Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbottonava

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Mitchell, Margaret

220871
Via col vento 2 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Maledisse silenziosamente l'instancabile e premurosa signora Merriwether, i feriti e tutta la Confederazione degli Stati del Sud, mentre Prissy le abbottonava il piú vecchio e sciupato dei suoi abiti di cotone, che usava per il servizio ospedaliero. Inghiottí l'amaro beveraggio di orzo e patate dolci disseccate che passava per caffè e scese a raggiungere le ragazze. Era stufa di tutto quel lavoro. Proprio quel giorno, direbbe alla signora Merriwether che Elena le aveva scritto di andare a Tara per un po' di tempo. Ma non le serví a nulla, perché la degna matrona, con le maniche rimboccate e il corpo robusto coperto da un ampio grembiale, le lanciò un'occhiata dura dicendole: - Non dite sciocchezze, Rossella Hamilton. Scriverò io oggi a vostra madre dicendole che ho bisogno di voi; e sono sicura che comprenderà e vi permetterà di restare. Svelta, mettetevi il grembiale e andate dal dottor Meade che ha bisogno di un aiuto per fare le fasciature. «Dio mio, che guaio!» pensò Rossella. «Certo la mamma mi dirà di restare; e io morirò se continuerò a sentire questo terribile odore! Vorrei esser vecchia, per poter comandare alle giovani, invece di ricevere ordini... e mandare le vecchie streghe come la Merriwether a farsi benedire!» Sí, era stanca di quella vita. Se vi era stato qualche cosa di romantico nel far l'infermiera, questo era finito da un pezzo. E poi, i feriti nella ritirata non erano simpatici come i primi. Non si curavano punto di lei e le chiedevano soltanto: - Come va la battaglia? Dov'è il Vecchio Joe? - E poi: - È bravo, sapete, il Vecchio Joe! Lei non credeva affatto alla bravura del Vecchio Joe, che aveva lasciato penetrare gli yankees nella Georgia per una profondità di ottantotto miglia. E tutti quei disgraziati che morivano, rapidamente, silenziosamente, essendo troppo indeboliti per combattere l'avvelenamento del sangue, la cancrena, il tifo e la polmonite che li avevano colpiti prima che fossero giunti ad Atlanta e avessero trovato un medico! La giornata era calda e le mosche entravano dalle finestre a sciami: grosse mosche che tormentavano gli uomini piú che non facessero le sofferenze. L'odore e i gemiti andavano aumentando. Il sudore bagnava il suo abito appena inamidato, mentre ella seguiva il dottor Meade con un catino fra le mani. Che nausea a stare accanto al dottore, cercando di non vomitare quando il suo bisturi tagliava le carni putride! E che orrore, gli urli della sala operatoria dove si facevano le amputazioni! Il cloroformio era cosí scarso che lo si adoperava soltanto per le amputazioni piú gravi e l'oppio era una cosa preziosa che serviva ad alleviare le pene dei moribondi, non quelle dei viventi. Non vi era né chinino né iodio. Rossella invidiava Melania che aveva il pretesto della gravidanza: l'unico accettato in quei momenti. A mezzogiorno si tolse il grembiale e sgusciò fuori dall'ospedale, incapace di resistere piú a lungo. Sapeva che quando fossero giunti i feriti col treno pomeridiano, vi sarebbe da fare per lei fino a sera, e probabilmente senza neanche mangiare. Si affrettò verso la Via dell'Albero di Pesco, respirando a grandi sorsate l'aria pura, per quanto glielo permetteva il busto allacciato stretto. Si fermò all'angolo, incerta sul da fare, poiché si vergognava di tornare a casa da zia Pitty, ma ben decisa a non tornare all'ospedale. In quel momento passò Rhett Butler in carrozzino. - Sembrate la figlia di un cenciaiolo - osservò, guardando con occhio critico l'abito di cotone rammendato e bagnato di sudore e d'acqua che era schizzata dal catino. Rossella fu irritatissima. Perché quell'uomo osservava sempre l'abbigliamento delle donne, e perché era cosí indelicato da rilevare la sua attuale ineleganza. - Non voglio che mi diciate nulla. Fatemi salire e conducetemi in qualche luogo dove nessuno mi veda. Non voglio tornare all'ospedale neanche se m'impiccano! Vi assicuro che non ne posso piú... - Traditrice della nostra gloriosa Causa! - Lo zoppo dà del cionco allo sciancato! Aiutatemi. Non m'importa dove stavate andando. Ora dovete condurmi a fare una passeggiata. Egli balzò a terra e Rossella pensò che era molto piacevole vedere un uomo non mutilato o pallido per la febbre o giallo per la malaria, ma di aspetto sano e ben nutrito. Era anche vestito elegantemente, e non aveva affatto l'aria preoccupata o turbata come tutti gli altri uomini. Il suo volto bruno era piacente e la sua bocca, dalle labbra rosse e ben tagliate, francamente sensuali, sorridevano distrattamente mentre egli l'aiutava a salire in carrozza. I muscoli del suo corpo robusto si disegnavano sotto l'abito fatto da un buon sarto; e, come sempre, la sensazione della sua forza fisica, la colpí, appena gli fu seduta accanto. Da lui emanava una vitalità gagliarda ed elastica, come quella di una pantera che si stirasse al sole, una pantera pronta a balzare e a colpire. - Piccola imbrogliona - disse mentre frustava il cavallo - ballate tutta la notte coi soldati, dando loro rose e nastri e dicendo che