Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbracciate

Numero di risultati: 14 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Il Galateo

181443
Brunella Gasperini 1 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
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. - Non abbracciate il guidatore e non lasciatevi abbracciare: si sa che l'amore è cieco, ma appunto per questo in automobile non va bene. - Non chiedete l'auto in prestito: sono pochissimi gli spiriti liberi che possono prestarvi l'automobile senza inenarrabili angosce. È più facile trovare chi presta la moglie.

Pagina 168

L'angelo in famiglia

183233
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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La figliuola è tentata qualche volta, e turbata dall'angelo delle tenebre, il quale fa ogni sua possa per invogliarla dei beni terreni come già faceva cogli Ebrei ricordando loro le cipolle d'Egitto, quand'erano miracolosamente cibati dalla manna caduta dal cielo; ma essa si confida alla madre e questa dissipa ogni nube su quella fronte candida, ritorna il sereno nell'animo suo, e strette ed abbracciate teneramente l'una all'altra, si ripetono: Chi più di noi è felice? Non è poesia questa, no; non è immaginazione; è realtà, e chi s'attentasse di negarla, proverebbe una volta di più l'assoluta sua ignoranza del cuore umano sul quale ha tanto benefica influenza l'aria che spira dentro le mura della propria casa, da non trovare riscontro alcuno in verun altro luogo all'infuori della casa del Signore. Se tu ne facessi la prova certo converresti meco pienamente, e senza rimpianto diresti per sempre addio ai teatri, ai balli, alle conversazioni, al lusso, a tutto quanto tenta portarti fuori delle tue pareti, fuori delle abitudini pacifiche nelle quali trovi ineffabili soddisfazioni. Il nostro Iddio si trova dappertutto, è di fede, e tu lo credi fermamente: però dov' Egli si trova più specialmente come padre, come amico, come consolatore, si è nella casa sua e nella casa nostra, voglio dire in chiesa dove risiede Sacramentato, e nella nostra famiglia in cui risiede colla sua benedizione, colla sua protezione, colla sua pace. Amiamo assai assai il nostro buon Padre che è ne' cieli; amiamo assai assai le domestiche pareti che sono l'asilo naturale da Lui stesso destinatoci, e la pace e la tranquillità si serberanno a noi imperturbate nelle circostanze varie e fortunose dell'esistenza. Oh! damigella mia cara, qualunque sia la tua condizione, bassa o elevata, agiata o ristretta, concentra i tuoi affetti, i tuoi diritti, i tuoi doveri, i tuoi bisogni intorno al focolare, a quel focolare che solo ha virtù di distruggere il male e di alimentare il bene. Gli altri focolari operano all'inverso, fomentano il male, distruggono il bene. Perfino i Pagani ponevano i loro Penati (Alari) accanto al focolare domestico, e li consideravano come protettori dell'affetto vicendevole, della buon'armonia, dei doni più eletti. Starai ancora in forse nella scelta? Se il tuo cuore è nobile e gentile, potrai tu paragonare la gioja e l'orgasmo di una veglia danzante, d'una conversazione pericolosa, di un lurido spettacolo, alla gioja pura e santa di un bacio tenerissimo della tua mamma; alla soddisfazione vera ed intima di essere stata utile ad essa od agli altri di casa; ad un grazie del tuo genitore? Oh! s'io ti potessi innamorare della ritiratezza, della vita semplice, operosa, casalinga, sarei largamente compensata delle pene che provo in dettarti questi consigli, nel timore incessante di non presentarti la verità sotto il suo vero aspetto bello, doveroso e ripieno di consolazione e di pace! Quanta benedizione troverai nelle domestiche pareti! Che se tu, pur avendo un affetto sviscerato all'intimità, alle gioje di famiglia, sarai alcuna volta obbligata a portarti fuori di essa, a partecipare ai divertimenti tumultuosi del mondo, lo farai senza attacco, senza passione, non altrimenti del pellegrino che, assaggiati i datteri dolcissimi del deserto, non dimentica per essi la patria, non li rimpiange un sol punto allorchè gli è dato tornare al proprio paese; ma anzi pur accostandoseli alle labbra, pensa al pane della sua casa, ed essendo col corpo lontano da essa, vi ha lasciato e vi cerca il suo cuore. Dentro le pareti domestiche si risvegliano mille soavi ricordanze, si ridestano è vero con esse antichi dolori di amarissime perdite; ma ad esse vanno uniti i più santi affetti, le più soavi emozioni. Perfino i mobili vecchi e sdrusciti della casa dove siamo nati, e di quella in cui ci colloca la Provvidenza, ci tramandano un'eredità preziosa di rimprovero e d'incoraggiamento; e, gli è fuor d'ogni dubbio, chi rispetta ed ama teneramente la propria casa ha un animo ben fatto, capace di nobile slancio, di eroiche azioni; egli potrà forse dimenticare per poco l'Iddio suo, ma l'Iddio suo lo protegge, e risiede nella casa ch'egli ama; Egli, non tarderà motto, lo ritornerà alla sua fede, all'amor suo. Oh! amale, amale sempre teneramente e sopra ogni più sontuoso palazzo le domestiche pareti; fa che ad esse si attacchi una memoria, la quale tardi ti sia d'incoraggiamento, non di rimprovero, ed avrai assicurato la tranquillità alla tua coscienza, la pace al tuo cuore, l'eterno godimento all'anima tua.

