Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbracciarono

Numero di risultati: 15 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Fisiologia del piacere

170683
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Leibnitz, Michelangelo, Leonardo da Vinci, Voltaire ed altri abbracciarono gran parte dello scibile umano, ma non furono ugualmente grandi in ogni scienza, nè sicuramente in tutte le arti. Fra i piaceri elementari della mente che derivano dall'esercizio delle singole facoltà, e le gioie complesse formate dall'azione simultanea e successiva di varie potenze mentali, stanno alcuni gruppi secondari più semplici, che sono costituiti dai piaceri dell'analisi, della sintesi, della comparazione, e di tutte le varie operazioni necessarie all'esercizio del pensiero.

Pagina 235

Marina ovvero il galateo della fanciulla

193775
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
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Pagina 83

Cipí

206551
Lodi, Mario 1 occorrenze
  • 1995
  • Edizioni E. Elle
  • Trieste
  • paraletteratura-ragazzi
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Cipí e Passerì si abbracciarono dalla gioia e andarono a svegliare gli altri, poi insieme fecero un giro esplorativo sulla campagna che, se non fosse stato per la fame che stringeva lo stomaco, a guardarla sarebbe stato uno spettacolo meraviglioso: gli alberi avevano una bianca parrucca, i prati dormivano sotto lenzuola ricamate, certi comignoli avevano messo una ridicola cuffia da notte e i pali avevano un cappellino bianco. Solo le facce delle case erano, chi sa perché, scure e imbronciate. Poco dopo Chiccolaggiú lanciò un altissimo grido: — Cibo! — E via tutti dietro a lei. In mezzo a un cortile c'era un boccone giallo che pareva dire: son qui per voi, non scendete? — L'ho visto prima io... è mio! — disse Chiccolaggiú planando sul cortile. Ma Cipí la fermò: — Un momento! Pericolo! A quell'avvertimento tutti, compresa Chiccolaggiú, volarono sul tetto del porticato e si misero a discutere. — «Lui» non c'è, la sua casa è lontana, - esclamò Chiccolaggiú. — Ma ci sono le sue impronte, guarda! - osservò Cipí. Tutti allora distolsero lo sguardo dal boccone e osservarono perplessi le orme dell'uomo. — Ieri, il boccone c'era? — domandò Cipí. — No, — rispose una passeretta. — Amici, qui c'è pericolo, — esclamò allora Cipí. — Meglio andar via. — Un boccone cosí bello e grosso! - esclamarono alcuni con l'acquolina nel becco. — Il boccone è mio ed io vado a mangiarlo! — soggiunse Chiccolaggiú. Cosí dicendo spiccò il volo e scese accanto al boccone, ma Cipí l'insegui e quando le fu vicino le disse: — Se l'uomo ha portato sin qui il boccone, il pericolo ci deve essere. Sta' attenta! — Ma io muoio di fame! — Sii forte, Chiccolaggiú... guarda... osserva bene... non vedi che il boccone sta ritto sulla punta? — È vero! — osservò la passera meravigliata. — Guarda, guarda... il boccone è infilato! — scoprí Cipí. — E le farfallette sono state levate e rimesse... vieni via Chiccolaggiú... troveremo

Pagina 75

Angiola Maria

207178
Carcano, Giulio 1 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Con quali sinceri trasporti gli amici si rividero, s' abbracciarono! con che fratellanza di gioia e di dolore rinnovellarono le memorie della giovinezza! Come lagrimarono i compagni che non erano più, ch' eran mancati nell' ora migliore! come compiansero a quelli che avevano tradito le speranze di loro concette, un bell' avvenire, la vita intera!... E le promesse di star sempre uniti col cuore, se con le persone non potevano, d' adempiere insieme all' eterno dovere di render migliori gli altri, di non cader mai d'animo, nè per la tirannia de' pregiudizi e del tempo, nè per la cieca guerra delle passioni, e di servire liberamente alla causa della verità, preparando d'accordo, per quanta forza e per quanto cuore in essi era, il bene e la giustizia a pro di tutti; queste altissime promesse si ripeterono, più d'una volta, ne'loro ragionari dolci e solenni; e furono santificate da' voti e dalle preghiere di que' giusti e generosi che amavano e che soffrivano. Così alcuni di que' dì felici, che il buon prete non credeva di trovare più su la terra, e dietro a' quali ' animo suo aveva ben sovente sospirato nelle solitudini della campagna, in mezzo alla povertà e alla dura vita del contadino, o sotto gli umili archi della chiesa del suo villaggio, alcuni di que' dì felici sorgevano ancora per lui; e lo consolavano nel momento che, ferito nella più viva parte del cuore, s' era umiliato innanzi alla superbia degli uomini, all' ingiustizia delle cose. Di che egli si rallegrava con sè medesimo, chè da gran tempo aveva rinunciato all' allegrezza: nè alcun funesto presentimento venne, a turbar la purità di quell' affetto antico e santo, e il felice presagio di un' età migliore.... Ma troppo spesso le nostre più vive speranze son le più vane. Un giorno - non eran passate più di due settimane dacchè Maria stava in casa della vedova - le due donne avevano apprestato un desinare assai modesto, e aspettavano il vicecurato. È passato il mezzodì passano una, due, tre ore, ed esse attendono ancora, e il vicecurato non comparisce. Su le prime, non si danno pensiero del tardare, rassicurandosi nell' idea che forse qualche impreveduta circostanza ne lo trattenga. Ma poi, all' abbassar del giorno, quando l' una e l' altra ebbero finito di ripetere le usate scuse che si van cercando per ingannar l'angustia dell'aspettare, allora, con quel senso di tristezza che desta il veder farsi sera, cresce in loro il dubbio e l' inquietudine: e taciturne entrambe, si pongono a sedere presso una delle finestre che dà sul cortile, s' interrogano a vicenda con gli occhi, guardano ogni momento verso il cancello del palazzo, in attenzione curiosa, d' ognuno ch' entri o passi. Da quella finestra vedevasi, per il vano del portone, lungo tratto della frequentata corsia. Si fece notte, le campane delle chiese erano già silenziose per tutta la città, e le donne aspettavano ancora. In ogni passeggiero che attraversasse quel breve spazio, pareva loro di riconoscere il prete; ma nessuno mai s' arrestava, nessuno svoltava in quella porta. Maria ben voleva persuadersi che nulla ci fosse di più naturale di quell' assenza, ma invano; un interno timore la vinceva, andava immaginando qualche cosa di funesto; un pericolo, un tradimento, una sciagura improvvisa; e già, come una spina, le stava fitta in cuore l' angustia che il suo Carlo non avesse a ritornare mai più! La vedova, indispettita alla fine di quel lungo tedio, cominciò a sfogarsi, a brontolare fra sè e sè: « Vedete mo,

