Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbracciarla

Numero di risultati: 17 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Il successo nella vita. Galateo moderno.

174944
Brelich dall'Asta, Mario 1 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Per compiere questa penitenza è necessario di fare tutto l'opposto di quanto vien comandato. « Felice colui, dice un libretto del 1680, dal quale è tolta questa penitenza, felice colui, al quale una dama di condizione e bella ordina di allontanarsi e di non abbracciarla »

Pagina 298

L'angelo in famiglia

182201
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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Come il bacio che tu dai alla mamma, benchè sia una bella cosa, non è sempre opportuno, e tu mancheresti allorchè essa avendo bisogno del tuo ajuto o di un servigio, te ne stessi lì oziosa ad abbracciarla; così la vera cristiana sa e deve alle volte lasciare Dio per Iddio; rinunciare alla propria volontà; anticipare l'ora del levarsi e rinunziare fors'anche non solo ai divertimenti ed ai passeggi, ma ancora a qualche pratica non obbligatoria di religione, quando la necessità e la carità la chiamano al letto di un infermo, o in soccorso di un tribolato. Per oggi lasciamo lì a mezzo questo discorso, che avremo occasione di ritornarci, poichè è molto, ma molto importante. Tu continui ad esclamare:Povera me, che faccio? ed io continuo a dirti:leva in alto il tuo cuore, non ti abbandonare allo scoramento, poichè dopo il peccato io non conosco male peggiore di quello. Lo scoraggiamento è appunto cattivissimo per mille ragioni; credo 3 però lo sia primieramente perchè esso si presenta sotto forma d'umiltà; mentre il maligno è invece figlio e figlio non degenere della superbia. Noi temiamo di non tenerci all'altezza dei tempi o della società, e ci scoraggiamo: vedi, gli è proprio perchè temiamo di non ottenere un certo primato che, come suol dirsi, ci buttiamo a terra. Lo scoraggiamento, figlio della superbia, è fratello dell'accidia, e ci suona all'orecchio che tanto tanto per noi possiamo giacercene inerti, poichè non facciamo ugualmente nulla di bene. Lo scoraggiamento, figlio e fratello della superbia e dell'accidia, diventa padre a sua volta, e, per carità, non mi domandare di quali e quanti brutti figli sia fecondo! Io credo che la maggior parte dei malfattori e dei cattivi soggetti che contaminano la società, abbiano incominciato dallo scoraggiarsi; hanno detto a sè stessi: io per me non riesco certo a bene, e si sono dati al male, passo passo, od a salti, o slanciandosi una volta per sempre... ma poco su poco giù è questa la storia di tutti i tristi. Dunque tu, figliuola amatissima, ravviva la tua fisionomia rattristata, ritorna il sorriso sulle tue labbra e la giocondità nel tuo cuore. Ti sta tanto bene su quel giovane viso l'allegria che, malinconica, ti si riconosce appena, non sei più quella. Oh! sorridi; tutto quanto ti fa dire con un sospirone povera me! non è forse altro se non un'immaginazione della tua vivace fantasia, un'esagerazione che fai a te stessa di quei vincoli, di quei pericoli che tu puoi scongiurare se il vuoi. Oh! tu la conosci la ricetta, tu la conosci; pure io te la voglio ricordare perchè ti voglio bene, perchè ti voglio sana; ma sana non di corpo soltanto, ma altresì di anima. La ricetta è sempre, sempre il buon Gesù e la sua legge d'amore. Ma questo Gesù in forma umana è vissuto una sol volta sulla terra; noi non abbiamo il benefizio di sentire la sua parola viva, di ascoltare i suoi dolci ammaestramenti; ma non è con noi nel Sacramento? Non ci resta il Vangelo? Oh! il Vangelo è l'acqua che lava ogni lordura; è il balsamo che sana ogni piaga; è l'alito che vivifica, che ricrea, che rinnova. Il buon Dio mi ha chiamata all'alto ministero di spiegarti la sua parola di amore, d'insegnarti come devi diportarti nella famiglia e nella società; ed io nella confusione che Iddio abbia voluto scegliere un mezzo cotanto basso per un fine sì alto, mi piego all'ubbidienza, lascio libero sfogo alla sollecitudine grandissima che mi desta nel cuore l'età delle speranze, che è appunto la tua, e ti parlo. Nei tuoi sfoghi tu hai detto lagnandoti quasi,che faccio? Io te lo dirò, mia cara, o piuttosto non io te lo dirò, ma tel dirà al cuore col mio mezzo la cara Mamma nostra Maria, quella Vergine benedetta che ci ama tanto e che io prego m'inspiri tutto quanto può e deve riuscire utile alle anime delle care giovinette. Sì, in voi è la speranza della famiglia, della società, della patria, in voi, fanciulle, che avete lunghi anni a voi davanti, e dovete e potete recare al mondo l'esempio, il conforto, l'appoggio che solo può dare la vera virtù. Che faccio? Domani, mia cara, ti risponderò: oggi rialza l'animo tuo abbattuto, rianima il tuo cuore; abbandonati nelle braccia della Provvidenza, di quella Provvidenza che ci è madre amorosa, e vivi sicura: tu sarai piùforte che oste schierata in campo contro i nemici della tua salute.

Pagina 30

Il saper vivere

187183
Donna Letizia 2 occorrenze
  • 1960
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Ne sono rimasta molto commossa e spero voglia permettermi di abbracciarLa con tutto il cuore.

Pagina 241

Abbracciarla? Essere riservata? Espansiva? Sofisticata? Sia naturale, anche a costo di parere terrorizzata: tra una nuora troppo disinvolta e una troppo timida, la preferenza andrà certamente alla seconda. Sia vestita con semplicità e accuratissima nella persona: gli occhi delle suocere attraversano i tessuti, indovinano strappi, macchioline, spille da balia e, naturalmente, ne traggono subito categoriche conclusioni. « Mi pare che la ragazza si lavi poco », oppure « Peccato che sia così sciattona », commenteranno più tardi. Dopo la visita, come è già stato detto in precedenza, la ragazza manderà dei fiori alla signora, accompagnandoli con un biglietto. Non spetterà a lei, nelle visite successive, proporre di sostituire l'appellativo di "signora" con quello di "mamma". Toccherà alla futura suocera prendere l'iniziativa e autorizzarla, se crede, a lasciare il "lei" per il "tu".

Pagina 48

Come si fa e come non si fa. Manuale moderno di galateo

200586
Simonetta Malaspina 1 occorrenze
  • 1970
  • Milano
  • Giovanni de Vecchio Editore
  • paraletteratura-galateo
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Se camminate con la vostra fidanzata o con una ragazza che vi piace, lasciatela libera nei suoi movimenti e aspettate altre occasioni per abbracciarla. Non guardate sempre per terra, ma fissate un punto davanti a voi: diritti, ma non rigidi e impettiti. Non voltatevi a guardare la gente per la strada. Le donne, in particolare, devono essere disinvolte e sciolte nei movimenti. Per questo motivo è bene preferire scarpe comode, che consentano di camminare con agilità ed eleganza. Si può andare a braccetto con il marito il fidanzato, ma non con un amico. Non si dovrebbe andare a braccetto neppure fra donne. È un'abitudine di tono provinciale che va scomparendo. Assolutamente proibito a andare a braccetto tra uomini. È sempre la donna che si appoggia al braccio dell'uomo, mai viceversa.