sareste pronta a morire per la Causa, e appena si tratta di fasciare quattro feriti e di togliere pochi pidocchi, tagliate la corda! - Non potreste parlare di qualche altra cosa e far correre di piú il cavallo? Non ci mancherebbe altro, che il vecchio Merriwether uscisse in questo momento dal suo negozio e poi andasse a dire alla vecc... a sua nuora che mi ha visto! Egli toccò la giumenta con la frusta e quella trottò vivamente lungo la strada dei Cinque Punti e attraversò i binari che tagliavano in due la città. Il treno carico di feriti era già arrivato e i portaferiti lavoravano attivamente a trasportare gli uomini malconci nelle ambulanze e nei carri coperti. Rossella non provò alcun rimorso vedendoli, ma solo un grande sollievo per essere riuscita a sfuggire. - Sono stanca dell'ospedale - riprese rassettandosi le gonne e legandosi meglio il nastro del cappello. - E ogni giorno ne arrivano di piú. Tutta colpa del generale Johnston. Se avesse tenuto testa agli yankees a Dalton... - Ma gli ha tenuto testa, bambina ignorante. E se avesse insistito a rimanere là, Sherman lo avrebbe aggirato e lo avrebbe schiacciato fra le due ali del suo esercito. Ed egli avrebbe perduto la ferrovia. - Insomma - fece Rossella per cui la strategia militare era arabo. - È sempre colpa sua. Avrebbe dovuto fare qualche cosa e mi pare che farebbero bene a mandarlo via. Perché non continua a combattere, invece di ritirarsi? - Anche voi, come tutti gli altri, chiedete la sua testa perché egli non può fare l'impossibile. A Dalton era Gesú il Salvatore; e alle montagne Kennesaw è Giuda il traditore. Tutto questo in sei settimane. Se riesce a respingere di nuovo gli yankees per venti miglia sarà nuovamente Gesú. Cara bambina, Sherman ha il doppio di uomini, e perciò può perderne due per ognuno dei nostri valorosi ragazzi. Invece Johnston non può perdere un solo uomo; anzi ha bisogno di rinforzi. - È vero che sarà chiamata la Milizia? e anche la Guardia Nazionale? - Cosí si dice. Sicuro, i beniamini del governatore Brown probabilmente dovranno andare a sentire l'odore della polvere e la maggior parte di essi sarà molto sorpresa. Il Governatore aveva promesso che non sarebbero andati; quindi si credevano al sicuro. Ma chi avrebbe creduto che la guerra sarebbe arrivata fin qui, e che essi avrebbero dovuto realmente difendere il loro Stato? - Come siete crudele a ridere di tutto questo! Figuratevi i vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale! Dovrà andare anche il piccolo Phil Meade e il nonno Merriwether e anche lo zio Enrico. - Ma io non parlo dei ragazzi né dei veterani della guerra messicana; alludevo ai bravi giovanotti come Guglielmo Guinan che ama portare una bella uniforme e agitare la sciabola... - E voi! - Mia cara, io non porto uniforme e non agito la sciabola; e la fortuna della Confederazione non m'interessa. Non faccio parte della Guardia Nazionale né di nessun esercito. Ne ho avuto abbastanza delle cose militari a West Point... Beh! spero che il Vecchio Joe abbia fortuna. Il generale Lee non può aiutarlo perché ha da fare nella Virginia. Perciò le truppe della Georgia sono l'unico rinforzo che può avere. Ma se fanno tanto da respingerlo dalle montagne e farlo scendere nella pianura di Atlanta ricordatevi le mie parole: sarà un macello. - La pianura di Atlanta? Ma è impossibile che gli yankees vi arrivino. - Kennesaw è soltanto a ventidue miglia, e scommetto... - Guardate lí in istrada, Rhett! Tutta quella gente! Non sono soldati! Che diamine...? Sono negri! Sulla strada si avanzava una nube di polvere rossa da cui veniva uno scalpiccio di piedi nudi; un centinaio e piú di voci negre, rauche e profonde, cantavano un inno. Rhett trasse la carrozza al di là della curva della strada e Rossella guardò curiosamente il gruppo di negri con zappe e picconi sulle spalle, guidati da un ufficiale e accompagnati da un gruppo di uomini che portavano le insegne del corpo del genio. - Che diamine...? - ricominciò. A un tratto i suoi occhi si posarono su un negro che era nella prima fila: un gigante alto quasi un metro e novanta, di un nero d'ebano, che camminava con la grazia flessuosa di una belva; i suoi denti bianchi brillavano mentre cantava «Scendi, o Mosè». Certamente sulla terra non vi era un altro negro cosí alto e con una voce cosí forte, eccettuato il grosso Sam, il capolavorante di Tara. Ma che diamine faceva qui il grosso Sam, cosí lontano da casa, specialmente ora che mancava il sorvegliante ed egli era il braccio destro di Geraldo? Mentre Rossella si sollevava a metà sul sedile della carrozza per vedere meglio, il gigante la scorse e sul suo volto nero si disegnò una smorfia di contentezza. Si fermò, lasciò cadere la sua zappa, e si avviò verso di lei, chiamando i negri piú vicini: - Dio onnipotente; Essere Miss Rossella! Guarda, Elia! Profeta! Apostolo! Vedere Miss Rossella! Vi fu confusione nei ranghi. La folla si fermò incerta, ghignando, e il grosso Sam, seguito da altri tre grandi negri, attraversò di corsa la strada verso la carrozza, seguito dall'ufficiale che gridava. - Tornate in linea! Tornate indietro vi dico, o... Oh, ma è Mrs. Hamilton! Buon giorno, signora; ed anche a voi, signore. Ma che cosa fate? Provocate