Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbottonato

Numero di risultati: 7 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Il successo nella vita. Galateo moderno.

173438
Brelich dall'Asta, Mario 1 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Lo si porta abbottonato con bottoni di madreperla. Camicia e colletto sono come quelli dello « smoking »; notiamo però che la camicia del « frack » può essere abbottonata soltanto con bottoni bianchi, con perla o con brillanti. La cravatta bianca è di « piquet » bianco e viene annodata a guisa di farfalla. La calzatura come nello « smoking ». Col « frack » si portano i guanti bianchi di pelle. Il cappello adatto per il « frack » è il cilindro o il « klakk ». L'uno e l'altro si lasciano in guardaroba, ma vi sono delle occasioni eccezionali - per es. una grande serata al ballo dell'Opera - in cui si entra col cilindro, tenendo presente di portare seco un bastone nero con bottone d'avorio. I calzoni lisci, in inta unita sono provvisti di una banda lucida - più spesso una spighetta - sul lato esterno. Soprabiti per il« frack »sono tanto rari quanto cari. Si può adoperare qualsiasi buon cappotto, nero. Il« frack »si può portare anche di giorno; a colazione d'onore o di gala, a grandi feste, a nozze o ricevimenti ufficiali. Di sera, a teatro, nelle feste da ballo, nelle cerimonie, in alberghi mondani ecc.

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Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180313
Barbara Ronchi della Rocca 1 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Ecco qualche utile consiglio per essere sempre eleganti e a proprio agio: - non si tengono le mani in tasca: è un gesto cafone, che in più deforma la linea del pantalone; - non si allenta il nodo della cravatta (meglio toglierla del tutto e ripiegarla in tasca); - della giacca a tre bottoni, si abbottona solo quello in mezzo, di quella a due, solo il più alto; - il bottone più in basso del gilet non si abbottona mai; - la camicia con colletto botton-down è solo sportiva, quindi va con gli spezzati e i blazer; - lo smoking a un petto si porta aperto, con vista sul panciotto o sulla fascia (entrambi neri), quello a doppiopetto va tenuto sempre abbottonato; - il fazzoletto bianco da taschino non si indossa prima delle 18; quello fantasia non deve mai essere uguale alla cravatta; - niente camiciotti a maniche corte sotto le giacche: meglio una t-shirt.

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Nuovo galateo

189765
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
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Enrico III re di Francia era si scrupoloso sulla pulitezza del vestito, che un giorno cacciò da sé il duca d'Epernon, perché gli si era presentato senza scarpini bianchi e con abito non bene abbottonato (!!). In oltre fra la pulitezza fisica e la delicatezza dell'animo scorgesi un vincolo che, sebbene opera dell'immaginazione, non lascia d'essere reale. La premura, la sollecitudine, lo studio per essere puliti riesce stimolo contro l'inerzia, abitua alla circospezione, ed anco tra le piccole cose introduce atti di rispetto e forme di decenza. In generale la pulitezza dimostra particolare sensibilità all'opinione pubblica; e l'opinione è uno dei freni che dal traboccare nel vizio ritengono. L'uomo dominato dalle abitudini della pulitezza diviene nel tempo stesso più sobrio, più regolato, più pronto ad eseguise i suoi doveri. Si è questa la ragione perché i fondatori delle religioni orientali, oltre il riflesso della salute, con tanto calore le abluzioni e le purificazioni raccomandarono. Quindi, purché tu non corra all'estremo opposto, qualche grado di stima acquisterai e di rispetto, se la casa, i mobili, le vesti, tutto il tuo esteriore dimostri ordine, regolarità e nettezza. Non si richiede che di ricche suppellettili tu debba far pompa; nè che adorni la persona di vesti costose; ma in qualunque combinazione della vita dovrai dar segno di quella pulitezza che serve di velo all'indigenza. Sarebbe stoltezza il seguir l'uso de'signori del Giappone, i quali, muniti di piccoli fazzoletti, li gettano via dopo d'essersene serviti una volta; ma é somma impulitezza il far uso all' altrui presenza di sozzi moccichini contenenti tutt' altro che gemme e rose. Dicasi lo stesso delle camicie, delle calze, degli abiti che pregni di esalazioni corporee riescono molesti alle narici dilicate. lo non pretendo che si debba misurare i gradi dell' incivilimento dal numero delle lavandaie; ma la sucidissima carta su cui vengono stampati i migliori libri di certi paesi, carta risultante dagli stracci popolari, ci presenta non lieve indizio di nazionale sordidezza. Quindi a me pare che fossero riprensibili gli Egizi, i quali ne' momenti di duolo, la testa e il volto si coprivano di fango; i Romani che nelle stesse occasioni, abbandonando i bagni, facevano pompa di sordidezza; e i Milanesi che negli scorsi secoli si lordavano gli abiti ne' giorni del carnevale, slanciandosi a vicenda delle uova, in vece de' non sucidi é vero ma molestissimi confetti, come si usa oggidì: strana usanza che dopo molte proibizioni fu permessa alle sole dame, essendosi forse lusingato il legislatore che la gentilezza di queste la farebbe presto cadere in obblio. Vedi la grida del governatore di Milano del 14 febbraio 1692. Alla costruzione ed all'uso degli abiti, oltre la pulitezza, dee presedere il pudore. Possono dunque innocentemente le donne abbandonare agli altrui sguardi