Pagina 73

Giovanna la nonna del corsaro nero

204796
Metz, Vittorio 1 occorrenze
  • 1962
  • Rizzoli
  • Milano
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Poiché il giovanotto le si era avvicinato quasi per abbracciarla, Jolanda si trasse indietro e abbassando pudica gli occhi: "Sì, e c'è anche la nonna..." "Ci ritroviamo tutti!" esclamò il capitano Squacqueras, facendo buon viso a cattivo giuoco. "Come luogo di ritrovo, però, lo abbiamo scelto piuttosto maluccio!" Il maggiordomo Battista si rivolse a Nicolino. "Lo vedi, pezzo di cretino, che non c'era nessun fantasma?" Nicolino fissò con gli occhi sbarrati la scala da cui era salita Jolanda e rispose balbettando: "Lo dici tu!" "Che c'è ancora?" domandò Battista. "Il serpente piumato!" "Ma fammi il piacere!" Battista si voltò dalla parte verso la quale stava guardando Nicolino e annichilì vedendo la spaventosa figura che tanto aveva impressionato il nostromo avanzare verso di lui. Perdendo la sua naturale compostezza, gridò: "Mi sia consentito il dire: Aiuto!" Il sedicente Corsaro Blu sguainò la spada mentre il capitano Squacqueras correva ad acquattarsi dietro l'ara. "Capitano!" lo rimproverò Raul."Perché vi nascondete?" "Nascondermi io? Niente affatto! Mi accoscio per poter saltare meglio addosso a quella creatura infernale!" Da dietro la spaventevole figura sbucò Giovanna. Teneva in mano la spada sguainata che aveva tenuto puntata fino a quel momento dietro la schiena del mostro. "Niente paura," disse. "To', ci siete anche voi!" esclamò vedendo Raul e Squacqueras. Quindi, agli altri due: "L'ho acchiappato. E non è affatto un fantasma o un dio incas, o un gigante..." Si rivolse alla fantasmagorica figura che quatta quatta tentava di riguadagnare la porta. "Fermo là, non ti muovere, se non vuoi fare conoscenza con la punta della mia spada..." "Non è un gigante?" domandò Raul. "E come fa ad essere così alto?" Giovanna con un colpo secco strappò il mantello che ricopriva il finto serpente piumato, mostrando che si trattava di un erculeo incas sulle cui spalle si era posto a cavalcioni il gran sacerdote il quale, visto che oramai il suo trucco era scoperto, si tolse la maschera di serpente. L'uno sull'altro i due formavano la fantastica figura che per poco non aveva provocato un infarto al povero Nicolino. "Semplicissimo, guardate" spiegò Giovanna. "Volevano spaventarci per allontanarci dal favoloso tesoro degli incas che è nascosto in questo tempio..." 7. Giovanna Giovanna con un colpo secco strappò il mantello che ricopriva il finto serpente piumato... "Il tesoro degli incas?" esclamò Raul. "E dov'è?" "Eccolo" disse Giovanna. Si rivolse verso il sotterraneo da cui era sbucata chiamando: "Ehi, venite avanti voialtri, se non volete che del vostro gran sacerdote faccia un fodero per la mia spada!" Gli incas e le incas che abbiamo visto presenziare al sacrificio del tacchino, sbucarono dai sotterranei portando delle barelle cariche di vasi d'oro, braccialetti e collane di smeraldi, armille, corone d'oro, tiare, armi tempestate di pietre preziose, statuette e persino padelle tutte d'oro massiccio. Mentre i sei si affollavano intorno al tesoro, il maggiordomo Battista che era andato a guardar fuori del tempio, attratto da un rumore, si trasse di lato appoggiandosi con le spalle al muro: "Un drappello di soldati spagnoli!" annunciò con voce ufficiale. "Spagnoli!" esclamò Giovanna. "E noi siamo quasi inermi! Ma niente paura! Li conceremo per le feste ugualmente... E voi" seguitò, rivolto a Raul e al capitano Squacqueras "ci darete una mano, signori..." Raul esitò un istante, poi sospirando dichiarò: "Io non posso stare con voi, signora..." "Perché?" domandò Jolanda, sorpresa. "Perché fino ad ora vi abbiamo mentito... Io non sono il Corsaro Blu... Sono Raul di Trencabar, figlio del governatore di Maracaibo..." "Il figlio di Trencabar!" esclamò Jolanda, annichilita. "Sì, Jolanda, perdonatemi!" esclamò Raul. "Vado a raggiungere i vostri nemici, che altri non sono che i miei soldati... Andiamo, capitano Squacqueras..." "Non è il Doppio Barbanera Illustrato?" domandò Nicolino. "No, ma mi raccomando," scongiurò l'ex almanacco "non ci sparate alle spalle! Non è corretto! Non sta bene!" Uscì in fretta dietro Raul mentre Giovanna gli gridava dietro: "Non spariamo alle spalle, noi... Non siamo spagnoli!" "Non avrei mai creduto!" sospirò Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, con lo sguardo fisso nel vuoto. "Non ci pensare, Jolanda, e aiutami... Li sistemeremo noi questi spagnoli... Fate tutti come me!" Si avvicinò al tesoro degli incas, afferrò dei gioielli a casaccio e corse verso la porta. Fuori del tempio il sergente Manuel che comandava il drappello di soldati spagnoli sollevò una mano. "Alt!" comandò. Quindi, rivolto ai suoi uomini: "Attenzione," disse"qualcuno sta venendo verso di noi procedendo fra le rovine..." Quindi, a voce altissima: "Chi va là?" domandò. "Spagna!" rispose Raul. "E Milano!" aggiunse il capitano Squacqueras. "Ah, siete voi!" esclamò il sottufficiale. "Siete salvi, grazie alla Beata Vergine del Pilar... E ditemi! Non c'è nessuno nel tempio?" Raul esitò un momento. "No" dichiarò poi. "Non ci sembra, almeno..." "Sarà meglio assicurarsene... Avanti, soldati..." Sulla soglia del tempio apparvero Giovanna con i suoi compagni, le mani cariche di gioielli. "Pronti?" comandò Giovanna. "Fuoco!" Tutti lasciarono i gioielli contro gli spagnoli. I gioielli caddero intorno agli spagnoli che si fermarono interdetti. Il sergente Manuel ricevette in un occhio un enorme smeraldo che gli cadde in mano. "Caramba!" esclamò. "Uno smeraldo..." "Qui piove oro!" gridarono i soldati gettandosi a pesce sui gioielli provenienti dal tesoro degli incas e facendo a spintoni fra loro. "A me!" "A me!" "Lascia stare!" "Questo l'ho visto prima io!" "E togliti di mezzo, tu!" "Lascia quel vaso o ti ammazzo!" "Fermatevi!" gridò Raul gettandosi sulla mischia. "Capitano, aiutatemi a fermare questi energumeni!" "Magnifico!" esclamava intanto Giovanna, soddisfatta. "I soldati combattono fra loro per arraffare quanti più gioielli possono! Il sergente afferra una tiara di smeraldi, la passa a un soldato che la passa ad un altro, questo la lancia sulla testa del sottufficiale, goal! Lo ha preso in pieno! I soldati spagnoli si azzuffano, magnifici per continuità e resistenza! Il figlio di Trencabar tenta invano di opporsi alla loro furia, ma è travolto. I soldati si pestano fra loro. Siamo appena al primo minuto e già non c'è più un uomo valido in campo. Presto, approfittiamone per barricarci nel tempio!"

L'uccellino azzurro

213520
Maeterlink, Maurice 1 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Voglio abbracciarla subito!... LA LUCE Un momento.... Stanno dormendo, non bisogna destarli a un tratto.... E poi, tanto, la porta non si aprirà che a quella tale ora.... TYLTYL Quale ora?... C'è da aspettare molto?... LA LUCE Ahimè, no.... Pochi minuti soltanto.... TYLTYL Non sei contenta anche tu di tornare a casa?... Che cos'hai, Luce?... Sei pallida, ti senti poco bene?... LA LUCE Non è nulla, bambina mio.... Sono un po' triste perchè sto per lasciarvi.... TYLTYL Come!... Ci lasci?... LA LUCE Purtroppo!.... Qui non ho più niente da fare; l'anno è compiuto; la Fata sta per tornare, verrà a chiederti l'Uccellino Azzurro.... TYLTYL Ma il guaio è che io non ce l'ho, l'Uccellino Azzurro!... Quello del Ricordo è diventato nero, quello dell'Avvenire è diventato rosso, quelli della Notte sono morti, e quello della Foresta non l'ho potuto prendere.... È forse colpa mia se mutano colore, se muoiono o volano via?... Credi che la Fata andrà in collera?... Che cosa credi che dirà?... LA LUCE Abbiamo fatto tutto quello ch'era in noi.... Bisogna dunque concludere che l'Uccellino Azzurro non esiste; oppure che muta colore quando si mette in gabbia.... TYLTYL E la gabbia, dov'è?... IL PANE È qui, padroncino.... Essa fu affidata alle mie cure durante questo lungo e pericoloso viaggio; oggi che la mia missione è compiuta, ve la restituisco, intatta e ben chiusa, tale e quale la ebbi in consegna.... (Col tono di un oratore che sta per incominciare un discorso): E ora, in nome di tutti, mi sia con cesso di aggiungere poche parole.... IL Fuoco Non ha la parola!... L'ACQUA Silenzio!... IL PANE Le malevoli interruzioni di un nemico disprezzabile, di un rivale invidioso.... (Alzando la voce) non m'impediranno di compiere fino alla fine il mio dovere.... In nome di tutti dunque.... IL Fuoco Non in nome mio!... Ho la lingua, se mai, per parlare!... IL PANE .... In nome di tutti dunque, e con una commozione contenuta, ma sincera e profonda, io mi congedo da questi due predestinati bambini, la cui alta missione è oggi compiuta. E nel dare loro l'addio con tutta la tristezza e tutta la tenerezza che la vicendevole stima.... TYLTYL Come?... Ci dici addio? Ci lasci dunque anche tu?... IL PANE Ahimè, è così.... Vi lascio, sì, ma la separazione sarà soltanto apparente: voi non udrete più la mia voce, è vero, ma.... IL Fuoco Non sarà un gran male!... L'ACQUA Silenzio!.. IL PANE (con molta dignità) Questi volgari insulti non mi toccano.... Io dunque dicevo: non udrete più la mia voce, non mi vedrete più sotto questa mia forma animata.... I vostri occhi stanno per chiudersi alla vita invisibile delle cose; ma questo non v'impedirà di trovarmi, come prima, dentro alla madia, sull'asse, sulla tavola, accanto alla minestra: io che sono, posso dirlo, il più fedele commensale e il più vecchio amico dell'Uomo, non vi abbandonerò mai.... IL Fuoco E io dunque?... LA LUCE Su, via, il tempo passa, sta per scoccare l'ora nella quale dovremo rientrare nel silenzio.... Presto, abbracciate i bambini.... IL Fuoco (precipitandosi innanzi) Prima io, prima io.... (Abbraccia con violenza i bambini). Addio, Tyltyl, addio, Mytyl!... Addio, cari bambini.... Ricordatevi di me se per caso avete bisogno di qualcuno per appiccare il fuoco in qualche luogo.... MYTYL Ahi! Ahi!....Mi brucia!... TYLTYL Ahi! Ahi!... Mi brucia il naso!... LA LUCE Via, Fuoco, modera un po' la tua foga.... Non hai mica che fare col tuo focolare.... L' ACQUA Che sciocco!... IL PANE Si può essere più maleducato di così?... L'ACQUA (avvicinandosi ai bambini) Io vi abbraccerò teneramente, bambini miei, senza farvi male.... IL Fuoco Attenti, vi bagna!.. L'ACQUA Sono tenera e dolce: sono buona con gli Uomini.... IL FUOCO Anche con gli annegati?... L' ACQUA Vogliate bene alle Fontane, bambini; ascoltate i Ruscelli.... perchè io abito là.... IL Fuoco Ha inondato ogni cosa!... L'ACQUA Quando vi riposerete, la sera, vicino alle sorgenti, - ce ne sono tante, qui, nella foresta - sforzatevi di comprendere quello ch'esse cercheranno di dire.... Io non posso più.... le lacrime mi soffocano.... m'impediscono di parlare.... IL Fuoco Non si direbbe!... L'ACQUA Quando vedrete la boccia dell'acqua ricordatevi di me.... Mi troverete anche nella brocca, nell'annaffiatoio, nella cisterna e nella fontanella.... Lo ZUCCHERO (ipocrita e dolciastro) Se c'è ancora un posticino vuoto nella vostra memoria, ricordate qualche volta che la mia presenza fu Alce un giorno per voi.... Non posso aggiungere altro.... Le lacrime non si confanno al mio carattere, e quando mi cadono sui piedi mi fanno un gran male.... IL PANE Gesuita!... IL Fuoco (mugolando) Zucchero d'orzo!... Caramella!... TYLTYL Ma dove sone andati Tylette e Tylô?... Che cosa fanno?... (Si odono intanto le grida acute della Gatta). MYTYL (allarmata) È Tylette che piange!... Qualcuno certo le ha fatto male!... (La Gatta entra correndo con i peli irti, spettinata, con la veste strappata, premendosi il fazzoletto sulla guancia, come se avesse mal di denti, e gemendo rabbiosamente; mentre il Cane la rincorre dandole pugni, calci e testate). IL CANE (picchiando forte la Gatta) Tieni!... Ne hai abbastanza?... Ne vuoi ancora?... To', to'!... LA LUCE, TYLTYL e MYTYL (precipitandosi per separarli) Tylô!... Sei impazzito?... Che diavolo fai?... Giù, a cuccia!... Finiscila!... S'è mai vista una cosa simile?... Aspetta!... Aspetta!... (Separano con energia i due contendenti). LA LUCE Che c'è? Che succede?... LA GATTA (piagnucolando e asciugandosi gli occhi) La colpa è del Cane, signora Luce.... Mi ha ingiuriata, mi ha messo dei chiodi nella minestra, m'ha tirato la coda, m'ha picchiata, mentre io non avevo fatto nulla, proprio nulla, ecco!... IL CANE (rifacendole il verso) Proprio nulla, proprio nulla? (A bassa voce, facendole una sberleffa). Non importa; ne hai toccate, ne hai toccate, e di quelle buone e ne avrai dell'altre!... MYTYL (stringendo la Gatta fra le braccia) Dove ti ha fatto male, mia povera Tylette? Ora mi metto a piangere anch'io.... LA LUCE (al Cane, con accento severo) La tua condotta è tanto più riprovevole in quanto che hai scelto, per darci questo triste spettacolo, il momento, già, tanto penoso per se stesso, in cui stiamo per separarci da questi poveri bimbi.... IL CANE (la cui ira svanisce a un tratto) Stiamo per separarci da, questi poveri bimbi?... LA LUCE Sì, sta, per scoccare quella tale ora che già, sapete.... Fra poco rientreremo nel regno del Silenzio.... Non potremo più rivolgere loro la parola.... IL CANE (urlando a un tratto disperatamente e gettandosi sui Bambini, che copre di carezze violente e tumultuose) No, no!... Non voglio!... Non voglio!... Io parlerò sempre!... D'ora innanzi mi comprenderai, non è vero mio piccolo dio?... Sì, sì, sì!... E ci diremo sempre tutto, tutto, tutto!... Sarò buono, vedrai.... Imparerò a leggere, a scrivere e a giocare a domino!... E mi terrò sempre pulito.... E non andrò più a rubare in cucina.... Vuoi che faccia qualche cosa di eccezionale?... Vuoi che abbracci la Gatta?... MYTYL (alla Gatta) E tu, Tylette?... Non ci dici nulla?... LA GATTA (fredda, enigmatica) Io vi voglio bene a tutti e due, secondo i vostri meriti.... LA LUCE E ora, bambini miei, tocca a ma di darvi l'ultimo bacio.... TYLTYL e MYTYL (aggrappandosi alle vesti della Luce) No, no, no, non andartene, cara Luce!... Rimani qui con noi!... Il babbo non dirà nulla, vedrai.... Diremo alla mamma che sei stata tanto buona con noi.... LA LUCE Non è possibile, purtroppo.... A noi non è concesso di oltrepassare quella porta, e debbo TYLTYL E dove andrai, così sola sola?... LA LUCE Non andrò molto lontano, cari bambini: vado laggiù, nel paese del Silenzio delle cose. TYLTYL No, no, non voglio!.... Veniamo con te.... Dirò alla mamma.... LA LUCE Non piangete, cari piccini.... Io non ho la voce, come l'Acqua; ho soltanto il mio splendore, che l'Uomo non sa vedere.... Ma veglierò lo stesso su di lui fino alla fine del mondo.... E a voi parlerò da ogni raggio di luna che si diffonde all'intorno; sarò in ogni stella che vi sorriderà, in ogni aurora che si alzerà nel cielo, in ogni lampada che si accenderà, in ogni pensiero buono e luminoso che sboccerà nella vostra anima.... (Suonano le otto, dietro il muro). Sentite!.. Scocca l'ora.... Addio! La porta si apre!... Entrate, entrate, entrate!... (Spinge i bambini nel vano della porticina che si è aperta, e che ora si richiude dietro di loro. Il Pane si asciuga una lacrima furtiva: lo Zucchero, l'Acqua, tutta in lacrime, e gli altri fuggono a precipizio e spariscono a destra e a sinistra, fra le quinte. Urla del Cane, da un angolo. La scena rimane per un istante vuota; poi il fondo, che rappresenta il muro entro il quale si trova la porticina, si apre nel mezzi. e scopre l'ultimo quadro).