Pagina 183

I ragazzi della via Pal

208324
Molnar, Ferencz 1 occorrenze
  • 1929
  • Edizioni Sapientia
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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E non si dissero altro, ma si abbracciarono. E' accaduto anche questo. E' accaduto anche questo miracolo. Boka li guardò dall'alto, dalla fortezza, ma non si fece vedere: egli voleva restar solo. E poi, a che scopo disturbarli? I due ragazzi s'avviarono quindi verso via Pal conversando piano. — Per domani c'è molto latino — diceva Barabas. — Sì — rispondeva Colnai. — Per te è facile — sospirò Barabas —. Sei stato interrogato ieri, ma io non sono stato chiamato da molto tempo e mi toccherà certo uno di questi giorni. — Fa attenzione. Dal verso 1al 23 del secondo capitolo c'è un taglio. L'hai segnato? — No. — Quello è inutile studiarlo! Vengo io da te e ti segno il taglio sul libro. — Grazie. Ecco: quei due già pensano alla lezione. Dimenticano presto. Se Nemeciech è morto, il professor Raz è vivo e con lui la lezione di latino. Se n'andarono, scomparvero nell'oscurità. Ed ora Boka era solo. Ma non rimase nella fortezza. E poi era tardi. Dalla chiesa veniva uno scampanio mesto... Scese e si fermò davanti alla capanna. Giovanni stava tornando: Ettore, il cane, gli scodinzolava accanto. — Ebbene... — disse lo slovacco — II signorino non rincasa? — Sì, me ne vado — rispose Boka. Lo slovacco sorrideva. — A casa, cena calda... — Cena calda... — ripeteva macchinalmente Boka e pensava che in via Racos due infelici sedevano a cena, il sarto e la moglie. E nella stanza erano accese le candele. Per caso guardò dentro la capanna; s'accorse di strani strumenti appoggiati contro la parete. Un disco tondo di latta dipinto di rosso e bianco come le targhe dei passaggi a livello quando passa il direttissimo. Pali dipinti di bianco, un cavalletto a tre piedi con un tubo d'ottone in cima. — Che c'è? — domandò. — Roba dell'ingegnere. — Di quale ingegnere? — Dell'architetto. Il cuore di Boka palpitò selvaggio. — Architetto? E che viene a fare qui? Giovanni soffiò una boccata dalla pipa, poi disse: — Costruiscono una casa. — Qui? — Sì. Lunedì vengono gli operai, scaveranno il campo, costruiranno le fondamenta... — Come? — gridò Boka — Costruiscono una casa qui? — Una casa... — disse indifferentemente lo slovacco — A tre piani. Il padrone del campo fa costruire. Ed entrò nella capanna. A Boka pareva che la terra gli mancasse sotto i piedi. Le lagrime gli spuntavano. S'incamminò verso la porticina in fretta. Fuggiva. Fuggiva dalla terra infedele ch'essi avevano difeso con tanto dolore, con tanto eroismo e che ora li abbandonava per prendersi sulle spalle una gran casa d'affitto, per sempre. Si rivolse ancora, dalla porticina, come chi lascia la patria per sempre. E nel grande dolore che gli serrava il cuore si mescolò una goccia, una goccia sola di conforto. Se il povero Nemeciech non ha potuto vivere fino ad ascoltare la deputazione della Società dello Stucco che gli domandava perdono, almeno non aveva saputo neanche che la patria per la quale egli era morto gli sarebbe stata tolta. E il giorno dopo, quando tutta la classe era seduta in silenzio, il professor Raz salì a passi lenti e gravi sulla cattedra e parlò con parole semplici e commosse, di Ernesto Nemeciech e invitò tutta la classe a volersi trovare l'indomani alle 15 in via Racos, vestiti tutti di nero o almeno di scuro. Giovanni Boka guardò cupo davanti a sè e per la prima volta cominciò ad albeggiare nella sua semplice anima di fanciullo un vago sentore di quel che possa veramente essere la vita, della quale tutti noi siamo schiavi ora tristi ora gai.

Narco degli Alidosi

214044
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1987
  • Nuove Edizioni Romane
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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E non dico che i due si abbracciarono, ma si strinsero forte la mano e rimessa uno la testa nel ferro, l'altro nella lana, ripresero la strada dei paesi germani.

le straordinarie avventure di Caterina

215756
Elsa Morante 2 occorrenze
  • 2007
  • Einaudi
  • Torino
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— E le due si abbracciarono. Era proprio una scena commovente. — E ora, quel povero mercante? — brontolò Tit. Il povero mercante, vedendoli da lontano insieme alla sua Grigia, diventò di tanti colori; ma in fretta Tit gli gridò: — Tutto male! Il povero mercante cominciò ad arruffarsi la barba, e, quando lo raggiunsero, disse: — Beh, pazienza! — e chiese di poter almeno portare con le sue mani il fagottello di Bellissima. Poveruomo, si vedeva che soffriva. La Regina delle Fate, dalla sua finestra con le barre d'oro, sventolava lo strofinaccio per salutare, e gridava: — Addio, brava Grigia! Vieni a trovarmi, qualche volta! — Bah! — disse il povero mercante. — Andiamo a fare una passeggiatina per il Palazzo dei Sogni, eh? - propose Tit. Si vedeva che anche lui era un po' nervoso. Era notte, e il Palazzo cominciava ad animarsi. Gli uccellini parlanti si sgrollarono nelle loro gabbie, e la scimmia di Pippo si preparò a mangiare lo zucchero. Pippo arrivò, con un paio di scarpe in mano, e il pappagallo disse: — Buon giorno, padrone! Si vedevano lí tutte le vostre compagne di scuola vestite come Principesse, con grandi diademi in testa. Belle fate, e bambole che parlavano, e soldatini di stagno che sapevano guerreggiare sul serio, passeggiavano per i corridoi. Una tavola con polli arrosto, e zuppe dolci, e cioccolata, e panna, sorgeva in mezzo ad una grande sala. C'era poi un'alta torre, con sulla cima un uomo bruttissimo che sparava a tutti quelli che passavano, e c'era un barbiere con un paio di forbici piú grandi di lui. — Effetti del mangiar troppo di sera, — borbottavano le bambole, osservando quei sogni spaventosi. — Questa sera non si vede Sua Eccellenza Tom; come mai? — chiedevano alcuni bambini importanti, vestiti da generali. Uno strano ragazzetto con un ciuffo rosso correva in bicicletta su e giú per un mappamondo e aveva una faccia molto seria. Una bambina piú grande corse incontro ad un piccolo che non sapeva camminare ancora, e disse piano: — Dunque non è vero che sei morto! — Era il suo fratellino, quello, che qualche giorno prima era scomparso, ed ora, la notte, continuava a camminare, nel Palazzo del Sogno. — Andiamo a vedere se c'è Rosetta, — disse d'improvviso Caterí. Andarono a cercare l'uscio dov'era scritto: Signora Rosetta, ma Rosetta non c'era. C'era invece un'altra donnettina che spazzava le stanze. — E dov'è Rosetta? — chiese Caterí. — Io sono un'amica di Rosetta, — rispose la donnina, — Rosetta non viene mai, ora. — E perché? — chiese Caterí. — Ma perché deve aspettare sua sorella, quella che se n'è andata. Non mangia, non beve e non dorme, Rosetta; e dunque non sogna. Come potrebbe venire qui? piange sempre, la povera Rosetta. — Oh, Rosettina mia! — gridò Caterí scoppiando a piangere. — Me l'ero quasi dimenticata. Ma ora abbiamo ritrovato Bellissima e torniamo indietro, che ne dici, Tit? — Certo, certo, — disse Tit. — Vado a ordinare l'automobile. Poco dopo, si sentí l'automobile che suonava. Caterí corse giú con Bellissima, perché oramai era tempo di partire; ella sali sull'elegante automobile rossa, che si mosse dicendo : Puff! Puff! Puff! — Addio, addio, Palazzo, Castello della Regina, Guardaboschi e meraviglie. Addio, povero mercante! — Vi aspetterò trentun anni, — gridò il Mercante a Bellissima, — e il trentunesimo anno, se ancora non vi avrò visto, verrò io stesso a cercarvi, per dirvi: « Volete diventare mia moglie? » — No, — fece Bellissima. Si poteva vedere, da lontano, il povero Mercante che si arruffava la barba; ma presto non si vide piú nulla, per quanto era veloce l'automobilina.

Si videro, e si corsero incontro; si abbracciarono, e tutti felici corsero giú per il monte. Il canino veniva dietro scodinzolando, senza piú mettere i piedi dentro le pozzanghere. Giú, al piano, c'erano i tre autocarri, con tutte le luci accese, e i burattini che piangevano perché avevano perduto il signor Negretti. E quando lo videro, fecero una festa magnifica, misero in fila gli idoli, le palme, eccetera, e in mezzo a musiche di ogni genere celebrarono il matrimonio della signorina Alberelli col signor Negretti. Il canino girava intorno annusando, ed ebbe tutti gli ossi che voleva. Il giorno dopo si fece una rappresentazione in onore della Marchesa, ed essa in premio regalò alla sposa un bel paio di calze quasi nuove. Infine la compagnia ripartì, col signor Negretti al volante, al posto d'onore. L'asino che voleva andarsene in pensione fu messo in un prato, e là, mangia e mangia, diventò grasso come un bue. Speriamo che non lo veda il Signor Salumaio. Il signor Negretti ricominciò a ballare e a cantare cosí bene, che tutti gridavano: bis! bis! Insieme a lui cantava la signora Negretti Alberelli e potete immaginare se erano allegri. Infine si fabbricarono una elegantissima casa col tetto di legno, dove vennero al mondo tanti bei negrettini; e tutta la gente andava a trovarli per ascoltare la loro storia. E al loro passaggio si sentiva ripetere: Riverito! Riverito! Cosí finí la strana avventura del mio bravo amico signor Negretti.

Pagina 83

C'era una volta...