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Come presentarmi in società

200135
Erminia Vescovi 2 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
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So di una certa signora, che fidandosi perché era scuro, e doveva far quattro passi e non più nella strada, uscì colle scarpe da casa, col cappello alla diavola, col soprabito male abbottonato... ed ebbe la bella sorte d'imbattersi nella più elegante e più maldicente delle sue amiche... Ma la strada non è soltanto il luogo dove si cammina. Anzi, ai tempi che corrono, ai poveri pedoni vien limitato e contrastato in ogni modo lo spazio: tutto il resto è il regno delle vetture, dei tranvai, delle biciclette, e soprattutto delle terribili automobili. Camminare per certe strade è talvolta un'impresa, traversare certi incroci di vie principali è una fortuna non comune. I vecchi, i malati, i bambini non dovrebbero arrischiarsi, preferendo dare un giro più lungo, ma più sicuro; gli altri faccian uso di tutta la loro prudenza e di tutta la loro calma, attenendosi poi rigorosamente ai cenni dei vigili, che sono messi apposta. S'intende poi che chi corre pazzamente in bicicletta, in carrozza, in automobile, infischiandosi dei regolamenti, dimostra di essere un villano, egoista e superbo. Purtroppo riescono talvolta a sfuggir ai castighi che si meritano, e vi sono di quelli che, dopo aver buttato a terra qualcuno, proseguono con doppia velocità la loro corsa, esimendosi dal dovere sacrosanto di riparare alla disgrazia cagionata, per quanto è possibile, nei vari casi. La persona bene educata rispetta i regolamenti, non si espone al rischio di far male a nessuno, serba un contegno calmo e signorile, sia che guidi la sua bicicletta, sia che tenga il volante di un'automobile.

