Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbracciando

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Il ponte della felicità

219145
Neppi Fanello 2 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Marietta invece, incapace di tenere più a lungo la lingua a freno, esclamò, abbracciando l'amica: - Come sono contenta, Loredana!... Se ieri il babbo non avesse avuto l'incarico di fare il ritratto del nostro grande ammiraglio, oggi non lo avresti trovato qui e tu ignoreresti ancora la felicità che ti aspetta. -

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- mormorò la madre, abbracciando a sua volta la fiorente giovinetta che le era corsa vicino. Madre e figlia si somigliavano moltissimo. Avevano entrambe lineamenti fini, il colorito roseo, i capelli fiammanti, il portamento eretto. Ma gli occhi della fanciulla erano fulgidi come stelle, e quelli della madre, opachi e spenti. Loredana pose con gesto carezzevole la bionda testa sulle ginocchia materne e rimase immobile, chiusa nel cerchio dei suoi mesti pensieri. Quattro anni erano ormai trascorsi da quando il babbo era partito per Famagosta condottovi da Marco Antonio Bragadin, e due anni e mezzo da quando la mamma era rimasta cieca in seguito alla sua malattia. Un velo si stendeva ora su quegli occhi, che un tempo avevano sprigionato tanta luce di amore e di dedizione. Loredana non era più la bimba spensierata che si divertiva in mille modi nella quiete del suo orto bagnato dal rio Canal; era ormai una giovinetta alta e snella, con le trecce avvolte intorno al capo come un lucido casco d'oro che la faceva sembrare una regina, benchè fosse vestita con vecchi panni della mamma, scoloriti e logori. Aveva inoltre una tale riservatezza di modi e una grazia così pudica che conquistava chiunque la vedeva. Quanto erano stati duri gli anni passati! Tutti intessuti di rinunzie silenziose e di eroici sacrifici per la giovinetta buona e coraggiosa. Piano piano, tutte le belle opere d'arte accumulate da Lorenzo Sagredo erano state vendute da Loredana, prima per assistere la madre durante la lunga malattia, poi per sovvenire ai loro quotidiani bisogni. Il bisogno le aveva anche costrette ai cedere la loro graziosa casetta nell'assolato campielo, così piena di tenero verde e di pispiglianti voli di uccelli, per rinchiudersi in quella soffitta nuda e gelida come una caverna. Eppure avevano sopportato tutto, Lucrezia e Loredana, sorrette dall'aiuto di Dio e dalla radiosa speranza che il pellegrino dei luoghi santi aveva fatto loro balenare. Intanto Lorenzo Sagredo non era più schiavo sulle galee turche, ma nella residenza di Alì pascià. Nella sontuosa dimora del potente signore mussulmano, egli poteva almeno dedicarsi al suo amato lavoro che lo avrebbe certamente consolato di tante cose e distratto dai suoi amari pensieri. Lucrezia Sagredo aveva collocato l'autoritratto del marito, uno stupendo disegno a punta d'argento, sotto il quadro della Madonna, quasi a chiedere che la Vergine sublime lo accogliesse sotto il suo manto e lo proteggesse contro ogni pericolo. Tutte le sere le due Sagredo s'inginocchiavano e pregavano a lungo; poi le labbra della sposa e della figlia sfioravano la fronte del caro assente e le mani affilate della cieca indugiavano con muta carezza, sul viso amato, come ad attingerne aiuto e conforto. Ma anche l'autoritratto del Sagredo, ultimo residuo dei beni scomparsi, doveva essere venduto tra qualche giorno. Perchè la madre non se ne accorgesse, Loredana aveva pensato di toglierlo e dalla cornice dorata e sostituirlo con una tavoletta spoglia di ogni immagine. Ma il cuore le si stringeva al pensiero di quell'inganno. Sarebbe riuscita a frenare i singhiozzi quando le bianche mani della mamma avrebbero sfiorato la nuda superficie? E che cosa avrebbe detto l'infelice donna? Dal basso continuavano a