Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Angiola Maria

207178
Carcano, Giulio 3 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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O terra solitaria e ridente, che il lago da ambo i lati abbraccia col suo limpido specchio, o paesello che siedi su la china del promontorio, incoronato d' alberi d' ombra perenne e rallegrato da un misto digradar di sparsi colori, il verde delle rive ancora erbose, il rosso e il gialliccio delle foglie che cominciano ad appassire, il cupo del pino, dell' elce e dell' abete, e il roseo degli odorosi ciclamini che tutto l'anno rivestono la tua bella pendice, addio!... Noi lasciamo le tue ore tranquille, l' innocente allegria de' suoi passatempi, l'aria tua sincera e salubre, i lieti diporti su l'acque, i sentieri serpeggianti su per la montagna; noi abbandoniamo la casipola che un' annosa vite, ombreggia, la remota dàrsena con le sue barche peschereccie, la scoscesa costiera del lido, la chiesa antica, modesta, e la cappelletta al crocicchio del bosco.... Addio! Ma la memoria de' luoghi, che un tempo avemmo cari, dove passammo gli anni giovanili in libertà e in pace, questa memoria che si nasconde nel cuore, ma non si cancella mai, verrà con noi, cara e segreta compagnia. E quando sorgeranno nel mezzo della vita i giorni delle lunghe prove e della tradita fatica, quando, fra il rumore del mondo e l'angustia del futuro, volgeremo indietro uno sguardo al tempo che prometteva felicità, allora ci sarà dolce il tornare, almeno col cuore, a riposarci in que' luoghi, dove la solitudine è piena de' nostri primi amori e di tante piccole storie da fanciulli; dove conosciamo ogni palmo di terra, ogni albero, ogni cespuglio; dove ne pare meno amaro il ricordarsi del dolore sofferto. L' oscura sorte d'Angiola Maria sta per mutarsi: un giorno, una parola, cambiano tante cose quaggiù; bastò un giorno per sedurre i pensieri della giovinetta con le lusinghe d' una vita più bella, d' una vita che fino a quel tempo le era stata un sogno fuggitivo, dal quale senza rammarico si risvegliava. La dimestichezza nata fra lei e le due damigelle, il rivedersi tutt'i giorni, la concordia de' pensieri e de' cuori, la necessità di cercarsi, di volersi bene, quella fiducia della giovinezza così schietta nell'anime buone, tutto si combinò per condurre Maria a lasciarsi vincere dalla preghiera d' Elisa e di Vittorina d'accompagnarle quell' inverno a Milano. Esse speravano, in segreto, di persuaderla poi a venir con loro in Inghilterra. Avrei dovuto dirvi prima, che il vecchio lord, al cader dell' autunno, stanco della lunga solitudine, e ristorato alquanto in salute, aveva, con gran rammarico delle due fanciulle e d'Arnoldo, risoluto di passar l'inverno nella città. Però, quando bisugnò partire, fu Vittorina che trovò lo spediente d'acconciarla bene per tutti.Un bel dì, fece a suo padre molte carezze e una preghiera; e il lord, colto in buon momento, acconsentì. Non occorre dirlo, la mamma Caterina non si lasciò neppur essa lungamente pregare; che anzi non capiva in sè atti piacere, mentre Elisa l'assicurava che si sarebbero tenuta la sua cara Maria, come una compagna, un' amica, e al primo giorno della primavera gliel'avrebbero restituita, e tant'altre promesse. E poi, la buona vecchia voleva troppo bene alla figliuola; appena questa parlava, ella non sapeva trovar più ragione in contrario. - Oh l' amar molto è la gioia e il martirio delle povere madri! Il più serio fu, quando bisognò scriverne al vicecurato. Maria sapeva i pensieri, sapeva il cuore di suo fratello; dubitava che quella, partenza così nuova, quel lasciar sola la madre per tutto l' inverno, non dovesse a lui parer bene. Tremava la povera fanciulla nello scrivere e suggellar quella lettera, tremava, nè sapeva il perchè. Ma bisognò farlo; sua madre non aveva posta altra condizione, tranne