Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbondanza

Numero di risultati: 9 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Mitchell, Margaret

221432
Via col vento 9 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Era in buona salute, aveva denaro in abbondanza, ed aveva ancora Ashley, benché lo vedesse sempre meno. Anche l'imbarazzo che era sempre stato tra loro dal giorno del disgraziato ricevimento di Melania, non la turbava piú, perché sapeva che finirebbe col dileguarsi. No, il suo timore era tutto diverso: somigliava stranamente a quello del suo vecchio incubo, quando si trovava a correre nella nebbia densa col cuore che le scoppiava, cercando un rifugio introvabile. Ricordò che Rhett l'aveva sempre presa in giro per i suoi terrori. Ricordò il conforto che le davano il suo largo petto bruno e le sue forti braccia. E si volse verso di lui con occhi che lo videro veramente per la prima volta da parecchie settimane. Constatò un mutamento che la colpí. Quell'uomo non avrebbe potuto ridere né avrebbe potuto darle conforto. Per un certo tempo, dopo la morte della bambina, la collera che provava verso suo marito e la preoccupazione del proprio dolore, le avevano consentito soltanto di parlargli cortesemente dinanzi alla servitú. Ricordava continuamente i rapidi passettini di Diletta e la sua risata squillante; e non pensava che egli pure ricordava, e con un dolore maggiore del suo. Durante quelle settimane si erano incontrati e avevano parlato gentilmente, come estranei che si incontrano fra le pareti di un albergo e dividono lo stesso tetto e la stessa tavola, ma non hanno gli stessi pensieri. Sentendosi sgomenta e abbandonata, ella avrebbe voluto, se le fosse stato possibile, spezzare quella barriera; ma trovò che egli conservava la distanza, come se non avesse voluto scambiare con lei altre parole che non fossero quelle superficiali. Ora che la sua collera andava diminuendo, ella desiderava dirgli che lo riteneva innocente della morte della bimba. Provava il bisogno di piangere fra le sue braccia e di affermargli che anche lei era stata orgogliosa dell'abilità di amazzone della figliola, anche lei era stata indulgente alle sue insistenze. Avrebbe voluto umiliarsi, e riconoscere che gli aveva lanciata quell'accusa dal fondo della propria disperazione, nella speranza di alleviare il proprio dolore. Ma non trovava mai il momento opportuno. Egli la guardava con occhio cosí indifferente che non le dava la possibilità di parlare. E le scuse rimandate diventano sempre piú difficili e finalmente impossibili. Egli era raramente in casa. Le poche volte che cenavano insieme, Rhett era generalmente ubriaco. La sua ubriachezza non era piú quella di una volta, che lo rendeva gentile, ma mordente, e gli faceva dire cose divertenti e maliziose, che la costringevano a ridere suo malgrado. Ora era un'ubriachezza cupa e silenziosa. A volte lo sentiva rientrare a cavallo all'alba nel cortile posteriore, e battere alla porta dell'abitazione dei servi, affinché Pork lo aiutasse a salire le scale e lo mettesse a letto. Metterlo a letto! Rhett che aveva sempre fatto ubriacare gli altri senza scomporsi e poi li aveva aiutati a coricarsi! Mentre una volta era sempre impeccabile, adesso era spesso sciatto e in disordine; ci voleva tutta l'energia scandalizzata di Pork per fargli, cambiare la camicia prima di andare a cena. Aveva fatto gli occhi infiammati del bevitore di whisky e la linea della sua mascella si andava deformando per il grasso malsano che la invadeva. Il suo corpo agile e muscoloso cominciava a diventare molle e rilassato. Spesso non tornava affatto a casa, o mandava un biglietto per avvertire che avrebbe passato la notte fuori. Certamente rimaneva a smaltire la sbornia in qualche camera sopra uno spaccio di bevande alcooliche; ma Rossella immaginava sempre che egli fosse in casa di Bella Watling. Una volta le era capitato di vedere Bella in una bottega; una donna grossolana e appassita, che aveva perduto gran parte della sua bellezza; ma malgrado il belletto e l'abito appariscente il suo aspetto era gentile e l'espressione quasi materna. Invece di abbassare gli occhi o di guardarla con aria di sfida come facevano le altre donne allegre quando si trovavano dinanzi alle signore, Bella aveva ricambiato il suo sguardo, fissandola con un'espressione quasi compassionevole che aveva fatto salire le fiamme al volto di Rossella. Ma ora non poteva accusarlo; non poteva adirarsi, chiedergli fedeltà né svergognarlo, come non poteva scusarsi di averlo incolpato della morte di Diletta. Si sentiva oppressa da un'apatia stupefatta, da un'infelicità che non riusciva a comprendere, un'infelicità piú profonda di qualunque cosa ella avesse mai conosciuto. Era abbandonata come non era mai stata. E aveva paura di non potersi piú rivolgere a nessuno, eccettuato a Melania. Perfino Mammy, il suo principale appoggio, era tornata a Tara. Tornata per rimanervi. Non aveva dato spiegazioni della sua partenza. I suoi occhi stanchi avevano guardato con tristezza Rossella, quando le aveva chiesto i danari per il biglietto ferroviario. Alle lagrime, alle suppliche di Rossella che le chiedeva di rimanere, Mammy aveva solo risposto: «Mi pare di sentire miss Elena che dire: "Mammy, vieni a casa; tuo compito essere finito". Cosí io andare a casa». Rhett che aveva udito il discorso, le diede il denaro e le accarezzò un braccio. - Hai ragione, Mammy, miss Elena ha ragione. Il tuo compito qui è finito. Vai a casa. Se hai bisogno di qualche cosa fammelo sapere. - E poiché Rossella prorompeva in nuove insistenze: - Taci, sciocca! Lasciala andare! Come vuoi che qualcuno rimanga volentieri in questa casa.... adesso? Nei suoi occhi era una luce cosí strana e cosí viva, che Rossella indietreggiò sgomenta. - Dottor Meade, credete che possa... che abbia perso il cervello? - interrogò piú tardi, trascinata a consultare il dottore dalla propria inquietudine. - No, - disse il medico; - ma beve come un otre e se non la smette si ammazzerà. Voleva molto bene alla bimba, Rossella; e scommetto che beve per dimenticarla. Quello che vi consiglio è di dargli un altro bambino piú presto che potrete. - Ah! - esclamò Rossella amaramente, nell'uscire dallo studio. Era piú facile a dirsi che a farsi. Sarebbe ben contenta di avere un altro bambino, molti altri bambini, se in tal modo avesse potuto togliere quell'espressione dagli occhi di Rhett e riempire gli spazi dolorosi del proprio cuore. Un bimbo che avesse la bruna bellezza di Rhett, e un'altra piccina. Sí, un'altra piccina, bella, gaia, vivace, piena di risa, non come quella scioccona di Ella! Perché Dio non aveva preso Ella, se doveva toglierle uno dei suoi figli? Ella non le dava alcun conforto ora che Diletta era scomparsa. Ma sembrava che Rhett non desiderasse un'altra creatura. Almeno, non veniva mai nella sua camera, quantunque la porta non fosse mai chiusa, ma anzi socchiusa in maniera invitante. Pareva che non vi tenesse. Che non tenesse a nulla, se non al whisky e a quella donna sciupata coi capelli rossi. Era diventato amaro, mentre prima era piacevolmente beffardo; brutale, mentre le sue frecciate erano una volta temperate dalla celia. Dopo la morte di Diletta, molte signore del vicinato che erano state attratte dalle maniere graziose che aveva con la sua piccina, desiderarono mostrargli la loro simpatia. Lo fermavano per istrada per dirgli delle parole gentili o gli rivolgevano un saluto dai loro porticati o dai cortili. Ma ora che Diletta era scomparsa, anche le sue buone maniere scomparvero. Egli rispondeva brevemente e con asprezza ai saluti e alle condoglianze piú affettuose. Ma, cosa strana, le signore non si offesero. Comprendevano o credevano di comprendere. Quando lo vedevano passare al tramonto, tanto ubriaco che a stento si reggeva in sella, scansando quelli che volevano salutarlo, dicevano: - Povero diavolo! - e raddoppiavano i loro sforzi per essere buone e gentili. Provavano molta pena per lui che nel suo crepacuore non trovava a casa altro conforto che Rossella. Tutti sapevano quanto ella fosse fredda e senza cuore; ed erano inorriditi dell'apparente facilità con cui si era rimessa dal colpo provato per la morte della figliuola, non accorgendosi o non volendosi accorgere dello sforzo che si nascondeva dietro a quella tranquillità. Rhett aveva tutte le simpatie della città; cosa di cui non gli importava nulla. Rossella aveva le antipatie generali e, per una volta, avrebbe accolto ben volentieri la cordialità dei vecchi amici. Invece nessuno andava da lei, eccetto zia Pitty, Melania e Ashley. Solo i nuovi amici vennero, nelle loro magnifiche carrozze, ansiosi di mostrarle la loro solidarietà, di distrarla con pettegolezzi sul conto di altri amici di cui non le importava nulla. Tutti quei «nuovi venuti», tutti quegli estranei! Non la conoscevano. Non la conoscerebbero mai. Non sapevano che cos'era stata la sua vita prima di raggiungere quella salda posizione nella bella casa di Via dell'Albero di Pesco. Ed essi non le parlavano di quella che era stata la loro vita prima di avere i ricchi broccati e gli eleganti equipaggi. Ignoravano le sue lotte, le sue privazioni, tutto ciò che dava valore oggi alla grande casa, ai vestiti lussuosi, all'argenteria, ai ricevimenti. Non sapevano. Gente venuta chi sa da dove, che viveva alla superficie delle cose, che non aveva in comune con lei ricordi di guerra, di fame, di lotte, che non aveva radici che sprofondavano nella stessa terra rossa. Nella sua solitudine, le sarebbe piaciuto passare i pomeriggi con Maribella o con Fanny, con la signora Elsing o la signora Whiting e perfino con la temibile e bellicosa signora Merriwether. O con la signora Bonnell o... con qualsiasi delle vecchie amiche e vicine. Perché esse sapevano. Avevano conosciuto la guerra, il terrore, l'incendio, avevano visto morire persone care prima del tempo; erano state affamate e stracciate, avevano vissuto col lupo dietro alla porta. E avevano ricostruito la loro fortuna dalle rovine. Sarebbe un conforto sedere con Maribella, ricordando che anche questa aveva perduto un bimbo, morto nella pazza fuga dinanzi all'esercito di Sherman. Sarebbe un sollievo la presenza di Fanny, poiché entrambe avevano perduto il marito nei tremendi giorni della legge marziale. Sarebbe una triste gioia ridere con la signora Elsing, ricordando il viso della vecchia signora mentre spingeva a pazza corsa il suo cavallo il giorno in cui Atlanta era caduta, mentre il bottino di viveri presi al commissariato veniva disseminato per istrada. E sarebbe piacevole discorrere con la signora Merriwether, ormai sicura per la produzione della sua panetteria; piacevole dire: - Vi ricordate come andavano male le cose subito dopo la resa? Vi ricordate quando non sapevamo come avremmo fatto per procurarci un paio di scarpe? E guardate adesso come stiamo! Sí, sarebbe piacevole. Ora comprendeva perché, quando due ex-confederati si incontravano, parlavano della guerra con sollievo, con orgoglio, con nostalgia. Erano stati giorni che avevano messo alla prova i loro cuori; ma essi li avevano superati. Erano veterani. Anche lei era una veterana, ma non aveva camerati coi quali rievocare le vecchie battaglie. Oh, essere nuovamente con la propria gente, con la gente che era passata attraverso le stesse vicende e di cui conosceva i patimenti... eppure sapeva quanta parte di se stesso ciascuno vi aveva lasciato! Ma tutti costoro, non sapeva come, si erano allontanati. Capiva che era colpa sua. Non se ne era mai curata finora... ora che Diletta era morta ed essa era sola e spaurita; e vedeva dall'altra parte della sua lucente tavola da pranzo un estraneo bruno e ubriaco che dileguava dinanzi ai suoi occhi.