l'ammutinamento e l'insubordinazione? Dio sa se mi hanno dato poco da fare stamattina, costoro! - Oh, capitano Randall, non li sgridate! Sono i nostri schiavi. Questo è il grosso Sam, il nostro capolavorante. E gli altri sono Elia, Apostolo e Profeta di Tara. È naturale che vengano a salutarmi. Come state, ragazzi? Strinse le mani a tutti; la sua bianca manina scomparve in quelle enormi dei negri, i quali furono pieni di gioia e di orgoglio, mentre spiegavano ai loro compagni che quella era la loro bella signorina. - Ma che cosa fate, cosí lontano da Tara? Scommetto che siete scappati. Essi risero compiaciuti. Poi il grosso Sam rispose: - Scappati? No, non essere scappati. Loro essere venuti a prenderci perché noi essere i piú grandi e piú forti di Tara. Avere specialmente cercato me, perché cantare cosí bene. Sí, Mist' Frank Kennedy essere venuto a prenderci. - Ma perché, grosso Sam? - Come, Miss Rossella! Non avere sentito? Noi dovere scavare trincee per signori bianchi per nascondersi dentro quando venire yankees. Il capitano Randall e i due che erano in carrozza nascosero un sorriso per questa ingenua spiegazione dell'uso delle trincee. - Mr. Geraldo non volere lasciarmi andare perché dire che non poter fare senza me, ma Mrs. Elena avere detto: «Prendere lui, Mr. Kennedy; Confederazione avere bisogno di grosso Sam piú di noi». E avere dato a me un dollaro e detto di fare tutto quello che ufficiali bianchi ordinare. E noi essere qui. - Che vuol dire tutto questo, capitano Randall? - Oh, molto semplice. Dobbiamo aggiungere alle fortificazioni di Atlanta parecchie miglia di trincee, e il generale non può occupare a questo dei combattenti. Perciò abbiamo cercato nelle campagne i tipi piú robusti per fare tutto il lavoro. - Ma... Un freddo principio di spavento strinse il petto di Rossella. Miglia di trincee! Per che cosa potevano servire? L'anno prima era stato costruito un certo numero di ridotte con piazzole per artiglieria tutto intorno ad Atlanta, a un miglio dal centro della città. Questi grandi lavori sotterranei erano collegati con fossati che circondavano completamente la città. - Ma... perché dobbiamo essere fortificati piú di quanto siamo già? Certamente il generale non lascerà che... - Le nostre fortificazioni attuali sono soltanto a un miglio dalla città - replicò brevemente il capitano Randall. - E sono troppo vicine per essere comode... o sicure. Queste nuove giungeranno assai piú lontano. Un altro ripiegamento condurrebbe i nostri uomini in Atlanta. Rimpianse immediatamente di aver detto queste parole, perché vide gli occhi di lei dilatarsi dal terrore. Ma certamente non vi sarà un altro ripiegamento - si affrettò a soggiungere. - Le linee attorno a Kennesaw sono inespugnabili. Le batterie sono piantate al sommo delle montagne e dominano le strade; quindi gli yankees non possono in nessun modo attraversarle. Ma Rossella vide che egli abbassava gli occhi dinanzi allo sguardo penetrante di Rhett e fu sgomentata. Ricordò l'osservazione di Butler: «Se riescono a farlo ritirare nella pianura d'Atlanta, sarà un macello». - Ma credete, capitano... - Ma no! Non vi preoccupate. Il Vecchio Joe ritiene giusto prendere delle precauzioni che sono eccessive. Questo il motivo delle nuove trincee... Ma ora dobbiamo andare. Molto lieto di avervi veduta. Salutate la vostra padrona, ragazzi, e andiamo. - Addio, ragazzi. Se state poco bene, o altro, informatemi. Abito in Via dell'Albero di Pesco; quasi l'ultima casa della città. Un momento... - Frugò nella sua reticella. - Dio mio, non ho neanche un quattrino. Per favore, Rhett, datemi qualche spicciolo. Tieni, grosso Sam, compra un po' di tabacco per te e per i tuoi compagni. E siate buoni e ubbidienti col capitano Randall. Il gruppo si riformò, la polvere si levò nuovamente in una nuvola rossa quando essi ripresero a camminare. E la voce del grosso Sam si levò un'altra volta a cantare: «Scendi, Moseeeè! Quaggiú, sulla teeeerra d'Egiiiitto! E di' al vecchio Faraooone di lasciarci andar liiiiberi!» - Rhett, il capitano Randall mi ha mentito, come tutti gli uomini... che cercano di nasconderci la verità per timore dei nostri svenimenti. Se non vi è pericolo, Rhett, perché fanno queste nuove fortificazioni? E l'esercito è cosí povero d'uomini che occorre servirsi dei negri? Rhett diede la voce alla giumenta. - L'esercito è terribilmente impoverito. Altrimenti, perché verrebbe chiamata la Guardia Nazionale? Quanto alle fortificazioni, possono servire in caso d'assedio. Il generale si prepara a compiere qui la sua ultima ritirata. - Un assedio! Oh, voltate il cavallo. Voglio tornare a casa mia, a Tara, subito subito. - Perché tanta fretta? - Un assedio! Ma ci pensate: un assedio! Dio mio, ne ho sentito parlare... Il babbo ci si è trovato, o forse suo padre, e mi ha raccontato... - Quale assedio? - Quello di Drogheda, quando Cromwell strinse gli irlandesi e questi non avevano nulla da mangiare... Il babbo mi ha detto che morivano di fame per le strade e che finirono col mangiare gatti e topi e perfino scarafaggi... E mi ha detto che prima di arrendersi si mangiarono gli uni con gli altri... ma non so se questo sia vero. Un assedio! Madre di Dio! - Siete la donna piú barbaramente