Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbottonare

Numero di risultati: 5 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Enrichetto. Ossia il galateo del fanciullo

179042
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1871
  • G.B. PARAVIA E COMP.
  • Roma, Firenze, Torino, Milano
  • paraletteratura-galateo
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Che calzonacci, non vogliono infilarsi su; e questi occhielli non vogliono abbottonare!..... Ah sarto della malora! borbottando e bestemmiando scendeva del letto e si calzava gli stivalini. – E questi stivaletti non vogliono andar su! ahi, ahi, come mi dolgono i piedi! - Ma insomma, non c’è nulla che ti vada! Sai tu che dice il proverbio? A cattivo lavoratore ogni zappa dà dolore. - Va al diavolo tu e i tuoi proverbi!... - Ah queste le son belle parole! Che? Te l’ha insegnate il maestro?... Che stai lì pensieroso? Animo! Sandrino postosi alla catinella per lavarsi, metteva sospettoso un dito nell’acqua, e subito lo tirava fuori, esclamando: Ahi che è diaccia, Gesummaria! E quella Margheritona, Dio ne liberi dal farci scaldare un po’ d’acqua!... - Veh che ti scotti! Non mettere così le mani nell’acqua! Ieri un ragazzo ha posto una mano nella catinella, e si gelò subito lì tanto forte, che non potè più distaccarla, e gli restò il catino attaccato. - Sì, dà ancora la baia tu; ma se sentissi il freddo che ho io!... - Ma se lo tiri co’ denti il freddo!... Se tu senza paura mettessi subito giù tutte due le mani e in fretta te le stropicciassi, e ti gettassi su l’acqua nella faccia e negli occhi, il freddo se ne andrebbe tosto via. Nel primo gitto certo v’è un po’ di ribrezzo, ma poi si sta subito bene, anzi vien caldo; perché succede una reazione, come dice il dottore. E così un po’ co’ motteggi, un po’ colle minaccie riesciva a farlo vestire; ma tanto lentamente che era un agonia il vederlo.

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Otto giorni in una soffitta

204523
Giraud, H. 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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E prima che Maria, in ginocchio per abbottonare le scarpe ad Alano, abbia avuto il tempo di muoversi, Maurizio le salta addosso, la rovescia all' indietro e le stampa un grosso bacio sulla guancia. - Via, via, signor Maurizio, non fate il matto, - brontola Maria, che, in fondo, è contenta poichè

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le straordinarie avventure di Caterina