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Quantunque avesse una grande abbondanza di corteggiatori, non si era mai sentita piú avvilita. Non riusciva a capir come i suoi progetti della sera prima fossero miseramente falliti per quanto concerneva Ashley. Ella aveva attratto altri giovani a dozzine, ma non Ashley; e tutti i timori di ieri tornavano a invaderla facendo battere il suo cuore velocemente e facendo arrossire e impallidire a volta a volta le sue fresche guance. Ashley non aveva in alcun modo tentato di unirsi al circolo che ella aveva attorno; ed ella non aveva scambiato una parola sola con lui da quando era arrivata, dopo il loro primo saluto. Si era avanzato a salutarla quando la giovinetta era entrata nel giardino posteriore; ma dava il braccio a Melania la quale gli giungeva appena alla spalla. Era costei una creatura snella e fragile, che dava l'impressione di una bimba che avesse indossato per mascherarsi le enormi gonne a cerchi di sua madre; illusione che veniva aumentata dall'espressione timida, quasi sgomenta dei suoi occhi neri troppo grandi. Aveva una massa di riccioli bruni talmente stretti nella rete, che non ne sfuggiva neanche uno; e quella massa scura che si addensava sulla nuca lasciando il viso disadorno, ne accentuava la forma triangolare, per gli zigomi troppo larghi e il mento troppo appuntito. Era un viso dolce e timido, ma non bello; ed ella non aveva furberie femminili che facessero dimenticare agli osservatori la sua scarsa bellezza. Sembrava - ed era - semplice come la terra, buona come il pane, trasparente come acqua di fonte. Ma nonostante i suoi lineamenti non belli e la statura insufficiente, vi era nel suo modo di fare una tranquilla dignità che era stranamente commovente, e molto al disopra dei suoi diciassette anni. La sua veste di organza grigia, con la sciarpa di raso color ciliegia attorno alla vita, nascondeva coi suoi drappeggi e le sue pieghe quanto il suo corpo aveva di troppo infantile; e il cappello giallo coi lunghi fiocchi pure color ciliegia, rischiarava la sua carnagione avorio. I pesanti orecchini d'oro coi lunghi pendenti scendevano sotto le trecce strettamente ravviate, che giravano sulla fronte molto vicino agli occhi, i quali avevano il tranquillo splendore di un laghetto in una foresta durante l'inverno, quando le foglie brune si specchiano nell'acqua tranquilla. Aveva sorriso timidamente salutando Rossella e facendole un complimento per il suo abito verde; e questa aveva stentato a risponderle gentilmente tanto era violento il suo desiderio di parlare sola con Ashley. Da allora, Ashley era rimasta seduto su uno sgabello ai piedi di Melania, lontano dagli altri invitati, parlando tranquillamente con lei e sorridendo di quel sorriso un po' stanco che Rossella amava. Ciò che peggiorava le cose si era che sotto a quel sorriso gli occhi di Melania si erano un po' animati, sicché perfino Rossella fu costretta ad ammettere che era quasi graziosa. Quando Melania guardava Ashley, il suo viso si illuminava come di una fiamma interna; se mai un volto rivelò un cuore innamorato, questo era il volto di Melania Hamilton. Rossella tentò di guardare altrove; ma non poté; dopo ogni sguardo il suo brio andava aumentando; ella rideva, diceva delle cose spinte, scherzava coi suoi cavalieri, scuoteva la testa ai loro complimenti, agitando i lunghi orecchini. Esclamò ripetutamente: «Sciocchezze!» dichiarando che nessuno di loro era sincero, e giurando che non credeva nulla di quanto le dicevano gli uomini. Ma Ashley non sembrò accorgersi di lei. Alzava soltanto lo sguardo verso Melania e le parlava; e Melania abbassava lo sguardo su lui con un'espressione che affermava la sua dedizione. Cosí, Rossella era infelice. Per un osservatore esteriore, mai una fanciulla aveva avuto minor motivo di esserlo. Indubbiamente era la piú bella della riunione, il centro dell'attenzione generale. In qualsiasi altro momento l'entusiasmo degli uomini, insieme all'irritazione delle altre ragazze le avrebbe fatto un enorme piacere. Carlo Hamilton, reso ardito dalla sua cortesia, si era piantato alla sua destra rifiutando di lasciarsi sloggiare dagli sforzi combinati dei gemelli Tarleton. Teneva in una mano il ventaglio di Rossella e nell'altra il suo piatto di porchetta e rifiutava caparbiamente d'incontrare gli occhi di Gioia, la quale sembrava che stesse per scoppiare in lacrime. Claudio era graziosamente sdraiato alla sua sinistra, tirandole ogni tanto la gonna per richiamare la sua attenzione e guardando Stuart con occhi di fuoco. Fra lui e i gemelli vi era già una certa elettricità, nell'aria, ed erano state scambiate parole aspre. Franco Kannedy strepitava intorno come una gallina con un pulcino, correndo avanti e indietro dalla quercia alle tavole per prendere delle leccornie che dovevano tentare Rossella, come se non vi fossero una dozzina di servi per questo scopo. Come risultato, il cupo risentimento di Súsele aveva oltrepassato il limite di sopportazione femminile ed ella fissava sua sorella con occhi incandescenti. La piccola Carolene avrebbe pianto perché, contrariamente alle parole incoraggianti che Rossella le aveva detto al mattino, Brent non aveva fatto altro che dirle «Hallò, piccola,» e tirare il nastro dei capelli, prima di rivolgere tutta la sua attenzione a Rossella. Di solito egli era tanto buono e la trattava con una negligente deferenza che le dava l'impressione di essere una persona grande, e Carolene sognava segretamente il giorno in cui si sarebbe rialzata i capelli e avrebbe messo le gonne lunghe; allora avrebbe potuto riceverlo come un vero corteggiatore. E adesso invece era Rossella che se lo teneva accanto. Le ragazze Munroe celavano il loro dispiacere per la defezione dei bruni ragazzi Fontaine, ma erano annoiate della maniera in cui Tony e Alessandro stavano attorno al circolo aspettando di poter prendere posto vicino a Rossella, qualora uno degli altri si fosse alzato per un attimo. Telegrafarono a Etta Tarleton la loro disapprovazione per la condotta di Rossella, sollevando delicatamente le sopracciglia. La sola parola adatta per definirla era «sfacciata.» Simultaneamente le tre signorine alzarono i loro ombrellini di pizzo, dissero che avevano mangiato abbastanza, grazie, e posando leggermente le dita sul braccio dell'uomo che avevano piú vicino, dichiararono dolcemente che volevano vedere il giardino delle rose, il padiglione di primavera e quello d'estate. Questa ritirata strategica in buon ordine fu notata da tutte le donne presenti e da nessun uomo. Rossella rise fra i denti vedendo tre uomini rapiti al suo fascino e condotti a contemplare luoghi familiari alle fanciulle fin dalla loro infanzia. Lanciò uno sguardo acuto verso Ashley per capire se se ne fosse accorto: ma egli stava giocherellando con la sciarpa di Melania, e le sorrideva. Un dolore acuto le strinse il cuore. Sentí che sarebbe stata capace di graffiare con gioia la pelle di avorio di Melania, sino a farla sanguinare. Volgendo lo sguardo; incontrò quello di Rhett Butler, che non si era mescolato con la folla, ma conversava in disparte con John Wilkes. La stava osservando e quando ella lo guardò, rise clamorosamente. Rossella ebbe la spiacevole sensazione che quell'uomo che non era ricevuto, fosse il solo fra i presenti che sapesse ciò che si nascondeva sotto alla sua selvaggia gaiezza, e che questo gli procurasse un divertimento beffardo. Avrebbe graffiato con piacere anche lui. «Se posso resistere a questa riunione fino al pomeriggio,» pensò «tutte le ragazze andranno di sopra a fare un riposino per essere fresche stasera ed io rimarrò giú e riuscirò a parlare con Ashley. Certamente egli avrà notato come sono corteggiata.» Calmò il suo cuore con un'altra speranza: «Senza dubbio, dev'essere premuroso con Melania, perché dopo tutto è sua cugina e non ha corteggiatori; e se egli non si occupasse di lei, rimarrebbe a far parete.» Riprese coraggio a questo pensiero e raddoppiò i suoi sforzi in direzione di Carlo, i cui occhi neri la fissavano avidamente. Era una giornata magnifica per Carlo, una giornata di sogno, ed egli si era innamorato di Rossella senza sforzo alcuno. Dinanzi a questa nuova emozione, Gioia scompariva in una nebbia cupa: era un passero dalla voce stridula, mentre Rossella era un usignolo che gorgheggiava. Lo stuzzicava, lo favoriva, e gli rivolgeva delle domande a cui rispondeva lei stessa, sicché egli appariva intelligente senza dover dire una parola. Gli altri giovinotti erano perplessi e indispettiti da questo evidente interesse di Rossella per lui, poiché sapevano che Carlo era troppo timido per cucire assieme due parole, ed essi mettevano a dura prova la loro educazione per nascondere l'ira crescente. Tutti ardevano per quella fanciulla, e se non vi fosse stato Ashley, Rossella avrebbe goduto un autentico trionfo. Quando l'ultimo boccone di porchetta, di pollo, e di montone fu mangiato, Rossella sperò che Lydia si alzasse per dire alle signore di ritirarsi in casa. Erano le due e il sole era caldissimo; ma Lydia, stanca dopo tre giorni di preparativi per la riunione, era troppo contenta di poter stare un po' seduta sotto l'albero, parlando a voce altissima con un vecchio gentiluomo di Fayetteville, sordo come una campana. Una pigra sonnolenza discendeva sulla folla. I negri indugiavano sparecchiando le lunghe tavole su cui erano state le vivande. Le risate e le conversazioni diventavano meno animate; qua e là alcuni gruppi erano silenziosi. Tutti aspettavano dalla loro ospite il segnale che la prima parte della festa era finita. I ventagli di palma si agitavano piú lentamente, e parecchi vecchi signori lasciavano penzolare il capo per il sonno e per lo stomaco carico. Il banchetto era terminato, e tutti provavano il desiderio di riposarsi mentre il sole era alto nel cielo. In questo intervallo tra la festa della mattina e il ballo della sera tutti sembravano placidi e tranquilli. Solo i giovinotti conservavano la instancabile energia che fino a poco prima aveva animato tutti quanti. Muovendosi fra i gruppi, trascinando le parole con la loro voce dolce, erano belli come stalloni di sangue e altrettanto