Pagina 753

Nuovo galateo

189690
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Potete schermirvi dall'accettare : 1° In generale, quando il pranzo tende a sottoporvi a lacci ed obblighi che non v'aggradano o non vi convengono; allora il pranzo si riduce ad un contratto nel quale v'ha lesione dalla vostra parte; 2° In particolare, in tempo di partiti; giacchè un pranzo accettato fa supporre che abbracciate le opinioni del padrone o de'commensali, il che talvolta può,cagionarvi pericoli o molestie, secondo che dagli altrui giudizi la vostra sorte totalmente od in parte dipende. II. Accettando inviti vi piegherete agli usi delle famiglie, come se ne foste membro: non vi frammischierete nelle faccende della casa; non mostrerete scontento, se i riguardi non corrispondono al vostro merito, più alle disposizioni dell'altrui animo badando che alle cose. Plutarco racconta che uno di questi sublimi personaggi che dal contatto de'loro simili restano offesi, e credono di non poter respirare fuorché in un posto superiore agli altri, essendosi presentato alla porta d'un convito , e non vedendovi luogo distinto per esso, tornò indietro, il quale motivo noto ai commensali diede occasione ad uno di essi di dire che quast'uomo stava meglio sulla porta che alla mensa. III. Non pretendete alla mensa posto distinto, il che offende l'altruivanità, e può esporre al ridicolo il vostro orgoglio. Guys racconta che trovandosi in Olanda a pranzo da un mercante, ad un segno dato dal padrone, pria che si portassero le vivande, fu fatto subito silenzio. Non avendo egli inteso quel segno, perchè non conosceva gli usi del paese e sembrandogli che la conversazione fosse stata colpita da paralisia, volle rianimarla con una quistione. Sorrisero tosto e in faccia a lui gli astanti senza rispondergli. Uno sguardo espressivo del padrone lo fece accorto della inavvertenza. Egli aveva interrotta la preghiera che gli Olandesi non ommettono di fare si al principio che alla fine del pranzo. IV. Non ispiegare la tovagliuola nè mettere mano ai piatti, avanti che il padrone o il personaggio più rispettabile non ne abbia dato l'esempio. V. Aspetta che gli altri si servano prima di te, senza però volere a tutta forza restar l'ultimo, se essi si oppongono; i quali contrasti non succedono, allorchè si suole mandare in giro il piatto comune, affinché ciascuno, dopo essersi servito, lo faccia passare al vicino. VI. Accetta di buona grazia e senza smorfie, riserbandoti il diritto di mangiare sol quanto ti abbisogna, non quanto ti é dato; giacchè in nessun caso ti corre l'obbligo di esporti ad una indigestione per far piacere agli altri. Non farai passare ad altro convitato la vivanda, il liquore, il caffè che a te direttamente viene offerto dal padrone o da chi ne fa le veci; giacché altrimenti adoperando gli fai tacito rimprovero di violata convenienza o mancanza di riguardi. VII. Prendi quanto t'abbisogna in una sola volta, non a più riprese. VIII. Non mostrar predilezione particolare per una vivanda o per un'altra; né parlar molto di esse, il che sa troppo di sensuale e di voluttuoso. La storia non ha sdegnato di ricordare che l'imperatore Claudio, assistendo alle pubbliche aringhe in non so quale causa , interruppe gli oratori con un elogio della carne di porco, di cui era ghiottissimo. Un'altra volta l'odore d'un pranzo che da' sacerdoti Salii preparavasi nel tempio di Marte, essendo giunto alle sue narici, egli abbandonò il tribunale e andò a porsi a mensa con essi. IX. Non censurare le vivande, se non ti vanno a genio, o se qualche sbaglio successe per inavvertenza del cuoco. Certo Valerio Leone avendo invitato Cesare a pranzo in Milano, comparvero sulla mensa degli asparagi, nel condimento de'quali, in vece d'olio d'ulivo, altro olio era stato frammisto. Cesare ne mangiò senza dar segno d'essersi accorto dello sbaglio, e censurò i suoi amici che se ne mostravano offesi, dicendo loro che doveva bastare ad essi di non mangiarne, se ciò recava loro nausea, senza farne vergogna all'albergatore; e soggiunse che chi di questa inciviltà lagnavasi, dava prova d'essere più incivile egli stesso. X. Non scegliere i bocconi migliori , e soprattutto non istendere le braccia ai piatti più distanti. XI. Non magnificare i pranzi che ti furono dati in altra casa, essendo che il subito confronto può offendere il padrone. XII. Non movere sovente e senza bisogna i piedi o la testa da una parte o dall'altra. XIII. Tossire, sputare, pulirsi le nari, meno che sia possibile; e guardarsi bene di prendere tabacco. XIV. Non piegare il capo sulle vivande; ma solo un poco la testa quando dovrai portare alla bocca le cose liquide; e non imitare que' filosofi di cui parla Luciano, i quali s'abbassavano, e con tanta attenzione, sui piatti, come se vi cercassero la verità , e mostravano di volere

Pagina 113

Saper vivere. Norme di buona creanza

193513
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
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Se avete un gaio ritrovo di amici, andateci subito e passate, così, il fatidico momento della mezzanotte, e abbiate una emozione di allegria, non una emozione di ricordi: se avete un elegantissimo ritrovo mondano, dove sapete di trovare della gente molto simpatica, un vostro amabile flirt, un amico spiritoso, andateci subitissimo a flirtare e bevete dello champagne e abbracciate lietamente l'amico: evitate la solitudine: evitate i ricordi: non guardate gli antichi ritratti non guardate nei cassetti che da tempo non avete aperti: la tentazione è grande, ma vincetela, se no, voi rimpiangerete troppo il passato e finirete per piangere. Ciò è di pessimo augurio! E nel giorno di Capo d'Anno, abbiate la ferma volontà di esser sereno: di non trovare troppo meschino il dono che vi si fa e di non badare al dono che manca: di accogliere bene ogni più umile voto: di contentarvi di quanto la vita vi dà: di non aver nervi: di compatire ai nervi altrui: di aver della bonomia nel cuore e dell'equilibrio nella mente: di perdonare ogni capriccio e di non aver capricci: di lasciarvi andare quietamente alla corrente dell'esistenza, senza trovarla né troppo buona né troppo cattiva. Fate le visite che più vi piacciono: abbiate una filosofia ottimista o, almeno, uno scetticismo giocondo. E rammentatevi che chi sa vivere un giorno, sa vivere un anno, e che un anno può governare tutta la vostra vita.