ignorante che io abbia conosciuta. L'assedio di Drogheda è stato nel Seicento e qualche cosa, e il signor O'Hara non può esservisi trovato. Del resto, Sherman non è Cromwell. - Ma è peggio! Dicono... - Quanto alle carni strambe mangiate dagli irlandesi... vi assicuro che per conto mio preferirei un topo ben cucinato a certa roba che mi propinano all'albergo. Credo che farò bene a tornare a Richmond. Lí c'è ancora da mangiar bene se si ha denaro per pagarlo. I suoi occhi irridevano lo sgomento dipinto sul volto di lei. Irritata di aver lasciato vedere la propria paura, ella gridò: - Non so davvero perché siate rimasto qui tanto tempo! Non pensate se non a mangiar bene e altre cose del genere! - Trovo che è il miglior modo di passare il tempo: mangiare e... hm, altre cose del genere. Quanto all'essere rimasto qui... ho letto tante descrizioni di assedi, ma non ne ho mai visto nessuno. Non mi dispiacerebbe assistervi. Non ho nulla da temere, non essendo un combattente; e quest'esperienza mi attira. Non bisogna mai trascurare le esperienze, Rossella: esse arricchiscono la mente. E poi rimango per salvarvi quando vi sarà l'assedio. Non ho mai salvato una donna in pericolo. Anche questa sarà un'esperienza interessante. Rossella sentiva che egli la prendeva in giro; ma che nelle sue parole era un fondo di serietà. Crollò la testa, infastidita. - Non ho nessun bisogno che mi salviate. So badare a me stessa, grazie. - Non lo dite, Rossella! Pensatelo, se volete, ma non ditelo mai a un uomo. Questo è il torto delle ragazze yankee, che sarebbero simpaticissime se non dicessero sempre che non hanno bisogno di nessuno. E allora gli uomini lasciano che se la sbroglino da sole. Fu seccatissima, perché nessun insulto poteva esser peggiore che l'essere paragonata a una ragazza yankee. - Come correte! - gli disse quindi gelida. - Mi raccontate delle frottole; sapete benissimo che gli yankees non arriveranno mai ad Atlanta. - Scommetto che saranno qui fra meno di un mese. Scommetto una scatola di dolci contro... - I suoi occhi neri corsero alle rosee labbra di lei. - Contro un bacio. Per un attimo il timore dell'invasione yankee le strinse il cuore, ma la parola «bacio» la distrasse subito. Questo era un terreno conosciuto, assai piú interessante delle operazioni militari. Represse a stento un sorriso di trionfo. Dal giorno in cui le aveva regalato il cappello verde, Rhett non aveva mai detto una parola che potesse essere interpretata come quella di un innamorato. E adesso, senza nessun incoraggiamento da parte sua, eccolo che parlava di baci. - Non mi piacciono questi discorsi - replicò con freddezza. - E del resto, preferirei baciare un maiale. - Non si tratta di gusto; e d'altronde ho sempre sentito che gli irlandesi hanno simpatia per i porci. Li tengono perfino sotto al letto. Ma voi, Rossella, avete un tremendo bisogno di baci. Tutti i vostri spasimanti vi hanno rispettata troppo, Dio sa perché!, o hanno avuto paura di comportarsi come bisognava con voi. Il risultato è che vi date delle arie insopportabili. Avete bisogno di esser baciata, e da uno che sa baciare. La conversazione non si svolgeva come Rossella desiderava; cosa che le accadeva sovente con lui. - E probabilmente credete di esser voi la persona adatta? - gli chiese con sarcasmo, dominandosi a stento. - Senza dubbio, se volessi prendermi la pena... Dicono che so baciare molto bene. - Oh... - cominciò indignata nel sentire cosí messo in non cale il suo fascino. Ma abbassò gli occhi confusa, vedendo nella profondità dei suoi occhi, malgrado il sorriso irridente, una fiammella che si spense subito. - Probabilmente, vi sarete chiesta perché non ho dato alcun seguito a quel casto bacetto che vi diedi, il giorno in cui vi portai il cappello... - Non ho mai... - Vuol dire che non siete sensibile, Rossella; e questo mi dispiace. Tutte le ragazze sensibili si stupiscono se un uomo non tenta di baciarle. Sanno che non dovrebbero desiderarlo e che dovrebbero sentirsi insultate se un uomo lo facesse... ma lo desiderano ugualmente. Fatevi coraggio, cara. Un giorno o l'altro vi bacerò e la cosa vi piacerà. Ma adesso no; perciò vi prego di non essere impaziente. Come sempre, il suo scherno la rendeva furente. Vi era sempre troppa verità in quello che egli diceva. Ma questo era troppo. Gli darebbe una buona lezione, il giorno in cui fosse tanto villano da tentare di prendersi qualche libertà! - Volete aver la bontà di voltare il cavallo, capitano Butler? Desidero tornare all'ospedale. - Davvero, bell'angelo assistente? Pidocchi e catini di sangue sono preferibili alla mia conversazione? Lungi da me impedire a due mani volenterose di lavorare per la Nostra Causa Gloriosa! - Voltò il cavallo e questo riprese il cammino verso i Cinque Punti. - Quanto al fatto di non aver mosso piú alcun passo - riprese come se ella non gli avesse fatto comprendere che la conversazione era terminata - vi dirò che aspettavo che foste un po' piú donna. Sono egoista, nei miei piaceri; e non ho mai amato baciare le bambine. Accennò a un sogghigno, vedendo con la coda dell'occhio il seno di lei che ansimava di collera silenziosa. - E poi - continuò dolcemente - aspettavo che il ricordo dello stimabile