Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbracciarono

Numero di risultati: 8 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Cipí

206551
Lodi, Mario 1 occorrenze
  • 1995
  • Edizioni E. Elle
  • Trieste
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Cipí e Passerì si abbracciarono dalla gioia e andarono a svegliare gli altri, poi insieme fecero un giro esplorativo sulla campagna che, se non fosse stato per la fame che stringeva lo stomaco, a guardarla sarebbe stato uno spettacolo meraviglioso: gli alberi avevano una bianca parrucca, i prati dormivano sotto lenzuola ricamate, certi comignoli avevano messo una ridicola cuffia da notte e i pali avevano un cappellino bianco. Solo le facce delle case erano, chi sa perché, scure e imbronciate. Poco dopo Chiccolaggiú lanciò un altissimo grido: — Cibo! — E via tutti dietro a lei. In mezzo a un cortile c'era un boccone giallo che pareva dire: son qui per voi, non scendete? — L'ho visto prima io... è mio! — disse Chiccolaggiú planando sul cortile. Ma Cipí la fermò: — Un momento! Pericolo! A quell'avvertimento tutti, compresa Chiccolaggiú, volarono sul tetto del porticato e si misero a discutere. — «Lui» non c'è, la sua casa è lontana, - esclamò Chiccolaggiú. — Ma ci sono le sue impronte, guarda! - osservò Cipí. Tutti allora distolsero lo sguardo dal boccone e osservarono perplessi le orme dell'uomo. — Ieri, il boccone c'era? — domandò Cipí. — No, — rispose una passeretta. — Amici, qui c'è pericolo, — esclamò allora Cipí. — Meglio andar via. — Un boccone cosí bello e grosso! - esclamarono alcuni con l'acquolina nel becco. — Il boccone è mio ed io vado a mangiarlo! — soggiunse Chiccolaggiú. Cosí dicendo spiccò il volo e scese accanto al boccone, ma Cipí l'insegui e quando le fu vicino le disse: — Se l'uomo ha portato sin qui il boccone, il pericolo ci deve essere. Sta' attenta! — Ma io muoio di fame! — Sii forte, Chiccolaggiú... guarda... osserva bene... non vedi che il boccone sta ritto sulla punta? — È vero! — osservò la passera meravigliata. — Guarda, guarda... il boccone è infilato! — scoprí Cipí. — E le farfallette sono state levate e rimesse... vieni via Chiccolaggiú... troveremo