C'era una volta...

218843
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1910
  • R. Bemporad e figli
  • Firenze
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Dovea fare proprio un grande sforzo per non slanciarsi ad abbracciarla e non dirle: Sarai Regina! La passione lo conteneva. Eran passati sei anni, sei mesi e sei giorni. Il Re, dalla contentezza, si fregava le mani. Fra poco quella ragazza più bella della luna e del sole sarebbe stata sua sposa! E lui se ne tornerebbe al palazzo reale, Re come prima e più beato di prima! Ma la sua disgrazia volle che una notte il contadino cavasse di tasca lo zufolo, e si mettesse a sonare senza ripetergli: — Maestà, rammentatevi; chi tocca stronca, chi parla falla. — Quando, tì, tìriti, tì.... apparve la ragazza più bella della luna e del sole, e si messe a ballare, il Re non seppe più frenarsi, le corse incontro e l'abbracciò, gridando: — Sarai Regina! sarai Regina! — Fu un lampo. E, invece della ragazza, che cosa si trovò fra le braccia? Un ceppo bitorzoluto! — Maestà, ve l'avevo pur detto io: Chi tocca stronca, Chi parla falla! — Il Re pareva di sasso: — Bisognava ricominciare? — Bisognava ricominciare! — E ricominciò. Si abbrustoliva al sole: — Sole, bel sole, Patisco per amore! - Si lasciava conciare dalla pioggia. — Pioggia, pioggia bella, Patisco per la donzella! — E quando il contadino cavava di tasca lo zufolo e, tì, tìriti, tì, la ragazza ricompariva e si metteva a ballare, lui se la divorava cogli occhi, da un cantuccio, zitto e cheto come l'olio. Non se la sentiva di ricominciare. Eran passati novamente sei anni, sei mesi e sei giorni, e il Re, dalla contentezza, già si fregava le mani. Ma la sua disgrazia volle che una notte il contadino cavasse di tasca lo zufolo, e ti, tìriti, tì, comparisse la ragazza e si mettesse a ballare come non avea ballato mai, con una grazia, con una sveltezza! Il povero Re non potè più frenarsi e le corse incontro e l'abbracciò: — Sarai Regina! Sarai Regina! — E che cosa si trovò fra le braccia? Un ceppo bitorzoluto. — Ah, Maestà, Maestà! Chi tocca stronca, Chi parla falla! Il Re pareva di sasso: — Bisognava ricominciare? — Bisognava ricominciare! - E ricominciò: — Sole, bel sole, Patisco per amore; Pioggia, pioggia bella, Patisco per la donzella! — Questa volta però stette bene in guardia, e ai sette anni fissati ebbe finalmente la ragazza, più bella della luna e del sole. Non gli parea neppur vero! Intanto che cosa era accaduto? Era accaduto che i suoi ministri e il popolo ritenendolo per matto, si erano dimenticati di lui e avevan dato, da parecchi anni, la corona reale a un suo parente. Il Re, infatti, si presenta al palazzo reale, colla sposa sotto braccio e i soldati di sentinella: — Non si passa! Non si passa! — Sono il Re! Chiamate i miei ministri! - Che ministri? I vecchi eran morti e quelli del nuovo Re lo lasciavano cantare. Si rivolge al popolo: — Come? non riconoscete il vostro Re? - Il popolo gli ride in faccia e non gli dà retta. Disperato, ritorna al campicello, dal contadino. Dov' era il pagliaio, vede, con sorpresa, un palazzo che pareva una reggia. Monta le scale, e invece del contadino, gli viene incontro un bel vecchio con tanto di barba bianca: era il gran mago Sabino. — Non ti scoraggiare! — gli disse questi. E lo prese per mano, e lo condusse in una magnifica stanza, dove c' era un catino pieno di acqua. Il Gran Mago afferra quel catino e glielo riversa sulla testa, e il Re, da un po'invecchiato che già era, rinverdisce, a un tratto, di vent'anni. Allora il vecchio: — Affàcciati a quella finestra, suona questo zufolo e vedrai. — Il Re si affaccia, si mette a sonare, tì, tìriti, tì, ed ecco un esercito armato di tutto punto, fitto come la nebbia, su poi colli e per la pianura. Intimata la guerra, mentre i soldati combattevano, lui, in cima a un poggio, sonava tì, tìriti, tì, senza cessare finchè la battaglia non fu vinta. Tornò a palazzo reale vittorioso e trionfante, perdonò a tutti, e all' occasione dei suoi sponsali diè un mese di feste per tutto il regno. E presto ebbe un erede; E noi scalzi d'un piede.