215763
Elsa Morante 1 occorrenze
  • 2007
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
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Piuma era piú piccolo e piú leggero, e il vestito che aveva addosso gli era piuttosto lungo; invece Massimo pesava il doppio, e la sua giacca, che gli era toccata in una festa di beneficenza, non si poteva abbottonare. Massimo era molto piú coraggioso e importante, si vedeva, e chiese a Piuma: — Perché mai quell'aria compunta? Subito Piuma sollevò le spalle e la testa e fece un bellissimo sorriso. — E smettila di abbaiare! — continuò Massimo. — È il mio stomaco che abbaia, io non ne ho colpa, — rispose il povero Piuma. Per consolarsi, tutti e due ripensarono al pranzo che avevano fatto due giorni prima. Avevano mangiato spaghetti e prosciutto, e insalata! Poi si fermarono vicino al mulino a vento, che stava alla fine del ponte. Passarono quattro oche grasse, un frate col suo sacco e tutti annusavano l'aria che odorava di pane fresco, di brodo e di prezzemolo. A questo punto Massimo disperato fece: — Aaaaah! — e Piuma: Uuuuuh! — e di nuovo stettero zitti, finché Piuma tirò a Massimo la manica della giacca. — Ehi, vuoi star fermo? — borbottò Massimo. — Non vedi che sto pensando? Il buon Piuma aspettò che l'amico finisse di pensare, con la faccia piena di speranza. E infatti, dopo tre minuti, Massimo gli strappò il berretto con entusiasmo e strillò: — Pensato! Pensato! Saremo ricchi, oggi! Saremo milionari. Ehi, Pic! Un ornino che passava di là si avvicinò. Era vestito da « gangster », col ciuffo e un tatuaggio sul naso. Era tanto piccolo, che arrivava appena al gomito di Piuma, ma il suo aspetto era spaventoso: — Che cosa desideri? — domandò. — Ti va di guadagnare otto soldi? — E perché no? — Allora mi dovrai fare da compare. — Bene. — Si tratta di questo. Io e il mio amico daremo uno spettacolo di pugilato, qui sulla piazza. Si radunerà una gran folla, e tutti saranno sicuri che vinco io, che sono un peso massimo. E invece vincerà Piuma. Tu devi strillare: — Forza, Piuma! — e devi cercare di scommettere cento lire con qualche ricco signore presente. Poi tu mi darai le cento lire, e io ti darò gli otto soldi. — Eh, che razza di spilorcio senza coscienza! Otto soldi a me? Non ti vergogni? — Dodici soldi! Nemmeno un centesimo di piú! E tu, Piuma, perché piangi? — Io non so fare il pugilato! — balbettò Piuma. — Eh, stupido! Non capisci che io mi lascerò buttar giú con un soffio? Non farai nessuna fatica! E sai che cosa significa questo per te? — No. — Significa la gloria! — La gloria? — Certo. Sarai campione, ragazzo mio, — e Massimo batté la spalla di Piuma, che faceva un sorriso felice. Poi chiamò Anchise, che passava sul ponte, per nominarlo arbitro: — Avrai sei soldi di paga, — gli disse. E incominciò a gridare. — Avanti, avanti, signori ! Grande partita di pugilato fra un peso massimo e un peso piuma! Non si paga niente! Non si paga niente! In pochi secondi, un'intera popolazione si era raccolta intorno a loro: bambini, oche, eccellenze e milionari. Fra gli altri, si fermò un signore che lasciava capire di essere un milionario, giacché portava l'abito a coda e il cilindro; e Pic gli corse vicino. Quel signore, insieme a tutti gli altri, guardava con aria di compassione il povero Piuma, come per dire: « Ecco uno che fra poco sarà una frittata ». Uno, due, tre! La partita cominciò. Il povero Piuma ballava senza capir niente, e finalmente, con aria modesta, si decise a buttar via qualche pugno. Ma tutti ridevano e gridavano: — Arrenditi, ornino. — Bene, grasso! — Bravo il grasso! — e facevano il tifo per Massimo. Il signore distinto e milionario diceva con tono di conoscitore: — Boh! Boh! Boh! Allora Pic cominciò a brontolare: — Sarà, ma quel piumino li dev'essere un furbo che si conserva il colpo per dopo. Secondo me vince lui. — Eh! Eh! — rise il milionario. — Si vede bene, ragazzo mio, che tu di pugilato non ne capisci niente! — Ah, sí? E io le dico che quell'omino vince! — Son disposto a scommettere cinquanta lire. — Anche cento. — Vada per cento. Proprio in quel minuto, si vide Piuma sferrare un sinistro, e Massimo traballò e cadde a terra. Anchise contò solennemente fino a dieci, ma l'infelice Massimo rimase fermo come un morto. Piuma era vincitore! Allora tutti gridarono: — Bene Piuma! Evviva Piuma! — Si vedevano tutto intorno sventolare i fazzoletti; Piuma fu sollevato in trionfo, e le ali del mulino cominciarono a girare in fretta. Piuma si accorse perfino che sulla fronte gli stava crescendo una stella. Era la gloria, amici! La Gloria! Intanto il milionario, a malincuore, prese cento lire dalla sua borsa d'oro e le porse a Pic. L'infelice Massimo non dava ancora segno di vita; Piuma provò a dargli un piccolo calcio, ma il suo buon amico non si mosse. Allora Piuma cominciò a pensare : « Che sia morto per davvero? Che sia morto d'appetito? » E si provò a fischiare sottovoce l'Inno dei sette vincitori, che era il loro fischio di famiglia. Niente. Il buon Piuma tremò dalla paura, e, chinandosi sul suo ottimo e unico amico, chiamò singhiozzando: — Massimo! Massimo! — Ehi, stupido! — rispose Massimo a bassa voce. — Non capisci che faccio per sembrare « K. O. » sul serio? — e aperse mezzo occhio. Proprio con quel mezzo occhio aperto vide una cosa terribile. Ascoltate! Vide il perfido Pic, il « gangster », che se ne scappava, e stava già dietro il mulino, con un foglio da cento in mano. Allora il disgraziato si alzò d'improvviso e, dando calci e pugni a tutti quanti, corse dietro a Pic, e Piuma gli correva dietro, e tutti gli altri, quantunque