Ashley Wilkes impallidisse alquanto. All'udire il nome di Wilkes, una pena improvvisa le strinse il cuore, mentre le lagrime le pungevano gli occhi. Impallidire, il ricordo di Ashley? Neanche se fosse morto da mille anni. Pensò al giovine ferito, moribondo in una lontana prigione yankee, senza un cencio per coprirsi, senza una persona amata che gli tenesse la mano, e fu piena di odio verso l'uomo ben pasciuto che le sedeva accanto e che le parlava con un leggero sarcasmo nella voce strascicata. Era troppo adirata per parlare, sicché continuarono per un poco a procedere in silenzio. - Ora ho ricostruito tutto sul conto vostro e di Ashley - riprese Rhett dopo un certo tempo. - Ho cominciato quando avete fatto quella volgare scenata alle Dodici Querce; e da quel giorno ho appreso molte cose tenendo gli occhi aperti. Quali cose? Per esempio, che voi nutrite ancora per lui una romantica passione da scolaretta, che egli ricambia nei limiti che la sua natura di uomo onesto gli permette. E che Mrs. Wilkes non ne sa nulla; fra tutti e due, le avete fatto un bello scherzo. Ho capito tutto, meno una cosa che punge la mia curiosità. L'ineffabile Ashley ha mai compromesso la sua anima immortale baciandovi? Un silenzio e un gesto del capo che si volgeva altrove furono la risposta. - Bene; dunque vi ha baciata. Immagino che sia stato quando fu qui in licenza. E ora che probabilmente è morto, voi circondate di un culto quel ricordo. Ma sono certo che finirete col dimenticarlo e allora... Ella si volse come una furia. - Allora... andate al diavolo! - E i suoi occhi verdi brillavano di collera. - E fatemi scendere da questa carrozza prima che io mi getti a terra. E non voglio che mi rivolgiate la parola mai piú! Egli fermò la carrozza; ma prima che potesse scendere per aiutarla, ella era balzata a terra. L'abito le si impigliò nella ruota, e per un attimo la folla dei Cinque Punti ebbe una rapida visione di sottovesti e mutandine. Ma Rhett si chinò e la liberò con sveltezza. Ella sfuggí senza una parola, senza neanche voltarsi indietro; l'uomo rise piano e diede la voce al cavallo.

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Era seguito da Jack, un piccolo negro di dieci anni che si abbottonava frettolosamente la giacca di tela bianca con una mano, e portava nell'altra uno scacciamosche fatto di strisce di giornali, legato a un bastone piú lungo di lui. Elena aveva un bello scacciamosche di penne di pavone, ma questo si usava soltanto in occasioni speciali, e soltanto dopo lotte domestiche, dovute all'ostinata convinzione di Pork, di Mammy e della cuoca, che le penne di pavone portavano disgrazia. Elena sedette sulla sedia che Geraldo avanzò per lei e quattro voci la investirono. - Mamma, il merletto del mio nuovo abito da ballo è strappato. Vorrei metterlo domani sera alle Dodici Querce: mi fai il piacere di aggiustarlo? - Mamma, l'abito di Rossella è piú bello del mio; e io in rosa sono uno spauracchio. Perché non mette lei il mio vestito rosa e mi lascia mettere il suo verde? Lei sta benissimo vestita di rosa. - Mamma, posso restare alzata domani sera per il ballo? Oramai ho tredici anni... - Elena, crederesti... Zitte, ragazze, altrimenti vi faccio assaggiare il mio frustino! Cade Calvert è stato stamattina ad Atlanta e dice... Volete tacere una buona volta? Non sento neanche la mia voce! E dice che tutti sono sottosopra e non parlano che di guerra; la milizia fa gli esercizi militari e si formano nuove truppe. E dice che secondo ultime notizie di Charleston non si vogliono piú sopportare insulti dagli yankees. La bocca stanca di Elena sorrise nel tumulto; per primo ella si rivolse a suo marito, come è il dovere di ogni moglie. - Se quei gentiluomini di Charleston la pensano cosí, sono sicura che fra breve tutti saremo della stessa idea - disse, poiché era fermamente convinta che, ad eccezione di Savannah, la maggior parte della gente bennata di tutto il continente si trovava in quella piccola città marittima; opinione fermamente condivisa dai Charlestoniani. - No, Carolene; l'anno venturo. Allora potrai rimanere alzata quando si balla e portare gli abiti lunghi; e come si divertirà la mia piccola melarosa! Non fare il broncio, tesoro. Puoi andare al pic-nic, ricordatelo, e rimanere alzata fino all'ora di cena; ma sino a quattordici anni, niente balli. - Dammi il tuo abito, Rossella. Rammenderò il merletto dopo la preghiera. - Súsele, non mi piace questo tono. Il tuo vestito rosa è carino e ti sta bene, come a Rossella sta bene il suo. Ma domani sera puoi mettere la mia collana di granate. Súsele fece, dietro le spalle di sua madre, una smorfia di trionfo a Rossella, la quale aveva progettato di chiedere la collana per sé. Rossella le mostrò la lingua. Súsele era una sorella noiosa con le sue lamentele e il suo egoismo; e se non vi fosse stata la mano di Elena a frenarla, Rossella l'avrebbe schiaffeggiata tutti i momenti. - Ora, Mr. O'Hara, dimmi qualche altra cosa di quello che Calvert ha raccontato di Charleston. Rossella sapeva che a sua madre non importava nulla della guerra e della politica, ritenendole faccende maschili di cui una donna intelligente non si doveva preoccupare. Ma Geraldo parlava volentieri di queste