Pagina 262

Mitchell, Margaret

221957
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Rossella si precipitò ad abbracciarla e baciarla, felice che la presenza della bimba le evitasse il primo incontro da sola con Rhett. Guardando al disopra del capo di Diletta, lo vide nel vestibolo che pagava il cocchiere. Egli alzò il capo, la scorse e si tolse il cappello con un ampio gesto, inchinandosi. Incontrando lo sguardo dei suoi occhi neri, ella si sentí balzare il cuore. Chiunque egli fosse, qualunque cosa avesse fatto, adesso era a casa ed ella era contenta. - Dov'è Mammy? - chiese Diletta dimenandosi nell'abbraccio di Rossella che la depose a terra malvolentieri. Sarebbe piú difficile di quanto aveva creduto, salutare Rhett col giusto grado di disinvoltura; e anche informarlo del suo stato! Lo guardò in faccia mentre saliva le scale: quel volto bruno e impassibile, cosí impenetrabile e distratto! No; aspetterebbe a dirglielo. Ora era impossibile. Eppure, erano cose di cui un marito deve essere subito informato, e che sempre è felice di udire. Ma non credeva che egli ne sarebbe stato lieto. Rimase sul pianerottolo, appoggiata alla balaustra, chiedendosi se egli la bacerebbe. Ma non la baciò. Disse soltanto: - Sei pallida, signora Butler. Sei sprovvista di belletto? Non una parola sul dispiacere della lontananza, anche se non lo aveva provato. Avrebbe almeno potuto baciarla dinanzi a Mammy che, dopo un inchino, stava conducendo Diletta nella sua camera. Egli le rimase accanto sul pianerottolo, guardandola con indifferenza, come valutandola. - Questo pallore può forse significare dispiacere per la mia assenza? -le chiese; e benché le sue labbra sorridessero, i suoi occhi rimasero seri. Questo sarebbe dunque il suo atteggiamento. Odioso come sempre. E ad un tratto il bimbo che portava in seno divenne un peso fastidioso invece di essere un peso dolce che avrebbe portato con gioia; e l'uomo che era dinanzi a lei col largo cappello di Panama appoggiato incurantemente al fianco era il suo nemico, la causa di tutti i suoi mali. I suoi occhi verdi schizzarono veleno, in modo inequivocabile, mentre ella rispondeva; e dal volto di lui il sorriso scomparve. - Se sono pallida è colpa tua, ma non per il dispiacere della tua assenza, presuntuoso che sei. È perché... No, non voleva dirglielo in quel modo, ma le parole le corsero alle labbra ed ella le lasciò sgorgare, incurante di essere udita dai servi. - ... è perché aspetto un bambino! Rhett trasse il respiro e i suoi occhi corsero a lei rapidamente. Fece un passo come se avesse voluto metterle una mano sul braccio, ma ella si scansò; dinanzi all'odio che era in quegli occhi, il volto di lui si indurí. - Davvero! - fece freddamente. - E chi è il padre felice? Ashley? Ella si afferrò alla balaustra di legno intagliato stringendola con tanta forza che gli intagli le penetrarono nel palmo con un dolore acuto. Pur conoscendolo cosí bene, non aveva previsto questo insulto. Naturalmente era uno scherzo; ma certi scherzi sono troppo mostruosi per potere essere sopportati. Avrebbe voluto ficcargli le unghie negli occhi per spegnere quella strana luce che brillava in essi. - Maledetto! - cominciò con voce tremante d'ira. - Tu... sai benissimo che è tuo. E non lo desidero piú di quanto lo desideri tu! Nessuna... nessuna donna può desiderare il figlio di un mascalzone come te! Vorrei... Dio mio, vorrei che fosse di chiunque, fuorché tuo! Vide il suo viso bruno mutare improvvisamente; la collera e qualche altra cosa che non seppe analizzare lo fecero contorcere come sotto una puntura. «Meno male!» pensò con ardente e rabbioso piacere. «Questa volta l'ho offeso!» Ma la vecchia maschera di impassibilità era già tornata sul viso di Rhett, il quale si tirò i baffi. - Stai allegra - disse voltandosi e avviandosi per salire. - Potresti anche abortire. In una specie di vertigine ella vide dinanzi a sé tutto quello che rappresentava una gravidanza: le nausee che la torcevano, l'interminabile attesa, la figura deformata, le ore di doglie. Cose che un uomo non può comprendere. Ed egli osava scherzare! Lo avrebbe graffiato con gioia. Solo la vista del sangue sul suo viso bruno le avrebbe dato sollievo. Lo seguí, agile come un gatto; ma con un leggero movimento egli fece un passo di lato stendendo un braccio per tenerla lontana. Rossella era sull'orlo del primo gradino della scala lucidata a cera; e quando il suo braccio, con tutto il peso del corpo, incontrò il braccio rigido di lui, ella perse l'equilibrio. Tentò di afferrarsi alla ringhiera, ma non vi riuscí. Cadde indietro sulla scala; e nel toccare il suolo provò un tremendo dolore alle costole. Troppo stordita per riuscire a trattenersi, rotolò giú per la scala sino in fondo.

Pagina 959

Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222733
Misteri del chiostro napoletano 1 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Pagina 260

Manon

232563
Adami, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1922
  • Edizioni Alpes
  • Milano
  • teatro - commedia
  • UNICT
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(e fa l'atto di abbracciarla)

Pagina 24

Documenti umani

244190
Federico De Roberto 2 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
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Aspettavo impazientemente l'ora del desinare; ero pentito di quel che avevo detto, volevo abbracciarla, domandarle scusa, dirle infine che tutto questo non era ragionevole.... Quando fu l'ora, ella non comparve. Era andata via da sua madre; la mia casa era deserta.... "Quella casa, la nostra casa, come aveva potuto lasciarla? Il colpo fu duro; mi pareva come una morte, come quando la mamma se ne era andata .Poi mi facevo una ragione: se non voleva più stare con me, potevo obbligarvela con la forza? "Un giorno, ricevetti la visita di sua madre. Mi annunziava che ella aveva presentata domanda di separazione; che allo stato in cui erano le cose era il meglio che si poteva fare. Sta bene, non mi sarei opposto; domandavo soltanto, per curiosità, per quella curiosità che gli ammalati hanno delle cause dei loro mali, che cosa ella aveva da dire contro di me. Mi rispose questo: che io non l'amavo più.... "Ed è lei che lo dice? e quale prova ne dà? La prova era questa: che io non ero geloso.... Mi venivano in bocca delle parole amare; le ingoiai. Le recriminazioni mi sono sempre parse inutili, qualche volta un poco ridicole per giunta. "Comparimmo, dapprima separatamente, dinanzi al signor presidente per l'esperimento della conciliazione. Dissi al magistrato tutta la verità; la verità ha un accento che la fa riconoscere: egli comprese che non mentivo. Condannava però il mio consenso alla separazione: lasciata a sè sola, quella donna si sarebbe perduta. Fummo messi in presenza l'uno dell'altra, la rividi.... Ella non potè sostenere il mio sguardo; se lo avesse sostenuto, vi avrebbe letto un dolore infinito.... Il presidente era deciso a spuntarla, vi metteva la sua coscienza di uomo onesto ed il suo amor proprio di funzionario. Ella era imbarazzata, confusa, intimidita. Ad uno ad uno, egli ribattè tutti i suoi fiacchi argomenti, la fece convenire del suo inganno, e la costrinse a confessare di essere stata messa su, di aver tutto da perdere nel lasciarmi.... La riebbi. "Credevo di aver fatto un brutto sogno. Ritrovandola al mio fianco, in casa mia, come ai giorni lontani, mi sentivo tornare da morte a vita. Ero stato pazzo di lasciarla libera di abbandonarmi! Riconoscevo la mia parte di colpa. Ella aveva avuto ragione accusandomi di non esser geloso; la gelosia è una prova d'amore. Io ero stato geloso in silenzio, dentro di me, per timore di increscerle; avevo sbagliato. Le donne, alle volte, vogliono essere dominate. "Come le dimostrai la mia gelosia, come le dissi soltanto che quell'uomo era indegno di lei, si mostrò offesa, non mi parlò per due giorni.... Ella mi aveva mentito: aveva dato retta a quell'uomo, era stata da lui indotta a lasciare la mia casa, e non avendo resistito alla prova del confronto dinanzi al magistrato, teneva ore secrete conferenze con un avvocato, per riprendere il processo di separazione.... "Non potevo più illudermi: era un'indegna, e non sapevo vivere senza di lei. Misurando tutta la mia abiezione, presi un giorno il mio revolver e pensai di uccidermi. Scrissi un testamento, che esiste ancora, e fui per eseguire il mio disegno. Sul punto di morire, volli tentare un ultimo passo. Chiamai mia moglie in camera mia e chiusi l'uscio. Come mi vide fare quell'atto, come scorse il revolver ancora sul tavolo, si slanciò verso la finestra, per chiamare Io l'afferrai alla vita, le caddi in ginocchio, le baciai le mani, dicendole tutta la stoltezza della sua paura. Parlai, parlai, parlai. Le tenni il linguaggio dell'amore, della speranza, del comando, della preghiera, della fede, del perdono; le ricordai il passato, la feci libera dell'avvenire, le dissi che volevo uccidermi.... Ella si scosse. Ancora una volta, avevo vinto. "Mezz'ora dopo, andò fuori. Io rimasi in camera mia, a pensare. Sul tardi, rincasò e mi venne incontro. L'avvocato era con lei. Veniva per dirmi che voleva andarsene via, che non voleva restare con me. Come?... ancora?... perchè?.... Le domande mi si affollavano alla mente. Non domandai nulla. Dissi: "Sia pure...." "Come la vidi allontanarsi, mi slanciai contro di lei. Volevo almeno abbracciarla un'ultima volta, volevo almeno vederla, se partiva per sempre..... Ella dette un grido, chiamando al soccorso. Due guardie, rimaste in sala, comparvero. "Come vidi le guardie in casa mia, corsi al tavolo, afferrai il revolver, l'uccisi..... ................... "Questo direi ai signori giurati, se l'avessi uccisa. Io non l'ho uccisa, l'ho vista andare via per sempre, vivo da lunghi giorni nel deserto di questa casa ancora tutta odorante di lei, apro ogni tanto l'album che racchiude il suo ritratto, lo bacio e piango."

abbracciarla! baciarla!... Egli aveva paura di sedere dove quegli altri si erano seduti, di muoversi come gli altri si erano mossi, di parlare come avevano parlato. Con la sua sola presenza, egli contribuiva a ridestare più chiari, più netti, i ricordi di lei! E tra i ricordi del passato e le impressioni del presente un paragone doveva necessariamente determinarsi! L'amor suo infinito veniva dunque misurato, in ogni parola, in ogni gesto, in ogni bacio!... Dal posto dove se ne stava abbandonata, la baronessa lo attirava a sè; ma tutte le volte uno sforzo formidabile su sè stesso poteva soltanto deciderlo ad avvicinarsi a lei. Quando egli le si avvicinava, i fantasmi si frapponevano, glie la disputavano, lo afferravano con la loro gelida mano, facevano morire il suo bacio, scioglievano le sue braccia allacciate intorno alla vita di lei. E come più cresceva lo strazio dell'uomo dinanzi alla propria impotenza contro quella persecuzione, più lamentosa si faceva la voce della donna: - Andrea, tu non mi ami più!

