Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222489
Misteri del chiostro napoletano 2 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
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Ad evitare il caso che la donzella palesi in quell'esame l'aborrimento suo allo stato che ha poc'anzi abbracciato per violenza dei parenti e per sobillamento del confessore e per amorosa disperazione, la diplomazia clericale decreta di strappare sull'istante lo scapolare alla giovinetta che sdrucciolato avesse in simili confessioni, e di sfrattarla dal chiostro nell'intervallo di 24 ore dicendole: "Vattene colla gente perduta! Indegna sei di convivere colle spose di Gesù Cristo!" Questo duro insulto, che nessuna ha il coraggio di affrontare, rende vano lo sperimento del noviziato, e fa sì che la donzella si trovi moralmente vincolata sin dal momento che ha preso il velo. Venne alfine l'ultimo e definitivo giorno. La mattina del 1° ottobre presentossi primo il canonico, che mi trattenne nel confessionale dalle 7 fino alle 11, ora in cui doveva darsi principio alla funzione. A poco a poco la chiesa si riempì di invitati: ne fu stipato perfino il portico. V'erano parecchi distinti personaggi, fra i quali un principe reale di Danimarca (attualmente regnante), condottovi dal general Salluzzi. Egli viaggiava da incognito, compiva appena il quarto lustro, ed era d'un'avvenenza peregrina. Tanto il generale che il principe, indossavano l'abito di gala, e portavano la fascia di San Gennaro. Dal cardinale Caracciolo fu cantato il pontificale, terminate il quale, gl'invitati rifluirono affollatissimi vicino al comunichino, ove io m'avanzava, fiancheggiata da quattro monache, con in mano delle fiaccole accese. Due di esse mi presentarono svolta una pergamena, portante in lingua latina la formula del giuramento, contornata da immagini di Santi in acquerello, e da indorati arabeschi. Doveva leggerla ad alta voce: la voce mi mancava. Incominciai a leggerla sommessamente: m'intesi dire: "Più forte!" Feci uno sforzo per alzar la voce, e pronunziare i quattro voti CASTITÀ, POVERTÀ, UBBIDIENZA e PERPETUA CLAUSURA.... La voce intoppò, e dovetti per un momento soffermarmi. In quel momento appunto, la candela accesa, che una delle monache teneva, scappatale di mano, cadde in terra e si spense. - Singolare augurio! Finita la lettura, vi apposi la propria firma, come fecero pure la badessa ed il cardinale. Frattanto nel mezzo del comunichino eravi disteso a terra un tappeto. Mi fecero coricare boccone su di quello, quindi mi coprirono tutta con una nera coltre mortuaria, portante nel mezzo un cranio ricamato. Quattro candelieri con torce ardevano a' quattro lati: la campana andava suonando lugubremente i tócchi dei morti, cui ad intervalli rispondevano alcuni gemiti, partiti dal fondo della chiesa. Poco appresso, il cardinale, voltosi verso di me, mi evocò tre volte colla seguente apostrofe: «Surge, quae dormis, et exurge a mortuis, et illuminabit te Christus!» cioè: O tu, che dormi nella morte, déstati! Iddio t'illuminerà! Alla prima invocazione le monache mi scovrirono dal mortuario drappo: alla seconda m'inginocchiai sul tappeto; alla terza balzai in piedi, e m'appressai al portello del comunichino. Un'altra frase latina, non meno mistica di quello che lo sia la precedente, mi percosse l'udito: «Ut vivant mortui, et moriantur viventes.» - La lingua morta del Lazio chiama tuttora morte la vita sociale: la lingua di Dante e dell'Italia rigenerata chiama al contrario morte la monastica inerzia. Alfine il cardinale benedisse la cocolla benedettina, che indossai sopra la tonaca, e poscia mi comunicò. Vennero allora a baciarmi prima la badessa, poi le monache tutte per ordine gerarchico; e, dopo una breve predica, la funzione terminò. Allora gl'invitati salirono al parlatorio, dove furono serviti di dolci e rinfreschi. Per aprir la porta e farmi ricevere le solite congratulazioni si aspettò che mi fossi un poco