Pagina 75

I ragazzi della via Pal

208324
Molnar, Ferencz 1 occorrenze
  • 1929
  • Edizioni Sapientia
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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E non si dissero altro, ma si abbracciarono. E' accaduto anche questo. E' accaduto anche questo miracolo. Boka li guardò dall'alto, dalla fortezza, ma non si fece vedere: egli voleva restar solo. E poi, a che scopo disturbarli? I due ragazzi s'avviarono quindi verso via Pal conversando piano. — Per domani c'è molto latino — diceva Barabas. — Sì — rispondeva Colnai. — Per te è facile — sospirò Barabas —. Sei stato interrogato ieri, ma io non sono stato chiamato da molto tempo e mi toccherà certo uno di questi giorni. — Fa attenzione. Dal verso 1al 23 del secondo capitolo c'è un taglio. L'hai segnato? — No. — Quello è inutile studiarlo! Vengo io da te e ti segno il taglio sul libro. — Grazie. Ecco: quei due già pensano alla lezione. Dimenticano presto. Se Nemeciech è morto, il professor Raz è vivo e con lui la lezione di latino. Se n'andarono, scomparvero nell'oscurità. Ed ora Boka era solo. Ma non rimase nella fortezza. E poi era tardi. Dalla chiesa veniva uno scampanio mesto... Scese e si fermò davanti alla capanna. Giovanni stava tornando: Ettore, il cane, gli scodinzolava accanto. — Ebbene... — disse lo slovacco — II signorino non rincasa? — Sì, me ne vado — rispose Boka. Lo slovacco sorrideva. — A casa, cena calda... — Cena calda... — ripeteva macchinalmente Boka e pensava che in via Racos due infelici sedevano a cena, il sarto e la moglie. E nella stanza erano accese le candele. Per caso guardò dentro la capanna; s'accorse di strani strumenti appoggiati contro la parete. Un disco tondo di latta dipinto di rosso e bianco come le targhe dei passaggi a livello quando passa il direttissimo. Pali dipinti di bianco, un cavalletto a tre piedi con un tubo d'ottone in cima. — Che c'è? — domandò. — Roba dell'ingegnere. — Di quale ingegnere? — Dell'architetto. Il cuore di Boka palpitò selvaggio. — Architetto? E che viene a fare qui? Giovanni soffiò una boccata dalla pipa, poi disse: — Costruiscono una casa. — Qui? — Sì. Lunedì vengono gli operai, scaveranno il campo, costruiranno le fondamenta... — Come? — gridò Boka — Costruiscono una casa qui? — Una casa... — disse indifferentemente lo slovacco — A tre piani. Il padrone del campo fa costruire. Ed entrò nella capanna. A Boka pareva che la terra gli mancasse sotto i piedi. Le lagrime gli spuntavano. S'incamminò verso la porticina in fretta. Fuggiva. Fuggiva dalla terra infedele ch'essi avevano difeso con tanto dolore, con tanto eroismo e che ora li abbandonava per prendersi sulle spalle una gran casa d'affitto, per sempre. Si rivolse ancora, dalla porticina, come chi lascia la patria per sempre. E nel grande dolore che gli serrava il cuore si mescolò una goccia, una goccia sola di conforto. Se il povero Nemeciech non ha potuto vivere fino ad ascoltare la deputazione della Società dello Stucco che gli domandava perdono, almeno non aveva saputo neanche che la patria per la quale egli era morto gli sarebbe stata tolta. E il giorno dopo, quando tutta la classe era seduta in silenzio, il professor Raz salì a passi lenti e gravi sulla cattedra e parlò con parole semplici e commosse, di Ernesto Nemeciech e invitò tutta la classe a volersi trovare l'indomani alle 15 in via Racos, vestiti tutti di nero o almeno di scuro. Giovanni Boka guardò cupo davanti a sè e per la prima volta cominciò ad albeggiare nella sua semplice anima di fanciullo un vago sentore di quel che possa veramente essere la vita, della quale tutti noi siamo schiavi ora tristi ora gai.

Narco degli Alidosi

214044
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1987
  • Nuove Edizioni Romane
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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E non dico che i due si abbracciarono, ma si strinsero forte la mano e rimessa uno la testa nel ferro, l'altro nella lana, ripresero la strada dei paesi germani.

