Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbondava

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Lo stralisco

208522
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Bevve una coppa del vino dolcissimo che sempre abbondava, con altre leccornie, sulla mensa, e si stese a dormire con un respiro simile al rantolo. Smaniò per qualche minuto, sudando, cercando aria e frescura. Nel buio si tolse ogni indumento. In faticosi sussulti, che lentamente si fecero meno ampi e dolenti, si addormentò. Sognò terribilmente. Era il Sultano: non Maometto Secondo ma un Sultano altrettanto grande e potente, e gridava: «Gentile Bellini!» E sognò che lui, Gentile, andava davanti al Sultano: ed era l'uno e l'altro insieme, come nei sogni può accadere. «Cosa desideri, potente Sultano?» diceva Gentile. «Io ho tredici favorite bellissime, — rispondeva. — Bellissime tutte davvero: ma ciascuna di loro ha una parte perfetta: Usila ha i piedi piú preziosi, Neha le gambe piú armoniose, Haima il deretano piú seducente, Efa il ventre piú eccitante, Samah la schiena piú liscia e nobile, Masila il seno meglio formato, Tesmè le spalle piú levigate, Darsa le braccia piú tornite, Vahede le mani piú eleganti, Iuda il collo piú slanciato, Vedua i capelli piú morbidi, Haniema il volto piú fine e la tredicesima gli occhi piú belli». «Come si chiama la tredicesima?» chiedeva Gentile, e intanto suonava sul liuto un'aria di festa, una melodia padovana che ben conosceva. «Che ti importa del nome? Essa ha gli occhi piú belli», diceva il Sultano. «E che devo fare, luminoso signore?» Ora Gentile non aveva piú liuto, ma le mani piene di dadi da gioco, come un bambino può averle colme di ciottoli di fiume. «E che cosa vorresti fare? Che altro sai fare?» diceva il Sultano. «I Sultani sono meno arroganti dite», protestava Gentile. «Che sai tu dell'arroganza dei Sultani? Tu non sei che un pittore: fammi dunque il ritratto di una donna che abbia i piedi di Usila, le gambe di Neha, il deretano di Haima, il ventre di...» «Basta! Ho capito! — gridava Gentile sudando. — Io non lo so fare! Non lo posso fare! » «E chi sei per non saperlo fare? Certo lo farai: io sono il tuo Sultano, quella la tela, quelli i pennelli, ed ecco laggiú le tredici ragazze, nude come Allah le ha create. Avanti, prima che scappino per il prato...» «Ma come si chiama la tredicesima, signore?» «Guarda, scappano! Corri con quel pennello, presto, maledetto incapace! » E Gentile correva in un gran prato, mentre le tredici donne scappavano: di una vedeva il ventre, di una la faccia senza occhi, di una il deretano, di una i capelli. Tutte, però, lo guardavano correndo, e ridevano. Ma lui non aveva un pennello fra le dita. Aveva un coltello, e correndo gridava: «Come potrò dipingere con un pennello cosí pesante e tagliente? Ah, rovinerò la tela, e forse mi ferirò le mani! » All'improvviso il Sultano, correndo con il coltello, si fermò, e gridò: «Io sono il Sultano, tu devi correre: tu sei il pittore! » E lanciò a Gentile il coltello, colpendolo al ventre. Dolorante, cadde rotolando su un corpo di donna nudo, ma in cui non si distinguevano né piedi né mani, né schiena né ventre, né volto né capelli: era un corpo di solo sguardo. «Come ti chiami? — gridava Gentile, piangendo per il dolore al ventre ferito. — Sei tu la tredicesima, vero?» Poi rotolò da un pendio, e trovò molte donne sedute nell'erba, quiete, vestite, col volto coperto, e tutte si mettevano nella bocca velata delle briciole rosse. «Sí, abbiamo mangiato il nostro signore, — dicevano, parlando insieme come un coro di vestali. — Ora puoi tornare a Venezia, se lo desideri. Laggiú è già tempo della festa di Maggio». «E voi? Non verrete con me?» «Noi dobbiamo, in verità, masticare e masticare, — rispondevano in coro. — Finché mastichiamo, lui non rinasce». E una gli porse un orecchio esangue. «Mangia, se vuoi, il tuo viaggio è lungo». Gentile prese l'orecchio, e senti che era freddo come il ghiaccio. «Posso portarlo alla festa di Maggio?» disse, piangendo, poi si svegliò, infreddolito, tremante. Una spinta intestinale doleva forte nel ventre. Si alzò, inciampò nella veste che aveva gettato a terra prima di addormentarsi. Cadde sul tappeto, senza farsi male. Tornò in piedi e corse nella piccola camera a bugliolo. Appena seduto cominciò a scaricarsi con violenza: già il dolore al ventre passava. Guardava la piccola candela nella boccia di vetro rosato che illuminava le pareti arabescate della stanzetta. Senti venire, dalle capanne sparse sulla riva dello stretto, sotto il palazzo, un limpido canto di gallo.

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