rasserenata. Intanto, per mezzo del generale il principe di Danimarca mi domandò, se era contenta d'essermi fatta monaca: alla mia risposta affermativa il suo volto si compose all'incredulità. Volle osservare la mia cocolla; era di lana nera con lunghissimo strascico, e larghe maniche: ultima ricordanza del monacato di madama di Maintenon. Usano le monache offrire un mazzo di rose artificiali al cardinale, ed un altro a ciascheduno dei vescovi che hanno assistito al pontificale. Ne presentai pur uno al principe, che accolse il dono con gentilezza. "Rose morte da una morta." disse a S. A. il mio benefattore. "Andiamo, generale" rispose colui: "Non reggo più nel vedere questa giovane, tanto barbaramente immolata." Uscita la gente, i ferrei cancelli del monastero tornarono a stridere su' loro cardini. D'allora in poi, mi separava dal mondo un baratro, secondo ogni apparenza, insuperabile. Non doveva più avere nè madre, nè sorelle, nè parenti, nè amici, nè sostanza alcuna; aveva abdicata perfino la mia personalità. Eppure nel fondo dell'animo mio sentiva vivo e palpitante ancora il sentimento, che mi muoveva a convivere, idealmente almeno, co' miei simili. Aveva fatto alla comunità il sacrifizio della mia persona, ma non già quello della mia ragione, che è un diritto inalienabile. Più alta di san Benedetto imperava nella mia coscienza la voce di Gesù Cristo, il cittadino dell'universo, il distruttore delle sètte, delle caste, degli associamenti parziali, il rinnovatore della famiglia, della nazione, dell'umanità, riunite in una sola legge d'amore e di conservazione.

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Queste osservazioni mi avevano persuasa che la non era contenta del suo stato, e che molto volentieri avrebbe abbracciato quello del matrimonio. La disgrazia della sua paesana e compagna le avea fatto una impressione spiacevolissima, e sempre che ne sentiva ragionare, stralunava gli occhi in modo da metter paura. Questo suo stato morale durò per alcuni mesi; se non che la follía che già prendeva radice, manifestossi in lei sotto una forma diversa, quella dell'ipocondria. Ritiravasi spesso in luoghi appartati per dar libero sfogo alle lagrime che l'opprimevano; fuggiva la conversazione e mormorava sola; non atteggiava mai la bocca al riso, obliava di leggieri gli ordini ch'io le dave, confondeva le medicine, e se entrava in discorso, lo faceva solo per indirizzare mille domande sulle strade di Napoli, sulla libertà personale degli abitanti, sulla beatitudine di coloro che ne possono godere, ed altre cose simili. A sgravio di coscienza, come infermiera, avvertii la badessa che lo stato di Concetta meritava attenzione, e chiesi un'altra conversa per la farmacia; poichè quella imbrogliava i medicamenti, perdeva il tempo a cambiarli dall’uno all’altro scaffale, ed attaccava il cartellino d'un farmaco al barattolo di un altro; conchiusi dicendo di non voler restare responsabile d'ogni disastro che potesse accadere.- Rispose l'inetta donna: "Sai, mo, che tu sei l'uccello del cattivo augurio?" Mi tacqui allora, nè più parlai sul conto di Concetta. Ma di lì a pochi giorni una contadina, sorella della stessa, avvedutasi di ciò che io pure aveva osservato, chiamava la badessa al parlatorio, onde pregarla di prendere in considerazione lo stato mentale della germana. - Rimase anche quest'avvertimento senza effetto. La balorda badessa ristringevasi a rimetter la inferma sotto la protezione della miracolosa Vergine dell'Idria, superiore patrona del convento. Poco dopo, una vecchia che dormiva con Concetta nella stessa stanza, le disse avere sul far del giorno veduta la sua compagna seduta sul letto, nell'atto di avvolgersi un fazzoletto alla gola, e soltanto le sue grida aver impedito che la si fosse strangolata di propria mano. "Stasera alle litanie farò dire quaranta volte ora pro ea," rispose la badessa. Un giorno di domenica, prima del levar del sole, molte monache stavano ascoltando la santa Messa. Si scende al comunichino per una lunga scala, che mena in un cortiletto umido, intorno a cui gira uno stretto corridoio a vôlta altissima, e sostenuto da pilastri.