questa, che vi fosse il consenso di don Carlo. Chi si pigliò la briga di portar la lettera al suo destino fu lo stesso Arnoldo, per una buona ragione che coverse di due buone scuse, cioè di fare una visita all'amico, e di percorrere un' altra volta, innanzi abbandonarla, quella bella contrada. Prima che uscisse l'alba della vegnente mattina, una barca lo traghettò a ****, dov' erano i cavalli di suo padre Qui giunto, condusse fuori uno svelto e brioso leardo; montò in sella, e seguitando i sentieri lungo la montagna, viaggiò tutto il giorno, per arrivare innanzi sera alla lontana parrocchia. Più d' una volta falli il cammino, e gli fu forza tornar indietro, rifare lunghi tratti della strada già corsa; onde sentiva dispetto dell'indugio, e compassione della sua povera cavalcatura. Già da parecchie ore il cavallo andava di buon portante o di galoppo su per quelle strade appena praticabili, e sbuffava dalle nari per la lunga fatica; la sua criniera ondeggiava sollevata dalla gentile brezzolina d' ottobre; le ferrate sue zampe percotevano con violento passo sui grossi ciottoli di que' sentieri franati: ma il giovin cavaliere non pareva mai stanco di tener piede in ista fra. Soltanto egli lasciava, a quando a quando, che il cavallo continuasse di passo la via, e intanto gli accarezzava il collo e la criniera. A mezzo del cammino, scese di sella, e fermossi per breve tempo in un deserto casolare, il quale d'osteria non aveva che l'insegna; un tugurio. dalla mala sorte collocato in fondo di solitaria valle. Condusse egli stesso il suo cavallo in un canto della corte, innanzi a una mangiatoia tarlata; poi entrò nella cucina, sedette, e senza parlare si refiziò con un stantio resto di torta, e con certo cacio di capra che gli fu messo innanzi, e che poi inaffiò d'un bicchiero di vino acido; e pure l'ostessa ne aspettò un pezzo il complimento. Era una giovine e tarchiata valligiana, la quale gli s'era piantata in faccia, con le pugna appuntate sul descaccio zoppo, quantunque fosse piú usa a guardare, con due occhi grigi e furbi, il bel muso d'un contrabbandiere a lume di luna, che non la faccia dilicata e i capegli biondi d'un giovinotto inglese innamorato. Ripigliò il cammino, e lungo la strada, la sua fantasia, seguendo sempre gli stessi pensieri, vestiva d' una immagine sola la varia scena della natura ridente o selvaggia ch'egli attraversava: i gruppi d' alberi, i casali, i dirupi e le frane, il ruscello e il torrente, la piccola pianura e la greggia col mandriano, il paesetto e il cimitero, tutto pareva fuggirgli dinanzi, come fosse nel paese delle visioni. Una sola meditazione nutriva il suo cuore; nè quel pensiero era mai così forte, come quando traeva fuori la lettera di Maria, e contemplava con segreta dolcezza le parole della soprascritta; la quale, del resto, non poteva esser più semplice, nè so che incanto avesse. A un'ora di notte arrivò alla parrocchia, e scavalcò all'uscio d'una povera abitazione, che un pecoraio gl'insegna come quella del vicecurato. E lo trovò nella più interna delle due camere, ch'erano tutta la casa, Io trovò a vegliare in mezzo a' suoi volumi, qua e là sparsi, ammucchiati o aperti, al lume d'una piccola lucerna. Al vedere l'inaspettato visitatore, il prete s'alzò, e, fattosegli incontro, sorrise; poi, senza parlare, gli strinse con molto affetto la mano; ma il suo volto era pallido, malinconico il sorriso; lo stesso suo andare aveva qualche cosa di penoso e d'incerto. « Siate il benvenuto, amico mio! Dunque non l' avete dimenticato il povero prete? Nella mia solitudine, la vostra venuta è una benedizione. Oh credetelo! il mio cuore ve n'è riconoscente. » « Mio buon Carlo, tocca a me a domandarvi perdono, se è la prima volta che vengo a visitarvi; non ho tenuta la mia promessa, lo so; ma.... mio padre.... » « Non, dite altro: vi so troppo buongrado del piacere che adesso mi fate; e