso, vicino a me... provo un momento di dubbio, d'incertezza... Mi pare di sperare, mi pare di averlo mio! tutto mio!... e che nulla abbia potenza di strapparlo all'amplesso frenetico delle mie braccia. «Appena fummo al largo egli lasciò i remi e venne a prendere la mia mano. «Lo guardai come non l'avevo mai guardato: sentivo che non potevo amarlo di più di quanto io l'amavo in quel momento; mi pareva impossibile ch'egli dovesse lasciarmi il dopodomani. «Egli baciava le mie mani, e sostava per guardarle in silenzio, come se avesse temuto di alzare gli occhi nei miei, e per tornare a baciarle... Le sentii umide delle sue lagrime. « - Pietro! - esclamai palpitante di una sublime emozione, mentre tutti i pori del mio cuore si dilatavano ad assorbire le inebbrianti emanazioni di una lusinghiera speranza; - ieri ti pregai di condurmi a Siracusa!... con te... «Egli non potè più frenare il pianto, e scosse la testa tristamente. « - Impossibile! - mormorò con un soffio appena intelligibile. « - Impossibile?... - ripetei radunando tutte le forze di cui mi sentivo capace; - e perchè, Pietro?!... « - Oh! grazia! grazia, Narcisa! - singhiozzò egli stringendomi fra le sue braccia, nascondendo la sua testa nel mio petto: - grazia!... io sono molto vile!!... «Era orribile a vedersi l'angoscia disperata di quel volto energico, l'annichilamento completo di quel carattere di bronzo. « - Sì, io son vile! io son colpevole! io sono infame!... - seguitò con voce delirante: - oh! grazia, Narcisa!... «L'amavo tanto che non sentii tutto lo spasimo sublime che quelle parole mi facevano provare: ebbi soltanto pietà di lui. «Lo abbracciai; piangendo anch'io; tremando convulsivamente del suo tremito; mischiando le mie labbra alle sue. « - Dillo! Pietro... dillo! - gridai con disperato sforzo di volontà, - tu non mi ami più!... tu non mi ami più come prima! «Egli rimase abbattuto, in silenzio, sulla panchetta della barca. «Quel silenzio durò cinque minuti. «Quando risollevò il volto fui atterrita dallo spaventevole pallore che copriva i suoi lineamenti solcati profondamente. « - Ascoltami, Narcisa! - cominciò egli con voce solenne, quasi calma: - io ho un sacro dovere di gratitudine verso di te... dovere che mi fanno care le reminiscenze che non potrò dimenticare giammai, e che formano ora il mio inferno... Eppure, te lo giurò sul mio onore, io non mi trovo colpevole... no!... che soltanto queste reminiscenze mi restino ora vicino a te... Tu hai il diritto di disporre di me, in tutto... Io sacrificherò al dovere quello che avrei sacrificato all'amore, e farò quanto è possibile all'uomo per renderti la tua felicità. Ho tanto provato di sì immenso nella voluttà del godimento, nel delirio dell'esser felice che forse all'uomo non è concesso di godere... e Dio mi punisce col soffiare su tutte quelle sensazioni che formavano il mio amore... che cerco invano da due mesi... e spegnerle per me. Nel tremito ardente dei tuoi labbri sul tiepore della tua pelle rosata, nelle nervose e convulse pressioni delle tue braccia, nel delirio fervente delle tue carezze; ho cercato invano un atomo, un atomo solo, di quello che provavo d'arcano, d'indefinibile, di più che terreno, quando, seduto sul lastrico della. strada, ti vedevo al verone, ciò che formava il delirio dei miei sogni; che nei primi trasporti del possederti, quando mi pareva di divenir folle per la felicità dell'amor tuo, io provai sino a quel parossismo del godimento che ci annienta, direi, nel godimento istesso, e che ci lascia sbalorditi della sua estensione. lo ho cercato invano questo profumo, questo vapore che ti circondava d'incenso come gli angeli, e in cui non osavo immergermi per timore di perdervi la ragione o di perdervi l'illusione... È duro, è crudele quello che dico... ma tu hai mente per apprezzarlo e cuore per perdonarmelo... come mi hai perdonato tutto quello che ti ho fatto soffrire da due mesi, che mi son rimproverato, e di cui il rimorso mi lacera... Quello che io piango, Narcisa, è l'amore che ho provato e che non posso più trovare... che cerco assetato per inebbriarmene, poichè la sete che ne ho è ardente, divoratrice, e che mi fugge sempre dinanzi come un fuoco fatuo... Io avrei paura, rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di quest'amore... e che tutto questo tesoro di diletti che trovasi in te, di cui m'abbeverai forse sino all'ebbrietà, non vada perduto dell'intutto per me! Oh! io ho paura di ciò, Narcisa!... poichè la speranza di riamarti un giorno come ti ho amato, m'impedisce che mi bruci le cervella, non avendo più nulla a godere sulla terra. Bisogna che io mi allontani da te per qualche tempo, ch'io torni a dubitare della felicità che ho goduto... ch'io dubiti della speranza fin anche di questa felicità, per esser pazzo di te come ero quando passavo le notti innanzi la tua casa senza sperare un'occhiata da te... bisogna che io ti vegga ancora lontana da me, in mezzo allo pompe del tuo lusso, all'incanto delle tue seduzioni, per cercarti ansioso, cieco, folle, come allora; e stendere le braccia, delirante, invocando un altro sorso di questa coppa fatata... a cui fui tanto stolto da bere troppo... «Egli non potè più proseguire, soffocato dalla violenza della sua commozione; tenendosi il petto colle mani increspate da una violenta contrazione; inginocchiato ai miei piedi; coll'occhio luccicante di una fosca luce sul pallore quasi tetro del suo volto; coi capelli irti sulla fronte madida di freddo sudore. «Quest'addio che quel cuore mi dava era grande, era sublime, come l'amore di cui m'aveva amato. «Lo sollevai fra le mie braccia; lo baciai in fronte, sentendomi ancor io fredda di sudore ghiacciato, provando una forte risoluzione che quelle parole infondevanmi, la quale correva al cuore, quasi con gli smarrimenti di una vertigine, insieme al sangue che da tutte le vene vi affluiva. « - Addio dunque! - gli dissi con una calma nella voce della quale io stessa ero atterrita: - Addio, Pietro!... «Egli cercò i miei labbri coi suoi freddi, tremanti d'angoscia e di voluttà. « - Addio!... gli mormorarono ancora i miei labbri palpitanti nei suoi. - E svenni fra le sue braccia.