Pagina 149

Marina ovvero il galateo della fanciulla

193784
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
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Aveva sempre abiti vistosi, da farsi scorgere a distanza, le mode più strane erano tosto abbracciate. Sembrava una caricatura, camminava a cadenza, a ondulamento per far fruscire lo strascico di ampie vesti, rilevando i fianchi rigonfi, agitando il capo, su cui svolazzavano penne, fiori, nastri di tutte specie. Sicchè qualunque passasse anche lontano, era impossibile che non si volgesse a guardarla, del che provava visibile diletto. Eppoi a ogni persona che vedesse, aveva a dir la sua; quella signora là ha una veste presa dal rigattiere; quest'altra ha un cappello all'antica, e via su questo andare, e poi giù una ghignazzata; nè diceva mica sottovoce, ma forte da farsi udire da tutti. Se passava una brigata di giovinotti, codiava coll'occhio se era osservata, e lì a dire: e quegli ha guardato me; e questi è il tale; e l'uno aveva visto a un ballo, e l'altro a una festa, e qualche volta guardava così fisso in faccia chi avesse già incontrato in qualche luogo, da farsi salutare ad ogni costo, e salutata, si sprofondava in inchini senza modestia, e senza garbo. Simile procedere a Marina non garbava nè punto, nè poco; perchè era contro quella vereconda e modesta dignità, che devono essere la bellezza della fanciulla. Ella poco s'occupava delle mode e delle genti che passavano, lieta della compagnia, con cui si trovava, non pensava ad altro. Se era salutata rispondeva con un modesto e benevolo inchino e passava oltre, perchè nel salutare, come si disgustava di quel gittarsi via di Gemma, non approvava nè anco quelle che forse per un'esagerata ritenutezza, o non rendono il saluto, o se lo rendono, lo fanno con tanta fierezza e mal garbo, che par che paventino un'insidia o un attentato all'onore nella scappellata di chi passa, e lo guardano con un piglio che dice: chi è questo baldanzoso che osa salutarmi? A questo proposito scrive un bizzarro novellatore che in una città della Francia, le donne per mostra di virtù e di onestà, avevano stabilito di atteggiarsi a un'aria dispettosa, arcigna e fiera, quando venivan salutate da un uomo. Perilchè tutti gli uomini a loro volta pigliarono il partito di non più salutarne alcuna, anzi sfuggirle quando le vedevano; onde non tardarono esse ad avvedersi del mal consiglio, e si dolsero del fatto degli uomini come di uno sfregio alle loro bellezze.

Pagina 89

Otto giorni in una soffitta

204643
Giraud, H. 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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. - Teneramente abbracciate, la giovane donna e la bambina scendono con Matù e con la bambola. - Chissà Leonia come sarà sorpresa quando ci porterà la merenda! - E Maria, quando ritornerà! - Leonia entra nella camera della signora d'Aufran col vassoio, che posa subito, prudentemente, prima di stupirsi della presenza della piccola sconosciuta. - Io credo - le spiega la giovane donna - che potremo ora rassicurare Maria sulle sue visioni. I miei bambini hanno adottato questa bambina, Leonia. - Ma questa - dice Leonia - è la figlia della povera signora che stava dalla vecchia Duflet. - Sì, Leonia. - Ma com' è andata? - La signora d'Aufran racconta in poche parole a Leonia quello che è accaduto. La cuoca non è sorpresa, perchè conosce la reputazione poco buona della mamma Duflet, che è cattiva e interessata. - La povera signora è stata molto disgraziata a cascare da lei. Essa se la ricordava come una vecchia domestica devota, e fu per questo che ci venne; ma l' altra non pensava che a ciò che le avrebbe fruttato la presenza in casa sua della giovane signora. Perciò era diventata furibonda di aver a carico anche la, fanciulla e di non aver ereditato nulla o quasi nulla, mentre aveva sperato molto. - Via, dimentichiamo quella donna cattiva, - dice la signora

Pagina 121

Angiola Maria

206988
Carcano, Giulio 1 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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E mentre tenevansi soavemente abbracciate, le anime loro erravano negli amorosi pensieri e nelle divine fantasie, che non si risvegliano fuorchè in mezzo a que' luoghi felici, nell'ora splendida del meriggio, mentre al disopra de' casolari d'ogni paesetto del lago vedi levarsi, come nuvoletta sottile, una lunga striscia di fumo, e dai campanili delle chiese sparse sulle montagne odi echeggiare in un aereo concerto il sacro saluto del mezzogiorno. Così stettero per qualche tempo ad ammirare quel delizioso paese, che col suo grande e variato spettacolo di movimento e di quiete, colla sua superba armonia di cielo, d'acque e di monti, ampiamente presentavasi dinanzi a' loro sguardi. Poi, quasi mosse da uno stesso pensiero, gli occhi loro s'arrestarono su quel mucchio di case che formano la terra di ****, cercando sul pendio del piccolo promontorio una casa nota, la quale sorgeva più in alto dell'altre, all'ombra d'un verde poggio. Stettero fisse per lunga pezza alle finestre di quella casa; era là che il loro Arnoldo dimorava. Ma quelle imposte non s' apersero; e per quanto Elisa e Vittorina cercassero con gli occhi, nulla poteron vedere. « Temo che neppure quest' oggi non gli possiam dire una parola, » cominciò allora Elisa. « Fors' egli va errando su per la montagna, » soggiunse la sorella. « O forse.... non è più qui! » « Oh non lo credere! » E poi, come colpita da un'idea: « Vuoi tu sapere s'egli è qui? Poniamci a cantare! Egli ne sentirà, si getterà in una barca, raggiungerà la nostra, e noi saremo tutte contente. A te! » « Ma se nostro padre, di lontano, ci scoprisse?... » « Eh! vuoi che ne proibisca di cantare? E poi, scommetto che adesso è già immerso nella lettura de' suoi eterni giornali: jeri n'ha ricevuto un grosso piego da Londra; certo, per tre o quattr' ore non sente più nulla: dorme nella sua politica. » « Or bene? » « A te dunque! Canta la romanza che quel giovine italiano ha scritta l'anno scorso sul tuo albo. È così patetica, e piace tanto ad Arnoldo! » Elisa non voleva: ma Vittorina, stringendosele più vicino con quel suo vezzo leggiadro, ne la pregava con un bacio. - Ed Elisa cantò. IL RICORDO. CANZONE DI ELISA.