pericolosi. Il languore del meriggio pesava sull'elegante accolta, ma sotto a questa tranquillità si nascondevano temperamenti che potevano in un attimo balzare ad altezze straordinarie e infiammarsi con la stessa rapidità. Uomini e donne erano belli e selvaggi, tutti un po' violenti sotto le loro buone maniere, e solo in parte domati. La conversazione stava morendo, quando nella calma temporanea si udí la voce di Geraldo levarsi in accenti furibondi. A breve distanza dalle tavole, egli era al culmine di una discussione con John Wilkes. - Per la camicia di Giove! Desiderare un accordo pacifico con gli yankees! Dopo che abbiamo scacciato quei mascalzoni dal Forte Sumter? Pacifico? Il Sud mostrerà con le armi che non vuole essere insultato e che non si scinde dall'Unione per bontà di questa, ma per la propria forza! «Oh, Dio, ci siamo!» pensò Rossella. «Ora si rimane seduti qui fino a mezzanotte.» In un attimo la sonnolenza era scomparsa e qualche cosa di elettrico aveva attraversato l'aria. Gli uomini balzarono dai banchi e dalle sedie; furono braccia che si agitavano a larghi gesti e voci che proclamavano il diritto di farsi udire al di sopra delle altre. In tutta la mattina non si era parlato né di politica né di guerra perché il signor Wilkes aveva desiderato che non si annoiassero le signore. Ma ora Geraldo aveva urlato le parole «Forte Sumter» e tutti i presenti dimenticarono l'ammonimento dell'ospite. - Certo combatteremo... - Yankees ladri... - Ce ne sbarazzeremo in un mese... - Figuriamoci, un meridionale può tener testa a venti yankees... - Dargli una lezione che non dimenticheranno... - Pacifico? Ma sono loro che non ci lasciano in pace... - Avete visto come Mr. Lincoln ha insultato i nostri Commissari?... - Sí, li ha portati in giro per delle settimane, giurando che avrebbe fatto evacuare Forte Sumter!... - Vogliono la guerra: la avranno... - E sopra a tutte le voci, dominava quella di Geraldo. Tutto ciò che Rossella riusciva a udire era «Diritti di Stato, per Dio!» urlato sempre piú forte. Geraldo gongolava; ma non cosí sua figlia. Secessione... guerra... Da un pezzo queste parole erano diventate un vero incubo per Rossella; ma ora le odiava addirittura, perché il loro suono significava che ormai gli uomini sarebbero rimasti lí per delle ore a discutere; e lei non avrebbe avuto nessuna opportunità di trarre in disparte Ashley. Certamente la guerra non vi sarebbe, e gli uomini lo sapevano. Ma piaceva a loro di parlare e di ascoltarsi parlare. Carlo Hamilton non si era alzato con gli altri. Trovandosi relativamente solo con la ragazza, le si avvicinò e, con l'audacia nata dal nuovo amore, le sussurrò la sua confessione. - Miss O'Hara... io... ho già deciso che se faremo la guerra, dovrò andare nella Carolina del Sud e unirmi a quelle truppe. Si dice che il signor Wade Hampton stia organizzando uno squadrone di cavalleria e certamente io desidero andare con lui. È un grand'uomo ed era il migliore amico di mio padre. Rossella pensò: «E che cosa crede che io faccia adesso? Che gridi evviva?» L'espressione di Carlo mostrava che egli le stava rivelando i segreti del suo cuore; ma ella non seppe che cosa dirgli e si limitò a guardarlo, chiedendosi perché gli uomini sono tanto sciocchi da credere che le donne si interessano di queste storie! Egli credette che la sua espressione significasse muta approvazione e continuò rapidamente, audacemente: - Se andassi... vi dispiacerebbe, miss O'Hara? - Bagnerei di lagrime tutte le notti il mio guanciale - rispose Rossella facendo la disinvolta; ma Carlo prese le sue parole per moneta contante e arrossí di gioia. La mano di lei era nascosta fra le pieghe della sua veste; egli la cercò e la strinse, stupito della propria temerità e della condiscendenza di lei. - Pregherete per me? «Che idiota!» pensò amaramente Rossella, lanciando attorno uno sguardo furtivo, nella speranza che qualcuno venisse a salvarla da quella conversazione. - Sí o no? - Ma sí, certo, Mr. Hamilton! Almeno tre rosari per sera! Carlo si guardò attorno e irrigidí i muscoli del petto trattenendo il fiato. Erano praticamente soli; ed egli non avrebbe mai piú avuto una fortuna simile. E, anche se Domineddio gliel'avesse fatta avere, forse il coraggio gli sarebbe mancato. - Miss O'Hara... debbo dirvi una cosa... Vi... vi amo! - Hm? - fece Rossella distratta, cercando di vedere, attraverso la folla di uomini che ragionavano, se Ashley era ancora seduto ai piedi di Melania. - Sí - bisbigliò Carlo, in estasi perché ella non aveva riso, né era svenuta né aveva emesso un grido, come egli aveva sempre immaginato che ogni fanciulla dovesse fare in simili circostanze. - Vi amo! Siete la piú... la piú... - e per la prima volta in vita sua le parole non gli mancarono... la piú bella fanciulla che io abbia mai conosciuta, e la piú cara e la piú buona e la piú gentile; ed io vi amo con tutto il cuore. Non posso sperare che voi amiate uno come me, ma se voi, cara, vorrete darmi il piú piccolo incoraggiamento, io farò tutto al mondo per farmi amare da voi. Voglio... Si interruppe perché non riuscí a pensar nulla di abbastanza difficile per convincere Rossella della profondità dei propri sentimenti; quindi disse semplicemente: - Desidero sposarvi. Rossella tornò alla realtà con un sussulto, al suono della parola «sposarvi». Stava pensando al matrimonio e ad Ashley, e guardò Carlo con malcelata irritazione. Perché quel cretino col viso di vitello veniva ad annoiarla coi suoi sentimenti proprio in quel giorno in cui lei era cosí preoccupata che le sembrava di perdere il cervello? Guardò gli occhi bruni supplichevoli e non comprese affatto la bellezza del primo amore di un ragazzo timido, dell'adorazione di un ideale divenuto realtà, della felicità e della tenerezza che mettevano in quegli occhi una fiamma. Rossella era abituata agli uomini che le chiedevano di sposarla, uomini piú attraenti di Carlo Hamilton, uomini che avevano la delicatezza di non fare una domanda di matrimonio durante un convito all'aperto, mentre lei aveva da pensare a tante altre cose piú importanti. Vide soltanto un ragazzo di vent'anni, rosso come un peperone e con l'aria molto sciocca. Ebbe il desiderio di dirgli quanto era idiota. Ma automaticamente le salirono alle labbra le parole che Elena le aveva insegnato a dire in simili circostanze, e abbassando pudicamente gli occhi, per forza di abitudine, mormorò: - Mr. Hamilton, sono molto sensibile all'onore che mi fate chiedendomi di diventar vostra moglie; ma la cosa è per me talmente inattesa che non so che cosa dirvi. Era un modo grazioso di accarezzare la vanità di un uomo e di tenerlo sulla corda; e Carlo abboccò a quell'amo come se fosse nuovo ed egli fosse il primo a inghiottirlo. - Aspetterò quanto vorrete! Voglio che siate sicura di voi... Ditemi che posso sperare, miss O'Hara! - Hm - fece Rossella, i cui occhi di lince osservavano in quel momento Ashley, il quale non si era alzato per prender parte alla discussione degli uomini sulla guerra e stava sorridendo a Melania. Se questo stupido che stava cercando di ottenere la sua mano tacesse un minuto, forse le riuscirebbe di udire ciò che quei due stavano dicendo. Doveva udirlo. Che cosa diceva Melania per destare negli occhi di lui quell'espressione di interessamento? Le parole di Carlo soverchiavano le voci che ella anelava di udire. - Oh, ssst! - gli bisbigliò pizzicandogli una mano senza neanche guardarlo. Spaventato e vergognoso, Carlo arrossí al rabbuffo; poi, vedendo gli occhi di lei fissi su sua sorella, sorrise. Rossella temeva che qualcuno potesse udire le sue parole. Naturalmente era imbarazzata e timida, e l'idea che altri potessero udire la sgomentava. Carlo si sentí invadere da un'onda di mascolinità che non aveva mai provata, perché questa era la prima volta in vita sua che egli turbava una ragazza. L'emozione fu inebriante. Diede al suo volto quella che credeva essere un'espressione indifferente e prudentemente ricambiò il pizzicotto di Rossella per mostrarle che era uomo di mondo e che comprendeva e accettava il suo rimprovero. Ella non sentí neppure il pizzicotto, perché in quel momento udiva la dolce voce che costituiva il fascino principale di Melania: - Non sono d'accordo con te su Thackeray. È un cinico. E credo che non sia un signore come Dickens. «Che stupidi discorsi da fare a un uomo» pensò Rossella, pronta a ridere di sollievo. «Non è che una bas bleu, e tutti sanno che cosa pensano gli uomini delle bas bleu!» Per interessare un uomo e conservar vivo il suo interesse, bisognava parlargli di lui e poi gradatamente condurre la conversazione su se stessa... e mantenervela. Rossella si sarebbe allarmata se Melania avesse detto: «Sei straordinario!» oppure: «Come fai a pensare queste cose? Il mio cervellino scoppierebbe, se cercassi anch'io di pensarle!» Ed eccola lí, con un uomo ai suoi piedi, a parlare seriamente come se fosse in chiesa. La prospettiva apparve a Rossella piú brillante; tanto brillante che rivolse a Carlo degli occhi radiosi e un sorriso giocondo. Entusiasmato per questa prova di affetto, egli afferrò il suo ventaglio e lo richiuse con tanto ardore che ella si sentí drizzare i capelli. - Non ci avete favorito la vostra opinione, Ashley - disse Giacomo Tarleton volgendosi dal gruppo maschile vociferante; Ashley si scusò e si alzò. Nessuno era bello come lui - pensò Rossella osservando la grazia del suo atteggiamento negligente e i capelli e i baffi che il sole faceva scintillare. Anche gli uomini anziani si interruppero per ascoltare le sue parole. - Ebbene, signori miei, se la Georgia combatterà, andrò anch'io. Altrimenti perché fare parte dello Squadrone? - furono le sue parole. I suoi occhi grigi erano spalancati e la loro sonnolenza era scomparsa dando luogo a una vivezza che Rossella non aveva mai vista prima. - Ma, come il babbo, spero che gli yankees ci lasceranno in pace e che la guerra non si farà... - Alzò la mano con un sorriso, perché dai ragazzi Tarleton e dai Fontaine giungeva una babele di voci. - Sí sí, so che ci hanno insultati e che ci hanno mentito... ma se noi fossimo stati nei loro panni, come avremmo agito? Probabilmente nello