v' assicuro ch' io aveva gran bisogna di vedere un volto amico. » « Vi trovo assai mutato da tre mesi; magro, sparuto: siete stato forse malato? » « No! sto bene: è l'animo ch'è malato. Ma di me non parliamo; voi.... » « Ho una lettera per voi.... una lettera di Maria, di vostra sorella. » « Che? accadde qualche disgrazia?... di mia madre....» « Oh! sta bene e vi saluta, la buona donna; è ben disposta e così lieta! » « Dio la benedica! Ma questa lettera di Maria.... » « Eccola: essa vi domanda che consentiate di lasciarla per qualche tempo con noi, che andiamo a passar l'inverno a Milano.... Le mie sorelle anch'esse ve ne pregano. » disse il prete, maravigliando e cadendo d'improvviso in gravi pensieri. Indi aperse lentamente il foglio, lo lesse attento, e ripiegatolo l' intascò. Il giovine lo riguardava, in atto di serio esitare. Indi a poco il prete gli domandò: « Quando contate di partire? » « Domattina, forse. Perchè.... non so se mio padre.... » dubitando rispose. « Domattina, dunque, avrete la mia risposta per Maria. » E ciò detto, il prete mutò discorso, nè più parlò di sua madre, nè di sua sorella. Ma raccontò all'amico la vita che menava in quella valle; vita di sacrifizio, di coraggio, e che avrebbe presto distrutte le forze d'altri uomini di tempra più salda della sua. Quella remota parrocchia di poveri terrazzani, dispersa in abituri e capanne, senza ricolto e senza decime, metteva a dura e continua prova il ministero dell'uom del Signore, chiamandolo a tutte l' ore dov' era bisogno di consolazione, dove stavano il pianto e la fame. Ma fattasi l'ora tarda: « Pensiamo a voi; » disse don Carlo. « Voi siete stanco, rotto dal viaggio; qui nel paese non c'è locanda di sorte, chè altri non vi capita se non qualche vagabondo, o al più due volte l' anno qualcuno che abbia perduta la strada. Se v' accontentate, vi cedo il mio letto; già lo sapete, siete sotto il tetto d'un povero romito.... » Ma negando l'altro in ogni maniera: « Bene, » soggiunse il prete, « il mio Bernardo (è un buon cristiano di questi monti che m'aiuta e mi serve) vi preparerà alla meglio un lettuccio sul canapè ch'è nell'altra stanza. Scusatemi, amico; v' accorgerete stanotte di non essere nelle belle case, e nei buoni letti della vostra Londra. Ora addio, e buona notte! » Arnoldo si coricò; ma alle stanche membra non concede- vano riposo l' ardore e l' inquietudine della mente combattuta da cento pensieri più strani delle larve d'un cattivo sogno. Vegliava dunque, e dopo qualche tempo s' accorgeva che nella stanza vicina il prete era pur desto; poiché la lucerna mandava ancora, per alcune fessure dell'uscio, il sottile suo raggio. Dapprima non gli giungeva all'orecchio nè voce nè respiro; poi intese come il muover lento e grave d'un passo che misurasse chetamente la stanza. Il giovine si traeva sotto le coltri, cercando dormire, ma invano.... Origliava, non fiatava; passò un' ora, ne passò un' altra: e sempre sentiva il prete andare e venire su e giù lentamente per la camera. Tutto ad un tratto lo riscosse uno strepito, come lo scricchiolar d'una seggiola sotto il peso di persona che sopra vi s' abbandoni; in quella, gli parve d'udire un affannoso sospiro, e poi queste parole: - Mio Dio!... dammi forza e costanza!... Allora, vinto da non so che terrore, stava per balzar dal letto, quando s' accòrse che la lucerna era spenta, e che tutto era silenzio. Alla mattina, Arnoldo pensava di chiedere al prete, in nome dell'amicizia, la spiegazione di quel mistero, la causa della preoccupazione grave e dolorosa in cui l'aveva trovato. Nondimeno, quando se lo vide venire incontro, con aspetto serio ma tranquillo, per fargli nuove scuse di quella sua meschina ospitalità, e s'accorse ch'esso troncava ogn'inchiesta, la quale a lui riguardasse, pensò che doveva essere un segreto geloso e profondo, uno di que' segreti che si trema di confidare anche