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Il quale poi aggiunge che Enrico III, re di Francia cacciò da sè il duca d'Epernon perchè gli si era presentato senza scapini bianchi e con l'abito non bene abbottonato. E fece benissimo quel re! Ora, a dir vero, simili casi non accadono più, e non possono accadere, col progresso che si è fatto negli usi civili e tanto più con la severa etichetta di corte. Ma se la trasandatezza negli abiti va diventando sempre meno comune, non è a dir però che nell'odierno vestire regni generalmente l'eleganza. E la ragione è questa: l'eleganza non dipende solo dalla qualità della stoffa e dal taglio dell'abito, ma dipende dalla convenienza dell'abito all'età, alla condizione sociale, alle circostanze in cui va portato. Invece, colla presente confusione babelica, ogni senso di convenienza si è perduto, e con esso il senso della vera eleganza. E ciò dipende dalla folle smania di vanità che si è dilagata senza ritegno, e, come è naturale, ha specialmente travolto il senso femminile. Per esempio, non potremo certamente lodare quella signora anziana, madre e talvolta nonna, che veste come una giovanetta. Eppure, quante se ne vedono! E fanno pena, perché rinunziano in tal modo al rispetto che loro sarebbe dovuto, se vestissero con decorosa semplicità. Se poi la loro condizione lo permette, esse possono essere elegantissime con sete pesanti, velluti, tessuti di lana finissimi, pellicce di valore, conservando nel tempo stesso la serietà dovuta. Alla mattina, si vedono in giro impiegate e dattilografe, che sgambettano verso il loro ufficio con vestitini di seta rosea, azzurra, bianca, scarlatta. La loro vanità le inganna, se credono di far bella figura. La donna che si reca al suo lavoro sarà ben vestita solo se indosserà un abito di taglio semplice, di stoffa durevole, di colore sobrio. Tutto il resto è mascherata. E non accade tante volte di vedere una signora reduce dal mercato, che indossa un vestito troppo elegante, con guarnizioni di trine o di passamani, e regge faticosamente una borsa da cui fan capolino le zampe di un pollo o le foglie d'un cavolo? Intendiamoci bene: può darsi anche che una signora, per una assenza o una malattia della domestica, debba recarsi ella stessa a far le sue spese; vi son anzi di quelle che lo fanno per abitudine, e fanno benissimo. Ma quando si va al mercato, bisogna lasciare a casa i vestiti da visita o da serata. In generale, per uscire alla mattina, o per andare nei negozi a qualsiasi ora, nulla di meglio che il così detto vestito all'inglese: giacca e sottana di taglio semplicissimo e di colori non vistosi. Ma, si dirà da talune, quei vestiti bisogna pur finirli! - E sia; ma conservandoli in carattere, riadattarli per visita o serata finché si può; dopo, buttarli via, o eliminarli nel modo che si crede meglio. Fan molto più bella figura un semplice vestitino di lana o di cotone, un soprabito o un impermeabile, che quei velluti e quelle trine sgualciti e tirati in giro fuor di ora e di luogo. Le donne di servizio sono invase anch'esse, presentemente, da una tal rabbia di vanità che non si rifiutano più nulla, e spesso tra loro e la padrona non c'è nessuna differenza. S'intende però che, a uno sguardo esperto, si rivelan subito, dal gusto del taglio, dal modo di portar l'abito. Ma anch'esse credono di essere eleganti e di guadagnarsi maggior considerazione. E le contadine? Molte di esse avevano il beneficio di un costume veramente elegante, ma quasi tutte ora l'hanno smesso, e indossano esse pure le vesti cittadine con effetti... disastrosi! Ma in questa babelica generale confusione, la donna di buon senso, e che veramente sa il rispetto che deve a sé e agli altri, non perde la bussola, e sa scegliere e adoperare quel che meglio si conviene ad ogni circostanza in cui possa trovarsi. Usando dunque la semplicità pratica negli abiti da mattina, da passeggio, da campagna, potrà fare sfoggio di ricche toilettes ai pranzi, alle serate, agli spettacoli teatrali, ai balli, ecc. E qui non avrà altro limite a imporsi se non quello segnato naturalmente dalle sue condizioni economiche e dalle esigenze del decoro. La vera signora segua dunque la moda nelle sue prescrizioni, anche raffinate e molteplici; guardi però di non farsene una schiava. Bisogna