stesso modo. «Eccolo, al solito» pensò Rossella. «Sempre la smania di mettersi nei panni degli altri.» Per lei, in ogni argomento non vi era che un solo lato. A volte non era punto d'accordo con Ashley. - Non ci scaldiamo troppo la testa e non cerchiamo la guerra. La maggior parte delle miserie del mondo è stata cagionata dalle guerre. E quando le guerre erano finite, nessuno sapeva piú la ragione che le aveva suscitate. Rosella arricciò il naso. Meno male che Ashley aveva una inattaccabile reputazione di coraggio; altrimenti le cose si sarebbero guastate. Mentre ella pensava questo, attorno ad Ashley si levò un clamore di voci dissenzienti e indignate. Sotto l'albero, il vecchio sordo percosse lievemente il ginocchio di Lydia. - Che c'è? - chiese. - Che stanno dicendo? - Guerra! - gli gridò Lydia nell'orecchio facendosi cornetto con la mano. - Vogliono far la guerra agli yankees! - La guerra? - gridò a sua volta il sordo cercando il suo bastone e alzandosi con maggiore energia di quanta ne avesse mostrata da anni. - Gliene parlerò io, della guerra. Vi sono stato. - Non capitava spesso a Mr. McRae l'occasione di poter parlare della guerra, perché le sue donne gli imponevano sempre il silenzio. Raggiunse rapidamente il gruppo, agitando il bastone e gridando e, siccome non udiva le voci degli altri, in breve fu padrone indisturbato del campo. - Ascoltatemi, giovani mangiatori di fuoco. Voi non potete volere la guerra. Io l'ho fatta e lo so. Quella contro i Seminoli; e fui tanto pazzo da fare anche la guerra messicana. Voialtri non sapete che cos'è la guerra. Credete che si tratti soltanto di cavalcare un bel cavallo, con le ragazze che vi gettano fiori chiamandovi eroe. Non è cosí, signori miei! Si tratta di soffrir la fame e di buscarsi polmoniti e malattie della pelle dormendo nell'umidità. E se non sono quelle, sono gli intestini che non vanno. Sí, signori; non potete immaginare che cos'è la guerra per gl'intestini degli uomini: dissenteria e cose del genere e... Le signore erano diventate rosse. Mr. McRae stava ricordando i momenti piú volgari della vita, come la nonna Fontaine con le sue sconcie flatulenze: momenti che ognuno preferiva dimenticare. - Corri a chiamare il nonno - sussurrò una delle figlie del vecchio gentiluomo a una bimba che le era accanto. - Vi assicuro - mormorò poi alle signore attorno - che va peggiorando ogni giorno. Credereste che stamattina ha detto a Maria (la quale ha solo sedici anni): «Ora, figliuola...» - e il resto della frase si perse in un sussurro, mentre la nipotina correva a cercar di indurre il nonno a tornare a sedere all'ombra. Nei gruppi che si affollavano intorno agli alberi, fanciulle che sorridevano e uomini che parlavano appassionatamente, una sola persona sembrava aver conservato la calma. Gli occhi di Rossella si volsero verso Rhett Butler che stava appoggiato a un albero con le mani sprofondate nelle tasche dei calzoni. Da quando John Wilkes si era allontanato, egli era rimasto solo e non aveva pronunciato parola mentre la conversazione si riscaldava. Le labbra rosse sotto i baffetti si increspavano e negli occhi neri passavano lampi di disprezzo divertito; come se ascoltasse delle chiacchiere infantili. «Un sorriso sgradevole» pensò Rossella. Egli continuò ad ascoltare tranquillamente, finché Stuart Tarleton, coi rossi capelli arruffati e gli occhi scintillanti, gridò: - Ce li leveremo dai piedi in un mese! I gentiluomini combattono sempre meglio della plebe. Un mese... macché, una battaglia... - Signori - interruppe senza muoversi dal suo posto Rhett Butler, con un accento strascicato che rivelava la sua nascita (Charleston) e senza togliersi le mani di tasca - posso dire una parola? Il gruppo si volse verso di lui e gli prestò ascolto con la cortesia dovuta a uno straniero. - Ha mai pensato, nessuno di voi, che non vi è una fabbrica di cannoni a sud della linea Mason-Dixon? E alle poche fonderie che vi sono nel Sud? E industrie per la lana o per il cotone o concerie? Avete mai pensato che non abbiamo una sola nave da guerra e che gli yankees possono imbottigliare i nostri porti in una settimana, sicché non potremmo piú vendere il nostro cotone all'estero? Ma... certamente avete pensato a queste cose. «Questo significa che i ragazzi sono una massa di stupidi!» pensò Rossella indignata; e il sangue le salí al volto. Evidentemente non era la sola ad aver quest'idea, perché parecchi giovinotti cominciavano a drizzar la cresta. John Wilkes lasciò il suo posto in maniera indifferente, ma avanzandosi rapidamente verso colui che aveva parlato, come per ricordare ai presenti che quell'uomo era suo ospite e che, inoltre, vi erano delle signore presenti. - Il torto di molti di noi meridionali - proseguí Rhett - è che non viaggiamo abbastanza e non approfittiamo abbastanza dei nostri viaggi. Tutti voi, certamente, avete viaggiato. Ma che cosa avete visto? L'Europa, Nuova York, Filadefia; e le signore, senza dubbio, sono state a Saratoga. - Si inchinò lievemente verso il gruppo sotto gli alberi. - Avete visto i musei, gli alberghi, i balli e le case da giuoco. E siete tornati a casa convinti che non vi fosse un altro luogo come il Sud. Quanto a me, sono nato a Charleston, ma ho passato questi ultimi anni nel Nord. - Un sorriso dei suoi denti candidi fece comprendere che egli era sicuro che tutti quanti sapevano perché egli non dimorava piú a Charleston, e non gl'importava nulla che lo sapessero. - Ho visto molte cose che voialtri non avete vedute. Migliaia di emigranti che sarebbero ben contenti di combattere per gli yankees avendone in cambio vitto e un po' di denaro; le fabbriche, le fonderie, i cantieri, le miniere di carbone e di ferro... tutte cose che noi non abbiamo. Quello che noi abbiamo è cotone, schiavi... e arroganza... In un mese ci batterebbero completamente. Un minuto di tensione silenziosa. Rhett Butler trasse dalla tasca della giubba un bel fazzoletto di lino e si spolverò distrattamente una manica. Quindi dalla folla sorse un mormorio minaccioso e da sotto gli alberi giunse un ronzio simile a quello di un'arnia disturbata. Benché Rossella sentisse ancora sulle guance il rosso calore della collera, pure qualche cosa nel suo spirito pratico le fece comprendere che quell'uomo aveva ragione e parlava con buonsenso. Infatti, ella non aveva mai visto una fabbrica né conosciuto nessuno che ne possedesse una. Ma anche se tutto ciò era vero, un gentiluomo non doveva fare queste dichiarazioni... soprattutto durante un ricevimento dove tutti si stavano divertendo. Stuart Tarleton si avanzò, con la fronte aggrottata, insieme con Brent. Senza dubbio, i gemelli erano dei ragazzi educati e non avrebbero fatto una scenata durante una riunione mondana, pur essendo provocati. Malgrado ciò, le signore erano piacevolmente eccitate, perché era ben raro, per loro, assistere a una scenata o a una lite. Di solito ne sentivano parlare di terza mano. - Che intendete dire, signore? - disse Stuart lentamente. Rhett lo guardò con occhio gentile ma beffardo. - Intendo dire che Napoleone... forse ne avete sentito parlare? dichiarò una volta «Dio è dalla parte del battaglione piú forte». - Quindi si volse a John Wilkes, con una gentilezza che non era finta: - Mi avevate promesso di mostrarmi la vostra biblioteca. Posso chiedervi il favore di mostrarmela adesso? Debbo tornare a Jonesboro piuttosto presto nel pomeriggio, a causa di un affare. Si volse fronteggiando la folla, batté i tacchi e si inchinò come un maestro di danza; un inchino grazioso in un uomo cosí forte, e insolente come un ceffone. Quindi attraversò il prato con John Wilkes, col nero capo eretto; e il suono della sua risata scoraggiante pervenne al gruppo che era rimasto presso le tavole. Vi fu un attimo di silenzio allarmato; quindi il ronzio ricominciò. Lydia si levò stancamente dalla sua sedia sotto l'albero e si avvicinò all'incollerito Stuart Tarleton. Rossella non udí le sue parole, ma l'espressione dei suoi occhi mentre ella lo fissava in volto diede una specie di rimorso alla sua coscienza. Era la stessa espressione di dedizione che aveva Melania quando guardava Ashley; ma Stuart non la vide. Dunque, Lydia lo amava. Rossella pensò che se lei non avesse civettato cosí sfacciatamente con Stuart l'anno scorso, a quella riunione politica, forse a quest'ora egli avrebbe sposato Lydia. Ma il rimorso si dileguò subito, col pensiero che dopo tutto non era colpa sua se le altre ragazze non sapevano trattenere gli uomini accanto a loro. Finalmente Stuart sorrise a Lydia, un sorriso involontario, e accennò di sí. Probabilmente Lydia lo aveva pregato di non seguire Mr. Butler e di non fare questioni. Un tumulto gentile si levò sotto agli alberi quando gli invitati si alzarono, scrollandosi dal grembo le briciole. Le signore maritate chiamarono le bambinaie e i bambini piccoli riunendo le loro covate per la partenza; gruppi di giovinette si misero in moto verso la casa, ridendo e chiacchierando, per recarsi nelle stanze da letto al piano di sopra a scambiar pettegolezzi e a fare un po' di siesta. Tutte le signore, eccetto la signora Tarleton, lasciarono l'ombra delle querce; Beatrice era trattenuta da Geraldo, da Calvert e da altri, che insistevano per aver da lei la risposta concernente i cavalli per lo Squadrone. Ashley si avviò lentamente verso il luogo ove sedevano Rossella e Carlo, con un sorriso curioso e divertito. - Un bell'arrogante, non è vero? - fece seguendo Butler con lo sguardo. - Sembra un Borgia. Rossella rifletté rapidamente, ma non ricordò nessuno della Contea o di Atlanta o di Savannah che si chiamasse cosí. - Non li conosco. È un loro parente? Chi sono? Una strana espressione si dipinse sul volto di Carlo, in cui incredulità e vergogna si trovarono a lottare con l'amore. Ma questo trionfò; egli si disse che per una ragazza bastava esser carina, dolce, e bella, anche se la sua istruzione era scarsa, e si affrettò a rispondere: - I Borgia erano italiani. - Ah, - fece Rossella disinteressandosi. - Stranieri. Rivolse ad Ashley il suo piú bel sorriso, ma egli non la guardava in quel momento. Guardava Carlo e sul volto era comprensione e un po' di compassione.