al cuor dell'amico, e tacque. Con involontario turbamento Arnoldo ricevette la lettera che il vicecurato aveva scritta in risposta a quella di Maria. Quando, preso commiato e salito in sella, il giovine ripetè un saluto, il prete gli s'avvicinò, e strettagli forte la destra: « Arnoldo, » disse « voi siete un uomo onesto, e il cuor vostro è buono e generoso. Voi siete abbastanza felice, ma io non ho più nessuno quaggiù!... Il futuro c' incalza e trascina, Dio solamente lo conosce: se dunque a Lui piacesse che non ci avessimo a incontrar più su la terra, e se mai l'avvenire vi menasse di nuovo in quest'Italia, non dimenticate mia madre e mia sorella. Confortate, l'una, proteggete l'alba.... Fortunato voi, se avrete questa consolazione di poter dire: - C'è alcuno. che mi ama e mi bene- dice: - Addio! Arnoldo si sentì commosso fino alle lagrime, ma fattosi forza: « Addio! » rispose « virtuoso amico. State di buon animo; spero che ci rivedremo ben presto. Addio! » E, dato di sprone al cavallo, s'allontanò. Due giorni appresso, la famiglia de' Leslie era partita dalla villa, e Maria aveva abbandonato la natale sua terra. La man della fanciulla aveva tremato nell' aprir la lettera di suo fratello; erano poche linee che dicevano: - « Chi deve avere maggiore pena che tu parta di qui, mia cara Maria, è la nostra buona mamma. S' ella dunque vuol farlo questo sacrifizio, e tu segni la tua volontà. La famiglia, nel cui seno ti ritrovi è raro esempio di nobiltà vera e onesta. Ma non ti scordar mai, sorella, chi tu sia! Conserva il tuo cuore; pensa che un cuore come il tuo è una gemma, la quale, perduta una volta, non si ritrova mai più. lo spero, peraltro, che la tua lontananza non sarà lunga: quando ritornerai,fa di trovare ancora nella tua povera casa, sotto il cielo che il Signore t'ha dato, quegli stessi pensieri e quella stessa vita che ora vi lasci. E se mai temi che non sia per essere così, oh! non abbandonare, te ne scongiuro, la tua povertà e il silenzio dell'oscurità nella quale sei nata. Addio, mia sorella! Che il Signore t'accompagni! « CARLO » Caterina pianse nel leggere questa lettera così semplice, ma non ebbe cuore di stornar la figliuola dalla proposta partenza. Maria mise insieme le sue poche robe; e la mattina, nell'andare dall'una all'altra stanza, le pareva che quell'abbandono le pesasse sul cuore, e quel breve viaggio le fosse imposto come una penitenza. La buona madre anch'essa, venuto il momento di staccarsi dalla sua Maria, sentì un segreto dispiacere, quasi un pentimento d'avere accondisceso all'impensata a quella partenza; e le tornarono in mente le parole che ripeteva un tempo il suo pover uomo, quando la signora contessa volle tenere con sè la fanciulletta: - Verrà un.-giorno che ve ne pentirete, e non vi sarà più rimedio! - Ma non disse nulla, e le cacciò via quelle parole, come un tristo pensiero. Nel tragittare il lago, per raggiungere le carrozze del lord, le quali stavano aspettando su l' opposta riva, Maria non potè nascondere l' angoscia che la stringeva, benché non piangesse. Dilungandosi dalla sponda, guardava la madre sua e la vecchia Maria, che dalla soglia della casa le mandavano ancora baci d'amore; guardava la sua finestretta e la pergola del cortile. E certamente, se non era la presenza del vecchio signore, che quantunque buono e carezzevole con lei, pure la teneva nell' imbarazzo della suggezione, avrebbe lasciato libero sfogo alle lagrime. Elisa, guardandola con mestizia, la compativa; Vittorina l'abbracciava, ripetendole le più liete cose che siensi dette mai, per consolare chi abbandona la prima volta i luoghi a cui una vita serena di molt' anni donò tanta e così vera bellezza. Nel tempo di quel tragitto, un giovane barcaiuolo accompagnava il lento batter del remo nell' acqua cori una semplice canzone del suo paese, su andar della seguente: IL COMMIATO. CANZONE DEL BARCAIUOLO.