saper adattare alla propria persona il taglio, il colore, le guarnizioni e non credere di esser eleganti perchè si segue, spesso esagerandolo, l'ultimo figurino. Il Gioia ha una clamorosa apologia della moda, la quale tradisce in lui l'economista assai più che... l'abate. Egli dice che è naturale cercar ciò che può esser gradevole a noi e agli altri, e perciò anche le belle vesti. Aggiunge che l'uniformità annoia, e di qui lo stimolo alle variazioni della moda, le quali non sono poi sempre irragionevoli o ridicole; e queste variazioni riescono a dar valore a materie che talvolta resterebbero inutili, alimentano industrie svariate, porgono lavoro al povero. E fin qui egli ragiona benissimo, e mi fa ricordare con simpatia il detto della gentile protagonista di un romanzo francese: Fra due anime - (Delly): «Queste trine che mi adornano l'abito mi sono carissime, perchè rappresentano il lavoro e il guadagno di abili operaie». Ma, prosegue poi il Gioia, l'abito che presenta l'apparenza della novità, dell'eleganza, della bellezza, è tosto ricercato da persone ricche e desiderato da quelle che tali non sono... E allora nasce l'imitazione, più a buon mercato, che consente anche a questi di cavarsi la loro voglia, mentre i ricchi abbandonano allora la prima foggia che decade di prezzo «e diviene accessibile anche alle persone quasi povere, le quali perciò vengono messe a parte di piaceri, da cui, per le variazioni della moda, resterebbero escluse». E qui è il punto vulnerabile dal lato morale, perchè la voglia di questi cosidetti piaceri è stimolo troppo frequente, nelle classi umili, a errori d'ogni sorta. Basta guardarsi attorno, ai tempi nostri, per vederlo. Conclude però saggiamente che la moda, presentandosi sotto diverse forme, eccita anche svariate invenzioni, e dà stimolo a intelletti che forse resterebbero inattivi. E aggiunge che non è vero che la moda sia causa di corruzione, anzi afferma che le epoche più corrotte sono anche le più rozze. Discuter su questo, sarebbe veramente uscir dal limite del nostro argomento. Basti quanto s'è detto qui, per affermare i diritti di benemerenza della volubile dea. Ma quando essa si fa complice di scostumatezza, quando si oppone alle leggi dell'igiene, allora chi ha senno e decoro si dichiara indipendente dal giogo tirannico. Ora, per esempio, siamo nel regno delle gonnelle corte. E fu una benefica e salutare riforma quella che liberò le signore dal fastidio di reggersi continuamente il lembo e di tornar a casa, ciò nonostante, quasi sempre impolverate e inzaccherate. Ma dalla caviglia si andò sempre più in su, a mostrar gli stinchi e i polpacci, e talvolta si mostrano allegramente le ginocchia. Ciò è esagerato e indecoroso: senza contare che è penoso vedere come troppe donne, sorde agli ammonimenti del decoro, della religione, dell'estetica, del buon senso, siano pronte ad obbedire ciecamente solo alla moda. Lasciamo ora andar l'eterno argomento in quanto riguarda il sesso femminile, e veniamo al sesso maschile. Anche l'uomo serio e ben educato sceglie e adatta opportunamente i suoi vestiti. L'abito a giacchetta, scuro d'inverno, e nell'estate anche a tinte più chiare, è presentemente il più usato nelle ore della mattina e del pomeriggio, per recarsi all'ufficio e per attendere comunque ai propri interessi. Ed è anche quello che si tiene per casa, giacché solo un malato o un vecchio possono indossare fuor di camera la veste da camera o il pigiama che ora tanto è di moda. A pranzo, in famiglia, il vestire maschile sarà press'a poco lo stesso che si usa per fuori; scorrettissimo lo stare in maniche di camicia, compatibile solo in campagna, nei grandi calori, ben inteso. Ai pranzi di lusso o ufficiali è di rigore l'abito nero, marsina o frac, cravatta bianca, guanti chiari, panciotto bianco. Molto si usa adesso anche il tosi detto smoking che è una via di mezzo tra l'abito di gran gala e l'abito di confidenza: si usa però solo nelle riunioni della sera e per i pranzi. In visita ufficiale a una signora, il gentiluomo indosserà l'abito scuro, cravatta assortita al tono del vestito. Ai thè o ricevimenti pomeridiani, si usa press'a poco lo stesso vestiario, adattandolo alla riunione, secondo che è più o meno familiare, più o meno aristocratica. In campagna, nelle