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Erano rimasti soltanto i vecchi, gli invalidi e le donne; queste passavano il loro tempo a far la maglia e a cucire, a coltivare con piú abbondanza cotone e grano e ad allevare maggior numero di maiali, pecore e mucche per l'esercito. Non si vedeva mai un vero uomo, eccetto quando una volta al mese veniva il commissario dello Squadrone, il maturo corteggiatore e di Súsele, Franco Kennedy, a rifornirsi di viveri. Gli uomini dei commissariati non erano molto eccitanti, e il timido corteggiamento di Franco la infastidiva fino a renderle difficile l'essere cortese nei suoi riguardi. Se almeno lui e Súsele si fossero decisi! Ma se anche il commissario dei viveri fosse stato piú interessante, ciò non avrebbe mutato la sua situazione. Ella era vedova, e il suo cuore era nella tomba; per lo meno tutti ne erano convinti e pensavano che ella dovesse agire in conformità. Ciò la irritava perché, per quanto cercasse, non riusciva a rammentare nulla di Carlo se non la sua espressione di vitello moribondo, quando ella gli aveva detto che lo avrebbe sposato. E anche questa immagine andava scomparendo. Ma era vedova e doveva sorvegliare il proprio contegno. I divertimenti delle ragazze non erano piú per lei. Doveva ormai essere grave e seria. Elena glie lo aveva fatto capire il giorno che aveva trovato il luogotenente di Franco che gironzolava con Rossella nel giardino e la faceva ridere di cuore. Profondamente colpita, Elena le aveva detto come era facile che si chiacchierasse sul conto di una vedova. La condotta di questa doveva essere assai piú circospetta di quella di una donna con marito. «E Dio solo sa» pensò Rossella mentre ascoltava ubbidiente la dolce voce di sua madre «che le donne sposate non si divertono affatto; dunque per le vedove tanto vale morire.» Una vedova doveva portare degli orribili vestiti neri senza neanche una guarnizione per ravvivarli, né fiori né nastri né pizzi e neanche gioielli: soltanto spille di onice o collane fatte coi capelli del defunto. E il velo di crespo nero che portava sulla cuffia, doveva arrivarle alle ginocchia e poteva essere accorciato solo dopo tre anni di vedovanza, per giungere all'altezza delle spalle. Le vedove non potevano chiacchierare vivamente né ridere forte. Anche quando sorridevano, il loro doveva essere un sorriso triste e tragico, e - questa era poi la cosa piú terribile - non potevano in nessun modo mostrare di provar piacere nella compagnia maschile. E se qualche uomo fosse cosí indelicato da mostrare dell'interessamento, ella doveva ghiacciarlo con un dignitoso riferimento al ricordo del proprio marito. «Oh, sí,» pensava Rossella tristemente. «Vi sono delle vedove che si rimaritano, ma quando sono vecchie e raggrinzite. E Dio solo sa come vi riescono, con tutti i vicini che si occupano sempre di loro! E di solito è con qualche vecchio vedovo desolato, il quale deve badare a una grande piantagione e a una dozzina di bambini.» Il matrimonio era già una brutta cosa; ma la vedovanza... Oh, allora la vita era finita per sempre! Come erano sciocchi quelli che le dicevano che il piccolo Wade Hampton doveva esserle di gran conforto ora che Carlo non c'era piú, e com'erano noiosi dicendole che ora aveva uno scopo nella vita! Tutti affermavano che doveva essere assai dolce per lei avere questo pegno postumo del suo amore; e naturalmente ella non li disingannava. Ma questo pensiero era il piú lontano di tutti dalla sua mente. S'interessava pochissimo a Wade e qualche volta stentava perfino a ricordarsi che era suo. La mattina, quando si svegliava, nei primi momenti di dormiveglia era ancora Rossella O'Hara; il sole brillava tra i rami della magnolia dinanzi alla sua finestra, i merli cantavano e il piacevole odore del lardo fritto saliva alle sue narici. Era di nuovo giovane e spensierata. Quindi udiva un vagito affamato, e vi era sempre in lei un attimo di sorpresa durante il quale pensava: «Ma come, c'è un bambino in casa!» E allora si ricordava che era suo. E Ashley! Oh, piú di tutto Ashley! Per la prima volta in vita sua ella detestò Tara, detestò la lunga strada rossa che conduceva dalla collina al fiume, detestò i campi purpurei coi verdi germogli del cotone. Ogni palmo di terreno, ogni albero ed ogni ruscello, ogni viale ed ogni sentiero le ricordavano lui. Egli apparteneva ad un'altra donna ed era andato alla guerra, ma il suo spirito vagava ancora sulle strade nel crepuscolo e le sorrideva coi suoi occhi grigi e sonnolenti nell'ombra del porticato. Ogni volta che lo strepito di zoccoli le giungeva dalla strada delle Dodici Querce, per un dolce attimo ella pensava: Ashley! Ora odiava le Dodici Querce, che una volta aveva amato. Le odiava, ma vi era trascinata, per poter udire John Wilkes e le ragazze parlare di lui; udir leggere le sue lettere dalla Virginia. Le facevano male ma voleva udirle. Le erano antipatiche Lydia cosí rigida e Gioia scioccherella e chiacchierona, e sapeva di essere ugualmente antipatica a loro. Ma non poteva rimanerne lontana. Ed ogni volta che tornava a casa dalle Dodici Querce, si metteva a letto di malumore e rifiutava di alzarsi per andare a cena. Questo rifiuto di mangiare era quello che maggiormente preoccupava Elena e Mammy. Mammy le portava dei vassoi pieni di cibi allettanti, insinuando che adesso che era vedova poteva mangiare quanto voleva; ma Rossella non aveva appetito. Quando il dottor Fontaine disse gravemente a Elena che il dolore spesso può minare un temperamento florido e condurlo alla tomba, la signora O'Hara impallidí, perché questo era il timore che ella nascondeva nel profondo del cuore. - E non si può far nulla, dottore? - Un cambiamento d'aria sarebbe la miglior cosa per lei - rispose il dottore, ansioso di liberarsi di un'ammalata cosí restia. E cosí Rossella, senza entusiasmo, partí col suo bambino, prima per recarsi a visitare i suoi parenti O'Hara e Robillard a Savannah e poi per andare presso le sorelle di Elena a Charleston. A Savannah furono gentili con lei, ma Giacomo e Andrea e le loro mogli erano vecchi e amavano sedere tranquillamente a parlare di un passato che non aveva alcun interesse per Rossella. Lo stesso fu coi Robillard; e Charleston fu addirittura terribile. Zia Paolina e suo marito, un piccolo vecchio pieno di una cortesia formale e volubile e con l'aria assente di una persona che vivesse in un altro secolo, abitavano in una piantagione sul fiume, molto piú isolata di Tara. I loro vicini piú prossimi abitavano a una distanza di venti miglia che bisognava percorrere attraverso foreste vergini, paludi, boschi di cipressi e di querce. Le querce, con i loro drappeggi di musco grigio, davano sempre i brividi a Rossella, e le ricordavano le storie di Geraldo di spiriti irlandesi erranti fra le nebbie color di cenere. Non vi era nulla da fare tutto il giorno se non lavorare a maglia; e la sera ascoltare lo zio Carey che leggeva ad alta voce le opere istruttive di Bulwer Lytton. Eulalia, nascosta in un giardino dalle alte mura in una grande casa presso la Batteria di Charleston, non era piú divertente. Rossella, abituata all'ampio paesaggio di colline rossastre, ebbe l'impressione di essere in prigione. Vi era qui piú vita sociale che presso zia Paolina; ma Rossella non provava alcuna simpatia per i visitatori, con le loro tradizioni, le loro arie, le loro enfasi a proposito della famiglia. Sapeva che tutti la ritenevano il prodotto di una «mésalliance» e che erano ancora stupefatti che una Robillard avesse sposato un volgare irlandese. Rossella sentiva che la zia Eulalia la scusava dietro le spalle; cosa che la irritava perché, come suo padre, ella non teneva affatto all'aristocrazia della famiglia. Ed era fiera di ciò che Geraldo era riuscito a fare senz'altro aiuto se non il suo astuto cervello d'irlandese. E anche quelli di Charleston se la prendevano tanto per il Forte Sumter! Dio mio, ma non capivano che se non fossero stati loro a commettere la sciocchezza di sparare le prime fucilate che avevano portato alla guerra, vi sarebbero stati altri pazzi che lo avrebbero fatto? Abituata alle voci acute della Georgia dell'altipiano, le voci gravi e strascicate della pianura le davano noia. In certi momenti aveva voglia di urlare. Durante una visita di cerimonia giunse a un tal punto di esasperazione che ricorse al dialetto di Geraldo, con gran scandalo di sua zia. Allora decise di ritornare a Tara. Meglio essere tormentata dal ricordo di Ashley che dall'accento di Charleston. Elena, occupata giorno e notte a raddoppiare il prodotto della piantagione per aiutare la Confederazione, fu terrorizzata quando si vide tornare a casa la figlia maggiore, magra, pallida e inasprita. Aveva avuto ella pure il cuore spezzato; quindi, coricata accanto a Geraldo che russava, passava la notte a cercare che cosa potrebbe fare per alleviare il dolore di Rossella. La zia di Carlo, Pittypatt Hamilton, aveva scritto parecchie volte chiedendole di permettere a Rossella di recarsi ad Atlanta per un lungo soggiorno; ed ora, per la prima volta, Elena considerò con serietà la proposta. «Sono sola con Melania nella vasta casa - scriveva Miss Pittypatt - senza protezione maschile ora che il caro Carlo è morto. È vero che c'è mio fratello Enrico, ma non abita con noi. Forse Rossella vi ha parlato di Enrico. La delicatezza mi vieta di scrivere lungamente sul suo conto. Melly ed io ci sentiremo piú tranquille e sicure con Rossella in casa. Tre donne sole stanno meglio di due. E forse Rossella troverà un po' di sollievo al suo dolore, curando - come fa Melly - i nostri bravi soldati negli ospedali di qui... E poi, Melly ed io desideriamo tanto di vedere il caro piccino...» Cosí il baule di Rossella fu chiuso di nuovo con dentro i suoi abiti da lutto, ed ella partí per Atlanta con Wade Hampton, la sua bambinaia Prissy, una quantità di avvertimenti sul suo contegno da parte di Elena e di Mammy e cento dollari in biglietti della Confederazione datile da Geraldo. Non desiderava particolarmente di andare ad Atlanta. Riteneva zia Pittypat la piú noiosa vecchia che dar si potesse; e l'idea di vivere sotto lo stesso tetto con la moglie di Ashley le ripugnava. Ma la Contea, con tutti i suoi ricordi, era un soggiorno impossibile; e qualsiasi mutamento era il benvenuto.