218574
Luigi Capuana 3 occorrenze
  • 1910
  • R. Bemporad e figli
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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Abbracciarono la ragazza, e bandirono feste reali. Ai due che l' avean condotta regalarono un monte di monete d'oro. Intanto la povera Reginotta, dopo essersi per tre giorni stemperata in lagrime, cominciò a sentirsi anche fame. Chiamò più volte, domandando per carità almeno un tozzo di pan duro! Non accorreva anima viva. Allora rammentossi della cipolletta: — Poteva ingannare un po' lo stomaco! — E la cavò di tasca. — Comanda! comanda! — Da mangiare! — Ed ecco pietanze fumanti, tovagliuolo, posata, coltello, bottiglia e bicchiere. Terminato di mangiare, ogni cosa sparì. Cavò di tasca il coltellino. — Comanda! comanda! — Spacca quell' uscio per legna. - E, in un attimo, uscio fu ridotto un mucchio di legna. Cava di tasca il sonaglino e si mette a suonarlo. Ed ecco una mandria di capre, che non potevan contarsi. — Comanda! comanda! — Pascolate per questi campi, finchè ci sia un filo d' erba. — E in un minuto i seminati, le vigne, gli alberi di quella fattoria eran distrutti. La Reginotta partì e arrivò in una città, dove c' era un Re che avea l' unico suo figliuolo gravemente ammalato. Tutti i medici del mondo, i più dotti, i più valenti, non n'avean saputo conoscere la malattia. Dicevano ch'era matto; ma egli ragionava benissimo. Aveva soltanto dei capricci, e dimagrava, dimagrava a segno che era ridotto una lanterna. Un giorno il Reuccio trovossi affacciato a una finestra del palazzo reale, e vide passar la Reginotta. — Oh! com' è brutta! La voglio qui! La voglio qui! Il Re, i ministri, i dottori tentarono di levargli di mente quella stramba idea; ma lui strepitava, piangeva, batteva i piedi. — Oh! com' è brutta! La voglio qui! La voglio qui! — Il Re la fece chiamare: — Ragazza, vorresti entrare a servizio? — Maestà, volentieri. — Dovresti servire il Reuccio. - E si mise a servire il Reuccio. — Bruttona, fai questo! Bruttona, fai quello. - Il Reuccio non la comandava altrimenti: volea perfino che rigovernasse i piatti. Una volta al Reuccio gli venne la voglia dei baccelli; ed era d' autunno! Dove andare a pescarli? — Baccelli! baccelli! — Non diceva altro, e rifiutava di mangiare. Il Re avrebbe pagato quei baccelli a peso d' oro. La Reginotta rammentossi della cipolletta e la cavò di tasca. — Comanda! comanda! — Un bel piatto di baccelli! - Ed ecco un bel piatto di baccelli. Il Reuccio se li mangiò con gran gusto, e dopo disse: — Mi sento meglio! - Un' altra volta gli venne la voglia d'un pasticcino di lumache. Ma non era la stagione. — Pasticcino di lumache! pasticcino di lumache! — Non diceva altro, e rifiutava di mangiare. Il Re avrebbe pagato quelle lumache a peso d' oro. La Reginotta corse di bel nuovo alla cipolletta. — Comanda! comanda! — Un pasticcino di lumache! - Il Reuccio se lo mangiò con gran gusto, e dopo disse: — Mi sento assai meglio. — Infatti, s' era rimesso un po' in carne. Un' altra volta finalmente gli venne la voglia delle polpettine di rondine. Non era la stagione. Dove andare a pescarle? — Polpettine di rondine! polpettine di rondine! — Il Re quelle rondini le avrebbe pagate a peso d'oro. La Reginotta, al solito, cavò di tasca la cipolletta. — Comanda! comanda! — Polpettine di rondine! — Il Reuccio se le mangiò con gran gusto e dopo disse: — Sto benissimo. - Era diventato fresco come una rosa: non si rammentava neppure d' essere stato malato. E, un giorno vista la Reginotta: — Oh, come è brutta! — esclamò. — Ma chi è costei? Cacciatela via! - La Reginotta andò via piangendo: — La sua stella voleva così! - E incontrò la vecchia, quella del grano. - Che cosa è stato, figliuola? - In poche parole le raccontò l' accaduto. — Sta' allegra, figliuola mia! Ti aiuterò io. Vieni con me. — E la condusse davanti a una grotta. — Ascolta: Lì dentro c' è la fontana della bellezza. Chi può tuffarvisi a un tratto, diventa bella quanto il sole. Ed ora, bada bene: questa grotta ha quattro stanze. Nella prima c'è un drago: buttagli in gola la cipolletta, e ti lascerà passare.

Pagina 160

. — La Reginotta e il giovanotto si abbracciarono alla presenza di tutti, e pochi giorni dopo furono celebrate le nozze. E furono marito e moglie: E a lui il frutto e noi le foglie.