Pagina 36

L'uccellino azzurro

213520
Maeterlink, Maurice 1 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Presto, abbracciate i bambini.... IL Fuoco (precipitandosi innanzi) Prima io, prima io.... (Abbraccia con violenza i bambini). Addio, Tyltyl, addio, Mytyl!... Addio, cari bambini.... Ricordatevi di me se per caso avete bisogno di qualcuno per appiccare il fuoco in qualche luogo.... MYTYL Ahi! Ahi!....Mi brucia!... TYLTYL Ahi! Ahi!... Mi brucia il naso!... LA LUCE Via, Fuoco, modera un po' la tua foga.... Non hai mica che fare col tuo focolare.... L' ACQUA Che sciocco!... IL PANE Si può essere più maleducato di così?... L'ACQUA (avvicinandosi ai bambini) Io vi abbraccerò teneramente, bambini miei, senza farvi male.... IL Fuoco Attenti, vi bagna!.. L'ACQUA Sono tenera e dolce: sono buona con gli Uomini.... IL FUOCO Anche con gli annegati?... L' ACQUA Vogliate bene alle Fontane, bambini; ascoltate i Ruscelli.... perchè io abito là.... IL Fuoco Ha inondato ogni cosa!... L'ACQUA Quando vi riposerete, la sera, vicino alle sorgenti, - ce ne sono tante, qui, nella foresta - sforzatevi di comprendere quello ch'esse cercheranno di dire.... Io non posso più.... le lacrime mi soffocano.... m'impediscono di parlare.... IL Fuoco Non si direbbe!... L'ACQUA Quando vedrete la boccia dell'acqua ricordatevi di me.... Mi troverete anche nella brocca, nell'annaffiatoio, nella cisterna e nella fontanella.... Lo ZUCCHERO (ipocrita e dolciastro) Se c'è ancora un posticino vuoto nella vostra memoria, ricordate qualche volta che la mia presenza fu Alce un giorno per voi.... Non posso aggiungere altro.... Le lacrime non si confanno al mio carattere, e quando mi cadono sui piedi mi fanno un gran male.... IL PANE Gesuita!... IL Fuoco (mugolando) Zucchero d'orzo!... Caramella!... TYLTYL Ma dove sone andati Tylette e Tylô?... Che cosa fanno?... (Si odono intanto le grida acute della Gatta). MYTYL (allarmata) È Tylette che piange!... Qualcuno certo le ha fatto male!... (La Gatta entra correndo con i peli irti, spettinata, con la veste strappata, premendosi il fazzoletto sulla guancia, come se avesse mal di denti, e gemendo rabbiosamente; mentre il Cane la rincorre dandole pugni, calci e testate). IL CANE (picchiando forte la Gatta) Tieni!... Ne hai abbastanza?... Ne vuoi ancora?... To', to'!... LA LUCE, TYLTYL e MYTYL (precipitandosi per separarli) Tylô!... Sei impazzito?... Che diavolo fai?... Giù, a cuccia!... Finiscila!... S'è mai vista una cosa simile?... Aspetta!... Aspetta!... (Separano con energia i due contendenti). LA LUCE Che c'è? Che succede?... LA GATTA (piagnucolando e asciugandosi gli occhi) La colpa è del Cane, signora Luce.... Mi ha ingiuriata, mi ha messo dei chiodi nella minestra, m'ha tirato la coda, m'ha picchiata, mentre io non avevo fatto nulla, proprio nulla, ecco!... IL CANE (rifacendole il verso) Proprio nulla, proprio nulla? (A bassa voce, facendole una sberleffa). Non importa; ne hai toccate, ne hai toccate, e di quelle buone e ne avrai dell'altre!... MYTYL (stringendo la Gatta fra le braccia) Dove ti ha fatto male, mia povera Tylette? Ora mi metto a piangere anch'io.... LA LUCE (al Cane, con accento severo) La tua condotta è tanto più riprovevole in quanto che hai scelto, per darci questo triste spettacolo, il momento, già, tanto penoso per se stesso, in cui stiamo per separarci da questi poveri bimbi.... IL CANE (la cui ira svanisce a un tratto) Stiamo per separarci da, questi poveri bimbi?... LA LUCE Sì, sta, per scoccare quella tale ora che già, sapete.... Fra poco rientreremo nel regno del Silenzio.... Non potremo più rivolgere loro la parola.... IL CANE (urlando a un tratto disperatamente e gettandosi sui Bambini, che copre di carezze violente e tumultuose) No, no!... Non voglio!... Non voglio!... Io parlerò sempre!... D'ora innanzi mi comprenderai, non è vero mio piccolo dio?... Sì, sì, sì!... E ci diremo sempre tutto, tutto, tutto!... Sarò buono, vedrai.... Imparerò a leggere, a scrivere e a giocare a domino!... E mi terrò sempre pulito.... E non andrò più a rubare in cucina.... Vuoi che faccia qualche cosa di eccezionale?... Vuoi che abbracci la Gatta?... MYTYL (alla Gatta) E tu, Tylette?... Non ci dici nulla?... LA GATTA (fredda, enigmatica) Io vi voglio bene a tutti e due, secondo i vostri meriti.... LA LUCE E ora, bambini miei, tocca a ma di darvi l'ultimo bacio.... TYLTYL e MYTYL (aggrappandosi alle vesti della Luce) No, no, no, non andartene, cara Luce!... Rimani qui con noi!... Il babbo non dirà nulla, vedrai.... Diremo alla mamma che sei stata tanto buona con noi.... LA LUCE Non è possibile, purtroppo.... A noi non è concesso di oltrepassare quella porta, e debbo TYLTYL E dove andrai, così sola sola?... LA LUCE Non andrò molto lontano, cari bambini: vado laggiù, nel paese del Silenzio delle cose. TYLTYL No, no, non voglio!.... Veniamo con te.... Dirò alla mamma.... LA LUCE Non piangete, cari piccini.... Io non ho la voce, come l'Acqua; ho soltanto il mio splendore, che l'Uomo non sa vedere.... Ma veglierò lo stesso su di lui fino alla fine del mondo.... E a voi parlerò da ogni raggio di luna che si diffonde all'intorno; sarò in ogni stella che vi sorriderà, in ogni aurora che si alzerà nel cielo, in ogni lampada che si accenderà, in ogni pensiero buono e luminoso che sboccerà nella vostra anima.... (Suonano le otto, dietro il muro). Sentite!.. Scocca l'ora.... Addio! La porta si apre!... Entrate, entrate, entrate!... (Spinge i bambini nel vano della porticina che si è aperta, e che ora si richiude dietro di loro. Il Pane si asciuga una lacrima furtiva: lo Zucchero, l'Acqua, tutta in lacrime, e gli altri fuggono a precipizio e spariscono a destra e a sinistra, fra le quinte. Urla del Cane, da un angolo. La scena rimane per un istante vuota; poi il fondo, che rappresenta il muro entro il quale si trova la porticina, si apre nel mezzi. e scopre l'ultimo quadro).

