Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbraccia

Numero di risultati: 4 in 1 pagine

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Passa l'amore. Novelle

241525
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
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Egli li lasciava dire, e zitto zitto allargava la cerchia delle sue speculazioni, incettando anticipatamente la raccolta delle mandorle del territorio; e lassù, su la terrazza, una dozzina di donne rompevano i gusci, mettevano da parte i nocciuoli che sùbito partivano, a sacchi, a carrettate, per Catania, per Messina, e tornavano da lui trasmutati in bei gruzzoletti di monete d'oro o in carte da cento, da cinquecento e anche da mille lire, a dispetto di coloro che avevano prognosticato: - Chi troppo abbraccia nulla stringe! Appunto, a proposito di una piccola partita di mandorle, egli aveva riveduto, dopo tanti anni, un contadino vecchio amico di suo padre, e andato a domiciliarsi in un paesetto vicino. Si era fermato davanti a la bottega, compitando la scritta della tabella GIOVANNI LIARDO MERCI ED ALTRO ed era entrato, contento di conoscere il figlio della buon'anima dell'amico, e di vederlo in auge. Il negozio delle mandorle era stato concluso in un momento. E prima di andarsene, il vecchio gli aveva domandato: - Hai preso moglie? - Ho ben altro per la testa! - aveva risposto Giovanni. - Per chi lavori dunque? - soggiunse il vecchio. - Per chi ti affanni? Dovresti avere in casa e qui una persona interessata al pari di te, invece di una serva o di una giovane di bottega che.... che.... Non intendo dir male di nessuno; ma tu non puoi avere cent'occhi, e.... l'occasione fa l'uomo ladro. Quasi gli avesse messo una pulce in un orecchio! - Per chi lavori? Per chi ti affanni?... Tu non puoi avere cent'occhi? E pensava anche all'altra persona interessata, ma con istintiva diffidenza. La sua fanciullezza era stata tristissima; triste, fino a pochi anni addietro, la sua giovinezza. Egli si sentiva pesar addosso tuttavia quella tristezza e non come ricordo ormai lontano, ma come qualcosa che gli si era compenetrato col sangue, con la carne, con le ossa, e che non solamente gli impediva di gustare il godimento delle mutate condizioni, ma lo rendeva timido, imbarazzato, umile troppo davanti a certe persone. Così, non ostante il solito cartellone - Oggi non si fa credito, domani sì - egli non era mai stato capace di dir di no al cavalier Mazza che, rovinatosi col gioco della zecchinetta, voleva intanto continuare a sfoggiare, quasi i creditori non gli avessero già portato via i fondi e non stessero per portargli via anche la casa, il palazzo com'egli la chiamava. Stecchito, coi baffi e i pochi capelli dietro il cranio malamente ritinti, vestito di stoffa chiara pure d'inverno, per ringiovanirsi anche così, il cavalier Mazza entrava nel negozio con aria di protettore: - Vediamo!... vediamo!... Dovresti avervi.... ecco, là, sì.... quel.... no, quell'altro!... Bravo! Qui, si sa, prezzo fisso, pri fi, come dicono a Parigi.... Dunque, vediamo che cosa spendo.... Bravo!... Manderai tutto, bene involtato, a palazzo.... Ci rivedremo. Ma sai che un negozio come questo potrebbe figurare anche in una grande città? Bravo! Coraggio! Avanti! Egli non aveva mai osato di rispondergli: - Pel pagamento, vediamoci, ora. Sarebbe meglio. Gli sembrava che, con quell'aria da protettore, il cavalier Mazza intendesse di rammentargli: - Bada: ti conosco da bambino. Tua madre ha impagliato le mie seggiole, ha messo i punti alle mie pentole fesse, alle mie catinelle rotte. Se oggi hai qualche soldo, non significa niente. Vent'anni fa, andando a scuola, tremavi di freddo con quegli stracci che portavi in dosso, e non avevi sempre un po' di companatico per la fetta di pane della colazione.... Dunque.... dunque un onore per te, se vengo da te anche a credito. Forse il cavalier Mazza non pensava niente di tutto ciò; lo pensava però lui, ed era precisamente come se quegli gliel'avesse spifferato sul viso. E quantunque il consiglio del vecchio contadino suonasse continuamente dentro l'orecchio, e quantunque la sera, prima di addormentarsi, passasse in rassegna tutte le ragazze da marito che conosceva di vista e anche quelle che non conosceva, non sapeva decidersi a fare un passo, per quel sentimento di timidezza, d'imbarazzo, di eccessiva umiltà che era l'impronta, forse indelebile, lasciatagli nel carattere dal passato. Un altro, al suo posto, avrebbe messo superbia. Invece di mastro Giovanni Liardo, si sarebbe fatto chiamare don Giovanni Liardo anche per far dispetto a quei cavalieri morti di farne, che parlando di lui dicevano sempre: Il figlio dell'Acconciapèntole, quasi non avesse nome e cognome. Egli, all'opposto, si reputava onorato di quel che a coloro sembrava titolo dispregiativo. Se sua madre fosse stata ancora viva, in casa e nel negozio, non si sarebbe affatto vergognata di aver acconciato pentole e impagliato seggiole. Ed ora ch'egli era arrivato a quel punto, soltanto per opera di lei, per virtù, n'era profondamente convinto, di quel fazzoletto di cotone a fiorami rossi su fondo giallo che stava in cima allo scaffale, chiuso nella casetta col vetro sotto l'immagine della Madonna delle Grazie, ora gli sarebbe parso di disprezzarla, di rinnegarla aggiungendo quel don al nome che gli era stato dato al fonte battesimale, come di tanto in tanto gli consigliava qualcuno; ma.... consiglio non chiesto, inganno manifesto!