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Ella stringeva più fortemente, sebbene con moto convulso, quella testa che abbracciava; e qualche volta i suoi labbri si agitarono come per baciare; e il sui capo si avanzava tentoni come se avesse voluto incontrare quello di lui;... e la sua pupilla appannata, vitrea, fissa, ebbe un lampo, un raggio di uno sguardo in cui balenava tutto l'ineffabile amore che l'agonia non poteva assopire in quel cuore. - Oh! Pietro! Pietro!... ti vedo!! - gridò esultante; con un accento indescrivibile che avea più dell'urlo dello spasimo che del trasporto della gioia; - m'ami?!... m'ami tu?!!!... E si rovesciò assieme a lui sul canapè vincendo, con uno sforzo disperato, miracoloso, la difficoltà di proferire, il torpore della mente, l'inerzia delle forze, l'agonia insomma. - Pietro m'ami ancora?! - Sì! sì! t'adoro!...- singhiozzò egli tentando inumidire l'aridità di quella pelle coll'umido dei suoi labbri, di scacciare il torpore di quelle membra, la pesantezza di quelle palpebre coll'impeto dei suoi baci; cercando trasfondere la vita che sentiva rigogliosa, giovane, potente in lui, nel soffio che alitava fra le labbra di lei violacee, semiaperte e convulse. - E non me lo dici perchè hai pietà di me?... e non me lo dici perchè io muoio?!... - seguitò ella aggrappandosi al suo collo, nelle convulsioni dell'agonia, con quel moto incerto e straziante del volto e delle labbra che cercavano il volto di lui per baciarlo. - Oh, no!... non ti ho mai amato come t'amo!... Narcisa!... Narcisa!... non mi abbandonare!... - Grazie!... grazie!... - mormorò la moribonda con un anelito interrotto che la stentata respirazione soffocava nella sua gola; - grazie!... oh! la vita!..., dottore, fatemi vivere... egli mi ama!!... io non voglio morire!!! - finì con accento straziante. E non potè più proferire, quantunque agitasse ancora penosamente le labbra, e alcuni suoni rochi e interrotti scappassero dalla sua gola arida. Ella rimase come profondamente assopita; riscossa di tratto in tratto da sussulti convulsivi: rivelando mille impressioni, ora deliziose ora tristi, nella mutabile espressione dei suoi lineamenti, in cui l'occhio soltanto, colla sua larga e lucida fissazione faceva prevedere la morte. Era orribile a vedersi la rapida decomposizione di quella fisonomia. Finalmente sopraggiunse il sonno. Pietro rimaneva, com'ella l'aveva attirato rovesciandolo nella sua caduta, ancora avvinchiato a quel corpo per tre quarti cadavere, e che aveva tuttavia i suoi ultimi moti convulsivi, gli estremi sforzi dei suoi rantoli, la disperata tensione della pupilla per lui; egli era come affascinato da quell'orribile spettacolo che impietrava le lagrime nel suo occhio ardente e dilatato quasi al pari di quello di lei. - Ma parti, disgraziato! - gli gridò Raimondo tentando strapparlo a quell'amplesso di morte; - non vedi che ciò ti uccide!... Pietro non rispose, e abbracciò più strettamente quel corpo inerte; in cui gli parve sentire un ultimo sussulto al suo abbraccio; mentre le mani gli parvero lo stringessero più tenacemente, come per ringraziarlo e non lasciarlo. Quell'agonia fu lunga, penosa, orrenda. A pena il medico, colla mano sul petto di lei a numerare i battiti del cuore, potè discernere il punto in cui il sonno del veleno si mischiò al sonno della morte. Pietro rimase istupidito come un pazzo; per un mese intiero. Il secondo rivide sua madre; poi gli amici. Un anno dopo ricomparve in società... Chi sa quante volte al giorno pensa a quest'ora a Narcisa, la donna ch'è morta d'amore per lui?!... Le splendide promesse del suo ingegno, che l'amore di un giorno aveva elevato sino al genio nella sua anima fervente, erano cadute con quest'amore istesso. Pietro Brusio è meno di una mediocrità, che strascina la vita nel suo paese natale rimando qualche sterile verso per gli onomastici dei suoi parenti, e dissipando il più allegramente possibile lo scarso suo patrimonio. Misteri del cuore!

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