Mitchell, Margaret

221168
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Un attimo dopo era fra le braccia di Rossella ed entrambe sedevano sul letto, strettamente abbracciate, con le lagrime dell'una che bagnavano le guance dell'altra. Anche Rossella piangeva adesso di un pianto doloroso. Ma quanto era peggio non piangere! «Ashley è morto» pensava «e sono io che l'ho ucciso perché lo amavo!» I singhiozzi la sopraffecero; e Melania, trovando un certo conforto in quel pianto, si strinse maggiormente a lei. - Almeno - bisbigliò - almeno... ho il suo piccino. «Ed io» pensò Rossella, troppo colpita adesso per poter essere gelosa «non ho nulla... nulla... nulla... eccetto l'espressione del suo volto quando mi disse addio.»

Pagina 299

Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222460
Misteri del chiostro napoletano 1 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
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Restammo entrambe abbracciate per qualche tempo senza dir motto. Alfine riprendendo essa il discorso, e sul mio capo poggiando la santa reliquia, che pendeva al di lei collo: "Sta' tranquilla, figlia mia," mi disse. "Iddio e il nostro patriarca ti sosterranno in questo sagrifizio. Pregherò dalla mattina alla sera per farti venire la vocazione che ti manca, e sarò esaudita." Volle da me la promessa di non ripetere a chicchessia gl'incidenti di quella notturna conferenza, e lo promisi. Il mio sagrifizio da quel momento era consumato: mi considerai una vittima. L'ingresso del giornalismo è interdetto nel convento. Ciò nondimeno, tiratami il canonico in disparte la seguente mattina, mi pose sott’occhio due giornali, umidi ancora dalla stampa, ove davasi al pubblico la notizia della mia deliberazione. Dicevasi in uno di quei fogli: «Ci facciamo solleciti di partecipare un fatto, che a' devoti d'ogni classe recherà piacere. Una delle figlie del defunto e compianto maresciallo Caracciolo, la signorina Enrichetta, de' principi di Forino, giovine di rara pietà, si è determinata di ripudiare la vanità del mondo, per prendere il velo nel monastero di San Gregorio.» Portava l'altro diario, organo ben noto della pretesca consorteria: «Il campanello di San Benedetto ha tornato a risuonare poc'anzi, e questa volta per conquistare all'angelica regola Benedettina un'altra Caracciolo in età tenera, e discendente in linea diretta da san Francesco dello stesso cognome. Questa giovinetta, che somma reluttanza avea mostrato nell'abbracciare lo stato monastico, ora, per essere stata evocata durante il sonno dal suddetto miracoloso campanello, ha formalmente espressa la sua intenzione di farsi monaca..... Empi e miscredenti, favete linguis animisque!» Intanto mia madre non mi scriveva. Le indirizzai una lettera; un'altra ne scrisse mia zia per annunziarle la mia risoluzione di farmi monaca. Rispose non volerlo affatto permettere, e per molti mesi oppose la più ostinata resistenza. Era suo intendimento, diceva, di maritarmi a persona di suo aggradimento, nè mi avrebbe ritenuta nel chiostro, se non infino a che tale opportunità si presentasse. Se non che, soggiunse mia zia, non poteva essa opporsi ai decreti della Divinità. Questi decreti per altro non potevano effettuarsi immediatamente. Al mese d'agosto del 1840 non aveva ancora raggiunta l'età disciplinale per vestirmi monaca; compiva vent'anni nel 1841. Si dovette perciò attendere sino al mese d'ottobre di quest'ultimo anno, ossia un intervallo di venti mesi dopo il mio primo ingresso nel chiostro. Questo tempo fu dalla comunità dedicato ad apparecchiare a spese mie..... i confetti pel giorno della festa. Frattanto mia zia che per un intero decennio aveva esercitato le funzioni di badessa, fu surrogata da un'altra Caracciolo, donna piuttosto burbera e rigorosa. Questo rigore, contrapposto alla soverchia affabilità di mia zia, fece sì che malcontente ne uscissero tutte le monache. Quaranta giorni prima della mia vestizione fu deciso, per contentare mia madre, ch'io passassi questo spazio di tempo presso di lei. Però, prima di uscire, mi fu fatto sborsare per le spese della funzione ducati 700, e qui cade acconcio di notare, che l'egregio generale Salluzzi mantenne la sua promessa, donandomi ducati mille. In questo mentre mia madre, reduce dalla Calabria, prese alloggio in casa di Giuseppina di conserva colle mie due sorelline. Tanto essa che gli altri parenti, nel notare la mia rassegnazione ad un male che ormai sembravami inevitabile, riputarono vera e spontanea la mia vocazione. Dal canto mio, dovendo rinunziare al mondo per sempre, e volendo evitare ulteriori rammarichi, schivai, per quello spazio di tempo, e teatro, e passeggio, e società. Tentai soltanto un giorno di cantare sul piano-forte un'arietta popolare, quella che tanto era piaciuta altra volta a Domenico; ma la commozione che mi sorprese, ma i rimpianti amari che nel cuore mi ripullularono, diedero ai miei nervi sì gagliarda scossa, che d'allora in poi feci divorzio anche colla musica, nè suonai più che l'organo della chiesa. Più d'una volta mi venne il pensiero di aprire il mio cuore al Generale, mio secondo padre, e chiedergli aiuto: ma la parola data mi chiudeva le labbra. Egli aveva già sborsato il danaro, del quale molta parte erasi presa; ora, volendo pur mancare all'impegno solenne, fermato colla zia e colle monache, poteva io più ritrattarmene, senza far trista figura davanti al benefattore? Non vi era alcuno scampo plausibile. Doveva assolutamente chiuder gli occhi, ed abbandonarmi alla discrezione della fatalità. Spuntò il critico giorno. Una folla di parenti e d'amici affluì fin dal mattino nella sala di mio cognato: gli uomini discorrevano allegramente; le donne chiassavano, le zittelle si erano impadronite del piano-forte; io sola era mesta con in bocca l'amarezza dell'assenzio. A dieci ore fui chiamata all'allestimento. M'inghirlandarono di fiori gemmati, a guisa di sposa: mi fecero indossare un abito sontuoso di velo bianco, ed al capo mi attaccarono un altro velo dello stesso colore, scendente sino ai piedi. - Quattro dame