le straordinarie avventure di Caterina

215756
Elsa Morante 2 occorrenze
  • 2007
  • Einaudi
  • Torino
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— E le due si abbracciarono. Era proprio una scena commovente. — E ora, quel povero mercante? — brontolò Tit. Il povero mercante, vedendoli da lontano insieme alla sua Grigia, diventò di tanti colori; ma in fretta Tit gli gridò: — Tutto male! Il povero mercante cominciò ad arruffarsi la barba, e, quando lo raggiunsero, disse: — Beh, pazienza! — e chiese di poter almeno portare con le sue mani il fagottello di Bellissima. Poveruomo, si vedeva che soffriva. La Regina delle Fate, dalla sua finestra con le barre d'oro, sventolava lo strofinaccio per salutare, e gridava: — Addio, brava Grigia! Vieni a trovarmi, qualche volta! — Bah! — disse il povero mercante. — Andiamo a fare una passeggiatina per il Palazzo dei Sogni, eh? - propose Tit. Si vedeva che anche lui era un po' nervoso. Era notte, e il Palazzo cominciava ad animarsi. Gli uccellini parlanti si sgrollarono nelle loro gabbie, e la scimmia di Pippo si preparò a mangiare lo zucchero. Pippo arrivò, con un paio di scarpe in mano, e il pappagallo disse: — Buon giorno, padrone! Si vedevano lí tutte le vostre compagne di scuola vestite come Principesse, con grandi diademi in testa. Belle fate, e bambole che parlavano, e soldatini di stagno che sapevano guerreggiare sul serio, passeggiavano per i corridoi. Una tavola con polli arrosto, e zuppe dolci, e cioccolata, e panna, sorgeva in mezzo ad una grande sala. C'era poi un'alta torre, con sulla cima un uomo bruttissimo che sparava a tutti quelli che passavano, e c'era un barbiere con un paio di forbici piú grandi di lui. — Effetti del mangiar troppo di sera, — borbottavano le bambole, osservando quei sogni spaventosi. — Questa sera non si vede Sua Eccellenza Tom; come mai? — chiedevano alcuni bambini importanti, vestiti da generali. Uno strano ragazzetto con un ciuffo rosso correva in bicicletta su e giú per un mappamondo e aveva una faccia molto seria. Una bambina piú grande corse incontro ad un piccolo che non sapeva camminare ancora, e disse piano: — Dunque non è vero che sei morto! — Era il suo fratellino, quello, che qualche giorno prima era scomparso, ed ora, la notte, continuava a camminare, nel Palazzo del Sogno. — Andiamo a vedere se c'è Rosetta, — disse d'improvviso Caterí. Andarono a cercare l'uscio dov'era scritto: Signora Rosetta, ma Rosetta non c'era. C'era invece un'altra donnettina che spazzava le stanze. — E dov'è Rosetta? — chiese Caterí. — Io sono un'amica di Rosetta, — rispose la donnina, — Rosetta non viene mai, ora. — E perché? — chiese Caterí. — Ma perché deve aspettare sua sorella, quella che se n'è andata. Non mangia, non beve e non dorme, Rosetta; e dunque non sogna. Come potrebbe venire qui? piange sempre, la povera Rosetta. — Oh, Rosettina mia! — gridò Caterí scoppiando a piangere. — Me l'ero quasi dimenticata. Ma ora abbiamo ritrovato Bellissima e torniamo indietro, che ne dici, Tit? — Certo, certo, — disse Tit. — Vado a ordinare l'automobile. Poco dopo, si sentí l'automobile che suonava. Caterí corse giú con Bellissima, perché oramai era tempo di partire; ella sali sull'elegante automobile rossa, che si mosse dicendo : Puff! Puff! Puff! — Addio, addio, Palazzo, Castello della Regina, Guardaboschi e meraviglie. Addio, povero mercante! — Vi aspetterò trentun anni, — gridò il Mercante a Bellissima, — e il trentunesimo anno, se ancora non vi avrò visto, verrò io stesso a cercarvi, per dirvi: « Volete diventare mia moglie? » — No, — fece Bellissima. Si poteva vedere, da lontano, il povero Mercante che si arruffava la barba; ma presto non si vide piú nulla, per quanto era veloce l'automobilina.

Si videro, e si corsero incontro; si abbracciarono, e tutti felici corsero giú per il monte. Il canino veniva dietro scodinzolando, senza piú mettere i piedi dentro le pozzanghere. Giú, al piano, c'erano i tre autocarri, con tutte le luci accese, e i burattini che piangevano perché avevano perduto il signor Negretti. E quando lo videro, fecero una festa magnifica, misero in fila gli idoli, le palme, eccetera, e in mezzo a musiche di ogni genere celebrarono il matrimonio della signorina Alberelli col signor Negretti. Il canino girava intorno annusando, ed ebbe tutti gli ossi che voleva. Il giorno dopo si fece una rappresentazione in onore della Marchesa, ed essa in premio regalò alla sposa un bel paio di calze quasi nuove. Infine la compagnia ripartì, col signor Negretti al volante, al posto d'onore. L'asino che voleva andarsene in pensione fu messo in un prato, e là, mangia e mangia, diventò grasso come un bue. Speriamo che non lo veda il Signor Salumaio. Il signor Negretti ricominciò a ballare e a cantare cosí bene, che tutti gridavano: bis! bis! Insieme a lui cantava la signora Negretti Alberelli e potete immaginare se erano allegri. Infine si fabbricarono una elegantissima casa col tetto di legno, dove vennero al mondo tanti bei negrettini; e tutta la gente andava a trovarli per ascoltare la loro storia. E al loro passaggio si sentiva ripetere: Riverito! Riverito! Cosí finí la strana avventura del mio bravo amico signor Negretti.

Pagina 83

C'era una volta...