Pagina 217

Pagina 26

Mitchell, Margaret

221499
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Gli occhi neri di lui la abbracciarono in un solo sguardo dalla testa ai piedi; era ancora quel suo sguardo impudente che sembrava svestirla e che le faceva accelerare i battiti del cuore. - State molto bene e molto elegante. Mi date proprio il desiderio... Se non ci fossero quegli yankees là fuori... Ma potete star tranquilla, cara. Sedete. Non approfitterò di voi come ho fatto l'ultima volta che ci siamo visti. - Si strofinò la guancia con finta tristezza. - Sinceramente, Rossella, non vi pare che quella notte siete stata abbastanza egoista? Pensate: con tutto ciò che avevo fatto per voi, arrischiato la vita, rubato un cavallo. e che cavallo! Rapito alla difesa della Nostra Causa Gloriosa! E che cosa ho avuto per ricompensa? Poche parole dure e uno schiaffo sonoro. Ella sedette. La conversazione non si svolgeva secondo il suo desiderio. - Volete sempre avere qualche cosa in cambio di ciò che fate? - Si capisce! Dovreste sapere che sono un mostro di egoismo. Pretendo sempre il pagamento, per qualunque cosa. Questo le diede un leggero brivido. Ma si riprese subito e agitò nuovamente gli orecchini. - Ma no, non è vero che siete tanto cattivo, Rhett. Vi piace farlo credere. - Siete proprio cambiata sul serio! - E Rhett rise. - Ma chi è che ha fatto di voi una cosí buona cristiana? Ho avuto vostre notizie da miss Pittypat, la quale non mi ha detto che in voi si fosse sviluppata la dolce femminilità. Ma parlatemi di voi. Che avete fatto da quando non ci siamo piú visti? L'antica irritazione verso di lui e lo spirito antagonistico erano già risorti in lei, e l'impulso fu di rispondere con asprezza; ma lo dominò e sorrise mostrando le fossette delle guance. Egli aveva avvicinato la sedia alla sua, e Rossella gli posò dolcemente mia mano sul braccio. - Oh, me la sono cavata, e le cose a Tara vanno benino adesso. Certo, abbiamo passato dei brutti momenti dopo la venuta di Sherman; ma per fortuna la casa non fu bruciata, e i negri salvarono la maggior parte delle nostre provviste nascondendole nella palude. Abbiamo anche fatto un discreto raccolto: venti balle. Senza dubbio, è un'inezia in confronto di quello che potrebbe produrre Tara; ma abbiamo pochi contadini. Il babbo dice che l'anno venturo andrà meglio. Ma com'è malinconica adesso la campagna, se sapeste! Né balli né riunioni; e non si parla d'altro che della tristezza dei tempi! Vi assicuro che non ne posso piú! Finalmente, la settimana scorsa ho sentito che proprio ero stufa, e allora il babbo mi ha consigliato di fare un viaggetto per distrarmi un poco. Perciò sono venuta qui a farmi qualche abito e poi andrò a Charleston da mia zia. Sarà piacevole frequentare di nuovo qualche ballo! «Bene» pensò con soddisfazione «gliel'ho detto proprio come dovevo! Senza aver l'aria troppo ricca, ma neanche troppo povera!» - Siete molto bella vestita da ballo, mia cara; e quel ch'è peggio, è che lo sapete! Probabilmente la vera ragione per cui andate a far visita alle vostre parenti è perché avete esaurito tutti i corteggiatori della Contea e avete bisogno di andare a mietere altre conquiste in campi lontani! Rossella fu ben lieta al pensiero che Rhett avesse trascorso gli ultimi mesi all'estero. Altrimenti, non avrebbe fatto quella ridicola affermazione. Pensò con amarezza ai corteggiatori della Contea: i piccoli Fontaine vestiti di abiti logori, i poveri Munroe, i giovinotti di Jonesboro e di Fayetteville, tanto occupati ad arare, spaccare legna, curare vecchi animali infermi, che avevano completamente dimenticato l'esistenza di cose piacevoli come balli e corteggiamenti. Ma respinse questo pensiero e sorrise ammettendo la verità dell'asserzione. - Andiamo, via! - esclamò. - Siete una creatura senza cuore, Rossella; ma forse questo fa parte del vostro fascino. - Sorrise del suo vecchio sorriso un po' beffardo. - È un fascino veramente eccessivo, il vostro. L'ho sentito perfino io, benché sia cosí indurito... Spesso mi sono chiesto perché avevo cosí vivo il vostro ricordo, mentre ho conosciuto tante signore piú belle di voi, piú intelligenti e, probabilmente, piú buone e moralmente piú oneste di voi. Eppure, non vi ho mai dimenticata. Anche quando, dopo la sconfitta, sono stato in Inghilterra e in Francia, e ho conosciuto tante donne piacevoli, mi è accaduto spesso di pensare a voi e di chiedermi che cosa stavate facendo. Per un momento fu indignata nel sentirgli dire che altre donne erano piú belle, piú intelligenti e piú buone di lei, ma questo pensiero svaní dinanzi alla gioia di sapere che aveva sempre ricordato lei e il suo fascino. Questo le facilitava il compito. Ora bisognava parlare di lui, fargli comprendere che anche lei non aveva dimenticato e poi... Gli strinse dolcemente il braccio e sorrise ancora. - Oh Rhett, perché prendere in giro una ragazza di campagna come me! So benissimo che non vi siete piú ricordato che io fossi al mondo dopo quella notte... Con tutte quelle belle inglesine e francesine... Ma non sono venuta qui per sentirvi dire delle galanterie. Sono venuta... sono venuta... perché... - Perché...? - Perché... ero tanto preoccupata per voi! Tanto spaventata! Quando uscirete da questo orribile luogo? Rapidamente egli le coperse la mano con la sua e la trattenne contro il proprio braccio. - Siete molto carina. Non so dirvi quando potrò uscire. Probabilmente quando avranno tirato un poco piú la corda. - La corda? - Ma sí; immagino che uscirò da qui sospeso a una corda! - Non volete dire che vi impiccheranno...? - Lo faranno se riusciranno ad avere qualche prova di piú a mio carico. - Rhett! - e Rossella si portò la mano al cuore. - Ne avrete dolore? Se sarete abbastanza addolorata, mi ricorderò di voi nel mio testamento. Gli occhi neri ridevano incuranti. Le strinse la mano. «Il suo testamento!» pensò Rossella. E abbassò gli occhi per tema che la tradissero. Ma non abbastanza rapidamente: e gli occhi di lui improvvisamente si accesero di curiosità. - Secondo gli yankees, dovrei fare un bellissimo testamento. Si interessano molto dello stato delle mie finanze. Tutti i giorni mi rivolgono un'infinità di domande stupide. A quanto pare, corre voce che io abbia portato via il mitico oro della Confederazione... - E... non lo avete fatto? - Che domanda! Voi sapete meglio di me che la Confederazione aveva una macchina litografica invece di una zecca. - E da dove veniva tutto il vostro denaro? Speculazioni. Zia Pitty dice... - Che domande insidiose? Dio lo benedica! Certamente aveva il denaro... Rossella era cosí eccitata che ormai trovava difficile parlargli con dolcezza. - Rhett, sono tanto sconvolta all'idea che siate rinchiuso qui dentro... Non vi è nessuna possibilità di uscirne? - Il mio motto è "nihil desperandum". - E che significa? - Significa "forse", mia graziosa ignorantella. Rossella agitò le palpebre frangiate come ali di farfalla. - Siete troppo abile per lasciarvi impiccare! Certo troverete il modo di cavarvela. E quando sarete riuscito... - Ebbene? - chiese Rhett dolcemente, chinandosi ancor di più - Ebbene, io... - Riuscí a fingere un grazioso imbarazzo e ad arrossire. Il rossore non le riuscí troppo difficile, perché era ansimante e il cuore le batteva come un tamburo. - Rhett, sono cosí spiacente di... di quello che vi dissi quella sera... lí, sulla strada. Ero... tanto spaventata e sconvolta e voi... - Abbassò gli occhi e vide le mani brune di lui sulle sue.... E credetti... che non vi avrei mai piú perdonato! Ma quando zia Pitty ieri mi ha detto che voi... che potrebbero impiccarvi... io... io... - Gli lanciò un rapido sguardo d'implorazione in cui mise tutta l'angoscia di un cuore spezzato - Oh, Rhett, se vi impiccassero morirei! Non potrei resistere! Io... - E non potendo sostenere la luce ardente degli occhi di lui, abbassò nuovamente le palpebre. «Sento che sto per piangere» pensò eccitata, frenetica. «Debbo dar corso alle lagrime? Sembrerà piú naturale? Rhett le strinse le mani cosí forte da farle male, mentre mormorava: - Dio mio, Rossella, non volete dire che... Ella chiuse gli occhi cercando di spremerne qualche lagrima, ma volgendo lievemente in alto il viso perché egli potesse baciarla piú facilmente. Fra un secondo la sua bocca sarebbe sulla sua; quella bocca dura che improvvisamente ricordò con un'intensità che parve la svuotasse di tutto il sangue. Ma egli non la baciò. Delusa e stupita, riaperse gli occhi e arrischiò una breve occhiata. Il capo bruno era chino sulle sue mani; egli ne sollevò una e la baciò; poi, prendendo l'altra, se la posò per un momento sulla guancia. Aspettandosi qualche cosa di violento, questo gesto gentile e affettuoso la stupí. Avrebbe voluto vedere l'espressione del suo volto, ma non poté scorgerlo. Riabbassò in fretta gli occhi per timore che egli sollevasse i suoi e vedesse la sua espressione. Era sicura di non poter celare la gioia per il trionfo imminente. Certo fra un minuto le chiederebbe di sposarlo o perlomeno le direbbe che l'amava; e allora... Mentre attraverso le folte ciglia abbassate ella lo guardava, Rhett le rivoltò la mano per baciarne anche il palmo, e a un tratto respirò piú velocemente. Anche Rossella in quel momento vide il palmo della propria mano, come se non lo avesse mai visto, e si sentí mancare il cuore. Era la mano di un'estranea, non la mano bianca, morbida, tutta fossette di Rosella O'Hara. Era una mano indurita dal lavoro, arsa dal sole, screpolata e incallita. Le unghie erano spezzate e irregolari; nel pollice era una vescica in via di guarigione. La cicatrice della bruciatura prodotta il mese scorso dal grasso bollente era