assistettero all'acconciatura, due altre dovevano accompagnarmi: la duchessa di Carigliano e la principessa di Castagnetto. Conformandosi alla consuetudine, queste dame cominciarono dal condurmi a diversi monasteri, onde farmi vedere dalle altre monache: le seguitai automaticamente, muta d'accento, col pensiero assente. Mi scossi solo, allorchè seduta nella porteria del monastero di Santa Patrizia, accanto all'altra zia Benedettina, vidi entrare frettolosi ed anelanti due chierici, che gridarono: "Ma, signore, venite presto a San Gregorio Armeno! Il pontificale è finito: non si attende che la monaca." Una pugnalata al cuore non ha effetto diverso di quello che provai da tale chiamata. Un tremito generale s'impossessò delle mie membra, e divenni livida al par di cadavere. La prima ad alzarsi fu la duchessa Carigliano. Compressi la mano sul cuore, mi levai a stento, e baciai quella vecchia zia, che mi disse lagrimando: "È questo l'ultimo nostro bacio.... Addio, figlia mia! ci rivedremo in cielo." La principessa, venutami più d'appresso, mi guardò in volto. "Fermatevi, duchessa," disse alla Carigliano: "non vedete che la monachella si sviene?" Infatti, appuntellata alla spalliera della seggiola, io vacillava, pronta a cadere. Mi posero a sedere, e chiesero un bicchier d'acqua, dal che refrigerata un poco, ripresi lena, e mi rialzai. "Scommetto, che non siete contenta di farvi monaca," mi disse per via la principessa. "Al contrario," risposi, inghiottendo un sospiro traditore; "ne sono contentissima." Avanzava frattanto la carrozza, ed avanzando entrava nel quartiere di San Lorenzo. Approssimatici alla città dolente, misi il capo allo sportello, cercando con lacerante curiosità le persiane delle finestre, le cancellate di legno, le inferriate, e gli altri ripari del monastero. Alla vista del sepolcro che stava lì per ingoiarmi, non so come, spinta da un istintivo impulso, non mi sia rovesciata dalla carrozza in mezzo alla strada. - Mi risostenne l'intima autorità dell'amor proprio. Quanto mi avvicinava a San Gregorio, tanto più distinto facevasi il suono delle campane. Ogni tócco era suono funereo nell'animo mio. All'angolo della strada, il confuso cicalar della moltitudine, accorsa da ogni parte, lo sparo dei mortaletti, le acclamazioni delle donnicciuole a' balconi, e la banda degli Svizzeri finirono di impietrirmi. - Io ho provate le estreme sensazioni del suppliziato! Al portone della chiesa fui ricevuta da una processione di preti colla croce in alto. Due altre dame si posero al mio fianco, la principessa di Montemiletto, e la marchesa Messanella. Il prete colla croce in mano camminava innanzi, gli altri formavano due ale. La chiesa era parata con eleganza, illuminata con profusione, e divisa nel mezzo da uno steccato bianco e rosso, alla cui dritta stanziavano le signore, che erano state invitate e ricevute da mia madre, ed a sinistra stavano i cavalieri, ricevuti da mio cugino il principe Forino. Di quella assemblea numerosa, delle variopinte decorazioni, di quell'oceano di luce altro non vidi che una masse informe e confusa. Giunta che fui al mezzo del tempio, mi fecero inginocchiare, e mi presentarono una piccola croce d'argento, e una candela accesa. Dovetti poggiare la prima sul petto, tenendola colla sinistra, e portar nella destra la fiaccola. Nel passare vicino alle signore, la mia sorellina Giulietta stese le mani per afferrarmi dal velo, e gridò tanto alto da farsi sentire da tutti: "Non voglio, no, non voglio che tu vada a chiuderti!" Quella voce argentina attirò l'attenzione d'ogni persona. Era la voce dell'innocenza che gridava alla barbarie. Mi volsi a quella parte: una signora imbavagliava la bocca della fanciulla col fazzoletto. Mi corsero le lagrime agli occhi, asciutti fino a quel punto. Arrivai all'altar maggiore. Il vicario, che funzionava, essendo infermo il cardinale, stava seduto dal lato dell'Epistola. Ivi, io e le dame rimanemmo per pochi minuti genuflesse; poi mi menarono al vicario, e mi posero ginocchione ai suoi piedi. Un prete, dalla cotta superbamente ricamata, presentògli un piccolo bacile d'argento con forbicette, con le quali mi recise una piccola ciocca di capelli. Mi rialzai allora; e fiancheggiata dallo stesso corteggio, preceduta dalla banda che suonava, uscíi nuovamente della chiesa. Il tratto di strada, che da questa mena alla porteria, fu fatto da tutti a piedi, in mezzo ad una fittissima calca di curiosi. Appena posi il piede al soglio della clausura, proruppi in uno di quei pianti sfrenati, che non può forza umana contenere: e le monache a chiuder tosto le porte, ad internarmi sollecitamente, a dirmi in coro: "Non piangere, per carità! Altrimenti diranno i secolari, che non ci monachiamo per vocazione, ma per forza.... Zitto, zitto, per carità!" Scesi al comunichino. Il vicario, i canonici, i preti e gl'invitati erano tutti affollati presso al cancello. Ivi, condotta in un angolo, fui per mano delle monache spogliata via via degli abiti di gala, del velo, della ghirlanda, dei guanti e perfino dei calzarini. Quando in vesta di lana nera, colla chioma scarmigliata, cogli occhi tumefatti dal pianto m'accostai al portellino del comunichino, intesi tra la folla alcuni gemiti, provocati dalla commozione. Chi mi deplorava? Lo ignoro. Il vicario benedisse lo scapolare, ed offertomelo di propria mano, me l'indossai. Quindi mi prosternai dinnanzi alla badessa. M'avevano spogliata dell'abito secolare: dovevano pur togliermi la chioma. Le monache strinsero in una sola treccia i miei lunghi capelli, e la badessa impugnò delle grandi forbici per reciderla, mentre un silenzio profondo regnava intorno. Una voce potente, uscita da mezzo i convitati, gridò: "Barbara, non tagliare i capelli a quella ragazza!" Tutti si volsero: bisbigliarono di un pazzo. Era un membro del Parlamento inglese. I preti imposero silenzio, e le monache, le quali in altre simili funzioni avevano veduto de' protestanti, dissero alla superiora, ch'era rimasta colla mano sospesa, stringendo le forbici: "Tagliate! È un eretico." La chioma cadde, e presi il velo.