Documenti umani

244223
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
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Andrea Ludovisi si mise in mezzo agli amici, e terminando di abbottonare il suo guanto: - Ora - disse - andiamo a vedere le armi.

Pagina 60

Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245377
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
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Allora, mentre l'uomo tornava a legare e rimettere il portafoglio nella tasca che ebbe cura di abbottonare bene, ella mi accennò di ridarle il taccuino. Ma io non glielo diedi: non c'era più nulla da scrivere, per conto mio. Ella si alzò e andò a prendere il calamaio e un quaderno; era il quaderno dei suoi conti, poichè ella non aveva altra carta, e lo rivolse dalla parte inversa ancora intatta; poi si mise a scrivere. Scriveva, scriveva, con la testa reclinata, i poveri capelli grigi irradiati dalla luce della lampada. Io vedevo l'ombra del pennino correre e battere sulla carta come un becco nero; e aspettavo che ella finisse, ma non avevo curiosità di leggere. Per me tutto era detto: non c'era che una soluzione sola, davanti alla mia coscienza, ed io l'avevo proposta. Se non l'accettavano, che cosa volevano da me? Mi mandassero pure in carcere; ero pronto a tutto. L'uomo aveva rimesso la mano sul bastone e seguiva anche lui con gli occhi la mano della zia: finalmente ella ebbe finito la paginetta; ma non quello che aveva ancora da dire: scosse il quaderno per asciugare ancora lo scritto, lo avvicinò alla lampada, volse poi il foglio e continuò. La cosa era lunga! E quando tutto fu detto, io dovetti aspettare ancora, perchè la zia lesse dapprima all'uomo quello che aveva scritto: e I'uomo approvava con la testa; in ultimo dovette fare qualche osservazione perchè qualche riga fu aggiunta a quelle già scritte, poi il quaderno passò in mani mie. Lessi con calma: mi pareva non si trattasse più di me. "Si tratta di una cosa grave, ed io non credevo che tu potessi macchiarti di un delitto così vile. Hai rovinato una fanciulla innocente, laboriosa e onorata: la ragazza è fidanzata ad un suo giovane cugino che fortunatamente non la vede spesso, perchè sta in Romagna. "Essa dice che troverà il modo di rompere questa promessa di matrimonio, perchè non vuole ingannare il giovane: però di te non vuole saperne. Ti odia. Le hai destato tanto terrore che, dopo il tuo delitto, è rimasta parecchio tempo malata. Non ha però rivelato nulla alla sua famiglia finchè i segni della sua sciagura non si sono palesati. Per fortuna aveva il tuo biglietto per difendersi, altrimenti il padre l'avrebbe uccisa. "Adesso si tratta di questo: d'incaricarci noi della creatura, quando nascerà. La famiglia della ragazza farà di tutto per occultarne la disgrazia: ma alle conseguenze dobbiamo pensare noi. "Io sono povera, lo sai: fintanto che si trattava di aiutare te solo, mi riusciva facile; ma adesso non saprei come fare e declino ogni responsabilità,,. Io scrissi sotto le parole della zia: "Non inquietatevi. Mi incaricherò io della creatura,,. La zia lesse e mi guardò, di sotto in su, senza più nascondere una vaga espressione di compatimento e di derisione; ma dovette scorgere sul mio viso qualche cosa dî mutato, di grave, perchè anche lei si rifece seria; e porse all'uomo il quaderno, con