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Vi è da mangiare in abbondanza e sono fornite di medicinali e di coperte... - Oh, lo so che sono ben provvisti! - esclamò Melania con amarezza. - Ma non danno niente ai prigionieri. E voi lo sapete, Mr. Kennedy; ma parlate cosí per tranquillizzarmi. Se si potessero fare scomparire gli yankees dalla faccia della Terra! Che volete, sono certa che Ashley è... - Non lo dire! - gridò Rossella col cuore in gola. Finché nessuno diceva che Ashley era morto, in lei sussisteva una debole speranza che egli vivesse ancora; ma le sembrava che se quelle parole fossero pronunciate, in quel momento egli morrebbe. - Non vi preoccupate per vostro marito, Mrs. Wilkes - intervenne il monocolo. - Io fui catturato nei primi tempi e poi fui scambiato; e mentre ero in prigione mangiavo polli e focacce... - Bugiardo! - E Melania accennò a un sorriso. E poi, per cambiare argomento: - Se vogliamo andare in salotto, vi canterò qualche canzone di Natale. Il pianoforte è la sola cosa che gli yankees non hanno potuto portar via. Dev'essere terribilmente stonato; vero, Súsele? - Terribilmente - rispose Súsele, sorridendo a Franco. Si alzarono per passare nell'altra stanza; sulla soglia Franco trattenne Rossella per la manica. - Posso parlarvi un momento a quattr'occhi? Per un attimo ella ebbe il timore che l'ufficiale volesse chiederle le sue provviste di vettovaglie; e si preparò a mentire coraggiosamente. Rimasero soli dinanzi al caminetto; e tutta la falsa gaiezza che aveva animato il volto di Franco Kennedy scomparve. Rossella ebbe l'impressione di trovarsi dinanzi a un vecchio. Egli si tirò un momento le fedine grige e si raschiò la gola prima di parlare. - Mi dispiace molto di vostra madre, miss Rossella... - Non ne parliamo, vi prego! - E vostro padre... è cosí da quando...? - Sí... non è piú in sé... Ma vi supplico... - Scusate, miss Rossella. - E stropicciò i piedi nervosamente. - Ma il fatto è... Insomma, volevo dire qualche cosa a vostro padre, ma capisco che è inutile. - Forse potete parlare con me, Mr. Kennedy. Oramai... sono io il capo di casa. - Ecco... - e Franco ricominciò a tirarsi la barba. - Volevo... volevo chiedergli la mano di miss Súsele. - Ma come! - esclamò Rossella stupita. - Non gliel'avevate ancora chiesta? E le fate la corte da tanti anni! Egli arrossí e sorrise imbarazzato, come un ragazzo timido. - Ma... non sapevo se... se vostra sorella era disposta... Io sono molto piú vecchio di lei... E c'erano tanti giovinotti che giravano qui intorno... «Bah!» pensò Rossella. «Venivano per me, non per lei!» - E non so neanche adesso se... se mi vuole. Non gliel'ho mai domandato, ma... credo che lei sappia qual è il mio sentimento. Miss Rossella, io non ho piú nulla. Avevo molto denaro - scusatemi se ne parlo - ma non mi è rimasto altro che il mio cavallo e l'abito che ho addosso. Quando mi arruolai vendetti la maggior parte della mia proprietà e investii il denaro in titoli della Confederazione; e voi sapete che cosa valgono oggi. Meno della carta su cui sono stampati. D'altronde, non ho neppure questi, perché sono andati bruciati quando gli yankees incendiarono la casa di mia sorella. So che ho torto a chiedere miss Súsele oggi, ma... Non so che cosa succederà di noi quando la guerra sarà finita. Mi sembra la fine del mondo: non siamo sicuri di nulla. Però... penso che potrebbe essere un conforto per me e forse anche per lei se fossimo fidanzati. Non chiedo di sposarla finché non potrò essere in grado di mantenerla; e non so quando ciò potrà accadere. Ma se il vero amore può equivalere alla ricchezza, vi assicuro che Súsele, da questo punto di vista, sarà ricca come nessun'altra al mondo. Disse queste ultime parole con una dignità che commosse Rossella, benché le sembrasse strano che qualcuno potesse amare sua sorella. Questa le sembrava un mostro di egoismo e di perversità. - Va bene, Mr. Kennedy - rispose tranquilla. - Credo di potervi rispondere a nome di mio padre. Egli ha sempre avuto simpatia per voi ed era sicuro che Súsele vi avrebbe sposato. - Davvero? - esclamò Franco, felice. - Senza dubbio - e nascose un sorriso ricordando quante volte Geraldo aveva brontolato perché lo spasimante di Súsele non si decideva a manifestare le sue intenzioni. - Le parlerò stasera - proseguí egli, con le labbra un po' tremanti. Poi prese la mano di Rossella e la strinse. - Siete molto buona, miss Rossella. - Adesso ve la mando - e Rossella si avviò verso il salotto, da cui giungeva suono del pianoforte e la voce di Melania che cantava un inno. Bruscamente si volse verso Kennedy. - Che avete voluto significare dicendo che vi pare la fine del mondo? - Vi parlerò con franchezza - cominciò Franco lentamente - ma non vorrei che spaventaste le altre signore ripetendo loro quello che vi dirò. La guerra non può piú durare a lungo: non abbiamo piú uomini e i disertori sono numerosissimi; molto di quanto si voglia riconoscere. Non vi sono viveri, e senza mangiare non si può combattere. Lo so perché sono addetto appunto al vettovagliamento. Ho percorso in tutti i sensi questa regione da quando abbiamo ripreso Atlanta: non vi è di che nutrire un uccellino. E lo stesso è per trecento miglia a sud di Atlanta. Il popolo muore di fame; le ferrovie sono distrutte; non abbiamo piú fucili, le munizioni si stanno esaurendo e non vi è cuoio per le scarpe... Perciò, siamo alla fine. La fine delle speranze della Confederazione turbò Rossella meno delle notizie sulla scarsità di viveri. Se quanto diceva Franco era vero, era inutile mandare Pork col denaro degli Stati Uniti a cercare di procurare qualche cosa... Ma Macon non era caduta. A Macon dovevano esservi dei viveri. Appena il commissario del dipartimento fosse ripartito, ella manderebbe Pork a Macon. Pazienza: correrebbe il rischio che il cavallo fosse requisito dall'esercito! Ma valeva la pena di tentare. - Bene, non parliamo di cose spiacevoli stasera, Mr. Kennedy - disse. - Andate nello studietto della mamma; vi manderò Súsele, cosí potrete... insomma, avrete un colloquio con lei. Sorridendo, rosso di emozione, Franco uscí dalla stanza: Rossella lo seguí con lo sguardo. «Peccato che non possa sposarla adesso» pensò. «Sarebbe una bocca di meno in casa.»

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Tutto il mondo chiedeva cotone, e il nuovo terreno della Contea, fertile e non sfruttato, ne produceva in abbondanza. Il cotone era la pulsazione del cuore del paese; la semina e il raccolto erano la sistole e diastole della vermiglia terra. Dai solchi sinuosi veniva la ricchezza e anche l'arroganza; arroganza fondata sui verdi cespugli e sugli ettari di un bianco fioccoso. Se il cotone poteva farli ricchi in una generazione, quanto piú ricchi sarebbero nella prossima! La certezza dell'indomani dava entusiasmo e gioia di vivere; e la gente della Contea godeva la vita con un fervore che Elena non riuscí mai a comprendere. Avevano abbastanza denaro e abbastanza schiavi per avere anche il tempo di divertirsi; e si divertivano volentieri. Sembrava che non fossero mai tanto occupati da dover mancare a una partita di pesca, a una caccia o a una corsa di cavalli: ed era raro che passasse una settimana senza la sua riunione a base di porchette arrostite e il suo ballo. Elena non avrebbe mai potuto o voluto diventare simile a loro - aveva lasciato a Savannah troppo di se stessa - ma li rispettava e, col tempo ammirò la franchezza e la rettitudine di quel popolo che aveva poche reticenze ed apprezzava un uomo per quel che valeva. Divenne la signora piú amata della Contea. Era una vigile ed economa padrona di casa, una buona madre e una moglie devota. L'altruismo che avrebbe dedicato alla Chiesa fu invece consacrato al servizio dei suoi figliuoli, della sua casa e dell'uomo che l'aveva allontanata da Savannah e dai suoi ricordi e non le aveva mai rivolto alcuna domanda. Quando Rossella ebbe un anno - piú sana e vigorosa di qualsiasi altra bambina, secondo Mammy - nacque la seconda bambina di Elena, Susanna Eleonora, sempre chiamata Súsele, e, alla debita distanza, venne Carolene, iscritta nella Bibbia familiare come Carolina Irene. Seguirono poi tre maschietti, ognuno dei quali morí prima di avere imparato a camminare; tre bambini che ora dormivano sotto i cedri contorti, nel cimitero a cento metri dalla casa, sotto tre pietre ciascuna delle quali portava l'iscrizione «Geraldo O' Hara, Jr.» Dal giorno in cui Elena giunse a Tara, il luogo fu trasformato. Benché avesse solo quindici anni, ella era nondimeno pronta per tutte le responsabilità di una padrona di piantagione. Anche allora, prima del matrimonio, le ragazze dovevano essere soprattutto belle, gentili, decorative; ma dopo sposate, bisognava che fossero in grado di dirigere un'azienda domestica che contava oltre cento persone, fra bianchi e negri; e venivano educate in vista di questo. Elena aveva ricevuto quella preparazione per il matrimonio che veniva data a tutte le fanciulle di buona nascita; inoltre aveva con sé Mammy, la quale, con la sua energia, era capace di galvanizzare il negro piú inetto. In breve ella portò nel governo della casa di Geraldo ordine e dignità e diede a Tara una bellezza che non aveva mai avuta prima. La casa era stata costruita senza alcun piano architettonico prestabilito, aggiungendo delle camere quando occorrevano; ma con l'attenzione e la cura di Elena, acquistò un fascino speciale che derivava appunto dalla sua mancanza di disegno. Il viale di cedri che conduceva dalla strada principale alla casa - quel viale di cedri senza il quale nessuna casa di piantatore georgiano sarebbe stata completa - spandeva un'ombra cupa e fresca che per contrasto dava maggior vivezza e splendore al verde degli altri alberi. Il convolvolo che si arrampicava sulle verande appariva di un verde chiaro sul bianco delle mura; e insieme ad esso il rosa dei cespugli di ibisco accanto alla porta e le magnolie dai candidi fiori che si ergevano sulla spianata, nascondevano alquanto le linee goffe dell'edificio. In primavera e in estate il trifoglio e l'erba medica del prato diventavano color smeraldo, di uno smeraldo cosí seducente che rappresentava una tentazione irresistibile per i branchi di tacchini e di oche bianche che avrebbero, in realtà, dovuto abitare solo le regioni dietro alla casa. I volatili tentavano sempre delle clandestine avanzate sulla spianata, attratti dal verde dell'erba e dalla seducente promessa dei cespugli di gelsomini del Capo e delle aiuole di zinnie. Contro le loro ruberie era stata installata sotto al porticato una piccola sentinella nera. Il bambino seduto sui gradini, armato di un grande straccio bianco, faceva parte del quadro di Tara; ma era molto infelice perché gli era proibito di inseguire i gallinacei e doveva limitarsi a gridare e ad agitare lo straccio per spaventarli. Elena addestrava a questo còmpito dozzine di bambini negri: era il primo ufficio con una responsabilità che gli schiavi maschi avessero a Tara. Dopo i dieci anni venivano mandati dal vecchio Daddy, il ciabattino della piantagione per imparare il suo mestiere, o da Amos, il carpentiere, o da Filippo, il vaccaro, o da Cuffee, il guardiano delle mule. Se non mostravano attitudine per alcuno di questi mestieri, diventavano coltivatori e, nell'opinione dei negri, avevano perso il diritto a qualsiasi posizione sociale. La vita di Elena non era facile né felice; ma ella non si era aspettata che fosse facile, e quanto alla felicità, quello era il destino