Pagina 103

Malia. Commedia in tre atti in prosa

242314
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1891
  • Stabilimento tipografico di E. Sinimberghi
  • Roma
  • verismo
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(additando lana e Nedda abbracciate)

Pagina 19

Il marito dell'amica

245084
Neera 1 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
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In quella battaglia coperta giuocavano la loro amicizia; o ne uscivano insieme abbracciate o diventavano nemiche per sempre. - Mia cara Sofia, quando una donna che ha un marito buono, onesto, leale, si lascia trascinare da frivole apparenze di passioni... - La signora Bonamore è vedova - interruppe Sofia seccamente. - Ed anchè la signora Guidobelli?... E Nina Menni ?... - Sì, sì, anche quelle, è vero. - Sofia era al massimo grado dell'eccitazione nervosa. - Ebbene, sono tutte così, che farci? È una marea che sale, sale sempre, ci avvolge, ci stringe, ci soffoca. Essa parte dai luoghi più turpi, attraversa la società equivoca, serpeggia nel mondo elegante, arriva fino alle donne oneste... ne siamo innondate addirittura. Difendersi è inutile. È come quando si cammina in mezzo al fango. Sulle prime si evita di fare la più piccola macchia, poi ci si adatta ad averne qualcuna, ma solamente sul tacco degli stivaletti; il fango cresce e ne abbiamo fino alla caviglia; un bel momento ci accorgiamo che esso è spruzzato anche sull'abito.... Ah! in fede mia, ciò stanca; e allora... Gettò la sigaretta, e si rovesciò sulla poltrona, accesa in volto, con le tempie che le battevano forte. Maria, tranquilla, ripetè: - Allor ? - Scusa sai? - si rizzò sulla vita, un po' dura - mi fai dei discorsi così strani... Se non ti dispiace parliamo d'altro. - Come vuoi. La calma severa di Maria suscitò nell'altra una specie di rimorso e di vergogna, per cui soggiunse con accento più dolce. - Della festa che darò e che mi preoccupa molto, del mio bambino, di... - Sì - interruppe Maria, afferrando questo soccorso inaspettato - parlami di tuo figlio. Non me lo hai ancora descritto. È biondo? nero? - Biondo, cogli occhi neri. I capelli di suo padre, gli occhi miei. La bocca non c'è che dire, anche quella è tutta di Emanuele. Hai osservato la bocca di mio marito? A questa improvvisa domanda il volto di Maria si contrasse dolorosamente; ma Sofia non ne fece caso, gettandosi a capo fitto nel nuovo argomento, felice di essere sfuggita all'argomento di prima. Continuò: - Ciò che mi incanta è la sua intelligenza. A undici mesi, figurati, balbettava mamma; e mi conosceva, e mi tendeva le sue manine, così... Uno dei passati giorni, quando stava molto male, vegliai molte ore alla sua culla. La nutrice, intanto, dormiva. Io sola lo avevo in custodia e guardando quel visino fatto pallido dalla febbre, quel corpicciuolo dimagrato, un pensiero atroce mi attraversò la mente. Mi figurai che fosse morto. Morto, mio Dio!... Sofia, volubile, si abbandonava adesso colle sue smanie solite ai trasporti dell'amor materno; e, sincera sempre, null'altro sentiva in quel momento che una ineffabile tenerezza. - Oh! se morisse davvero... Io non sono molto pia, no, credo poco... Non so precisamente quello che credo: ma allora mi rivolsi al Dio delle madri. Egli deve esistere, e gli chiesi a qualunque costo la vita del mio bambino. Piangeva. - Egli te l'ha concessa - disse Maria. - Sì. - E - le prese la mano con dolcezza somma, guardandola negli occhi, - non ti chiese a sua volta il patto? - No davvero - mormorò Sofia, sorridendo attraverso le lacrime. - Eppure, nell'istante che fra te e Dio si