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Pure viveva contenta, e con un sordo sogghignare, diceva spesso: Chi molto abbraccia, nulla stringe; ma chi sa contentarsi del poco, campa un pezzo e col cuor largo. - Quel negoziante, al quale certi lontani parenti della contessa, appena ne furono gli eredi, avevano venduto il palazzo, dovette accettare tra gli altri patti anche la noia di tenersi in casa la vecchia vedova. E questa poi fu sempre ostinata a non voler abbandònare la dimora dov' era vissuta per trent' anni; di modo che il nuovo padrone mise giù il pensiero di farla sloggiare con le buone, come aveva stimato facile, nella fiducia che la vecchia sarebbe presto ita a cercar posto nell' altro mondo. A quest' antica conoscente, alla signora Giuditta, come in tutto il quartiere era chiamata, affidò dunque il vicecurato la sua afflitta sorella. Essa li aveva tante volte portati su le sue braccia l' uno e l' altra in giorni più lieti, quand' erano ancora ragazzetti, che non se n' era punto dimenticata; ma, da tanto tempo non avendoli veduti, quasi non lo credè vero, quando le si fecero conoscere. Pure li ricevette a braccia aperte, e domandò loro del buon Andrea, della comare Caterina, del palazzo, di cent' altre cose e perfino del vecchio bracco Azor; rammaricandosi di tutto quello che non era più, e benedicendo il cielo che la buona Caterina del fattore vecchio si ricordasse ancora di lei. Nell'ignota dimora della vedova Giuditta, don Carlo dunque pensò di nascondere Maria dalle ricerche e dalla persecuzione dell' uomo ch' egli credeva suo seduttore; giacché aveva mente di fermarsi ancora per qualche giorno a Milano, e di ricondurre poi egli stesso la fanciulla alla madre. Maria, ne' primi dì, non seppe accomodarsi alla nuova solitudine. Ignara di quanto fosse avvenuto, dopo che aveva abbandonato la casa de' Leslie, di quel che potesse fare Arnoldo per ritrovarla, e forse sedotta ancora da una lontana idea di rivederlo, di separarsi in pace da lui, idea che la sua virtù e l' affetto le richiamavano sempre, non come una colpa, ma come unica consolazione, passava le ore in una dolorosa rassegnazione. Non piangeva più, ma faceva ogni sforzo per ritornare il più che potesse alla memoria di sua madre: solo qualche volta, in segreto, ripeteva ancora il nome di colui che per il primo aveva occupato il suo cuore, sentendo ch' essa non avrebbe più potuto voler bene a nessuno, come n' aveva voluto a lui. Ella non usciva mai, e stava sempre in compagnia della vedova, la quale non sapeva immaginare perchè una creatura, giovine e bella come Maria, fosse così tacita e mesta. Intanto il fratello suo passò que' pochi giorni visitando gli amici che gli restavano; antichi compagni di scuola, alcuni de' quali erano a quel tempo parrochi nella città, altri procacciavan di guadagnarsi, con la penna e con gli studi, una vita stentata, ma libera e onesta. E nel rinnovarsi di conoscenze che avevano messa profonda radice ne' cuori, per quella corrispondenza di sentimenti e di simpatie, ch' è sì bella quando la sorgente n' è virtuosa e schietta, e fedele la ricordanza, come gli parve di ringiovenire, di ritornare a quell' età d' affetto e di desiderio, quando si crede che la buona volontà sia tutto, e nulla la difficoltà delle opinioni e del potere altrui; quando è certa e giusta l' aspettativa, e santa l' energia della fede e del contraccambio!... Con quali sinceri trasporti gli amici si rividero, s' abbracciarono! con che fratellanza di gioia e di dolore rinnovellarono le memorie della giovinezza! Come lagrimarono i compagni che non erano più, ch' eran mancati nell' ora migliore! come compiansero a quelli che avevano tradito le speranze di loro concette, un bell' avvenire, la vita intera!... E le promesse di star sempre uniti col cuore, se con le persone non potevano, d' adempiere insieme all' eterno dovere di render migliori gli altri, di non cader mai d'animo, nè per la tirannia de' pregiudizi e del tempo, nè per la cieca guerra delle passioni, e di servire liberamente alla causa della verità, preparando d'accordo, per quanta forza e per quanto cuore in essi era, il bene e la giustizia a pro di tutti; queste