della donna. Il mondo era degli uomini ed ella lo accettava cosí. L'uomo era lodato per l'ordine della sua proprietà e la donna lodava la sua abilità. L'uomo rugghiava come un toro se una scheggia gli si ficcava in un dito e la donna soffocava i gemiti, quando metteva al mondo un figlio, per timore di disturbarlo. Gli uomini erano sgarbati e spesso ubriachi. Le donne ignoravano le cattive parole e mettevano gli ubriachi a letto senza parlare. Gli uomini erano rudi e brontoloni, le donne erano sempre buone, gentili e disposte a perdonare. Era stata educata nella tradizione delle grandi dame e le era stato insegnato a sopportare i propri dolori conservando il suo sorriso; ed ella intendeva che anche le sue tre figlie fossero, come lei delle vere signore. Con le figlie piú giovani era riuscita, perché Súsele desiderava tanto di essere piacente che prestava orecchio attento agli insegnamenti di sua madre, e Carolene era timida e facile da guidare. Ma, per Rossella, figlia di Geraldo, la via della signorilità fu dura. Con grande indignazione di Mammy, ella preferiva compagni di gioco che non fossero le sue ubbidienti sorelline o le bene educate fanciulle Wilkes, ma i bambini negri della piantagione e i maschietti del vicinato, ed era capace di arrampicarsi su un albero e di lanciar sassi. Mammy era molto turbata che la figlia di Elena avesse simili inclinazioni, e spesso la scongiurava di «condursi come una signora», ma Elena considerava la faccenda con una tolleranza piú lungimirante. Ella sapeva che i compagni d'infanzia sarebbero piú tardi diventati dei corteggiatori; e il primo dovere di una ragazza era sposarsi. Diceva quindi fra sé che la bimba era semplicemente piena di vita e che vi era tempo per insegnarle le arti e i modi che attraggono gli uomini. A tal fine Elena e Mammy riunirono i loro sforzi, e col passare degli anni, Rossella divenne una buona allieva, ma solo in questa materia, ché per tutto il resto imparava assai poco. Malgrado una successione di istitutrici e due anni trascorsi nella Accademia Femminile di Fayetteville, la sua educazione era incompleta; ma nessuna fanciulla della Contea parlava piú graziosamente di lei. Ella sapeva sorridere con garbo, camminare facendo ondeggiare i cerchi della sua gonna in modo attraente, sapeva guardare un uomo in faccia e poi abbassare gli occhi e battere le palpebre rapidamente in modo che sembrasse il tremito di una dolce emozione; e, soprattutto, aveva imparato a nascondere agli uomini un'intelligenza acuta sotto un viso dolce e semplice come quello di un bambino. Elena con la sua voce ammonitrice e Mammy con le sue costanti censure cercavano d'inculcare in lei le qualità che l'avrebbero resa veramente desiderabile come moglie. - Devi essere piú dolce, cara, piú remissiva - diceva Elena. - Non devi interrompere gli uomini che ti parlano, anche se credi di saperne piú di loro sull'argomento. Gli uomini non amano le ragazze troppo perspicaci. - Ragazze superbe che darsi arie e dire «voglio questo, voglio quello» di solito non trovare marito - profetizzava cupamente Mammy. - Le ragazze dovere abbassare occhi e dire «bene signore» e poi «Sí signore» e «avete ragione signore.» Le insegnarono dunque tutto ciò che una gentildonna doveva sapere, ma ella imparò soltanto la vernice della gentilezza. Non apprese mai la grazia interiore da cui questa gentilezza doveva sgorgare, e non vedeva neppure la ragione di apprenderla. Le apparenze bastavano, perché le apparenze della signorilità le acquistavano dei corteggiatori; ed ella non desiderava di piú. Geraldo proclamava che sua figlia era la piú bella di cinque Contee, e con un certo fondo di verità; infatti ella ebbe proposte di matrimonio da quasi tutti i giovani del vicinato ed anche da luoghi lontani, come Atlanta e Savannah. A sedici anni, grazie a Mammy e ad Elena, appariva gentile, simpatica e briosa, mentre in realtà era volontaria, vana e caparbia. Aveva ereditato la facile eccitabilità del padre irlandese e nulla della natura altruista e indulgente di sua madre, se non d'apparenza. Elena non si rese mai completamente conto che era soltanto una vernice, perché Rossella le mostrava soltanto il suo volto migliore, nascondendo le sue scappate, piegando il suo temperamento e apparendo in presenza di Elena piú dolce che poteva, perché sua madre, con un solo sguardo di rimprovero, riusciva a mortificarla fino alle lagrime. Ma Mammy non aveva illusioni sul suo conto ed era continuamente sul «chi vive» per le screpolature della vernice. Gli occhi di Mammy erano piú acuti di quelli di Elena, e Rossella non ricordava di essere mai riuscita ad ingannarla per molto tempo. Non che questi due mentori affettuosi deplorassero la vivacità, il fascino e la disinvoltura della giovinetta. Di tali qualità le donne meridionali andavano fiere. Erano invece preoccupate dalla natura impetuosa e dalla cocciutaggine di Geraldo che risorgevano in lei; e talvolta temevano che questi difetti non si sarebbero potuti nascondere prima che ella facesse un buon matrimonio. Ma Rossella intendeva sposarsi - e sposare Ashley - e perciò voleva apparire modesta, docile, e leggera, se queste erano le qualità che attraevano gli uomini. Non sapeva perché gli uomini fossero cosí; sapeva soltanto che questi metodi funzionavano. La cosa non l'interessò mai tanto da farle cercare la ragione di questo, poiché ella ignorava il lavorio interiore di ogni essere umano, e perfino il suo. Sapeva soltanto che se ella diceva o faceva «cosí - e cosà» gli uomini invariabilmente rispondevano col complimento «cosí - e cosà». Era come una formula matematica e non piú difficile di questa, perché la matematica era l'unica materia che era sembrata facile a Rossella quando andava a scuola. Se conosceva poco il raziocinio maschile, conosceva ancor meno quello femminile, perché le donne l'interessavano poco. Non aveva mai avuto un'amica e non ne aveva mai sentito la mancanza. Per lei tutte le donne, comprese le sue due sorelle, erano nemiche naturali che inseguivano la stessa preda: l'uomo. Tutte le donne, eccetto sua madre. Elena O'Hara era diversa, e Rossella la considerava come qualche cosa di sacro, fuori da tutto il resto del genere umano. Da bambina confondeva sua madre con la Vergine Maria, ed ora che era grande non vedeva ragione di mutare la sua opinione. Per lei Elena rappresentava la completa sicurezza che solo il cielo o una madre possono dare. Ella sapeva che sua madre era la personificazione della giustizia, della verità, della tenerezza affettuosa e della profonda saggezza: una gran dama. Rossella desiderava molto di essere come sua madre. La sola difficoltà era che essendo giuste e sincere, tenere e altruiste, si lasciavano sfuggire la maggior parte delle gioie della vita e senza dubbio si allontanavano molti corteggiatori. La vita era troppo breve per rinunciare a tante cose piacevoli. Un giorno, quando avesse sposato Ashley e fosse vecchia, un giorno, quando ne avrebbe il tempo, cercherebbe di essere come Elena. Ma fino allora...

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E dàgli del sorgo in abbondanza. Subito, cosí vedo mentre glielo dai. - Questo essere caffè privato e farina di mist' Johnnie - azzardò Rebecca sgomentata. - Di mister Johnnie, proprio?! Suppongo che anche il prosciutto sia suo. Fai quello che ti dico. Sbrigati. Johnnie Gallegher, venite con me fino al carrozzino. Attraversò lo spiazzo in disordine e si arrampicò nel veicolo, osservando con cupa soddisfazione che gli uomini strappavano il prosciutto a brandelli che ficcavano voracemente in bocca. Sembrava che temessero che qualcuno potesse da un momento all'altro rapir loro quel cibo. - Siete un vero furfante! - gridò furibonda a Johnnie che era accanto alla ruota, col cappello ricacciato indietro sulla fronte aggrottata. - E mi consegnerete il prezzo dei miei viveri. Per l'avvenire vi porterò le provviste giorno per giorno invece di mandarvi il necessario per un mese. Cosí non potrete truffarmi. - Per l'avvenire io non ci sarò. - Vi licenziate?! Ebbe l'impulso di gridare: «Tanto meglio!» ma la fredda mano della prudenza la trattenne. Che farebbe, se Johnnie se ne andasse? Con lui, era stato prodotto il doppio di legname di quanto se ne produceva sotto la gestione di Ugo. E proprio adesso ella aveva ricevuto una grande ordinazione, la piú grossa che avesse mai avuta; ed era urgente. Se Johnnie se ne andava, chi provvederebbe alla gestione dello stabilimento? - Sí, mi licenzio. Voi mi avete dato qui pieni poteri, e mi avete detto che da me non volevate altro se non la maggior quantità possibile di legname. Non mi avete detto allora che sistemi dovevo usare; e non intendo che veniate a dirmelo adesso. Non potete lagnarvi che io non abbia rispettato il contratto. Come ottengo il risultato, è cosa che non vi riguarda. Vi ho fatto guadagnare del denaro e ho ben guadagnato il mio salario... e quello che ho potuto arrangiare in piú. E adesso voi venite qui a immischiarvi, a rivolgere delle domande agli uomini, a distruggere la mia autorità. Come volete che, dopo questo, io possa conservare la disciplina? Che vi importa se occasionalmente qualcuno riceve un colpo di frusta? Sono degli indolenti che meritano anche di peggio. E se anche non sono rimpinzati?... Non meritano di meglio. O vi occupate degli affari vostri e lasciate che io mi occupi dei miei, o me ne vado stasera stessa. Il suo viso duro era piú spietato che mai; e Rossella si sentí incerta sul da farsi. «Che farò, se se ne va stasera? Non posso rimanere tutta la notte a guardia dei galeotti!» Evidentemente il suo volto rivelò il suo pensiero, perché l'espressione di Johnnie mutò alquanto e i suoi occhi sembravano meno crudeli. Anche la sua voce suonò meno aspra. - Si fa tardi, signora Kennedy; è meglio che andiate a casa. Non ci guasteremo per una piccola cosa come questa; vi pare? Potete trattenere dieci dollari sul mio stipendio del mese prossimo e siamo pari. Gli sguardi di Rossella andarono involontariamente al miserabile gruppo che stava divorando il prosciutto; poi pensò al malato. Avrebbe dovuto liberarsi di Johnnie Gallegher che era un ladro e un aguzzino. Chi sa che cosa faceva a quei disgraziati quando lei non c'era... Ma, d'altra parte era abile; e lei aveva bisogno di un uomo che sapesse il fatto suo. Inutile: ora non poteva mandarlo via. Soltanto, in avvenire sorveglierebbe che i forzati avessero le giuste razioni di vitto. - Vi tratterrò venti dollari - disse brevemente - e tornerò a discutere su questa faccenda di mattina. Raccolse le redini. Ma sapeva che non se ne sarebbe piú parlato. Era un affar finito; e anche Johnnie lo sapeva. Mentre percorreva il viottolo verso la strada di Decatur, la sua coscienza e il suo desiderio di guadagno combatterono un'aspra battaglia. Non vi era scopo ad esporre delle vite umane alla brutalità di quel piccolo uomo. Se uno di quei disgraziati moriva, ella sarebbe colpevole quanto lui, perché lo aveva lasciato a quel posto conoscendo i suoi mali trattamenti. Ma d'altra parte... d'altra parte, quegli uomini avevano il torto di essere dei forzati. Se avevano commesso dei delitti ed erano stati arrestati, meritavano ciò che loro capitava. Ciò in parte sollevò la sua coscienza; ma mentre percorreva la strada, i visi smunti dei forzati le tornarono dinanzi agli occhi. - Oh, vi penserò dopo! - si disse; e ricacciando il pensiero nel fondo piú recondito della sua mente, richiuse la porta del ripostiglio in cui nascondeva le immagini piú segrete.