gite, l'uomo, specialmente giovane, starà bene col costume sportivo, e potrà anche permettersi abiti un po' singolari, di velluto scuro, di flanella bianca, di stoffe fantasia. Ma non mai a pranzo, nemmeno nell'intimità. Soltanto, se prima di partire per qualche gita si fa una colazione, è lecito che si presenti come richiede la libertà dell'aria aperta e la comodità dell'escursione che si sta per intraprendere. L'uomo che segue tutte le mode, che si adorna effemminatamente, che si profuma e si pettina artificiosamente, che si carica le dita di anelli, dimostra cervello meschino e riesce assai disgustoso. Ma ci sono anche uomini, e talvolta di gran merito, che cadono nell'eccesso opposto. Sono quelli che escono di casa male abbottonati, che buttano il soprabito sulle spalle invece d'infilarlo, che sono nemici mortali dei guanti. E il cappello! Talvolta se lo caccian sino agli occhi, e danno l'impressione del malumore e della scontrosaggine; talvolta se lo lasciano andar sulla nuca, e fanno l'effetto di goffi e sbadati. Se poi lo lascian pendere sull'orecchio, corrono il rischio d'essere, e proprio senza colpa, giudicati per arroganti e pretenziosi. L'ombrello non va tenuto obliquo sotto braccio... Ognuno sa poi quanta importanza abbia la calzatura ai tempi nostri, in cui l'eleganza e la varietà sono diventate una vera mania. Chi ha i mezzi di concedersi scarpine finissime e calze di seta, faccia pure; sarà un complemento necessario, badi almeno che la calzatura sia pulitissima, ben tenuta, e non dia nell'occhio per colori vistosi o singolarità di cattivo gusto. Regole speciali sono prescritte per le vesti da lutto, a seconda del grado di parentela, del paese, delle circostanze. E' vero che ora tali regole par si vadano rilassando, e per motivi che non fanno punto onore al cuore umano: tuttavia, eccole quali sono nell'uso più comunemente osservato. Per le vedove il lutto dura due anni; e il primo anno, o almeno i primi sei mesi, si può portare con velo o crespo. L'abito di semplice lana guarnito di crespo o liscio; il soprabito di panno nero. La pelliccia anche di colore non rompe il lutto. Nel secondo anno si ammette qualche guarnizione sul vestito e si toglie il crespo. Verso la fine dell'anno, comincia ad essere ammessa qualche lieve guarnizione bianca, grigia o violacea, che segna poi il passaggio al così detto mezzo lutto. Allora predomina il grigio con guarnizioni nere, il viola e il lilla, ed è anche ammesso il bianco, ma con qualche accenno al nero. Se però la vedova si rimarita prima, tronca il lutto e veste come le piace. Per i genitori il lutto grave è di sei mesi, indi il mezzo lutto, e così per i suoceri. Per i nonni sei mesi tra lutto grave e mezzo lutto, e così per i fratelli e i cognati; per gli zii quaranta giorni di lutto grave, pei cugini sei settimane di mezzo lutto. Tali sono le regole generalmente osservate nell'alta Italia. Ma nell'Italia meridionale i lutti si prolungano molto più, e quello delle vedove dura spesso tutta la vita. E siccome tali dimostrazioni non sono esteriori soltanto, ma corrispondono a una reale condizione dell'animo, dobbiamo farne la debita stima. Come s'è detto sopra, si tende però ora generalmente ad abbreviare o a sopprimere addirittura il lutto, specialmente per parenti che non vivevano nella stessa città. Dai parenti da cui si eredita, siano essi anche lontanissimi prozii o cugini, è obbligo il lutto. E aggiungo un'avvertenza che veramente dovrebbe suonare umiliazione per chi sente di doversela applicare. Il lutto indica un sacro dolore, un senso di rispetto e di rimpianto per l'estinto. Non profaniamoli dunque con fogge vistose, con mode sconvenienti. Le signore sovraccariche di perle nere, di vezzi cascanti, quelle che fanno ondeggiare il loro velo su una gonna che mostra i polpacci, quelle che al severo emblema del dolore uniscono le scollacciature e le sbracciature, o mal nascondono le carni sotto veli trasparenti, abbiano piuttosto la franchezza di smetterlo, e di non presentare lo spettacolo di una vanità vergognosa, unita all'assenza di sentimento e di decenza. Per gli uomini, il gran lutto è il vestito tutto nero; ma molti ora usano semplicemente il crespo al cappello o al braccio. Non si può dar una regola assoluta, ed è meglio prender norma dalle circostanze.