lucida e rossa. Rossella vide tutto ciò in un lampo, con orrore, e istintivamente strinse il pugno. Neanche adesso Rhett levò il capo. Neanche adesso ella vide il suo volto. Le riaperse il pugno senza pietà, le prese l'altra mano e rimase a fissarle senza parlare. - Guardatemi - disse finalmente alzando la testa; la sua voce era tranquilla. - E smettete quell'aria umiliata. Involontariamente ella lo guardò con un'espressione di sfida e di turbamento. Gli occhi di lui scintillavano e le sue sopracciglia brune erano inarcate. - Dunque le cose vanno benino a Tara, non è vero? E il raccolto del cotone rende tanto che voi potete andare in giro a visitare i parenti. Che cosa avete fatto con queste mani...? Vangato? Ella cercò di svincolarsi; ma Rhett la trattenne e le posò un dito sui calli. - Queste non sono le mani di una signora - e gliele posò nuovamente in grembo. - Tacete! - ella esclamò provando un attimo di sollievo nel sentirsi nuovamente capace di esprimere i propri sentimenti. - Che cosa v'importa di quello che faccio con le mani? «Che sciocca!» pensò frattanto con ira. «Dovevo farmi prestare i guanti di zia Pitty o rubarglieli. Ma non mi ero accorta che le mie mani fossero in questo stato. E ora ho perso il controllo di me stessa ed ho rovinato ogni cosa!» E questo proprio nel momento in cui stava per fare la sua dichiarazione! - Senza dubbio le vostre mani non mi riguardano - rispose Rhett freddamente e si appoggiò indolentemente alla spalliera della sua sedia con aria ingenua. La faccenda diventava difficile. Chi sa, forse parlandogli con dolcezza... - Siete poco gentile a respingere le mie povere mani, soltanto perché la settimana scorsa sono andata a cavallo senza guanti e me le sono sciupate... - Accidempoli, che cavallo! - La voce di lui era ugualmente calma e dolce. Avete lavorato come un negro, con quelle mani. Perché non dite la verità? Perché darmi ad intendere che le cose a Tara vanno bene? - Ma insomma, Rhett... - Qual'è il vero scopo della vostra visita? Avevo quasi creduto alle vostre moine e stavo per convincermi che eravate addolorata che io... - Ma sí, Rhett, sono addolorata! Davvero... - Niente affatto. Se anche mi appiccassero a non so che altezza, non ve ne importerebbe nulla. È scritto chiaramente sul vostro viso, cosí come il lavoro faticoso è scritto sulle vostre mani. Voi volete qualchecosa da me e perciò avete inscenato questa commedia. Perché non siete venuta a dirmelo francamente? Avreste avuto piú probabilità di raggiungere il vostro scopo, perché se vi è una virtú che stimo in una donna è la franchezza. Ma no: siete venuta qui a far dondolare i vostri orecchini e a fare delle smorfie come una prostituta che spera di accaparrarsi un cliente. Non aveva alzato la voce pronunciando queste ultime parole, ma per Rossella furono come una frustata; ed ella vide con disperazione il naufragio di tutte le sue speranze. Se egli avesse avuto uno scoppio d'ira come a molti altri uomini sarebbe accaduto, Rossella avrebbe ancora trovato modo di prenderlo. Ma la calma mortale della sua voce la sgomentò. Benché fosse un detenuto e nella stanza accanto vi fossero gli yankees, ella comprese improvvisamente che era pericoloso mettersi in contrasto con Rhett Butler. - Evidentemente la memoria mi ha fatto difetto. Dovevo ricordarmi che voi siete come me e non fate mai nulla senza uno scopo. Vediamo, dunque. Che diamine potevate avere in mente, signora Hamilton? Possibile che abbiate supposto che vi avrei chiesta in moglie? Ella divenne di porpora e non rispose. - Eppure non potete aver dimenticato che molte e molte volte ho affermato che non sono tipo da matrimonio! Poiché ella non rispondeva, egli riprese con subitanea violenza. - Non lo avevate dimenticato? Rispondetemi! - Non lo avevo dimenticato - rispose Rossella miserabilmente. - Siete una giocatrice, Rossella - rise Rhett. - Avete creduto che l'essere chiuso qui, lontano da ogni contatto femminile, mi avrebbe messo in tale stato che avrei abboccato all'amo come un povero pesciolino... «E se non fosse stato per le mie mani...!» pensò Rossella con ira. - Ora la verità è venuta fuori; mi manca soltanto conoscere i vostri motivi. Vedete un po' se siete capace di dirmi perché volevate accalappiarmi nella rete matrimoniale. Nella sua voce era una nota soave, quasi beffarda, ed ella riprese un po' di coraggio. Forse tutto non era ancora perduto. Certo non vi era piú da pensare al matrimonio; ma di questo, malgrado la sua disperazione, fu quasi contenta. Vi era qualche cosa, in quell'uomo immobile, che la sgomentava; sicché ora il pensiero di sposarlo le appariva spaventoso. Ma forse, con un po' di abilità e sapendo toccare il tasto dei ricordi, potrebbe ottenere il prestito. Diede al suo viso un'espressione infantile e supplichevole. - Oh, Rhett... potreste aiutarmi... se voleste esser buono! - Non c'è nulla che mi piaccia di piú che l'esser buono. - Rhett, per la nostra vecchia amicizia, vorrei che mi faceste un favore. - Oh, finalmente la signora dalle mani callose viene a dirmi il vero scopo della sua visita. Mi pareva bene che «visitare gli infermi e i carcerati» non fosse il vostro genere. Di che avete bisogno? Denaro? La rudezza di questa domanda distrusse ogni speranza di condurre la faccenda in maniera guardinga e sentimentale. - Non siate cosí cattivo, Rhett! - La sua voce era lusingatrice. - Ho bisogno di un prestito da voi... Trecento dollari. - Finalmente la verità! Si parla d'amore ma si pensa ai quattrini. Com'è femminile questo! E vi occorrono assolutamente? - Sí... Cioè, non assolutamente, ma mi farebbero comodo. - Trecento dollari. È una bella somma. Per che cosa vi serve? - Per pagare le imposte su Tara. - Dunque, vi occorre una sovvenzione. Giacché siete qui per affari, parlerò anch'io da uomo d'affari. Che garanzia mi date? - Come? - Garanzia. Sicurezza della restituzione. Non ho nessuna voglia di perdere una simile cifra. - La sua voce aveva una falsa dolcezza; ma Rossella non la rilevò. Sperava ancora che la faccenda potesse aggiustarsi. - I miei orecchini. - Non mi interessano. - Vi darò un'ipoteca su Tara. - Che volete che ne faccia di una proprietà fondiaria? - Potreste... potreste... è un'ottima piantagione. E non perderete nulla. Vi rimborserò col ricavato del prossimo raccolto. - Non ne sono molto sicuro. - Si appoggiò indietro, alla spalliera della sedia, e si mise le mani in tasca. - I prezzi del cotone stanno scendendo. I tempi sono difficili e il denaro è scarso. - Mi prendete in giro, Rhett! Coi milioni che avete... Gli occhi neri di lui brillavano maliziosamente mentre egli la fissava. - Dunque, tutto va bene e voi non avete un bisogno assoluto di questo denaro. Mi fa piacere di saperlo. Sono ben contento che per i vecchi amici la vita sia abbastanza facile. - Rhett, per l'amor di Dio... - riprese Rossella disperata, perdendo il coraggio e il controllo di sé. - Parlate piú sommessa. Spero che non vorrete che gli yankees vi sentano. Vi hanno mai detto che avete gli occhi di un gatto... di un gatto nell'oscurità? - Non mi tormentate, Rhett! Vi dirò tutto. Ho assoluto bisogno del denaro. Ho... ho mentito in tutto e per tutto. Le cose... vanno alla peggio. Il babbo è... non è piú in sé, da quando è morta la mamma; e non può aiutarmi in nessun modo; è ridotto come un bambino. Non abbiamo un solo contadino per coltivare il cotone e siamo in tanti a mangiare: tredici persone! Le tasse sono altissime. Voglio dirvi tutto, Rhett! Per un anno siamo stati sempre in procinto di morire di fame. Oh, non potete sapere! È terribile svegliarsi con la fame e andare a letto con la fame... E non avere un vestito che dia un po' di calore; i bambini sono sempre raffreddati e sofferenti... - Dove avete preso questo bel vestito? - È fatto con le tende della mamma - rispose, troppo disperata per tacere questa vergogna. - Ho resistito al freddo e alla fame, ma ora... i «carpetbaggers» hanno aumentato le tasse. E bisogna pagare! Non ho che una moneta d'oro da cinque dollari. E se non pago... mi prenderanno Tara! E io... noi non possiamo perdere la nostra terra, la nostra casa! - Perché non mi avete detto subito tutto questo invece di far languire il mio cuoricino suscettibile... sempre debole quando si tratta di belle signore? No, Rossella, non piangete. Avete usato tutti i trucchi possibili, meno questo; e non so se potrei resistere. Ho già il cuore abbastanza lacerato dalla delusione di avere scoperto che volevate il mio denaro e non la mia affascinante persona. Ella ricordò che Rhett spesso diceva delle verità scherzando e lo guardò per comprendere se egli era veramente addolorato. Si interessava davvero a lei? Era realmente stato in procinto di farle una proposta quando si era accorto delle sue mani callose? Ma gli occhi neri la guardavano con un'espressione che non era amorosa, e la bocca rideva beffarda. - Non mi piace la vostra garanzia. Non sono un piantatore. Che altro potete offrirmi? Finalmente era giunto il momento... Coraggio! Trasse un profondo respiro e lo guardò schiettamente, senza civetteria, mentre la sua mente cercava di non indietreggiare dinanzi a ciò che temeva di piú. - Ho... ho me stessa. - Davvero? La linea della mascella di lei si assottigliò e i suoi occhi divennero di smeraldo. - Vi ricordate quella sera, durante l'assedio, sotto al porticato di zia Pitty? Mi diceste... che mi desideravate. Egli si gettò nuovamente indietro, appoggiando la spalliera della seggiola alla parete; il suo volto bruno era impenetrabile. Una luce si agitò un attimo nei suoi occhi, ma egli tacque. - Diceste... che non avevate mai desiderato tanto nessuna donna. Se mi desiderate ancora, Rhett, potete