Pagina 139

Malia. Commedia in tre atti in prosa

242145
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1891
  • Stabilimento tipografico di E. Sinimberghi
  • Roma
  • verismo
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(abbraccia Nedda)

Pagina 15

Nel sogno

248208
Matilde Serao 1 occorrenze

La malìa di Oberon agisce e la creatura che danza la notte sui prati, fra il coro delle sue ninfe, la creatura che beve la rugiada nel calice di un fiore, abbraccia il grosso bestione, rivolgendogli le più appassionate parole e gli carezza le orecchie asinine amorosamente. Bottom è stato trasformato dal filtro miracoloso: tutto quello che gli manca, il filtro glielo dà: la sua goffaggine, il suo cretinismo, la sua bruttezza, colorite dagli occhi di Titania in cui il filtro agisce, prendono la parvenza della grazia, della bellezza, della seduzione; e tutta la foresta con i suoi fiori, i suoi profumi, le sue musiche arcane, s' inchina a colui che divenne il signore della sua regina: e le ninfe e i folletti e Titania istessa, trasvolante nel bosco come un'ombra leggiera, s'inchinano a colui che l' incanto fece bello come un dio! Volle il divino Guglielmo Shakespeare, nel suo Sogno d'una notte d'estate, in questo magico succo che riveste dei colori più maliosi una persona plebea e deforme, adombrare un simbolo amoroso ed umano? Chi sa! Egli volle tutto, io credo: e tutto espresse, tutto raffigurò, tutto personificò e, ancora per centinaia di anni, migliaia di lettori e migliaia di spettatori troveranno in lui cose nuove, cose grandi, cose profonde, cose impensate e meravigliose. Abbia o non abbia simboleggiato il sublime accecamento della donna innanzi all'oggetto amato, noi coi nostri occhi mortali vediamo in Titania il cuore umano, in Bottom la vita e nel magico filtro che tutto trasforma, il potere sconfinato dell' immaginazione. La vita è grossolana, è mediocre, è laida; ma basta che gli occhi di chi la guarda, sieno stati bagnati da quel misterioso elisire che è la fantasia, perchè la vita muti tutto il suo aspetto, perché essa possa parer diversa da quello che è, un'altra cosa, un'altra figura, un'altra immagine, qualche cosa che attrae, che conquide, che avvince. La vita è rude, è gretta, è crudele; ma se colui che la subisce, ha in sè il segreto filtro che Oberon distillò a Titania dormiente, tutto sarà singolarmente mutato in bene e Bottom, ancora una volta, farà delirare la creatura gentile. Questa possente forza di trasformazione agisce in noi così mirabilmente che, si può dire, la vita intorno sia quella che noi facciamo con la nostra fantasia e non già quella che è nella sua essenza così grama, così bassa. La fantasia, in noi, diventa un artista creatore, dotato d'un tal sublime potere di creare, che da un vile fango trae la statua, la persona, il monumento, la città, il mondo. Plasmatrice inarrivabile, la fantasia, in noi e fuor di noi, non muta solo il volto delle persone che amiamo, non cambia per noi solo l'aspetto esteriore degli uomini e delle cose, ma ne trasforma lo spirito e l'anima, ma trasforma il corso degli avvenimenti e vince il Destino! Quale uomo potrebbe continuare