cose, e Elena cercava sempre di far piacere a suo marito. Mentre Geraldo si lanciava nuovamente nel suo argomento favorito, Mammy posò i piatti dinanzi alla padrona: petto di pollo fritto, biscotti e una patata dolce aperta e fumante, sgocciolante di burro sciolto. Mammy diede un pizzicotto al piccolo Jack, e questi si affrettò al suo compito, agitando lentamente i nastri di carta dietro a Elena. La negra rimase accanto alla tavola, osservando ogni boccone che dal piatto andava alla bocca, come se volesse spingere per forza il cibo nella gola di Elena, se questa avesse accennato a smettere di mangiare. Elena mangiava senza neppur capire che cosa metteva in bocca; era troppo stanca. Ma il volto implacabile di Mammy la costringeva a inghiottire. Vuotato il piatto e mentre Geraldo era appena a metà delle sue elucubrazioni sul ladrocinio degli yankees che volevano la libertà degli schiavi, ma senza pagare un penny per questo, Elena si alzò. - Dobbiamo dir le preghiere? - interrogò egli, riluttante. - Sí; è tardi. Senti? Sono le dieci. - In quel momento l'orologio batté le ore coi suoi rintocchi rauchi. - Carolene dovrebbe essere a letto da un pezzo. La lampada, Pork, per favore; e tu, Mammy, dammi il mio libro di preghiere. Istigato dal rauco sussurro di Mammy, Jack mise il suo scacciamosche in un angolo e tolse i piatti, mentre Mammy frugava nel cassetto della credenza per cercare il logoro libro di preghiere di Elena. Pork si avvicinò in punta di piedi e tirò giú lentamente la lampada finché l'angolo della tavola fu brillantemente illuminato mentre il soffitto sembrava ritrarsi nell'ombra. Elena si rassettò le gonne e cadde in ginocchio sul pavimento, mettendo il libro aperto sulla tavola dinanzi a sé e giungendovi sopra le mani. Geraldo si inginocchiò accanto a lei; Rossella e Súsele presero i loro posti consueti al lato opposto della tavola, raccogliendo le loro gonne voluminose come un cuscino sotto alle ginocchia, in modo che dolessero meno per il contatto col pavimento. Carolene, che era piccola per la sua età, non si poteva inginocchiare comodamente presso la tavola e perciò si poneva dinanzi una sedia, coi gomiti sul sedile. Le piaceva questa posizione perché generalmente si addormentava durante le preghiere; collocata in quel modo, sfuggiva agli occhi della mamma. I servi della casa si affollarono sospingendosi nel vestibolo per inginocchiarsi dinanzi alla porta, Mammy gemendo nel curvarsi, Pork dritto come un fuso, Rosa e Tina, le cameriere, graziose nelle larghe vesti di percalle a vivi colori, Cora, la cuoca, magra e gialla sotto il fazzoletto bianco che portava sul capo, e Jack, istupidito dal sonno, il piú lontano possibile dalle dita spietate di Mammy. I loro occhi scuri brillavano di attesa, perché la preghiera insieme ai bianchi era uno degli avvenimenti della giornata. Le frasi vecchie e piene di colore delle Litanie, con la loro orientale ricchezza d'immagini, non avevano significato per loro, ma davano una certa soddisfazione ai loro cuori, ed essi chinavano il capo cantando le risposte «Kyrie eleison» e «ora pro nobis». Elena chiuse gli occhi e cominciò a pregare; la sua voce si elevava e si abbassava, cullava e molceva. Le teste si curvavano nel cerchio di luce gialla mentre ella ringraziava Dio per la ricchezza e la felicità della sua casa, della sua famiglia e dei suoi schiavi. Dopo aver terminato di pregare per quelli che vivevano sotto il tetto di Tara, per suo padre, madre, sorelle, per i tre bimbi morti e per le «anime del Purgatorio» strinse fra le lunghe dita la corona e cominciò il rosario. Come il fruscío di un dolce venticello si udiva il mormorio delle risposte delle gole bianche e di quelle nere: «Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Cosí sia». Malgrado il suo mal di capo e la sofferenza delle lagrime represse, un senso profondo di quiete e di pace discese su Rossella, come sempre a quell'ora. Un po' delle delusioni della giornata e del timore dell'indomani scomparivano lasciando posto a un sentimento di speranza. Non era l'elevazione dell'anima a Dio che recava questo balsamo, perché in lei la religione non andava al di là delle preghiere mormorate a fior di labbro, ma piuttosto la vista della faccia serena di sua madre rivolta verso il trono di Dio, coi suoi angeli e i suoi santi, a chiedere la benedizione per tutti quelli che amava. Quando Elena parlava col cielo, Rossella era sicura che il cielo la ascoltava. Elena terminò; e Geraldo che non riusciva mai a trovare il suo rosario al momento delle preghiere, cominciò a contare le avemarie sulle dita. Mentre la sua voce tuonava, i pensieri di Rossella cominciarono suo malgrado a vagabondare. Sapeva che avrebbe dovuto fare l'esame di coscienza; Elena le aveva insegnato che alla fine di ogni giornata bisognava esaminare attentamente la propria coscienza, riconoscere le proprie colpe e pregare il buon Dio di averne il perdono e la forza di non piú ripeterle. Ma Rossella esaminava il proprio cuore. Lasciò cader la testa sulle mani giunte, in modo che la madre non potesse vederla in viso, e il suo pensiero tornò tristemente ad Ashley. Come poteva egli progettare di sposar Melania mentre amava lei, Rossella? E mentre sapeva