- Io scendeva per comunicarmi; era appena arrivata alla metà della scala, quando intesi un forte rumore, come di grave corpo caduto a terra. Mi coprii il volto colle mani: senza aver veduto niente, il pensiero mi corse all'ipocondrica Concetta. Scesi precipitosa, e trovai l'infelice in terra: me l'accostai, la credetti morta, e chiamai aiuto. Più di quaranta monache stavano riunite nel comunichino per la Messa: m'udirono gridare: nessuna uscì. Ne scese finalmente una, coll'aiuto della quale sollevai da terra la conversa, e l'adagiai sopra un seggiolone priva di conoscenza; indi, suonato il campanello della sagrestia, feci venire un prete per assisterla. Aveva la gamba sinistra lussata e tutta grondante di sangue. Era caduta a piombo sopra uno dei pilastri che reggevano la vôlta, così la polpa della gamba ne fu orribilmente straziata. - Appena potè articolare qualche parole, due facchini con manovelle passate sotto la sedia la portarono nella sua stanza. Il prete la seguì, ma dovette presto lasciare la camera, poichè la sventurata con un segno indicò che non lo voleva vicino a sè. Il luogo dove Concetta erasi gettata, era presso la chiesa. Le monache, dopo la Messa, uscendo dal comunichino, presero a strepitare intorno all'accaduto sì forte, che alla gente radunata in chiesa parve fosse avvenuta la ruina del monastero. Il sospetto venne confermato dal portamento del prete, che frettoloso e trambasciato se ne uscì di chiesa per entrare nel convento. Circa due ore dopo sopravvennero un ispettore di polizia e un cancelliere con uno stuolo di birri, per procedere all’accesso. La badessa vuol impedire l'entrata di quei profani nel chiostro, ma essi insistono a volervi penetrare. "Sapete bene signor mio, che senza ordine espresso del Santo Padre mi è vietato di ricevere nella clausura chicchessia, fosse pur egli lo stesso sovrano." "E voi, reverendissima, non dovete ignorare come l'ordine pubblico è superiore agli ordini che potete aver avuti da Roma." "Mi fate trasecolare. In qual modo pensate che nel mio monastero sia stato infranto l'ordine pubblico?" "Corre voce che una conversa sia stata precipitate con dolo e premeditazione dall'alto del secondo piano e miseramente infranta: nè manca chi questo turpe misfatto imputi a V. S. R." Figuratevi lo stupore della badessa! - Con mille inchini, li fece immantinenti entrare, ed ella stessa li condusse alla presenza di Concetta, la quale, alla scossa ricevuta dalla caduta, avea per poco ricuperata l'integrità della ragione. Subì essa l'interrogatorio con mirabile disinvoltura, e depose il vero, attestando di essersi precipitata da sè sola, e per irrefrenabile desiderio di morte. Domandata per qual ragione avesse attentato ai suoi giorni, ella, educata a' doveri religiosi più vivamente che non lo sono le donne secolari, trasse un profondo gemito, e provossi a rispondere; ma, o perchè inabile ad articolare suoni, o perchè pentita, si tacque: poi sbadigliò per modo da sgangherarsi le mascelle, stralunò gli occhi, respinse villanamente la mano dell'inquirente, e ricadde nella demenza. L'ispettore, steso il verbale, se ne partì. Ma tutto il peso di questa catastrofe non gravava sulla coscienza della badessa? Nel mentale turbamento che da più mesi travagliava quella misera, non era dover suo di farla assiduamente sorvegliare? Contiguo alla stanza dell'alienata eravi un camerino destinato a guardaroba; ivi fu trovata una fune con un nodo scorsoio in mezzo, ed in un prossimo ripostiglio si rinvenne inoltre un cartoccino di veleno. Era chiaro ch'ella aveva titubato intorno al genere di morte da scegliere, sospesa fra l'arsenico ed il capestro. Di lì a poco venne il cardinale Riario Sforza, esaltato recentemente alla sede arcivescovile di Napoli. Egli apostrofò acremente la