dibatteva la vita di tuo figlio, dimmi, non saresti stata disposta a concedere qualunque cosa? - Oh! senza dubbio. - Tu dunque sentivi che questa creaturina appena nata esercitava su di te un potere che supera tutti gli altri? Presso quella culla hai dimenticata la società, il mondo... se quella marea montante, se quel fango di cui parlavi poco fa, fosse salito a macchiare la coltre del tuo bambino, a coprirlo, a soffocarlo non ti saresti slanciata in suo aiuto? - Maria!... - Non avresti voluto, per lui, essere pura d'ogni colpa, monda perfin d'ogni sospetto? Erano, entrambe, immensamente commosse. Maria col volto presso il volto dell'amica, mormorava accentuando appena: - Non avresti voluto annientare ogni pensiero che non fosse nobile e santo? Distruggere qualunque traccia di debolezza? Fuggire le tentazioni, che ti rapiscono a lui?... Si guardavano negli occhi, dritto, fino in fondo, come due pantere in lotta. Sofia sentiva la propria debolezza e cedeva, vinta, spossata dalle emozioni. In quel mentre entrò la cameriera: - Il signor Bandini manda a prendere il portafogli che ha dimenticato qui. Sofia, senza muoversi, tese la mano; prese il portafogli, lo aperse e stracciò il primo foglietto - non abbastanza rapidamente che Maria non potesse leggervi un sì, scritto a grossi caratteri tremanti, con matita rossa; poi lo rese. Appena la cameriera fu uscita, le due amiche caddero nelle braccia l'una dell'altra; Sofia in preda a una convulsione di nervi, singhiozzando sulla spalla di Maria.

Pagina 89

Saper vivere. Norme di buona creanza

248815
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
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Se avete un gaio ritrovo di amici. andateci subito e passate, così, il fatidico momento della mezzanotte, e abbiate una emozione di allegria, non una emozione di ricordi: se avete un elegantissimo ritrovo mondano, dove sapete di trovare della gente molto simpatica, un vostro amabile flirt, un amico spiritoso, andateci subitissimo a flirtare e bevete dello champagne e abbracciate lietamente l'amico: evitate la solitudine: evitate i ricordi: non guardate gli antichi ritratti: non guardate nei cassetti che da tempo non avete aperti: la tentazione è grande, ma vincetela, se no, voi rimangerete troppo il passato e finirete per piangere. Ciò è di pessimo augurio! E nel giorno di Capo d'Anno, abbiate la ferma volontà di esser sereno: di non trovare troppo meschino il dono che vi si fa e di non badare al dono che manca: di accogliere bene ogni più umile voto: di contentarvi di quanto la vita vi dà: di non aver nervi: di compatire ai nervi altrui: di aver della bonomia nel cuore e dell'equilibrio nella mente: di perdonare ogni capriccio e di non aver capricci: di lasciarvi andare quietamente alla corrente dell'esistenza, senza trovarla nè troppo buona nè troppo cattiva. Fate le visite che più vi piacciono: abbiate una filosofia ottimista o, almeno, uno scetticismo giocondeo. E rammentatevi che chi sa vivere un giorno, sa vivere un anno, e che un anno può governare tutta la vostra vita.

Pagina 204

Pane nero

248986
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1882
  • Niccolò Giannotta editore
  • Catania
  • Verismo
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Lucia singhiozzava nel grembiale, ed anche la Rossa, poveretta; in quel momento avevano fatto la pace, e sí tenevano abbracciate, piangendo insieme. - La Rossa ha il cuore buono - diceva suo marito - la colpa è che non siamo ricchi, per volerci sempre bene. Le galline quando non hanno nulla da beccare nella stia, si beccano fra di loro.

Pagina 57