avermi. Farò tutto ciò che vorrete; ma per carità, scrivetemi un ordine per il denaro! La mia parola vi deve bastare. Giuro che non mi trarrò indietro. Se volete, ve lo metterò in iscritto. Egli la guardò in modo strano, sempre impenetrabile; Rossella non avrebbe saputo dire se era divertito o disgustato. Se almeno avesse pronunciato una parola! Ella sentí le fiamme salirle al viso. - E bisogna che io abbia il denaro senza indugio, Rhett. Altrimenti ci metteranno in mezzo alla strada; quel maledetto sorvegliante che era alle dipendenze del babbo vuoi diventare proprietario di Tara... - Un momento. Che cosa vi fa credere che io vi desideri ancora? Che cosa vi fa supporre che potete valere trecento dollari? Generalmente le donne non raggiungono questo prezzo. Ella arrossí fino alla radice dei capelli; non poteva essere piú umiliata di cosí. - Perché fate questo? Perché non lasciate perdere la proprietà e non ve ne andate ad abitare con miss Pittypat? Metà della casa vi appartiene... - Dio benedetto! - esclamò Rossella. - Siete pazzo? Io non posso lasciar perdere Tara. È la mia casa. Non la lascerò finché avrò respiro! - Gli irlandesi - e riabbassò i piedi anteriori della sedia togliendosi le mani di tasca - sono la razza piú infernale che vi sia. Mettono un ardore inverosimile nelle cose piú sbagliate. Per esempio, la terra. Come se una zolla non fosse identica a un'altra zolla... Dunque, stabiliamo chiaramente questa faccenda. Siete venuta da me con una proposta commerciale. Io vi darò trecento dollari e voi diventerete la mia amante. - Sí. Ora che la parola ripugnante era stata detta, ella si sentí sollevata; la speranza si ridestò in lei. Rhett aveva detto «vi darò». Nei suoi occhi era una luce diabolica, come se la cosa lo divertisse sommamente. - Eppure, quando ho avuto la sfacciataggine di farvi la stessa proposta, mi avete messo alla porta. E mi avete gratificato di un certo numero di insulti, aggiungendo che non volevate arrischiare di mettere al mondo «un mucchio di bastardi». Questo lo dico soltanto perché sto cercando di capire le stranezze della vostra mentalità. E tutto questo mi convince una volta di piú che la virtú è semplicemente una questione di prezzo. - Oh, Rhett, continuate pure! Se avete voglia di insultarmi, dite tutto quello che volete, ma datemi il denaro! Ora si sentiva piú tranquilla. Conoscendo Rhett, era certa che egli l'avrebbe tormentata e insultata per vendicarsi del passato e anche del suo recente tentativo. Ebbene, sopporterebbe tutto. Per Tara, valeva la pena. Tutto si poteva sopportare. Rialzò il capo. - Me lo darete? Egli la fissò come se si stesse divertendo, e quando rispose la sua voce ebbe una soave brutalità: - No, non ve lo darò. Le sembrò quasi di non capire. - Non potrei darvelo, anche se volessi. Non ho un quattrino con me. E non ho un dollaro ad Atlanta. Ho un po' di denaro, sí, ma non qui. E non vi dirò quanto né dove. Ma se io cercassi di fare un assegno, gli yankees vi si avventerebbero sopra e non prenderemmo piú nulla, né voi né, io. Che ne dite? Il volto di lei divenne verdastro, e la sua bocca si contorse come quella di Geraldo in una rabbia omicida. Balzò in piedi con un grido incoerente che fece immediatamente cessare il mormorio di voci nella stanza accanto. Con un guizzo di pantera Rhett le fu vicino, mettendole una mano sulla bocca e afferrandola alla vita con l'altro braccio. Ella lottò violentemente, cercando di mordergli la mano, di dargli dei calci, di urlare la sua ira, la sua disperazione, il suo odio, la sua angoscia, il suo orgoglio ferito. Si dibatté e si torse su quel braccio di ferro, ma egli la teneva cosí stretta da farle male; anche la mano che le aveva posto sulla bocca le serrava crudelmente le mascelle. Era pallidissimo sotto il suo colore abbronzato e i suoi occhi erano ansiosi mentre la sollevava completamente da terra; sedette nuovamente, stringendosela al petto, raccogliendola sulle sue ginocchia tutta contorta. - Cara, per l'amor di Dio! Zitta! Non urlate! Altrimenti entreranno qui... Calmatevi! Volete che gli yankees vi vedano in questo stato? Non le importava nulla di essere vista da chiunque; non aveva altro che un feroce desiderio di ucciderlo. Ma si sentí prendere dal capogiro: stentava a respirare; Rhett la soffocava; il busto la stringeva come una morsa di ferro. Udí la sua voce diventare piú fievole e lontana e il volto di lui chino sul suo fu avvolto da una specie di nebbia sempre piú densa, finché non lo vide piú. Tornando in sé, fece qualche lieve movimento: le dolevano tutte le ossa e si sentiva debole e sbalordita. Semisdraiata sulla sedia, era senza cappello; Rhett le dava dei lievi colpetti sul polso, mentre i suoi occhi neri la scrutavano ansiosamente. Il giovine capitano cercava di farle inghiottire un bicchierino di acquavite; gliene aveva sparso metà sul collo. Gli altri ufficiali giravano intorno senza saper che fare, parlando sottovoce e agitando le mani. - Credo... di essere svenuta. - E la propria voce le parve cosí lontana che la spaventò. - Bevi questo - disse Rhett prendendo il bicchiere e accostandoglielo alle labbra. Ella ricordò l'accaduto e lo guardò; ma era troppo stanca per adirarsi. - Ti prego, per amor mio. Inghiottí un sorso e cominciò a tossire; ma egli la costrinse ad inghiottire ancora. Ingoiò e il liquido ardente le bruciò la gola. - Ora mi pare che stia meglio, signori - disse Rhett - ed io vi ringrazio molto. L'idea che io debba essere giustiziato l'ha sconvolta. Il gruppo in uniformi azzurre si agitò un poco confusamente; vi fu qualche sguardo imbarazzato, qualche colpetto di tosse, poi tutti uscirono. - Se posso ancora esservi utile... - disse il giovine capitano soffermandosi sulla soglia. - No, grazie. Uscí e richiuse l'uscio. - Bevete un altro sorso. - No. - Bevete. Bevve ancora; il calore si diffuse per il suo corpo e le diede un po' di forza. Fece per alzarsi in piedi, ma egli la trattenne. - Lasciatemi. Ora me ne vado. - Non ancora. Aspettate un momento. Potreste svenire di nuovo. - Preferisco svenire per istrada piuttosto che stare qui con voi. - Ma io non voglio che vi sentiate male per istrada. - Lasciatemi andare. Vi odio. Egli accennò un debole sorriso. - Questo vi somiglia. Si vede che state meglio. Rossella cercò per un momento di richiamare la sua collera; ma era troppo stanca e debole per potere odiare e provare qualsiasi sentimento violento. La sconfitta le pesava come il piombo. Aveva giocato e aveva perduto tutto. Questa era la fine della sua ultima speranza; la fine di Tara e di ogni cosa. Rimase a lungo con gli occhi chiusi, sentendo vicino a sé il respiro di lui; il calore dell'acquavite diffondendosi nel suo corpo le diede una fittizia energia. Quando finalmente riaperse gli occhi e lo vide, la collera la invase nuovamente. Vedendole aggrondare le sopracciglia, Rhett sorrise. - State meglio. Si vede dal vostro cipiglio. - Sí, sto bene. Ma voi, Butler, siete un odioso farabutto, il piú gran mascalzone che io abbia mai conosciuto! Sapevate benissimo quello che vi avrei detto e sapevate che non potevate darmi il denaro. Avreste dunque potuto evitarmi... - Evitarvi di dire quello che avete detto? Neanche per sogno. Ho cosí poche distrazioni qui! E non ho mai udito nulla di piú piacevole. - Improvvisamente rise del suo vecchio riso beffardo. Udendolo ella balzò in piedi afferrando il suo cappello. Egli la prese per le spalle. - Non ancora! Vi sentite abbastanza bene da poter parlare con un po' di senso comune? - Lasciatemi andare! - Vedo che state bene. E allora ditemi una cosa. Ero io la sola cartuccia che potevate sparare? - I suoi occhi erano attenti e pronti a spiare ogni mutamento del volto di lei. - Che volete dire? - Ero il solo uomo col quale potevate tentare...? - Che ve ne importa? - Piú di quello che immaginate. Ditemi dunque. Avete altri uomini a cui ricorrere? - No! - Incredibile. Non riesco a immaginarvi senza una riserva di cinque o sei innamorati. Certamente qualcuno potrebbe accettare la vostra proposta. Ne sono tanto sicuro che vorrei darvi un piccolo consiglio. - Non so che farmene dei vostri consigli. - Voglio darvelo lo stesso. È la sola cosa che posso darvi adesso. Quando volete ottenere qualche cosa da un uomo, non siate cosí schietta come siete stata con me. Siate piú insinuante, piú seducente. Il risultato sarà migliore. Una volta eseguivate questo gioco alla perfezione. Ma poco fa, quando mi avete offerto la vostra... hm.... garanzia per il mio denaro, siete stata troppo dura. Ho visto degli occhi come i vostri una volta, a venti passi di distanza, durante un duello alla pistola; e vi assicuro che non è una vista piacevole. Ciò non risveglia l'ardore nel petto di un uomo. Non è cosí che si trattano gli uomini, mia cara. Voi state dimenticando la vostra educazione e tutte le arti che vi sono state insegnate. - Non ho bisogno che mi diciate come devo comportarmi - replicò Rossella; e si mise il cappello con le mani tremanti di stanchezza. Fu stupita che egli avesse voglia di scherzare, sentendosi la corda intorno al collo, e sapendo lei in condizioni cosí pietose. Non si accorse neppure che egli aveva le mani sprofondate in tasca, coi pugni stretti, come se facesse uno sforzo contro la propria impotenza. - Allegra - le disse mentre ella si annodava i nastri del cappello. - Potrete venire ad assistere alla mia impiccagione; questo vi farà bene. Salderà tutti i vostri vecchi rancori contro di me... anche quest'ultimo. E io vi nominerò nel mio testamento. - Grazie; ma c'è il pericolo che vi impicchino quando sarà troppo tardi per pagare le tasse - rispose Rossella con una subitanea malizia che superò quella di lui.