218574
Luigi Capuana 3 occorrenze
  • 1910
  • R. Bemporad e figli
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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Abbracciarono la ragazza, e bandirono feste reali. Ai due che l' avean condotta regalarono un monte di monete d'oro. Intanto la povera Reginotta, dopo essersi per tre giorni stemperata in lagrime, cominciò a sentirsi anche fame. Chiamò più volte, domandando per carità almeno un tozzo di pan duro! Non accorreva anima viva. Allora rammentossi della cipolletta: — Poteva ingannare un po' lo stomaco! — E la cavò di tasca. — Comanda! comanda! — Da mangiare! — Ed ecco pietanze fumanti, tovagliuolo, posata, coltello, bottiglia e bicchiere. Terminato di mangiare, ogni cosa sparì. Cavò di tasca il coltellino. — Comanda! comanda! — Spacca quell' uscio per legna. - E, in un attimo, uscio fu ridotto un mucchio di legna. Cava di tasca il sonaglino e si mette a suonarlo. Ed ecco una mandria di capre, che non potevan contarsi. — Comanda! comanda! — Pascolate per questi campi, finchè ci sia un filo d' erba. — E in un minuto i seminati, le vigne, gli alberi di quella fattoria eran distrutti. La Reginotta partì e arrivò in una città, dove c' era un Re che avea l' unico suo figliuolo gravemente ammalato. Tutti i medici del mondo, i più dotti, i più valenti, non n'avean saputo conoscere la malattia. Dicevano ch'era matto; ma egli ragionava benissimo. Aveva soltanto dei capricci, e dimagrava, dimagrava a segno che era ridotto una lanterna. Un giorno il Reuccio trovossi affacciato a una finestra del palazzo reale, e vide passar la Reginotta. — Oh! com' è brutta! La voglio qui! La voglio qui! Il Re, i ministri, i dottori tentarono di levargli di mente quella stramba idea; ma lui strepitava, piangeva, batteva i piedi. — Oh! com' è brutta! La voglio qui! La voglio qui! — Il Re la fece chiamare: — Ragazza, vorresti entrare a servizio? — Maestà, volentieri. — Dovresti servire il Reuccio. - E si mise a servire il Reuccio. — Bruttona, fai questo! Bruttona, fai quello. - Il Reuccio non la comandava altrimenti: volea perfino che rigovernasse i piatti. Una volta al Reuccio gli venne la voglia dei baccelli; ed era d' autunno! Dove andare a pescarli? — Baccelli! baccelli! — Non diceva altro, e rifiutava di mangiare. Il Re avrebbe pagato quei baccelli a peso d' oro. La Reginotta rammentossi della cipolletta e la cavò di tasca. — Comanda! comanda! — Un bel piatto di baccelli! - Ed ecco un bel piatto di baccelli. Il Reuccio se li mangiò con gran gusto, e dopo disse: — Mi sento meglio! - Un' altra volta gli venne la voglia d'un pasticcino di lumache. Ma non era la stagione. — Pasticcino di lumache! pasticcino di lumache! — Non diceva altro, e rifiutava di mangiare. Il Re avrebbe pagato quelle lumache a peso d' oro. La Reginotta corse di bel nuovo alla cipolletta. — Comanda! comanda! — Un pasticcino di lumache! - Il Reuccio se lo mangiò con gran gusto, e dopo disse: — Mi sento assai meglio. — Infatti, s' era rimesso un po' in carne. Un' altra volta finalmente gli venne la voglia delle polpettine di rondine. Non era la stagione. Dove andare a pescarle? — Polpettine di rondine! polpettine di rondine! — Il Re quelle rondini le avrebbe pagate a peso d'oro. La Reginotta, al solito, cavò di tasca la cipolletta. — Comanda! comanda! — Polpettine di rondine! — Il Reuccio se le mangiò con gran gusto e dopo disse: — Sto benissimo. - Era diventato fresco come una rosa: non si rammentava neppure d' essere stato malato. E, un giorno vista la Reginotta: — Oh, come è brutta! — esclamò. — Ma chi è costei? Cacciatela via! - La Reginotta andò via piangendo: — La sua stella voleva così! - E incontrò la vecchia, quella del grano. - Che cosa è stato, figliuola? - In poche parole le raccontò l' accaduto. — Sta' allegra, figliuola mia! Ti aiuterò io. Vieni con me. — E la condusse davanti a una grotta. — Ascolta: Lì dentro c' è la fontana della bellezza. Chi può tuffarvisi a un tratto, diventa bella quanto il sole. Ed ora, bada bene: questa grotta ha quattro stanze. Nella prima c'è un drago: buttagli in gola la cipolletta, e ti lascerà passare.

Pagina 160

. — La Reginotta e il giovanotto si abbracciarono alla presenza di tutti, e pochi giorni dopo furono celebrate le nozze. E furono marito e moglie: E a lui il frutto e noi le foglie.

Pagina 217

Pagina 26

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