quanto ella lo amava? Come poteva volontariamente spezzarle il cuore? E ad un tratto un'idea le attraversò il cervello come un lampo di luce. «Ma Ashley non sa affatto che io lo amo!» Ebbe un sussulto: la sua mente rimase come paralizzata per un lungo momento durante il quale non respirò neppure; quindi prese l'aire. «Come potrebbe saperlo? Mi sono sempre comportata con tanta riservatezza, cosí da signora e cosí "lasciatemi-stare" che probabilmente egli immagina che non m'importi nulla di lui se non come amico. Sí, per questo non ha mai parlato! Crede che il suo amore sia senza speranza. E perciò aveva l'aria tanto... La sua mente tornò velocemente al tempo in cui lo aveva sorpreso a guardarla in modo strano, quando gli occhi grigi che nascondevano cosí bene i suoi pensieri le erano apparsi spalancati in un'espresisone di tormento e di disperazione. «Sarà disperato perché crede che io sia innamorata di Brent o di Stuart o di Cade. E probabilmente ha pensato che dal momento che non può sposare me, tanto vale che accontenti la sua famiglia sposando Melania. Ma se sapesse che io lo amo...» Il suo spirito volubile passò dalla piú profonda depressione alla felicità piú vibrante. Questa era la ragione della reticenza di Ashley, della sua strana condotta. Egli non sapeva! La sua vanità venne in aiuto al suo desiderio di credere e questo desiderio divenne realtà. Se egli sapesse che lei lo ama, accorrerebbe accanto a lei. Ella non doveva che... «Oh!» pensò in estasi premendosi le dita sulla fronte china. «Come sono stata sciocca a non pensare a questo fino ad ora! Debbo trovare il modo di farglielo sapere. Non la sposerebbe se sapesse che io lo amo! Come potrebbe?» Con un sobbalzo si accorse che Geraldo aveva finito e che gli occhi di sua madre erano fissi su lei. Cominciò in fretta la sua decina, sgranando le avemarie automaticamente ma con una profondità di emozione nella voce che costrinse Mammy ad aprir gli occhi e a lanciarle uno sguardo inquisitivo. Quando ebbe terminato la sua decina e Súsele e poi Carolene dissero le loro, la sua mente ricominciò a correre dietro al nuovo pensiero che l'aveva invasa. Non era ancora troppo tardi! Quante volte la Contea era stata scandalizzata dalla fuga di due innamorati quando uno o l'altro dei due era quasi davanti all'altare con un terzo! E il fidanzamento di Ashley non era ancora stato neanche annunciato! Sí, vi era tutto il tempo! Se non vi era amore fra Ashley e Melania, ma soltanto una promessa data tanto tempo fa, perché non avrebbe egli potuto sciogliersi dalla promessa e sposare lei? Certamente lo farebbe, se sapesse che lei, Rossella, lo amava. Doveva trovare il modo di farglielo sapere! E ora... Si svegliò bruscamente dal suo sogno di felicità, perché aveva trascurato di rispondere alle preghiere e sua madre la stava guardando con aria di rimprovero. Nel riprendere il rituale, aperse un attimo gli occhi e lanciò un rapido sguardo intorno alla stanza. Le figure inginocchiate, il quieto splendore della lampada, l'ombra in cui i negri si inchinavano, perfino gli oggetti familiari che un'ora prima le erano sembrati odiosi, presero in un momento il colore delle sue nuove emozioni e la stanza le sembrò ancora una volta un luogo piacevole. Non dimenticherebbe mai quel momento e quella scena. - Virgo fidelissima - intonò sua madre. Le litanie della Vergine erano cominciate e Rossella rispondeva obbedientemente: - Ora pro nobis - mentre Elena, col suo dolce contralto, lodava gli attributi della Madre di Dio. Come sempre fin dall'infanzia, questo era per Rossella il momento dell'adorazione per Elena anziché per la Madonna. Per quanto ciò potesse esser sacrilego, Rossella vedeva sempre, attraverso gli occhi chiusi, il volto di Elena e non la Beata Vergine mentre si ripetevano le antiche frasi. «Salus infirmorum... Refugium peccatorum... Sedes sapientiae... Rosa mystica...» erano belle parole perché erano gli attributi di Elena. Ma stasera, a causa dell'esaltazione del suo spirito, Rossella trovò in tutto il cerimoniale, nelle parole mormorate dolcemente, nel mormorio delle risposte, una bellezza che superava tutto ciò che aveva conosciuto prima. E il suo cuore si volse a Dio in sincero ringraziamento perché dinanzi ai suoi piedi si era aperto un sentiero... una strada che la conduceva fuori dalla sua miseria, dritta fra le braccia di Ashley. Dopo l'ultimo «amen» tutti si alzarono, qualcuno un po' faticosamente. Mammy riuscí a rimettersi in piedi mediante gli sforzi combinati di Tina e di Rosa. Pork prese dalla mensola del caminetto un lungo cerino, lo accese alla fiamma della lampada e si avviò per il vestibolo. Di faccia alla scala era una credenza di noce, troppo grande per la stanza da pranzo; sulla scansia superiore erano diverse lampade e una lunga fila di candele ficcate nei candelieri. Pork accese una lampada e tre candele e, con la pomposa dignità di un primo ciambellano della camera reale che accompagna il re e la regina nella camera da Ietto, precedette la processione per le scale, sollevando il lume in alto. Elena lo seguiva al braccio di Geraldo, e dopo di loro venivano le ragazze, ciascuna con un candeliere in mano. Rossella entrò nella sua stanza, posò il candeliere sul