Pagina 40

Il marito dell'amica

245220
Neera 2 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Quando le fu vicina volle abbracciarla, secondo il suo costume; Maria la respinse, sotto l'impulso di una avversione repentina. - Mi pare indisposta - susurrò Sofia all'orecchio di Emanuele, e volgendosi di nuovo a lei, graziosissima, le disse: - Vuoi prendere il braccio di mio marito? Le due parole mio marito trapassarono Maria da parte a parte; ella fece un balzo, turbatissima; rispose di no, in modo secco, che non ammetteva replica. Sofia sul momento restò mortificata, ma raggiunta la compagnia non pensò più all'amica, mettendo tutto sul conto dei nervi. In vagone, intanto che un treno direttissimo li riconduceva a Milano, l'allegra brigatella si trovò di nuovo tutta riunita in un solo scompartimento; un po' pigiati, con grande piacere delle signore Bonamore, Guidobelli e Sofia, che mostravano tuttavia di lagnarsene, cacciando ogni tanto qualche sospiro, allungando i piedini per stare più comode. Maria aveva cercato un posto lontano da Emanuele; ma erano di fronte e si guardavano. Si guardavano deliberatamente, lei con una espressione nuova, egli con una raddoppiata tenerezza negli occhi. - Mi ricorderò per sempre del 14 aprile - disse il maggiore in ritiro, seduto accanto a Maria, intenzionato di farle mia corte seria. Maria sorrise, distratta, guardando davanti a lei, come se quelle parole fossero uscite da un'altra bocca. Il movimento monotono della ferrovia sembrava cullare le idee che le insorgevano dentro; non tentava neppure di combatterle. Ammetteva ciò che non aveva mai voluto ammettere: la fatalità di certi momenti. Ella aveva ancora nei polmoni l'ossigeno robusto della montagna; sotto gli occhi la morbidezza dei prati lombardi e nell'anima un tumulto confuso, delle audacie nuove, arditissime. - La donna che cede all'amore (era il dottore che commentava, dopo averlo raccontato, un piccante aneddoto dell'alta società milanese) la donna che cede all'amore è sempre rispettabile, anche quando ha l'apparenza di commettere una colpa. Nessuno protestò. Le signore abbassarono il mento fra i nastri dei loro cappellini, con tacita e pudica approvazione. Il maggiore esclamò, pieno di fuoco: - Sicuro! Sicuro! Maria pensava che tutte le donne celebri per bellezza, per ingegno, per coltura, per cuore, tutte le donne cantate dai poeti, idealizzate dagli artisti, avevano amato fortemente; come si ama in questo mondo vivo, in mezzo alla natura palpitante; come l'uomo vuole e deve amare, come pretende di essere amato. Guardò Emanuele, rapidamente, con una vampa sul volto, e chiuse, le palpebre. Le passarono in un baleno davanti agli occhi i loro incontri sulla scala buia, e tornò a guardarlo, alla sfuggita, aprendo le palpebre adagio adagio. - Che bella campagna, non è vero? disse il maggiore. - Sì, rispose Maria, appoggiando il fazzoletto alla fronte che le si imperlava di sudore. La Guidobelli rivolse qualche parola al professore, ed Emanuele parlò per cinque minuti, colla sua voce dolce e fredda, di una gentilezza convenzionale. Maria non ne perdette un suono, colla testa voltata al finestrino del vagone, intenta a guardare i salici che fuggivano rapidamente come ombre grigie nel verde grasso dei campi; ripetendo fra sè: Lo amo, lo amo, lo amo. Certe meditazioni che una volta, alle Stancias, l'avevano turbata sotto la forma mite di uno scrupolo, l'assalivano addesso brutalmente. Tornava a chiedere a sè stessa se la sua virtù non fosse stata piuttosto egoismo e ipocrisia; e che cosa era infine la virtù, se non una maschera per gl'ignoranti? Non accade lo stesso colla religione? Ai bambini si fa recitare meccanicamente il pater noster e si dà a baciare un pezzo di legno o un foglio di carta, ma qual'è la persona intelligente che si arresta alla forma esterna? Non era essa stata troppo bambina? Il treno si fermò in una piccola stazione; una casa di mattoni rossi fiancheggiata da uno steccato di legno, al quale faceva ressa una folla di contadini. Un po' più in là, verso un campo di trifoglio, un gruppo attrasse l'attenzione di Maria; era una donna, bella, ritta e appoggiata con un braccio al collo di una giovenca che si piegava docile allargando in uno sguardo mansueto i suoi grandi occhi a fior di testa. Guardando meglio, Maria si accorse che un vincolo simpatico univa la giovane contadina all'animale; erano gravide tutte e due, placidamente serene nel benessere completo della maturanza, mostrando alla piena luce del giorno l'orgoglio del loro sesso - e subito tutto ciò che era intorno, la folla dei contadini, la folla dei viaggiatori, le grida, i rumori, il movimento della piccola stazione tutto le parve mettesse capo a quelle due creature, quasi sintesi unica dell'armonia universale. E ancora, quando la locomotiva correva, nel rimpicciolimento del paesaggio, Maria vide disegnarsi netto il contorno vigoroso della donna e giganteggiare colle sue forme arrotondate; mentre la giovenca mugghiava sommesso, aspirando le tentazioni del trifoglio. Tutto è amore; concluse Maria mettendo fuori del finestrino le braccia perchè si sentiva soffocare e le pareva che le vesti diventassero strette ai larghi aneliti del suo petto. Provava una dolcezza straordinaria a pensare che Emanuele l'amava, l'amava al punto di morirne. Essa non lo aveva compreso subito; sospettava un volgare capriccio ed era invece una vera passione. Come poteva dubitarne ora? Ora che lo aveva veduto sull'orlo di quell'abisso, e che nello sguardo disperato di lui le si era rivelato un abisso ancor più profondo? Quale tenerezza la spingeva verso l'uomo timido e onesto, che non sapeva fingere, che non sapeva vestirsi di orpello teatrale, che non aveva il coraggio della lotta, ma che sapeva guardare in faccia la morte colla sua freddezza di filosofo antico! Quel crescendo di un amore che era cominciato colla placidezza dell'affetto, per giungere alla più violenta passione, non la meravigliava più. Non aveva ella stessa subita una eguale metamorfosi? Perchè prima non si era data a lui liberamente, passando sopra a tutti i pregiudizi della società, mostrando che lo amava al di sopra del mondo intero? Ah! come era stata vile, allora. L'aria frizzante del tramonto le sferzava le braccia e il volto, ma Maria non se ne accorgeva, assorbendola avidamente cogli ultimi raggi del sole, forte di una vita nuova che era entrata in lei, come se un vincolo misterioso avesse legato i suoi sensi ai sensi della natura tutta, ed ella ne sentisse la potente energia recarle torrenti di sangue al cuore. La voce di Emanuele, quella voce che solo per lei aveva note vellutate, quasi calde, le mormorò: - Maria... Si volse. Il treno era fermo, il vagone vuoto. Tutti erano scesi, già perduti nel brulichio della stazione, dalle cui porte spalancate si intravedeva un altro brulichio di persone aspettanti. Ella non disse nulla. Lo guardò negli occhi, seguendolo nel breve spazio del vagone, e prima di metter i piedi sul predellino gli si strinse contro, nell'angolo semibuio, e lo baciò sulla bocca.

Pagina 163

Pagina 201

L'indomani

246190
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
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Marta si sentiva la voglia di abbracciarla, e lo avrebbe fatto se il movente di quella sensazione fosse stato solamente la bontà; ma si accorse che in una leggera sfumatura di bontà, il suo cuore tripudiava, sollevato dai propri mali, ed ebbe vergogna di mostrare una sensibilità che in fondo non era altro che egoismo. Ripromettendosi di compensare altrimenti le modeste virtù di Appollonia, si abbandonò per il momento al piacere che le dava quella specie di autobiografia, dove la sua anima sitibonda di ideale, trovava un pascolo inaspettato. - E hai continuato in tal modo fino... - Sempre, fin che visse mio padre. - Lo amavi molto tuo padre? - Sì; è dovere. - Ma non si ama solamente ciò che è dovere - insinuò Marta. - Si ama ciò che si deve amare - rispose Appollonia, candidamente. - Era buono almeno tuo padre? - Sì, come uomo. Queste parole sintetiche fecero ridere Marta. Appollonia soggiunse: - Nei primi anni le cose andavano discretamente. Mi padre, si sa, ogni uomo ha il suo vizio, beveva; ma beveva soltanto alla domenica. Tornava dall'osteria che sembrava un bambino, rideva, rideva e diceva delle parole senza senso. Io lo chiamavo: «babbino, caro babbino.» Egli mi abbracciava e poi cadeva sul letto. Non c'era niente di male, nevvero? Ma quando il lavoro divenne scarso e che egli non potè andare tutti i giorni a lavorare, me lo vedevo confitto in casa da mattina a sera brontolando, prendendosela con tutti, anche con me, che ero una bocca inutile e che se fossi stata un uomo avrei almeno potuto aiutarlo. Io, naturalmente, non rispondevo nulla, e, sul tardi, se egli usciva per «cacciare i dispiaceri,» come diceva lui, non potevo impedirglielo. Così incominciò a bere tutti i giorni, proprio allora che mancavano i denari! - Mi pare che non fosse un padre modello! esclamò Marta. - Bisogna compatirlo. Gli uomini, quando non hanno lavoro, fanno tutti così. Prima non era cattivo; andandogli male i suoi affari gli si guastò il sangue. Gli dicevo bene qualche volta: «Babbino non bere, che sprechi i denari e la salute.» Ma egli mi rispondeva che le donne devono tenere la lingua a casa. Anche questo è giusto. Dunque, più mio padre beveva e meno i padroni volevano prenderlo a giornata; meno egli andava a giornata e più beveva. Le lascio considerare! Dovetti allora lavorare per due; fortuna che la salute c'era. Andavo durante il giorno a falciare, a sarchiare, a battere il grano, a cardare il lino, e molte ore della notte le passavo cucendo abiti per le donne e per i ragazzi, che in questo ci riescivo benino, ed anche mi piaceva. In complesso non mi lagnavo; tolto di alcune feste in cui vedevo le mie compagne andare alla sagra tutte vestite in ghingheri, ed io non potevo accompagnarle; prima perchè non avevo abito, nè scarpe, nulla; poi chi avrebbe avuto cura della casa e di mio padre? Il mio destino era questo. - E non ti capitò allora di prendere marito? - Com'era mai possibile? Avevo due camicie in tutto! - Nessuno ti fece mai la corte? - Se non uscivo nemmeno! - Dovevano sapere che eri una brava ragazza e che saresti stata un'ottima moglie. - Ma non avevo nulla. E mio padre chi lo avrebbe preso? Si sposa una persona, non se ne sposano due. Del resto le giuro che non avevo affatto voglia di prendere marito; mi bastava mio padre. - Oh! - fece Marta - non è la stessa cosa. Appollonia si strinse nelle spalle; la differenza, secondo lei, non valeva la pena di essere discussa. - Per finire, a che punto arrivò tuo padre? - Mio padre arrivò al punto che non si moveva più dall'osteria. Standosene là tutto il giorno gli capitava a volte di fare una commissione, di scaricare roba, di tenere un cavallo, tanto per buscare qualche soldo. - E allora te li portava? - Oh! nossignora, li beveva per farsi passare il dispiacere di non poter guadagnare di più. Per parte mia ero contenta che trovasse modo di farsi passare i dispiaceri ma quando mi veniva a casa barcollante che non gli si poteva far intendere una ragione, e mi toccava prenderlo, svestirlo, metterlo a letto senza cavarne un costrutto al mondo, proprio come un bambino appena nato, le confesso che mi sentivo nel cuore uno stringimento e un desiderio di essere al suo posto; al suo posto per fare diversamente, capisce? - Si, sì, capisco. - Ma ognuno ha la sua parte e nessuno può cambiarla. Negli ultimi tempi non andavo più nemmeno a messa; egli veniva a casa a qualunque ora, in quello stato, e se non c'ero io rompeva ogni cosa, bestemmiando, che se ne andava tutto il frutto della messa. Il signor curato lo sapeva e diceva che facevo bene. Finalmente, quando fu la sua ora, si sentì male davvero. L'oste e i vicini dicevano: È ubbriaco! Io capivo che non era ubbriaco questa volta. Lo avevo chiamato «Babbino, babbino» e non rispondeva più. Allora corsi, era di notte, a chiamare il dottore. C'era la neve tanto alta! Il dottore brontolò che non era tempo da disturbare i cristiani. Poveretto! ma anche noi, come si doveva fare? Un po' per uno. E si tornò insieme, nella neve, con un freddo che non si sentiva nemmeno. Quando arrivammo a casa, mio padre rendeva l'ultimo respiro! Dopo una pausa, Marta disse: - Fu in quell'occasione che ti decidesti di andare al servizio? - Io veramente non ci pensavo. La signora Oriani venne a trovarmi il giorno del funerale e mi disse: «Che vuoi fare qui sola? Vieni da me.» Non avevo nessuna ragione per rifiutare. Poi mi sono trovata contenta. La signora Oriani è morta presto: anche questo era destino. E così va! - Quanti anni hai adesso? - chiese Marta. Appollonia rispose filosoficamente: - Trentotto, trentanove o quaranta, chi lo sa!