badessa, sì per aver menato tanto scalpore male a proposito, sì per aver permesso a' poliziotti di violare colla loro presenza il sacro rifugio delle vergini. "Sapete voi," le disse in tuono severo, "qual sia rispetto ai chiostri l'opinione dei sedicenti filosofi e liberali? Credono essi che nei vostri recinti regnino il rimpianto e la disperazione, ossia, che tutte le vostre monache siensi pentite del loro stato. Or voi, colla pubblicità data ad un fattarello di sì lieve momento, non avete forse dato appiglio alle calunnie del secolo? Se il monastero non è una tomba come i santi canoni la richieggono, perchè ne porterebbe dunque il nome? I vivi non devono sapere giammai le intime peripezie del sepolcro." L'infelice Concetta sopravvisse altri venti giorni, finchè la gamba non le si cancrenò. Non mi dipartii dal suo fianco altro che al tócco della campana ogni mattina e sera, nè cessai di prodigarlei doverosi conforti di carità. Spesso l’udii mormorare da sè sola, tal altra volta la vidi conformare il sembiante a mesto sorriso, benchè afflitta da doglie acerbe. Da alcuni tronchi accenti compresi che la poveretta trovavasi in un critico stato, che voleva con la morte nascondere. Supina sul letto di morte, con gli occhi inchiodati al soffitto, sovente diceva con sè stessa: "Sì..... se la morte non giungerà sollecita..... inevitabilmente tradita....... già il seno........ maledetto!...... scomunicato!.... vattene alla malora, nè mi parlar di Cielo e di Madonna; se la Madonna soccorre gli sventurati, perchè dunque non viene in soccorso a me ed alla creatura che mi sento nelle viscere?" Favellò il più delle volte d'un giovine dagli occhi neri, che era stata solita di vagheggiare dal finestrino presso la chiesa, nè si lasciò persuadere a ricevere il prete e i Sacramenti. Abbandonata alla più cupa, disperazione non cessò di ripetere le mille volte ch'ella era irreparabilmente dannata. Orride, strane allucinazioni sopravvennero a funestarle gli estremi istanti. Di notte tempo mentre tutte dormivano, tranne due o tre che vegliavano al suo fianco, gridava: "Questo luogo è infestato da' demonii.... eccoli là.... li veggo.... uno per uno! Ohè, perchè tu in codesto angolo fai mille sberleffi? E tu in codest'altro, perchè scuoti le pareti, urtando colle corna la soffitta?" Altre volte diceva: "E voi, anime innocenti, non contaminate d'impurità, fuggite, involatevi presto dal mio contatto! Se ne usciste macchiate, ohimè, non basterebbero tre anni di penitenza a purgarvene!" Le monache perfettamente convinte che la delirante fosse ossessa da spirito maligno, pensarono di farla esorcizzare da un monaco crocifero; nè è a dire l'universale spavento all'idea che il monastero fosse invaso da' demonii. L'esorcismo fu praticato con imponente solennità, ma non ebbe alcun effetto. Le monache tutte affollate nel luogo della cerimonia, e facendosi continuamente segni di croce, si aspettavano a bocca aperta di veder sbucare dal corpo dell'invasata la figura di Satanasso; ma la curiosità loro fu delusa: non era ancor vicino il nono mese. Il sacerdote non potè entrare nella stanza per recitare qualche prece, se non nel solo momento in cui l'infelice esalava lo spirito. Restitui essa l'anima al Creatore intorno al vespro. La beltà che nell'assenza della ragione erasi spenta, riapparve commovente sull'esanime spoglia di quella infelice. Quale serenità rifluì allora sulle sue fattezze, insino a quel punto sconvolte dalla follía, tramutate dall'occulto cordoglio! Era sul tramonto. Un raggio di sole morente, dardeggiato traverso le imposte della finestra, venne per un momento a posarsi sul sembiante della morta, a baciarle tremolando la punta delle ciocche..... Anche quel messaggiero della divina misericordia un momento appresso era scomparso! Ella se n'era ita libera: io rimaneva. Sfogliai un mazzo di purpurei garofani, e ne versai un pugno sul corpo della defunta.

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