altissime promesse si ripeterono, più d'una volta, ne'loro ragionari dolci e solenni; e furono santificate da' voti e dalle preghiere di que' giusti e generosi che amavano e che soffrivano. Così alcuni di que' dì felici, che il buon prete non credeva di trovare più su la terra, e dietro a' quali ' animo suo aveva ben sovente sospirato nelle solitudini della campagna, in mezzo alla povertà e alla dura vita del contadino, o sotto gli umili archi della chiesa del suo villaggio, alcuni di que' dì felici sorgevano ancora per lui; e lo consolavano nel momento che, ferito nella più viva parte del cuore, s' era umiliato innanzi alla superbia degli uomini, all' ingiustizia delle cose. Di che egli si rallegrava con sè medesimo, chè da gran tempo aveva rinunciato all' allegrezza: nè alcun funesto presentimento venne, a turbar la purità di quell' affetto antico e santo, e il felice presagio di un' età migliore.... Ma troppo spesso le nostre più vive speranze son le più vane. Un giorno - non eran passate più di due settimane dacchè Maria stava in casa della vedova - le due donne avevano apprestato un desinare assai modesto, e aspettavano il vicecurato. È passato il mezzodì passano una, due, tre ore, ed esse attendono ancora, e il vicecurato non comparisce. Su le prime, non si danno pensiero del tardare, rassicurandosi nell' idea che forse qualche impreveduta circostanza ne lo trattenga. Ma poi, all' abbassar del giorno, quando l' una e l' altra ebbero finito di ripetere le usate scuse che si van cercando per ingannar l'angustia dell'aspettare, allora, con quel senso di tristezza che desta il veder farsi sera, cresce in loro il dubbio e l' inquietudine: e taciturne entrambe, si pongono a sedere presso una delle finestre che dà sul cortile, s' interrogano a vicenda con gli occhi, guardano ogni momento verso il cancello del palazzo, in attenzione curiosa, d' ognuno ch' entri o passi. Da quella finestra vedevasi, per il vano del portone, lungo tratto della frequentata corsia. Si fece notte, le campane delle chiese erano già silenziose per tutta la città, e le donne aspettavano ancora. In ogni passeggiero che attraversasse quel breve spazio, pareva loro di riconoscere il prete; ma nessuno mai s' arrestava, nessuno svoltava in quella porta. Maria ben voleva persuadersi che nulla ci fosse di più naturale di quell' assenza, ma invano; un interno timore la vinceva, andava immaginando qualche cosa di funesto; un pericolo, un tradimento, una sciagura improvvisa; e già, come una spina, le stava fitta in cuore l' angustia che il suo Carlo non avesse a ritornare mai più! La vedova, indispettita alla fine di quel lungo tedio, cominciò a sfogarsi, a brontolare fra sè e sè: « Vedete mo,

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Tale è il rovescio miserando e scandaloso che si fa d' ogni buono in cattivo, quasichè, per mutar di vocabolo, mutino le cose: ma dando così chiaro a vedere che ogni uomo sente che non è stromento di scelleratezza, e che tale è necessità per esso la virtù, che il delitto non abbraccia se non colorato dalle tinte di quella. Anche scellerato, ama d' ingannarsi che non è; epperò, perdendo la virtù, ne conserva la divisa, onde molta è la ciurma degl' ipocriti: e così, se dappertutto ove sono uomini il delitto ha schiavi, in nessun luogo regna a fronte scoperta. Quindi accade che, se in così fatti tempi sorge un magnanimo amico della virtù e del vero, tutti se gli fanno intorno co' sassi; ed è ben conseguente, perocchè se giunga face là ove tutti hanno bisogno di tenebre per ascondere la colpa, tutti si sforzano di spegnerla subitamente. Delitto dell'amore di noi medesimi, che giustificando i propri errori è pur d'uopo che le virtù contrarie condanni per evitar contraddizione: sicchè in cuore invidia l'altrui virtù, e col labbro la lacera e la condanna. Del resto, la verace virtù che passeggia nel mezzo alla finta, tacitamente denunzia la colpa nascosa sotto le sue larve, e coll' opera del paragone squarcia la veste dell' impostura la più veneranda e la più astuta. Allora si distingue la virtù dall'ipocrisia che fa studio d'imitarla, coll' eguale facilità che da un re di scena un re da trono: ed