Pagina 99

Una peccatrice

249849
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
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Mia madre mi ha scritto molte volte le più calde preghiere perchè io vada ad abbracciarla... «Egli aveva esitato a proferire l'ultima frase, e l'avea poscia pronunziata colla precipitazione di colui che prende una risoluzione decisiva. «Mi aggrappai al suo braccio, poichè sentivo le gambe piegarmisi sotto. « - È giusto, - mormorai quindi a metà soffocata: - tua madre ha ragione!... «Ebbi il coraggio supremo di non piangere. Egli rimase muto, facendo sforzi visibili per dominare la sua commozione. « - Mi accorderai almeno quindici giorni prima di partire? - gli diss'io, gettandogli le braccia al collo, piangendo in silenzio. « - Oh! amor mio! - esclamò Pietro quasi con le lagrime agli occhi: - non credevo di essermi meritate tali parole!... « - Ebbene!... fra quindici giorni tu partirai per vedere tua madre!... «Volle abbracciarmi, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ma mi allontanai di un passo, supplicandolo colle mani giunte di non farlo. «Temevo di perdere la forza della mia risoluzione in quell'abbraccio, al quale mi sentivo spinta violentemente da tutte le passioni, suscitate sino al parossismo, che tumultuavano in me. «Egli rimase colpito e sorpreso da quell'apparente freddezza, e m'accorsi ch'era anche indispettito. « - Grazie! - mi rispose freddamente. «E rimase muto... E non una parola di più... Come se avesse temuto ch'io mi pentissi di ciò che gli avevo accordato. «Ripresi il suo braccio per continuare a passeggiare, mentre non avevo la forza di strascinarmi. Lo guardavo: era freddo, pensieroso, quasi cupo. « - Oh,Pietro - gridai quindi singhiozzante, non sapendo più frenarmi, avvinchiandogli Ie braccia al collo; - mi ami?... mi ami come prima?!... Oh, Pietro!.... una volta mi promettesti, mi giurasti... che mi avresti confessato quando tu non mi avresti amato più... come prima... Pietro!... confessalo che non mi ami più!... « - Narcisa! te ne supplico... queste parole mi fanno male! - m'interruppe egli impallidendo. « - Oh, per pietà!... per pietà, Pietro! Me, l'hai promesso... me l'hai giurato!... Sii uomo!... dillo, dillo che non mi ami più! «Invece di volere questa conferma al mio doloroso sospetto, attendevo, con ansia smaniosa, una parola in contrario, che avesse potuto farmi gettare nella sue braccia, delirante di passione. Egli esitò... egli non l'ebbe;... e rimase muto, immobile... come combattuto da un'interna tempesta. « - Non ha dunque cuore quest'uomo! - gridai come una pazza, dopo avere invano atteso, in una terribile angoscia, col petto anelante, le mani giunte, le lagrime agli occhi, quella risposta. Non ha cuore per comprendere quello che si passa nel mio, per farmi felice anche con una menzogna! avevo detto in quelle parole. « Quelle parole però mi perdettero. « Pietro non capì il vero senso appassionato, addolorato, ansioso, che dava loro il mio cuore in quello stato, proferendole; egli capì soltanto tutte quello che vi è di duro, di sprezzante, d'insultante anche - sì, d'insultante - in queste parole prese alla lettera, che parevano dire: Siete un vile! mentre avevano detto: Non avete pietà di me? «Egli si levò pallido, coll'occhio, un momento innanzi umido di lagrime, asciutto e quasi fosco, coi lineamenti duri e severi; egli... quest'uomo! ebbe la forza di dirmi colla sua voce più calma ed incisiva: « - È meglio forse che ci separiamo, Narcisa. «Ebbi paura di lui. «Non potrei mai riprodurre tutto quello che vi era di lacerante in quelle fredde parole che soffocavano in lui il risentimento, che fa supporre pur sempre l'amore, per esprimere la calma ed inflessibile decisione della mente. «Mi sentivo morire, e caddi annichilata sul muricciolo accanto alla strada; Pietro mi diede il braccio, mi sollevò, e mi strascinò quasi sino alla carrozza. «Là, inginocchiata sul tappeto, col volto nascosto fra i cuscini, piansi lagrime ardenti, disperate. «Ora che ci penso a mente più serena, io non risento tutto il pentimento di quelle parole delle quali gli chiesi perdono a mani giunte, colle espressioni più umili, e che mi parvero aver deciso la mia condanna; se Pietro mi avesse amato ancora, egli non avrebbe dato la significazione letterale a quelle parole;... se il suo cuore non fosse stato morto per me, egli non avrebbe potuto prendere quella risoluzione. «Era finita dunque per me!... per sempre!... Ed io, folle!... folle!... gli chiedevo ancora quella franca confessione che mi avevo fatto promettere in un delirio d'amore, come se le parole avessero potuto illudermi, quando tutto parlava in lui chiaramente. «Passai una notte d'inferno, lacerando coi denti il merletto dei guanciali inzuppati di lagrime. «Quando il chiarore incerto che penetrava dalle tende del verone cominciò ad oscurare il globo d'alabastro della lampada da notte, mi alzai, ancora vestita degli abiti che indossavo la sera scorsa... Esitai un istante prima di tirare il cordone del campanello: volevo illudermi ancora su tutta l'estensione della mia sventura. « - È alzato il signore? - domandai alla cameriera che veniva a prendere i miei ordini. « - Anzi Giuseppe, il suo cameriere, crede che non sia nemmeno andato a letto; poichè l'ha udito passeggiare tutta la notte. «Fui commossa profondamente; dunque anch'egli aveva provato tutta la lotta di quella disperata passione! «Mi acconciai allo specchio, con triste civetteria; non volevo accrescere il suo dolore colle tracce del mio; volevo attaccarmi a lui con tutte le risorse di quell'eleganza che egli aveva tanto ammirato in me; e passai nelle sue stanze. «Lo trovai che scriveva, seduto al tavolino nella sua stanza da studio, con un lume ancora acceso dinanzi, sebbene morente. «Oh, signor Raimondo, mi perdoni questi dettagli, sui quali insisto con il doloroso piacere che si prova a ritornare sui particolari di dolci malinconiche rimembranze. «I fiori che ornavano ogni mattina la giardiniera, situata a semicerchio attorno al suo tavolino, quei fiori fra i quali egli s'immergeva, direi, quando si metteva a scrivere, e che avvolgevano i suoi sensi in un vapore di colori e di profumi, e suscitavano mille indefinite percezioni nella sua mente; quei fiori dei quali egli avea detto di aver bisogno come dell'aria per lavorare e per pensare a me, erano appassiti; le tende delle finestre chiuse, sicchè eravi quasi buio nella stanza; attraverso l'uscio aperto della sua camera da dormire vidi il letto scomposto, colle lenzuola lacerate e cadenti a terra, ed un cuscino sul tappeto accanto ad una poltrona rovesciata. «Pietro mi voltava le spalle, colla testa appoggiala fra le mani; aveva dinanzi un monte di quaderni e di fogli di carta, dei quali alcuni lacerati; sul foglio che gli stava sotto la mano era scritta l'intestazione di una lettera e tre o quattro versi cancellati. Egli non mi udì avvicinare, e si riscosse bruscamente quando mi vide vicino a lui. Poscia si alzò e venne a stringermi la mano, sorridendo tristamente. « - Volevo venire a farmi perdonare le mie cattiverie di ieri sera... però non potevo supporti alzata a quest'ora. « - Non ho dormito, Pietro... - gli risposi colle lagrime agli occhi. «Egli volse i suoi in giro per l'appartamento, quasi avesse voluto nascondermi il disordine; li abbassò, e rimase muto. «Non aveva voluto confessarmi che ancor esso avea sofferto: sentii stringermi il cuore dolorosamente. «Venni ad appoggiarmi alla sua spalla, come nei bei giorni in cui sentivo un brivido percorrerlo allo sfiorargli il volto coi miei capelli, e lo guardai in silenzio, spalancando gli occhi per dissimularne le lagrime. Vidi lo sforzo ch'egli faceva per contenersi, baciandomi sulle labbra; ma quel bacio commosso non aveva il febbrile trasporto di una volta, che gli avrebbe fatto stringere il mio corpo fra le sue braccia fino a soffocarmi... Fu solo.. quasi triste.. « - Tu scrivi? - gli diss'io con un coraggio di cui non mi sarei creduta mai capace. «Come colto in fallo egli abbassò gli occhi sulle carte che gli stavano ammonticchiate dinanzi alla rinfusa, e rispose con un cenno del capo, quasi avesse dubitato di avere la mia forza. « - Scrivi a tua madre, Pietro... Le hai detto che fra quindici giorni sarai da lei?... «Questa volta egli non rispose e si recò la mia mano alle labbra. «Mi portai l'altra al cuore, per comprimerne i battiti, dei quali il rumore mi spaventava. «Oh, signor Raimondo... un uomo di ferro avrebbe avuto pietà di quest'agonia straziante, che mi affascinava però colla forza stessa del dolore, che mi strascinava a misurare tutta l'estensione della mia disgrazia... Pietro!... egli!.. non ebbe pietà di quest'agonia, che pure avrebbe dovuto indovinare dalla calma disperata del mio accento, dal tremito convulso delle mie braccia, che si appoggiavano alla sua spalla, dalla terribile tensione del dolore che inaridiva le lagrime sulla mia orbita... Egli non ebbe una parola... una sola!... o piuttosto non ne ebbe la forza... Egli rimase colle labbra fredde e tremanti sulla mia mano, che recava quella percezione al cuore come una stilettata, cercandovi forse la forza di rispondermi. «Un impeto cieco, disperato mi spingeva. « - Son venuta a chiederti una grazia, Pietro, - gli dissi; - questi ultimi quindici giorni che hai avuto la bontà di concedermi... io... io vorrei passarli in Aci-Castello... su quella bella spiaggia che visitammo sì spesso nelle nostre passeggiate notturne... Siamo al 28 di Ottobre, il 13 di Novembre partirai. «Speravo ch'egli soffocandomi dei suoi baci, avesse annullata la sua risoluzione della sera... Non fu nulla di ciò... « - Oggi stesso manderò Giuseppe ad affittarvi un casino: - mi rispose stringendomi le mani e figgendomi gli occhi in volto come cercandovi