Pagina 40

Passa l'amore. Novelle

241479
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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Poco dopo, le grida cessarono, la gente si disperse; e gli scarsi rimasti videro uscire il barone don Pietro-Paolo, vestito di nero, con l'abito abbottonato e un gran mazzo di carte sotto braccio. Nessuno osò domandargli che cosa era stato. Si scoprirono rispettosamente, e il barone rispose al saluto con la consueta sua affabilità.

Pagina 110

Dramm intimi

250042
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1884
  • Casa Editrice A. Sommaruga e C.
  • Roma
  • Verismo
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Ad un tratto si udì il legno che tornava, poi un passo leggero sul tappeto, ed entrò un giovanotto sulla trentina, biondissimo, bianco tanto che sembrava pallido, con un soprabito scuro abbottonato fin sotto il mento, e la lente pendente sul petto a un filo che non si vedeva, come un bottone d'acciaio piantato lì. Nell'anticamera egli aveva domandato al domestico: — Come sta?... — Male, male assai — rispose questi. Il giovane entrò col passo incerto e l'occhio smarrito. Nelle altre stanze non incentrò nessuno. — Oh, Ginoli! — disse l' inferma, con un sorriso. Egli non rispose, aspirando fortemente, quasi gli fosse mancato il fiato nel salire la scala in fretta. Infine balbettò: — Va meglio, non è vero? giacchè mi hanno lasciato passare... Ella accennò di sì col capo, due o tre volte, poscia balbettò: — Stasera mi sento un po' male... ma ho visto tanta gente... e sono stanca. Però fa piacere rivedere gli amici... La contessa Bruni, che era rimasta sino a quel momento, si alzò per accomiatarsi. — Addio, disse donna Vittoria, come essa si fermava a stringerle la mano a lungo. Rimasero una signora attempata, amica di casa, che si era offerta di vegliare la notte, e due altri, marito e moglie, zii per parte di madre di donna Vittoria. La zia parlava di cure portentose, di guarigioni insperate. Gli altri tacevano, senza ascoltare. — Verrete domani? — disse lei, voltando il capo verso Ginoli. Egli balbettò di sì. Ella stette a guardarlo, quasi colpita da quelle parole istesse. E ad un tratto due lagrime le scesero lentamente sulle guance. — Quando sarà giorno? — riprese. E voltò la testa dall'altra parte, senza aspettare la risposta. Di tanto in tanto la cameriera attraversava la camera, senza far rumore, o si udiva il passo leggero di un servitore nella sala accanto. Allora levavano il capo tutti insieme, senza sapere perchè. Soltanto l'inferma mormorava a lunghi intervalli: — Mi sento male, mi sento male assai. Una volta Ginoli, come fuori di sè, si alzò por congedarsi. Ma ella se ne avvide, e gli disse, con gli occhi sempre rivolti al cielo del letto: — Ve ne andate di già... Egli ricadde di piombo sulla seggiola. Si udì un campanello per la strada, e uno scalpiccio che si avvicinava. Poi fu aperto bruscamente l'uscio della camera, quasi dicessero a Ginoli: — Ora andatevene. L'inferma volse il capo ottenebrato dall'agonia, e gli stese la mano agitando lo labbra come per mormorare parole inintelligibili. Egli la strinse: era fredda. E se ne andò barcollando come un ubbriaco. Nel salotto s'imbattè nel marito, e si guardarono un istante, immobili. In quel momento si udì in anticamera il campanello del viatico; il marito chinò il capo, pallidissimo. L'altro si dileguò rapidamente. Attraverso la lunga fila di stanze deserte e silenziose, passava solo il suono di quel campanello squillante.