è per questo che in tale condizione di tempi la virtù e la sapienza sono guardate come due possenti nemiche; è per questo che solo compaiono attraverso lo squarciato manto d'un' illustre povertà, e che sempre le ritrovi fuggiasche sulle spinose vie della persecuzione, e spesso ancora fra le catene, e dentro la carcere dell'omicida e del ladro. » .... « Le grandi speranze e i grandi sforzi sono dei generosi; le forti presunzioni e i deboli attentati, de' superbi.... Io tutto spero, tutto tento, nulla presumo! » .... « Se è vero che dal conoscere scende ogni volere, e dal volere ogni .operazione umana, con cui si satisfà all'inesorabile bisogno, si accontenta il desio insaziabile, e si avverano le indelebili speranze, nella cui somma soltanto può essere riposta quella felicità ch' è data ai mortali; se è vero, io dico, tutto questo, deve scusarsi la nostra curiosità che tutto ad un solo sguardo vorrebbe possedere lo scibile umano. Anzi questa curiosità io la reputo come il possente motivo onde la natura invita l' uomo a ricercarla nel sacrario della scienza: come col desio della felicità lo spinse alle perenni agitazioni delle sorti mortali. Quindi è che, una volta messa sulle vie delle indagini per un sì grande impulso, non già s'avanza gradatamente e con tarda saggezza, contenta ad un vero discreto; ma impaziente delle sagge dimore della riflessione, si avanza baldanzosa, prima fidata al solo probabile, poi al verisimile, ed in ultimo anche al falso in colore di vero; e così, per volere acquistare la vetta per la più spedita via, corre la più lubrica; e correndo questa, bene spesso precipita al basso. A spogliar la cosa di veste metaforica, fatto è che quando cessa il vero, ce lo fabbrichiamo coll' ipotesi del nostro cervello; e vien poi una demenza filosofica, che delira argomenti in suo soccorso; i quali, accreditati dall' umano orgoglio e dall'umana ignoranza, gli ottengono la cittadinanza del vero; e così, come dicevano i Greci, si abbraccia la nube per la diva. - Non già ch' io abborra dall' uso giudizioso dell'ipotesi: so benissimo ch' essa sola batte alle porte della verità; anzi m' aggrada quella sua audacia con che la sollecita a parlare e le squarcia il velo più misterioso. Mi rammento di Newton, che con essa s' innalzò in mezzo de' cieli e che da essa imparò come due mirabili forze equilibrino i firmamenti. Io abborro che lo stromento diventi la cosa, che la via si reputi la meta, e voglio che l' ipotesi non si usurpi nome di realtà, ma che con felice metamorfosi si cangi in essa. Ma pur troppo più persuadono i nomi che le cose: onde il fatto inesorabile bene spesso appalesa le gradite menzogne di noi stessi: decipimur specie recti. » .... « La feconda meditazione de' grandi, tacita e nascosa ne' suoi preziosi ritiri, non ha nemmeno l' applauso che il saltimbanco ottiene sul trivio; anzi spesso dal volgo le sue sapienti lentezze e le sue cautele da precipitato giudizio s' imputano a colpa, e si accusano d' ozio e di pi- grizia. Ma i grandi, sdegnosi di piatire con una plebe che ha bisogno d'assiduo cicaleccio, per non morir d' inedia sulla vie e ne' fori, ne confondono le menzogne, recando in pubblica luce il frutto delle loro nascoste fatiche. » « Le più sublimi speranze non bisogna misurar col solo calcolo del corto soffio dell' umana vita. Non bisogna solo calcolare quanto possa l'individuo; ma quanto può la specie, la cui vita è lunga come la sua perfettibilità. L'orgoglio umano è una menzogna quasi sempre nell'individuo; ma spesso nella specie è una verità; è uno sprone a quanto ella di fatto può. Questo esiste in ogni individuo; e ognuno, al divisamento, è pari all' idea che lo move; ma, all' opera, non potendo quanto la specie, ciò che non sa non fa, lo reputa per un cotale astuto giro dell' amor di sè stesso, o inutile o impossibile. - Ma la specie, all'opposto, può di più che non sappia: ognuno porti quel masso che reggono le sue spalle, e l'edificio s' innalzerà verso il cielo saldo e sublime. Io l'ho detto: Umana perfezione? un sogno: - Umana perfettibilità? una via di cui non conosco la meta, ma sulla quale io pure cammino.

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