la spiegazione di quel desiderio; - e domani partiremo. Vuoi che usciamo assieme oggi? «Quella domanda fu il mio colpo di grazia: quando egli mi amava come un pazzo mi avrebbe pregata di non uscire; in appresso non mi avrebbe fatto quella domanda poichè non si sarebbe potuto supporre che l'uno di noi potesse uscir solo... negli ultimi giorni mi amava ancora abbastanza per non propormi una passeggiata come un compenso, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ciò che equivaleva a dichiararmela una compiacenza, come avea fatto in quel momento. «Mi voltai a cogliere un fiore da un vaso di porcellana per recare il fazzoletto alla bocca... Mi sentivo soffocare... Ebbi appena la forza di mormorargli: « - No... no... grazie... Non uscirò tutta la giornata... «Io stessa non udii il suono di quelle parole... Forse neanche egli le avrà udite... Uscii barcollando, operando uno sforzo supremo per dominare il mio dolore immenso, aggrappandomi alle tende che incontravo per non cadere... Nel mio salotto caddi su di una duchesse, annichilata. «Pietro passò al mio fianco tutto il giorno. Mi faceva una pena orribile a vedere gli sforzi che faceva per contenere la sua commozione, per combattere la lotta che ferveva in lui, per mantenersi saldo nella risoluzione che parea essersi fissata, e che quei momenti avevano fatto ondeggiare in lui... Egli fu amoroso con me, come si può esserlo sino ai limiti della commozione, senza il trasporto però della passione, di quell'amore caldo, cieco, irresistibile, quale egli me l'avea fatto provare, quale ormai m'era necessario per vivere, quale avrebbemi fatto dimenticare, almeno, per un'ora, in un bacio, tutta l'estensione dell'immensa sventura che mi percuoteva. «Egli non ebbe una parola, non una sola parola che alludesse alla nostra separazione; ma neanche un'altra che la facesse mettere in dubbio. «Un momento mi parve cattivo e spietato quell'uomo che non mi amava più. «Poi gli baciai le mani, delirante, piangendo a calde lagrime; gli avvinchiai le braccia al collo e lo soffocai quasi fra le mie lagrime e i miei baci, come se avessi voluto farmi perdonare la triste impressione di quel momento. «Giammai! giammai io ho amato Pietro di quest'amore immenso, frenetico, divorante di cui l'ho amato in quel punto... «L'indomani partimmo per Aci-Castello. «No! se anche scrivessi questi versi col sangue che tale tortura ha stillato dal mio cuore, io non potrei arrivare a descrivere tutto lo strazio ineffabile di quest'agonia immensa che è durata 15 giorni; in cui ho dovuto divorare lo mie lagrime; soffocare gli urli disperati del mio cuore, perchè m'impedivano di vedere, di sentire come ogni ora di più il cuore di lui s'allontani dal mio; come quelle sensazioni impercettibili, che formavano l'amore sovrumano di cui quest'uomo mi adorava, vadano morendo in lui... lo non potrò esprimere quello che ho provato di orribile in tutta l'intensità del dolore, quando, con la terribile lucidità che mi dà la mia angoscia, ho letto chiaramente in quel cuore... troppo chiaramente, per mia sventura!... la sorpresa, la tristezza di lui, direi anche, il rimorso delle perdute illusioni del suo amore di un tempo che cerca invano... lo l'ho veduto quell'uomo, quel cuore, chiudere gli occhi, immergersi nel vortice delle più tempestose carezze, soffocarmi coi più febbrili trasporti... frenetico... furibondo quasi, cercando quelle illusioni che avea adorato in me... e nulla!!... nulla!!... e staccarsene pallido, annichilato... quasi piangendo come un fanciullo, guardandosi attorno come smemorato, come cercando ancora quelle sensazioni che non sa più trovare in me... e che io!!!... disgraziata!!... io non posso più dargli!!... «Oh, signore! nessuno!... no! nessuno potrà mai arrivare a comprendere la sublime agonia di quell'istante! «Dio!... Dio mio!... se impazzissi! «No! Dio non è giusto! No! Dio non ha pietà di questo dolore sovrumano! «Pietro è triste, malinconico ogni giorno di più, la pietà istessa che risento di me, di quest'amore di cui l'amo, ch'egli comprende, e del quale non può contraccambiarmi, malgrado tutti i suoi sforzi generosi, questa pietà lo distacca da me, lo fa fuggire, come se temesse di trovare un rimorso nei miei occhi, che, Dio sa con qual coraggio gli nascondono quello che si passa in me. Egli è sdegnato contro se stesso e dolente della simulazione che deve imporsi per compassione di me, delle menzogne che deve giurarmi col volto cosperso del rossore della vergogna. La notte lo sento passeggiare spesso sino all'alba, ora in cui parte per la caccia, e non ritorna che a sera, stanco, spossato, come se avesse voluto nella stanchezza dei sensi addormentare il rimorso del suo amore perduto, e trovarvi una pace che la tempesta delle sue passioni non gli accorda giammai. Eppure, dopo queste corse che hanno gonfiato i suoi piedi, che hanno logorato le suo forze sino alla prostrazione, egli non trova sonno nel letto... egli si stanca ancora a passeggiare per la sua camera... «Qualche volta ho trovato l'indomani il suo fazzoletto e i suoi guanciali umidi: al sapore acre ho conosciuto che erano lagrime... «Lui! questo carattere orgoglioso e forte, quest'uomo di ferro... ha pianto!... ha pianto di dolore, di rimorso, di rabbia, per quest'amore che gli sfugge, che vorrebbe imporsi. «No!.. tale martirio non può durare per entrambi... Io sarò forte!... sì, quest'amore istesso me ne darà la forza. «Morire, mio Dio! morire nelle sue braccia almeno... addormentata dalle sue carezze!... «Abbiamo passato 13 giorni su questa spiaggia che mi sembra deliziosa, malgrado le ore crudeli che vi ho provate. Si dice che il dolore rende fosche le tinte più brillanti del luogo ove si prova... Anch'io ho sentito ciò altravolta; ma quì, in questi ultimi giorni, questi luoghi io li ho amati nei loro minimi particolari; forse perchè mi è caro anche il dolore di quest'agonia che posso provare vicino a lui. «Nel momento in cui scrivo per parlare di lui, per illudermi con lui... sola, di notte, nella mia camera da letto... vedo, attraverso le tende della mia finestra aperta, sbattute dal vento tempestoso di questi ultimi giorni d'autunno che spoglia gli alberi delle foglie, la massa antica, imponente, severamente e grandemente poetica del vecchio e rovinoso castello che pende da una balza suI mare; coi suoi muri massicci e screpolati, sui quali stridono i gufi in mezzo alle ginestre che vi germogliano, che disegnano Ia loro massa bruna su questo cielo trasparente ove risplende la più bella luna del mondo; con questo mare immenso, lucido, che da questa lontananza sembra calmo e lievemente increspato e che muggisce colla sua voce potente fra i precipizii dell'abisso che circonda le fondamenta del castello. «L'altro giorno volli vedere questo castello a metà distrutto, su cui sembra talvolta vedere ancora passeggiare le scolte luccicanti di ferro fra i merli dei torrioni; che mi fa vivere in mezzo agli uomini di una volta che l'hanno abitato coi vivi ricordi che tramanda e che sembrano infondersi incancellabilmente alla sua vista. Pietro volle dissuadermene, dicendo che la strada per giungervi era molto pericolosa per una donna. « - Non sarai tu con me? - gli dissi, come se mi fosse stato impossibile un accidente vicino a lui, o come se quest'infortunio avessi dovuto amarlo, dividendolo con lui. «Egli... costui, cui l'amore avea dato squisite percezioni, cui avea fatto oprare un miracolo di genio e di sentimento nel suo dramma, capì appena tutto il senso di quelle parole. «Mi diede il braccio, come per nascondermi il suo imbarazzo, e mi accompagnò alla salita che precede l'ingresso della rocca. «I muri della torre principale che guardano il paesetto, sembrano di un'altezza smisurata, guardati dal basso, in quel punto, elevati come sono su di un immenso scoglio che dalla parte del mezzogiorno sospende le sue torri sul mare. Due tavoloni di querce sono gettati su di un arco in rovina per traversare l'abisso orribile che si stende al di sotto, in fondo al quale mormora il mare di un sordo rumore, e che fa venire le vertigini al solo guardarlo. «Pietro passò innanzi e mi porse la mano raccomandandomi di non guardare il precipizio per non avere la vertigine; all'incontro io provavo un'affascinante sensazione nel mirare quella gola oscura, a quasi duecento piedi sotto di noi, ove, fra le acute punte degli scogli, biancheggiava la spuma minuta delle onde rotte e imprigionate nella caverna, su cui l'assito che ci sosteneva si piegava sotto il peso dei nostri corpi scricchiolando. «Se cadessimo,qui, abbracciati! - esclamai io quasi involontariamente, stringendo la mano di Pietro che mi guidava. «Mi pareva più dolce quella morte; e preferibile alle torture che provavo, e che supponevo anche in lui. « - Quale pazzia! - mormorò egli stringendo il mio braccio, come per prevenire l'effetto di un capogiro, e accelerando il passo, che avea reso ardito e sicuro, quasi per garantire la mia vita ch'eragli sospesa. «Egli non ha detto: Che cara pazzia!... Ha detto semplicemente: Quale pazzia!... «Ho veduto dalla sommità di quelle torri questo mare azzurro che si confonde con il ceruleo dell'orizzonte, che si stende nella sua grande immobilità in lontananza e freme e spumeggia ai miei piedi; ho veduto quelle barche che sembravano giocatoli da quell'altezza, quel litorale sparso di ville e di paesetti, e Catania... Catania ove Pietro mi aveva tanto amato... «Vi fissai un lungo sguardo, non avvertendo le lagrime che bagnavano le mie guance. « - Che guardi? - mi domandò egli, come se mi avesse domandato: Perchè piangi? « - Catania! - risposi colla voce ancora tremante. «Egli sentì forse tutto quanto vi era di passione e di rimembranze in quella parola; e lo provò anch'egli fors'anche in quel momento, poichè soggiunse, come