a vivere, se la sua immaginazione non rifacesse intorno a sè la vita? Quale donna consentirebbe a vivere, se la sua immaginazione non le nascondesse le laidezze ond'è cosparsa la esistenza e non le infondesse il coraggio di esistere? Sublime potere della fantasia! Per essa, il povero lavoratore che passerà i suoi anni fra la fatica e gli stenti, lasciando di travagliare solo per morire, si creerà del suo lavoro e delle sue privazioni un dovere colorito di tutte le lusinghe di un nobile sacrificio: per essa, il povero impiegato che trascina la sua vita fra aride e mal compensate umili funzioni, vedrà il suo lungo cammino trasformato dal sogno in pace famigliare, coi figli benedicenti alla bontà segreta e costante del padre: per essa, la povera donna malmaritata, sofferente sotto un giogo che la ragione le mostrerebbe assurdo, ma che la fantasia le trasforma in un poetico dovere di onestà e di fedeltà, potrà compiere il suo triste viaggio senza errare, col cuore solitario, ma racconsolato: per essa l'uomo che sentì mancare in sè e attorno a sè le forze e le occasioni che lo dovevano condurre a una meta agognata, sentirà meno velenose, meno pesanti le delusioni di chi sbagliò la sua strada: per essa la fanciulla che amò invano, che non fu mai amata, che vede tolta a sè la miglior parte della vita muliebre, cioè l'amore, cerca altri moti più altruistici e più caritatevoli, di espandere l'ardore non corrisposto del suo cuore: per essa, pel prodigioso potere della fantasia, tutte le esistenze misere, senza conforti materiali, senza conforti morali, - e sono innumerevoli, ahimè, queste esistenze, - sopportano quietamente la loro desolazione e quasi ne traggono origine di serenità e di felicita. Sui nostri chiusi occhi, nel sonno, Oberon gitta la sua arcana malia; e l'anima nostra, trasportata dall'azione bizzarra del filtro, non si cura della congerie di tristezze disseminate lungo il corso degli anni, e trova in sè la energia della lotta e della vittoria. Senza fantasia, chi potrebbe amare la vita dove è l' immondo contatto degli sciocchi e dei perversi, dove s'agitano le passioni più odiose e più nauseanti, dove la mancanza di fede, il tradimento, l'abbandono colpiscono le anime più degne, dove sono tutte le caducità e tutti gli errori? Chi, senza fantasia, potrebbe subire l'insulto dei potenti, l'indifferenza della folla, la ingratitudine degli amici? Chi, senza fantasia, potrebbe veder morire in sè ogni speranza e fuori di sè ogni desiderio? Chi, senza fantasia, potrebbe patire, sacrificarsi, vivere di abnegazione e di abnegazione morire?

Pagina 21

Dramm intimi

249966
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1884
  • Casa Editrice A. Sommaruga e C.
  • Roma
  • Verismo
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. — Ascoltate, Roberto, ora è vostra madre che vi abbraccia! Anna é morta. Pensate a mia figlia! Amatela per me o per lei. Ella è pura e bella come un angelo. La felicità, la farà rifiorire. Voi l'amerete come non avete mai amato... Dimenticherete ogni cosa... siate tranquillo!... Roberto era pallido.*

Pagina 21

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