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Il marito dell'amica

244984
Neera 1 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Le due donne si abbracciarono con effusione. Il servo colle valigie in mano, e il vetturino dall'alto del suo seggio, aspettavano. Sofia, tutta rossa, agitandosi, parlando forte esprimeva la sua maraviglia per un incontro così straordinario. L'altra dolcemente commossa, sorridendo con aria materna, le ricambiava le carezze, ripetendo : - Ma sì! Non mi par vero. - E da dove arrivi tu? - Da Buenos-Aires. - Scusate il viaggetto.... Io torno da Sesto di Monza. Rise forte, tanto il contrasto le sembrava piccante. Poi soggiunse: - Ma e dove vai ora? - A cercarmi un albergo. - Non hai famiglia, parenti? - Nessuno. - Oh! ma allora vieni da me. - Da te?... - Sì, sì ; figurati se ti voglio lasciare.... la mia migliore amica! Andiamo, vieni a casa mia. E la spingeva in carrozza, risolutamente, con quella sua grazia dominatrice di donna viziata, avvezza a fare quello che vuole, senza pensarci su molto. - No, no, più tardi.... ci rivedremo.... Così protestava l'amica, dolcemente, con voce tranquilla, poiché la scenetta si prolungava già troppo e il vetturino dava segno di impazienza. Fu Sofia che la vinse. La viaggiatrice, un po' a malincuore, un po' cedendo al fascino petulante della giovane signora, sedette nella vettura; Sofia le si pose accanto, stringendo le sottane per far posto ai bagagli. Il servitore si accomodò sul seggio del vetturino. - Via Monforte, l'ultima casa.... Ed ora, - Sofia alzò i vetri perchè il vento era violentissimo - ora, lascia che ti guardi. Sei molto bella, sai? Narrami un po' che cosa hai fatto in questi cinque o sei anni che non ci vediamo. - Ho preso marito. - Ed io pure; compiono oggi i ventiquattro mesi. - Due anni, dunque? - Sì; ma a dire due anni mi sembra di essere vecchia vecchia.... È come il mio bambino.... - Hai un bambino? - Sì, di dodici mesi. - Ah! - Sono stata a trovarlo perchè è un po' indisposto. - Non lo allevi in casa? - Mio marito dice che i bambini crescono meglio nell'aria libera della campagna. - A proposito, che dirà tuo marito di questo tegolo che gli piove in casa? - Lui? Ma nulla affatto, te lo assicuro; è l'essere più freddo dei due emisferi. Una pausa, leggermente imbarazzante, troncò il dialogo delle due amiche. La forestiera si faceva sempre più seria, osservando attentamente la sua antica compagna sulla quale l'esperienza della vita non aveva prodotto alcun cambiamento; era una donnina piacente, grassoccia, con un sorriso troppo infantile, corretto a volte - e ancora troppo - da uno sguardo provocante e leggero. - Un doganiere che si affacciò allo sportello le occupò per un momento: quando furono libere, Sofia borbottò contro gli intoppi che si incontrano ad ogni passo. Senti - disse improvvisamente l'amica - questo modo di entrare in casa tua è proprio romanzesco; permettimi di presentarmi un po' meglio.... fra qualche giorno.... Allora Sofia le saltò al collo, baciandola furiosamente, piangendo, dicendole che era un' ingrata, che non l'amava più, che non ricordava più nulla della loro amicizia di collegio, dei giuramenti scambiati, e che diffidava di lei. Terminò abbrancandola per i polsi e protestando che non la lascerebbe partire nemmeno se la mettessero alla tortura. Tanta espansione d'affetto vinse gli ultimi scrupoli della signora; ella pensò poi in cuor suo che, qualunque fosse la posizione di Sofia, era abbastanza ricca per contracambiare l'ospitalità. Giunsero frattanto all'ultima casa di via Monforte; e Sofia, tutta giuliva, precedendo l'ospite sulla scala la introdusse nel suo appartamentino, elegante e signorile, coll'aria un po' vuota degli appartamenti nuovi. - Ci siamo! - esclamò poi, trionfante. E volta alla cameriera, che aveva aperto l'uscio: - Mio marito? - Non è tornato ancora. Qui la forestiera fu ripresa dalla curiosità di sapere, alla fine, chi fosse il marito della sua amica; ma la prudenza e il tatto acquistati in una vita burrascosa la consigliarono ad aspettare le confidenze, anzichè provocarle. - Che c'è? - domandò Sofia alla cameriera che restava ritta sulla soglia, con fare impacciato. - È venuto il signor Bandini. - Ebbene? - È qui; aspetta la signora. Sofia arrossì leggermente. - Digli.... digli che.... Poi con una delle sue brusche risoluzioni: - Maria - aggiunse mettendo una mano sulla spalla dell'amica - mi permetti? E prima che Maria potesse rispondere: - Torno subito; devo dire due parole a quel signore. Tu intanto leva il cappello; la cameriera ti condurrà in una cameretta accanto alla mia.... è piccina, ma te la accomoderemo per benino, vedrai. Fa come se fossi in casa tua; cinque minuti e sono da te. Sparve lasciando dietro a sè, sul tappeto, un guanto e la pezzuola profumata di verbena. In un gabinetto ottagono, tappezzato di stoffa color verdemare a mazzi di rose in rilievo, un giovinotto aspettava, sdraiato su un divanino basso. La sua testa bruna, accuratamente pettinata, spiccava sul fondo della tappezzeria, mettendo una nota forte in quella armonia romantica e delicata delle rose sulla gradazione color d'acqua. Egli aveva una posa affatto prosaica, coi piedi appoggiati al cuscinetto di trine che stava a un lato del divano; ma balzò ritto quando Sofia schiuse l'uscio, dicendogli a bruciapelo: - Siete molto imprudente. Perchè aspettarmi? Lo sapevate pure che oggi mi recava a trovare il bambino. Andatevene; ho un'amica con me; non posso ascoltarvi. - Ecco un fiume di parole, fra le quali ne cerco invano una dolce al mio indirizzo. - Scusatemi. Sorrise, e gli porse la mano che egli baciò. - È molto tempo che siete qui? - Non so.... pensavo a voi e non ho contato le ore. - Sempre galante. - Dite sempre innamorato. - Ztt!... sapete che questa parola non la voglio sentire. Amico, alla buon'ora. - Che distinzione sottile.... Ma se sapeste come il sentimento che provo per voi è nobile... elevato... - Lo credo, senza di che ve lo permetterei forse? Ma andatevene. Oggi non possiamo far musica insieme, nè leggere i nostri poeti favoriti... - Ma che cosa vi è accaduto? - Una combinazione strana. Ho incontrato, figuratevi, l'amica mia più antica e più cara, dopo sei anni che non ne sapevo più nulla. Pensate quante cose abbiamo a dirci. Eravamo in collegio insieme, lei con qualche anno più di me, e ci siamo amate con passione, con una intensità che faceva strabiliare tutti; molto più che i nostri caratteri sembrava dovessero armonizzare poco. Lei seria, studiosa, riflessiva... io tutta gaia, vivace... i maligni dicono anche leggera; ah! ma protesto. Maria mi conosce bene; sa che sotto una apparenza... come dire? - Incantevole. - Oh via! Gli diede un buffetto sotto il mento. - Dunque andatevene. - Ma sino a quando starà qui la vostra... - La mia amica? - Sì... Cercavo un nome ad hoc, come Castore e Polluce, Oreste e Pilade... ma è singolare, nella storia dell'amicizia mancano affatto i nomi femminili. - Maligno. Si vede proprio che parlate per invidia. Ebbene, saremo generose. Vi permettiamo di venire a farci la vostra corte alla sera. - Coram populo? Sofia si strinse nelle spalle con un movimento pieno di civetteria e di grazia. - Pazienza. Posso mandarvi alcuni fiori? - Sempre bene accetti. L'elegantissimo Alfredo Bandini tornò a baciarle la mano, sospirando, e si accomiatò. Sofia stette un momento a guardare l'uscio per dove era partito; aveva l'occhio brillante, il seno agitato da un palpito irregolare; si sentiva felice e malcontenta nello stesso tempo. Girando lo sguardo sulle pareti del gabinetto, la sua emozione parve trovare una fonte di mollezza nel verde tenero dove morivano le rose, sul divanuccio a spalliera dorata, dai contorni morbidi, nella luce della finestra, smorzata da tendinette di seta rosea; e sedette, cedendo al fascino di un languore che la invadeva tutta. Quel Bandini!... Il giorno in cui le aveva offerta la propria amicizia ella era uscita, irata, dalla prima battaglia col marito. Bandini le parlò con tanta grazia dei cuori che soffrono, mostrò di conoscere così bene l'organismo di un'anima femminile, trovò parole così eleganti, (era toscano e parlava come un angelo) che a lei parve di rinascere, come quando dopo una pioggia violenta si vede spuntare un raggio di sole. Ed ora, sì, ora c'era del pericolo. Sofia si raggomitolb sul divanuccio, abbandonando la testina sul guanciale. Si trovava nella stessa situazione di un fanciullo al quale venga proibito di aprire un vaso di miele, ma che a furia di girarvi intorno, riesce a scoprire nel vaso un forellino, dal quale succhia il dolce pensando di non far male. La cameriera venne a toglierla dall'estasi, domandandole gli ordini per la forestiera. - Ah sì! - fece Sofia. E si alzò, ratta, dimenticando subito Bandini per ricadere nella tenerezza che le suscitava l'amica, compiacendosi in quel passaggio violento dall'una all'altra emozione. - Dov'è? - È nel salotto. - Va bene. Quando viene mio marito avvertilo subito che c'è di là una mia carissima amica.