salire, ideale richiamo, le note soavi del clavicembalo di Teodora Pisani Moretta. Loredana si cullava in quei suoni armoniosi, quasi dimentica di tutto quello che la vita le aveva fatto soffrire e quasi aspettasse dalla nobile giovinetta speranza e conforto. Era un sentimento di fraternità umana che avrebbe voluto chiedere alla gentile sonatrice, quel sentimento che dovrebbe legare tra loro tutte le creature viventi e aiutarle a superare le prove, spesso amarissime, della vita. La fanciulla aveva sollevato il capo dalle ginocchia materne e i suoi begli occhi scuri guardavano intorno le squallide pareti, che sarebbero sembrate ancora più squallide, prive della virile immagine del padre. A un tratto le balenò un'idea. Se si fosse provata a ritrarre le sembianze paterne? Loredana ripensava al tempo in cui assisteva al lavoro del padre, e alle lezioni di pittura che aveva ricevuto da lui. Come si divertiva a passare le polveri per la composizione dei colori, e a mischiarle poi, in compagnia di Alvise, laggiù, sotto l'ombra delle acacie, per vedere quali altri colori avrebbero combinato! Piano piano si alzò, si avvicinò al cavalletto e lo trascinò sotto l'abbaino; staccò dal muro l'autoritratto del babbo e se lo mise davanti. - Che fai, Lori? - Mamma, voglio eseguire un piccolo disegno. - Ne sarai ancora capace? - chiese la madre con aria di dubbio. - Forse sì, mamma. - Brava Lori! Così, quando il babbo tornerà, vedrà che, la sua bimbetta è stata saggia, - mormorò Lucrezia con grande tenerezza; poi chinò la testa e s'immerse nei suoi profondi pensieri. Il silenzio regnò assoluto nella stamberga. Un Loredana lavorava.... obliquo raggio di sole si insinuava tra l'apertura dell'abbaino, accendeva, i capelli d'oro di Loredana e metteva un'aureola luminosa intorno al capo della fanciulla. Ogni tanto una nuvola nascondeva il sole e tutto si spengeva in un grigio di cenere; poi, d'improvviso, ogni cosa si riaccendeva più di prima.. Loredana lavorava senza posa. Le pareva che una mano invisibile la guidasse nella ricostruzione delle sembianze paterne. Ed ecco che a poco a poco sullo sfondo grigio della tavoletta fiorivano gli occhi imperiosi e pur dolci del babbo, il suo naso diritto, le labbra serrate tra il fluire del pizzo castano e l'ardita, piega dei baffi. A tratti la matita a punta d'argento che scorreva agile e sicura, guidata dalle sue dita, rimaneva sospesa e gli occhi di Loredana si fissavano in un punto lontano, come a ricostruire svaniti contorni; poi riprendeva febbrilmente il lavoro. La madre, nel suo angolo, si era assopita, cullata, dal profondo silenzio di quel pomeriggio di prima estate. Un calabrone di velluto era entrato nella scìa dei raggi solari e svolazzava intorno con un ronzio metallico; ma Loredana non lo vedeva e non lo sentiva. Si svegliò da quella specie d'incanto quando il sole stava per tramontare, in una gloria di luce sanguigna, salutato dalle strida gioconde delle rondini e dal dolce pigolo dei passeri, pronti a ritirarsi nei loro nidi alle prime ombre del crepuscolo. Per più di tre ore la fanciulla aveva lavorato senza interruzione e senza quasi accorgersene; e adesso si sentiva a un tratto stanca, ma di una stanchezza che le faceva bene al cuore. In punta di piedi, perchè la madre non la sentisse, tornò ad appendere il ritratto alla parete, e allora finalmente la grande angoscia che fin dalla mattina teneva chiuso il suo cuore in una morsa di ferro si dileguò, come un pipistrello che s'invola al timido spuntare dell'alba. Ormai non avrebbe più ingannato la cara cieca facendole baciare una nuda tavoletta. Lucrezia Sagredo, la sposa fedele e amorosa, avrebbe pregato sempre davanti all'effige dello sposo lontano, senza che sua figlia si sentisse salire alla fronte il rossore della vergogna e dell'ambascia.

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