cedendo ad una generosa risoluzione: « - Vuoi che ritorniamo a Catania? «Non risposi e restai cogli occhi umidi e fissi sul golfo in fondo al quale biancheggiavano le cupole che indicavano la città, appoggiandomi al braccio di lui. Sentivo quanto vi era di nobile sacrifizio in quella proposta; ciò ch'escludeva l'amore, ch'era quello che mi bisognava. « - Dov'è Siracusa? - domandai poscia, come non accorgendomene, cedendo ad un intimo impulso. «Pietro mi additò un punto tra mezzogiorno e ponente, dietro il Capo Passaro che si vedeva distintamente, ove dovea essere il suo paese natale. « - Perchè non mi conduci a Siracusa piuttosto? - gli dissi gettandogli le braccia al collo, singhiozzando e fissando nei suoi i miei occhi brillanti di lagrime. Egli abbassò gli occhi, baciandomi le mani, e rispose, dopo avere esitato un istante: « - Se lo vuoi... « - No! Io non lo voglio... Ciò che io voglio è il tuo amore! il tuo amore sfrenato, ardente, quale lo sentivi per me, quale cerchi ancora come smanioso e non sai più trovare, quale io spero qualche volta illudendomi, e tento tutte le occasioni per travedere in te... e non m'accorgo, pazza, disgraziata ch'io sono, che tu non lo trovi... che tu hai la generosità, la nobiltà di fingerlo meco; ciò di cui senti rimorso;... e che tutto... tutto!... perfino le tue carezze, perfino i tuoi sacrifizii mi dimostrano che tu non senti più per me... « - Partiamo! - soggiunsi poco dopo strascinandolo pel braccio, soffocando l'emozione che sentivo prorompere nell'eccitazione della corsa, poichè mi sentivo morire. «L'ultimo raggio di sole rischiarava ancora i merli della più alta torre, e nell'abisso che dovevamo traversare era buio profondo; e gli echi ne erano mugghianti; e gli sprazzi di spuma biancheggiavano come giganteschi fantasmi. «Un momento mi sembrò che l'immenso fascino di quello spaventevole abisso attraesse l'abisso doloroso del mio cuore; che quei bianchi fantasmi mi stendessero le braccia come a prepararmi un letto eterno che dovesse accogliermi assieme all'uomo che adoravo tanto più freneticamente quanto più lo vedevo allontanarsi da me... Un momento il mio piede si stese sul precipizio e la mia mano strinse più forte la sua per allacciarlo in un modo che nulla sarebbe valso a rapirmelo mai più... « - No! no! gridò il mio cuore gemente: no!... ch'egli viva! ch'egli sia felice!... io non potrò mai essergli grata abbastanza dei giorni che mi ha dato, dei sacrifizi che ha avuto la bontà d'imporsi per me!... Ch'egli sia felice... anche con un'altra!... « Un'altra!... Ecco quell'idea terribile, sanguinosa, che mi ha attraversato il cuore come un ferro infuocato, e alla quale non avrei forse saputo resistere se ci avessi prima pensato... «Mi avvidi, quasi con gioia, come se fossi stata salvata da un immenso pericolo, che camminavamo sul selciato della strada. «Una o due volte, in quella notte agitata e febbrile passata al davanzale della mia finestra, ho avuto dei momenti di speranza, d'illusione, speranza tale che mi faceva mettere dei gridi di gioia, che mi faceva comprimere le tempia fra le mani, quasi le arterie che battevano di felicità, minacciassero di sconvolgermi la ragione... Egli mi avea proposto di accompagnarmi a Catania!... egli aveva avuto forse un istante d'amore per me!... dell'amore di una volta!... «Oh! Dio! Dio!... morire almeno in tal momento!... «Ieri volli uscire con lui; volli fare una passeggiata in barca. Egli prese i remi, ed entrambi, soli, ci cullammo nella piccola barchetta da pescatori su quelle onde azzurre come il cielo. «Quand'egli è solo, pensieroso, vicino a me... provo un momento di dubbio, d'incertezza... Mi pare di sperare, mi pare di averlo mio! tutto mio!... e che nulla abbia potenza di strapparlo all'amplesso frenetico delle mie braccia. «Appena fummo al largo egli lasciò i remi e venne a prendere la mia mano. «Lo guardai come non l'avevo mai guardato: sentivo che non potevo amarlo di più di quanto io l'amavo in quel momento; mi pareva impossibile ch'egli dovesse lasciarmi il dopodomani. «Egli baciava le mie mani, e sostava per guardarle in silenzio, come se avesse temuto di alzare gli occhi nei miei, e per tornare a baciarle... Le sentii umide delle sue lagrime. « - Pietro! - esclamai palpitante di una sublime emozione, mentre tutti i pori del mio cuore si dilatavano ad assorbire le inebbrianti emanazioni di una lusinghiera speranza; - ieri ti pregai di condurmi a Siracusa!... con te... «Egli non potè più frenare il pianto, e scosse la testa tristamente. « - Impossibile! - mormorò con un soffio appena intelligibile. « - Impossibile?... - ripetei radunando tutte le forze di cui mi sentivo capace; - e perchè, Pietro?!... « - Oh! grazia! grazia, Narcisa! - singhiozzò egli stringendomi fra le sue braccia, nascondendo la sua testa nel mio petto: - grazia!... io sono molto vile!!... «Era orribile a vedersi l'angoscia disperata di quel volto energico, l'annichilamento completo di quel carattere di bronzo. « - Sì, io son vile! io son colpevole! io sono infame!... - seguitò con voce delirante: - oh! grazia, Narcisa!... «L'amavo tanto che non sentii tutto lo spasimo sublime che quelle parole mi facevano provare: ebbi soltanto pietà di lui. «Lo abbracciai; piangendo anch'io; tremando convulsivamente del suo tremito; mischiando le mie labbra alle sue. « - Dillo! Pietro... dillo! - gridai con disperato sforzo di volontà, - tu non mi ami più!... tu non mi ami più come prima! «Egli rimase abbattuto, in silenzio, sulla panchetta della barca. «Quel silenzio durò cinque minuti. «Quando risollevò il volto fui atterrita dallo spaventevole pallore che copriva i suoi lineamenti solcati profondamente. « - Ascoltami, Narcisa! - cominciò egli con voce solenne, quasi calma: - io ho un sacro dovere di gratitudine verso di te... dovere che mi fanno care le reminiscenze che non potrò dimenticare giammai, e che formano ora il mio inferno... Eppure, te lo giurò sul mio onore, io non mi trovo colpevole... no!... che soltanto queste reminiscenze mi restino ora vicino a te... Tu hai il diritto di disporre di me, in tutto... Io sacrificherò al dovere quello che avrei sacrificato all'amore, e farò quanto è possibile all'uomo per renderti la tua felicità. Ho tanto provato di sì immenso nella voluttà del godimento, nel delirio dell'esser felice che forse all'uomo non è concesso di godere... e Dio mi punisce col soffiare su tutte quelle sensazioni che formavano il mio amore... che cerco invano da due mesi... e spegnerle per me. Nel tremito ardente dei tuoi labbri sul tiepore della tua pelle rosata, nelle nervose e convulse pressioni delle tue braccia, nel delirio fervente delle tue carezze; ho cercato invano un atomo, un atomo solo, di quello che provavo d'arcano, d'indefinibile, di più che terreno, quando, seduto sul lastrico della. strada, ti vedevo al verone, ciò che formava il delirio dei miei sogni; che nei primi trasporti del possederti, quando mi pareva di divenir folle per la felicità dell'amor tuo, io provai sino a quel parossismo del godimento che ci annienta, direi, nel godimento istesso, e che ci lascia sbalorditi della sua estensione. lo ho cercato invano questo profumo, questo vapore che ti circondava d'incenso come gli angeli, e in cui non osavo immergermi per timore di perdervi la ragione o di perdervi l'illusione... È duro, è crudele quello che dico... ma tu hai mente per apprezzarlo e cuore per perdonarmelo... come mi hai perdonato tutto quello che ti ho fatto soffrire da due mesi, che mi son rimproverato, e di cui il rimorso mi lacera... Quello che io piango, Narcisa, è l'amore che ho provato e che non posso più trovare... che cerco assetato per inebbriarmene, poichè la sete che ne ho è ardente, divoratrice, e che mi fugge sempre dinanzi come un fuoco fatuo... Io avrei paura, rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di quest'amore... e che tutto questo tesoro di diletti che trovasi in te, di cui m'abbeverai forse sino all'ebbrietà, non vada perduto dell'intutto per me! Oh! io ho paura di ciò, Narcisa!... poichè la speranza di riamarti un giorno come ti ho amato, m'impedisce che mi bruci le cervella, non avendo più nulla a godere sulla terra. Bisogna che io mi allontani da te per qualche tempo, ch'io torni a dubitare della felicità che ho goduto... ch'io dubiti della speranza fin anche di questa felicità, per esser pazzo di te come ero quando passavo le notti innanzi la tua casa senza sperare un'occhiata da te... bisogna che io ti vegga ancora lontana da me, in mezzo allo pompe del tuo lusso, all'incanto delle tue seduzioni, per cercarti ansioso, cieco, folle, come allora; e stendere le braccia, delirante, invocando un altro sorso di questa coppa fatata... a cui fui tanto stolto da bere troppo... «Egli non potè più proseguire, soffocato dalla violenza della sua commozione; tenendosi il petto colle mani increspate da una violenta contrazione; inginocchiato ai miei piedi; coll'occhio luccicante di una fosca luce sul pallore quasi tetro del suo volto; coi capelli irti sulla fronte madida di freddo sudore. «Quest'addio che quel cuore mi dava era grande, era sublime, come l'amore di cui m'aveva amato. «Lo sollevai fra le mie braccia; lo baciai in fronte, sentendomi ancor io fredda di sudore ghiacciato, provando una forte risoluzione che quelle parole infondevanmi, la quale correva al cuore, quasi con gli smarrimenti di una vertigine, insieme al sangue che da tutte le vene vi affluiva. « - Addio dunque! - gli dissi con una calma nella voce della quale io stessa ero atterrita: - Addio, Pietro!... «Egli cercò i miei labbri coi suoi freddi, tremanti d'angoscia e di voluttà. « - Addio!... gli mormorarono ancora i miei labbri palpitanti nei suoi. - E svenni fra le sue braccia.

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