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Ai ricevimenti di Rossella bevevano con abbondanza; e generalmente accadeva che uno o due ospiti dovessero rimanere a passare la notte nella casa. Non si ubriacavano alla stessa maniera degli uomini che Rossella aveva conosciuto nella sua infanzia: diventavano facilmente brutali od osceni; inoltre, per quante sputacchiere vi fossero nelle stanze, i tappeti mostravano sempre tracce di sugo di tabacco, la mattina seguente. Rossella li disprezzava ma ci si divertiva. Ne aveva sempre una quantità in casa, ma quando si seccava li mandava all'inferno, ed essi lo sopportavano. Sopportavano anche Rhett. Questi non esitava a frustarli con parole che non ammettevano replica. Poiché egli non si vergognava del modo col quale aveva fatto fortuna, pretendeva che essi pure non si vergognassero delle loro origini; e raramente si lasciava sfuggire l'opportunità di fare osservazioni su cose che era meglio lasciare nell'oscurità. Egli non si privava di osservare con affabilità mentre beveva un bicchiere di punch: «Se io avessi avuto piú buon senso, avrei guadagnato un patrimonio vendendo azioni delle miniere d'oro alle vedove e agli orfani, come avete fatto voi, Ralph, invece di correre tanti pericoli col contrabbando attraverso il blocco». «Bravo, Bill, ho visto che avete una nuova pariglia. Avete venduto ancora qualche migliaia di azioni di ferrovie inesistenti?» «Rallegramenti, Amos, per quel contratto che avete fatto col Governo. Peccato che abbiate dovuto ungere troppe ruote per ottenerlo.» Le signore lo trovavano odioso e insopportabilmente volgare. Gli uomini dicevano dietro alle sue spalle che era un porco e un pendaglio da forca. La nuova Atlanta non amava Rhett piú di quanto lo avesse amato la vecchia; ed egli non faceva alcun tentativo per conquistare le simpatie. Continuava per la sua strada, divertito e sprezzante, infischiandosi dell'opinione altrui. Per Rossella era ancora un enigma, ma un enigma intorno al quale non si scervellava piú. Era convinta che nulla gli piaceva né gli sarebbe mai piaciuto; che o desiderava qualche cosa senza averla, o non desiderava nulla. Egli rideva di tutto ciò che ella faceva, incoraggiava le sue stravaganze e le sue insolenze, prendeva in giro le sue pretensioni... e pagava i suoi conti.

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Il tempo caldo e asciutto faceva crescere il cotone a vista d'occhio; ma Will diceva che i prezzi sarebbero stati bassi, appunto per la grande abbondanza. Súsele aspettava un altro bambino (lo disse sottovoce perché i bimbi non capissero) e Ella aveva mostrato di avere uno spirito bellicoso mordendo la bimba piú grande di Súsele. Cosa che del resto - osservò Rossella - la bimba meritava, perché somigliava tutta a sua madre. Ma la madre si era arrabbiata, e fra le due sorelle era stata una lite che ricordava quelle degli antichi tempi. Wade aveva ucciso una biscia d'acqua: da solo! Randa e Camilla Tarleton facevano le insegnanti a scuola; uno scherzo, se si pensava che nessuno dei Tarleton aveva mai saputo leggere correntemente! Bettina Tarleton aveva sposato un grasso mutilato di Lovejoy; insieme con Hetty e con Jim Tarleton coltivavano con discreto successo una piantagione di cotone a Fairhill. La signora Tarleton aveva un allevamento di giumente e puledri ed era felice come se avesse avuto un milione di dollari. Nella vecchia casa dei Calvert abitavano dei negri che ne erano anche proprietari! L'avevano comprata all'asta pubblica. Il luogo era devastato; roba da piangere! Non si sapeva dov'erano andati a finire Catina e quel fannullone di suo marito. Alex stava per sposare Sally, la vedova di suo fratello! Figurarsi, dopo aver vissuto per tanti anni nella stessa casa! Tutti dicevano che era un matrimonio di convenienza perché la gente mormorava da quando vivevano soli, dopo la morte della nonna Fontaine e della nuora. E Dimity Munroe ne aveva quasi avuto il cuore spezzato. Ma le stava bene. Se fosse stata furba, si sarebbe trovato un altro marito da un pezzo, invece di aspettare che Alex avesse messo assieme abbastanza denaro da poterla sposare. Rossella chiacchierava allegramente; ma vi erano molte cose che non raccontava; cose che preferiva dimenticare. Aveva percorso la Contea in carrozza con Will, cercando di non ricordare quando quelle migliaia di jugeri erano verdi di cotone. Ora le piantagioni erano a poco a poco riconquistate dalla foresta e folti cespugli di ginestra, arbusti di querce basse e abeti nani erano cresciuti attorno alle rovine silenziose e sugli antichi campi di cotone. Solo qualche jugero era coltivato, dove prima centinaia e centinaia venivano frugati dall'aratro. Sembrava di camminare attraverso un paese morto. - Questa regione ha bisogno di cinquant'anni per riaversi... se mai si riavrà - aveva detto Will. - Tara è la miglior fattoria della contea, grazie a voi, Rossella, e a me; ma è una fattoria, non una piantagione. E dopo Tara viene la fattoria dei Fontaine e poi quella dei Tarleton. Non fanno molti quattrini, ma vivono. Ma il resto delle fattorie e delle persone... No, Rossella non ricordava volentieri l'aspetto della contea abbandonata. Sembrava ancor piú triste di quanto non fosse in realtà, a paragone del movimento di Atlanta. - E qui, c'è niente di nuovo? - chiese quando furono finalmente a casa, seduti sotto al porticato. Per tutta la strada aveva continuato a discorrere, per paura del silenzio. Non aveva scambiato una parola da sola con Rhett dal giorno della sua caduta, e non era troppo ansiosa di restare a quattr'occhi con lui. Ignorava quali fossero i suoi sentimenti verso di lei. Era stato di una grande bontà durante la sua convalescenza; ma era la bontà di un estraneo indifferente. Aveva prevenuto i suoi desideri, impedito ai bambini di infastidirla, sorvegliato il negozio e l'azienda. Ma non aveva mai detto «Perdonami». Forse non era neanche addolorato. Forse continuava a credere che il bambino che non era nato non era suo figlio. Come poteva, Rossella, sapere ciò che si nascondeva dietro a quel viso bruno e simpatico? Però, in quel periodo aveva mostrato una certa disposizione alla cortesia, per la prima volta da quando erano sposati; e il desiderio di lasciare che la vita proseguisse come se fra loro non vi fosse mai stato nulla di spiacevole. «Come se...» pensa tristemente Rossella «fra loro non vi fosse mai stato nulla addirittura.» Ebbene, se era questo che desiderava, lei si comporterebbe nello stesso modo. - Tutto va bene - ripeté. - Hai avuto i nuovi embrici per la bottega? Hai cambiato le mule? Per carità, Rhett, togliti quelle penne dal cappello. Sembri uno scervellato, e sei capace di andare in città senza ricordarti di levarle! - No - fece Diletta prendendo il cappello di suo padre. - Tutto va bene qui - rispose Rhett. - Diletta ed io ci siamo divertiti; credo che non sia mai stata pettinata dopo la tua partenza. Non rosicchiare le penne, tesoro; sono cattive. Sí, gli embrici sono a posto; per le mule ho fatto un buon affare. Veramente non c'è niente di nuovo: tutto procede regolarmente. Poi, dopo un attimo riprese: - L'egregio Ashley è stato qui ieri sera. Voleva sapere se tu saresti disposta a cedergli il tuo stabilimento e la parte che hai nel suo. Rossella che si stava cullando in una sedia a dondolo e sventolando con un ventaglio di penne di tacchino, si fermò bruscamente. - Cedere? E dove diamine ha preso il denaro? Sai che non hanno mai un centesimo. Melania spende subito tutto quello che suo marito porta in casa. Rhett si strinse nelle spalle. - Ho sempre pensato ch'ella fosse una personcina molto economa. Ma non sono informato sui particolari delle finanze dei Wilkes come sembri esserlo tu. Era una frase nel vecchio stile di Rhett e Rossella ne fu seccata. - Vai, cara - ella disse a Diletta. - La mamma ha bisogno di discorrere col babbo. - No - rispose risolutamente Diletta arrampicandosi sulle ginocchia paterne. Rossella aggrottò le sopracciglia e Diletta la guardò a sua volta con un cipiglio tanto rassomigliante a quello di Geraldo O'Hara che sua madre quasi rise. - Lasciala stare - intervenne Rhett. - Quanto al denaro, pare che gli sia stato mandato da un tale a cui egli prestò assistenza a Rock Island, quando costui aveva il vaiolo. Il fatto che la riconoscenza esista ancora rinnova la mia fede nella natura umana. - Chi è? Una persona che conosciamo? - La lettera non era firmata e veniva da Washington. Ashley ha stentato a capire chi poteva averla mandata. Ma è naturale che un individuo come Ashley vada compiendo tante buone azioni nel mondo che gli è impossibile ricordarle tutte. Se non fosse stata enormemente stupita per la fortuna inattesa di Ashley, Rossella avrebbe raccolto il guanto, quantunque durante il suo soggiorno a Tara si fosse proposta di non lasciarsi mai piú trascinare a litigare con Rhett a proposito di Ashley. I suoi rapporti coi due uomini erano troppo incerti: ed ella non aveva intenzione di eccitarsi in proposito finché non fosse sicura del fatto suo. - E vuol comprare? - Sí. Ma gli ho detto che certamente tu non pensi di vendere. - Ti prego di lasciare che mi occupi io dei miei affari. - Mah, so che non hai nessuna voglia di rinunziare all'azienda. Gli ho detto che tu non sopporteresti di non ficcare il naso negli affari altrui... - Hai osato dirgli questo? - Perché no? Non è la verità? Credo che in cuor suo fosse d'accordo con me; ma è troppo gentiluomo per convenirne. - Non è vero! Gli venderò l'azienda! - esclamò Rossella. Fino a quel momento non aveva pensato affatto ad abbandonare la sua industria. Per molte ragioni desiderava conservarla; e il suo valore finanziario era il motivo meno importante. Negli ultimi anni aveva avuto piú volte occasione di venderla ad ottime condizioni, ma aveva sempre rifiutato. Gli stabilimenti erano la prova evidente di ciò che aveva fatto con le sole sue forze, ed ella ne era orgogliosa. Inoltre rappresentavano il solo contatto possibile con Ashley. Se li avesse venduti, avrebbe avuto assai raramente occasione di vederlo, e probabilmente non lo avrebbe mai visto solo. E voleva vederlo; voleva sapere quali erano adesso i suoi sentimenti verso di lei, se il suo amore era morto, seppellito dalla vergogna, in quella terribile sera del ricevimento. Rimanendo in rapporti di affari, avrebbe avuto l'opportunità di parlargli, senza che nessuno potesse fare osservazioni. E col tempo, ella avrebbe certo riconquistato il terreno che forse aveva perduto nel suo cuore. Ma se vendeva gli stabilimenti... No; non aveva voglia di venderli; ma stimolata dall'idea che Rhett l'aveva fatta apparire ad Ashley in cosí cattiva luce, aveva immediatamente mutato pensiero. Ashley avrebbe l'azienda, e a prezzo cosí favorevole che sarebbe costretto a riconoscere la sua generosità. - Voglio vendere!... - esclamò adirata. - Che ne pensi, adesso? Negli occhi di Rhett passò una lievissima luce di trionfo mentre egli si curvava ad allacciare una scarpina di Diletta. - Credo che te ne pentirai - rispose. Ella era già pentita delle sue parole impulsive. Se le avesse dette dinanzi a chiunque altri che Rhett, le avrebbe ritrattate senza vergogna. Perché precipitare in quel modo? Guardò suo marito con la fronte aggrondata e vide che la stava osservando col suo antico sguardo ansioso di gatto dinanzi alla tana di un topo. Quando le vide aggrottare le ciglia, rise improvvisamente, con un balenío dei suoi denti bianchi. Rossella intuí vagamente che egli l'aveva costretta in quella posizione. - C'entri per qualche cosa in questo? - gli chiese furibonda. - Io? - Inarcò le sopracciglia con sorpresa beffarda. - Dovresti conoscermi meglio. Non compio mai delle buone azioni io... se posso farne a meno.

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