L'indomani

246112
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Le due signore si abbracciarono, promettendo di vedersi spesso. Ninetta soggiunse: - Ma sì, venga! Quando la porta della casa gialla fu chiusa, Marta si strinse al braccio di suo marito. - Ti sei annoiata un pochino? - chiese egli ridendo. - No, ma desideravo trovarmi sola con te. Mi pare che tutti gli altri abbiano a portarmi via qualcosa del mio Alberto, perchè tu sei mio, non è vero? - Oramai, se anche non volessi, è cosa fatta. - E quel signor Merelli è lui pure tutto di sua moglie? - chiese Marta insidiosamente. - Oh! capirai, non posso saperlo... - Non mi piacerebbe per marito. - Ne sono ben lieto. - È grossolano. - Un pochino. - E troppo pingue. - Converrai che di questo non ne ha colpa. Sua moglie, che te ne pare? - Una buona donna, con poco spirito se vuoi, oh! ma ha sofferto tanto. - Ti ha raccontato?... - Si, il suo primo parto... - Ah! solamente ciò? - Sicuro - fece Marta, dandosi l'importanza di una matrona iniziata a segreti misteri. Tacquero fino a casa. Sulla soglia trovarono il dottorone, impettito. Egli, che era già stato presentato a Marta, la salutò chiedendole che cosa l'era parso dei coniugi Merelli. - Ma... gentili. - E la servetta? Il dottorone lanciò questa domanda con tale malizia negli occhi, che Marta stupì. - Andiamo - fece Alberto prendendo il, dottore sotto braccio - vieni a desinare con noi. - Non posso. Ho a casa una galantina di lepre con certi tartufi che sono una meraviglia. La mia serva non ha l'abilità della Ninetta... ma per la galantina! Si baciò la punta delle dita, sempre con gli occhi birichini, e fatta una scappellata alla signora, e detto che s'era fermato apposta per augurarle il buon pranzo, se ne andò, lento lento, col corpaccione male assettato nell'abito nero, coi calzoni color lumaca troppo corti, il cappello a tuba posto in bilico sopra l'orecchio. Marta si spogliò in fretta; doveva preparare una salsa di cui ella sola conosceva la ricetta e che, nel suo ardore di neofita, giudicava più accetta ad Alberto, se fatta da lei. Comparve a tavola tutta rossa, impaziente di conoscere l'esito. Quando Alberto ebbe dichiarato che la salsa era gustosa, allora si calmò; mangiò e bevve di buonissimo umore; fece l'enumerazione dei piatti che preferiva, combinandoli con quelli preferiti da Alberto, vedendo con soddisfazione che si incontravano nel gusto. - E, dimmi - esclamò improvvisamente - che cosa intendeva il dottore con le sue allusioni alla serva dei Merelli? Alberto era l'uomo meno adatto del mondo a nascondere checchessia; rispose, un po' imbarazzato, che il dottore scherzava volentieri. - Non è ciò - interruppe Marta a cui si schiarivano le idee meravigliosamente - se non ci fosse nulla di positivo, lo scherzo non avrebbe avuto ragione d'essere. - Ebbene, disse Alberto, pensando che, in fin dei conti, la cosa non lo riguardava affatto e che Marta l'avrebbe saputa egualmente - Merelli fa all'amore colla Ninetta. - Così? - esclamò Marta sgranando gli occhi. - Come, così? - In presenza della moglie... - Ma!... - Con tanti bambini? - I bambini non c'entrano, - Ma è un orrore! - Certo non lo approvo. - Tu non avresti questo coraggio, eh? - Non mi sono mai piaciute le serve. - Ah! - tornò a fare Marta con un sospiro di sollievo, mentre l'onesto faccione dell'Appollonia le attraversava il pensiero. E dopo un po' di tempo mormorava ancora: - È un'infamia, è un'infamia. Ma perchè sei amico di quell'uomo? - Oh! bella, dovrei levargli il saluto in causa del suo gusto per le serve? È una debolezza in lui, non può correggersi. Ninetta non è la prima. - Ma sua moglie? Poverina, voglio avvertirla... - Non ci mancherebbe altro! - Almeno consigliarla a tener serve vecchie.... - Non ci stanno in quella casa, con tutti quei bambini, rifletti. - Oh! povera donna, povera donna! - Senti - continuò Alberto prendendo le mani di sua moglie per calmarla - secondo ogni probabilità, la signora Merelli non sospetta niente; e se lo sospetta, forse non ci pensa; può anche darsi che lo sospetti, che ci pensi, ma che non gliene importi un cavolo. In tal caso tocca a noi farci cattivo sangue? Marta stette zitta un momento. - È impossibile - scattò poi - che ella resti indifferente! - E perchè impossibile? - dopo dieci anni di matrimonio... - Alberto, che cosa dici? L'amore fra marito e moglie non deve essere eterno? - Cara mia, se tutte le cose che dovrebbero essere, fossero! - Tu dunque fra dieci anni non mi amerai più? E amoreggerai?... L'Appollonia tornò a passare nella mente di Marta portandovi un raggio così giulivo che, nel bel mezzo della sua indignazione, dovette sorridere; di che accorgendosi Alberto, disse: - Ma sì, farò all'amore coll'Appollonia. Ella rideva, adesso; avendo posata la fronte sulla spalla di suo marito, eccitata da un ordine nuovo di idee che le si erano parate dinanzi. - Però, senti, non capisco come una persona educata, un uomo che ha studiato, infine che non è un villano del tutto, possa perdersi con le serve. - Anche un uomo educato non trova sempre delle duchesse, mia cara Marta, e poi, se ti dico che è il suo debole! Vuoi uscire a fare due passi in giardino? - No. Ella tornava al suo argomento, appassionandovisi con una voluttà rabbiosa e crudele. - Ma non pensa alle conseguenze, al disonore della ragazza, a... - Che cosa vuoi che pensi!... Finiamola, se non ti dispiace, coi Merelli. Alberto si era levato in piedi, non dissimulando una certa seccatura, e passeggiava innanzi e indietro fermandosi ogni tanto a guardar fuori dalla finestra. Marta sentì una stretta al cuore. Non cambiò positura, non si mosse. Aveva ancora davanti il piatto sul quale stavano alla rinfusa dei picciuoli di ciliegia; li prendeva a due a due, allacciandoli insieme per vedere quale si rompeva; a conti fatti, i picciuoli rotti erano in gran maggioranza. Li riunì con cura in un monticello. - Hai detto all'Appollonia che non faccia più tanto rumore, alla mattina, co' suoi zoccoli? - Sì, gliel'ho detto. - E tu sarai così buona da cucirmi, domani, quei bottoni alla mia casacca di velluto? - Sono già cuciti. - Oh! che tesoro di donnina. Ella sperava ancora che l'avrebbe guardata in faccia; ma Alberto si fermò dietro la sedia di sua moglie, accarezzandole il collo colla punta dell'indice. - Addio, vado fuori un po'. Chinossi, baciandola sulle guancie, sonoramente. Marta rispose: addio - e si strinse nelle spalle, sembrandole che la stanza diventasse fredda.

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Dramm intimi

249976
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1884
  • Casa Editrice A. Sommaruga e C.
  • Roma
  • Verismo
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Madre e figlia si abbracciarono strette, strette, lungamente. Poi la contessa respinse quasi bruscamente la figliuola, dicendo: — È tardi. Perderete il treno. Andate! andate! *

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