una certa soddisfazione, come se la promessa che era sgorgata spontanea dalla mia coscienza me l'avesse strappata lei con le sue parole. E l'uomo lesse, senza mutare aspetto, poi lestamente strappò il foglio dal quaderno, lo piegò in quattro e lo mise in tasca. L'atto fu così rapido e naturale che non mi diede tempo d'impedirlo e neppure di protestare. Del resto io non avevo intenzione di ingannare nessuno: e stetti fermo a guardare quei due, che riprendevano a parlare. La zia ogni tanto tendeva la mano verso di me e pareva ripetesse la sua ultima frase scritta; ma l'ometto oramai era sicuro che, giunto il momento ella mi avrebbe aiutato. Finalmente egli si alzò, appoggiando forte le mani al bastone. Allora mi accorsi che era quasi un nano; ma con le mani e i piedi così grandi che non sembravano suoi. E su quei grossi piedi egli si teneva come un piedestallo, mentre in quelle sue mani ossute, pietrose, doveva concentrare una forza enorme: ed io pensavo che il progetto di liberarsi della creatura, senza noie, doveva essere tutto suo: forse Fiora non voleva, non doveva volere; ma egli la costringeva a tanto: forse Fiora non mi odiava, com'egli diceva, forse era una vittima più sua che mia. Decisi subito di andare a cercarla; dopo tutto ne avevo il diritto: ma mi guardai bene di farlo sapere. Mi sentivo anch'io furbo: forse perchè pensavo che la zia e l'ometto lo erano tanto. Anche la zia si alzò, rimise a posto la sua sedia, accompagnò l'uomo fino alla porta: e nell'andarsene egli mi salutò con un solo cenno del capo; ma il suo sguardo fu così vivo e penetrante che mi si cacciò fin dentro l'anima: sguardo d'odio e tuttavia di fiducia in me. Alla mia volta io pensavo di vincerli tutti e due; con l'astuzia, ma vincerli. Intanto rimanevo fermo al mio posto. - Vattene, gnomo, - gli dicevo con gli occhi; - vattene, immagine viva della mia disgrazia; torna nella notte donde sei venuto: io ti porterò via la creatura, ma ti porterò via anche tua figlia; sono mie tutte e due, e voglio averle e le avrò: non so come, ma le avrò, a dispetto tuo e della mia disgrazia. Domani.... II riavvicinarsi della zia mi ruppe in mente propositi per il domani. Cauta, come se l'ometto fosse ancora lì, si chinò sul tavolino e scrisse sul quaderno. "Hai fatto bene a promettere: ma come manterrai? E se non manterrai ti metteranno in carcere. L'unico rimedio è di andartene in America: io ti aiuterò.,, Mi fece leggere; poi a imitazione dell'ometto ridusse a pezzi il foglio. Io non risposi, e forse ella credette che prendessi tempo a pensare, ad accettare la sua proposta. Io non risposi, perchè non avevo nulla da cambiare alla risposta già data. Però quando sollevai gli occhi a guardare in viso la zia, essa mi sembrò brutta e deforme; più dello gnomo che se n'era andato. Perchè non voleva ch'io facessi il mio dovere, che era anche il mio piacere? Era una cosa tanto semplice, il farlo! Anche se io non riuscivo a trovare da lavorare e guadagnare, si poteva prendere con noi la creatura. Che cosa costava? Coi denari che ella voleva darmi per fuggire in America, si poteva allevarla. E perchè mai la zia, che amava le sue bestie, che aveva preso me in pura perdita, non voleva la mia povera creatura? Ma ella forse voleva combattere d'astuzia con l'ometto; e voleva anche vincerlo.

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