cassettone e frugò nell'armadio per prendere l'abito da ballo che bisognava aggiustare. Se lo gettò sul braccio e attraversò silenziosamente il pianerottolo. La porta della stanza da letto dei suoi genitori era semiaperta, e prima che ella avesse bussato, udí la voce di Elena bassa ma severa. - Mr. O'Hara, devi licenziare Giona Wilkerson. Geraldo esplose: - E dove vado a prenderlo un altro sorvegliante che non mi truffi e non mi derubi? - Bisogna licenziarlo, immediatamente, domani mattina. Il grosso Sam è un buon caposquadra e può occuparsi di tutto finché tu non trovi un altro sorvegliante. - Ah, ah! - era la voce di Geraldo. - Capisco! È il bravo Giona che è il padre... - Bisogna licenziarlo. «Dunque è lui il papà del bambino di Emma Slattery» pensò Rossella. «Sfido! Che altro ci si può aspettare da uno yankee e da una ragazza di quel genere?» Quindi, dopo una pausa discreta che diede tempo a Geraldo di smettere di borbottare, picchiò alla porta e porse l'abito a sua madre. Mentre si svestiva, Rossella rifletteva; e quando spense la candela il suo progetto per l'indomani era completo in ogni particolare. Era facilissimo, perché con la semplicità di spirito che aveva ereditato da Geraldo, i suoi occhi erano fissi soltanto sulla meta, ed ella pensava soltanto al mezzo piú diretto per raggiungerla. Prima di tutto, sarebbe orgogliosa, come aveva ordinato Geraldo. Dal momento del suo arrivo alle Dodici Querce sarebbe piú allegra e piú spiritosa che mai. Nessuno sospetterebbe che ella era stata addolorata per il matrimonio di Ashley con Melania; e civetterebbe con tutti quanti. Questo tormenterebbe Ashley, ma lo farebbe spasimare per lei. Non trascurerebbe nessuno degli scapoli, dal vecchio Franco Kennedy, che era il corteggiatore di Súsele, fino al tranquillo e timido Carlo Hamilton, fratello di Melania, il quale arrossiva cosí facilmente. Ronzerebbero attorno a lei come api attorno all'alveare, e certamente Ashley lascerebbe Melania per unirsi al circolo dei suoi ammiratori. E allora, ella manovrerebbe in modo da rimanere qualche minuto sola con lui, lontana dalla folla. Sperava che tutto andasse bene; altrimenti la cosa sarebbe stata difficile. Ma se Ashley non faceva il primo passo, lo farebbe lei. Quando fossero finalmente soli, egli avrebbe ancora dinanzi agli occhi il quadro degli altri uomini che le giravano attorno; sarebbe impressionato dal fatto che ognuno di coloro la desiderava, e lo sguardo triste e disperato riapparirebbe nei suoi occhi. Allora ella lo renderebbe nuovamente felice, lasciandogli scoprire che, pure avendo tanti spasimanti, lo preferiva a tutti gli uomini del mondo. E dopo aver ammesso questo, pudicamente e dolcemente, si sorveglierebbe con attenzione, comportandosi in tutto come una signora. Certo non le verrebbe neanche in mente di dirgli audacemente che lo amava; questo no. Ma questo era un particolare che non la turbava. Aveva già sbrogliato simili situazioni altre volte e lo farebbe ancora. A letto, col chiaro di luna che la bagnava tutta, si figurò la scena. Vedeva l'espressione di sorpresa e di felicità che gli illuminerebbe il volto nel momento in cui Ashley avrebbe compreso che ella lo amava, e udiva le parole che egli le direbbe chiedendole di essere sua moglie. Naturalmente essa gli risponderebbe che non poteva pensare a sposare un uomo che era fidanzato con un'altra, ma egli insisterebbe; e finalmente lei si lascerebbe persuadere. Allora decidererebbero di andar a Jonesboro nello stesso pomeriggio e... Sicuro, domani sera a quest'ora lei poteva essere la signora Ashley Wilkes. Sedette sul letto abbracciandosi le ginocchia, e per un momento fu veramente la signora Ashley Wilkes... la sposa di Ashley! che felicità! Ma subito dopo sentí un po' di freddo al cuore. E se le cose non andassero cosí? Se Ashley non le proponesse di fuggire con lui? Respinse decisamente questo pensiero. - Non voglio pensare a questo, adesso - disse decisamente. - Se ci penso, mi conturbo troppo. Non vi è ragione che le cose non vadano come io desidero... se Ashley mi ama; e so che mi ama! Sollevò il mento e i suoi occhi dalle lunghe ciglia nere brillarono nel chiaro di luna. Elena non le aveva mai detto che desiderio e raggiungimento sono due cose diverse; la vita non le aveva insegnato che il correre non sempre significa raggiungere il palio. Rimase nella luce argentea col coraggio che si rafforzava sempre piú e facendo i progetti che una sedicenne può fare quando la vita è sempre stata per lei cosí piacevole che ogni sconfitta pare impossibile, e un bell'abito e una fresca carnagione sono per lei le armi che vincono il destino.

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Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1884
  • Casa Editrice A. Sommaruga e C.
  • Roma
  • Verismo
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Danei era nervoso, abbottonava macchinalmente il suo ulster da viaggio, si cavava e tornava a infilarsi i guanti. Non disse una parola. Madre e figlia si abbracciarono strette, strette, lungamente. Poi la contessa respinse quasi bruscamente la figliuola, dicendo: — È tardi. Perderete il treno. Andate! andate! *

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