Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abboccarsi

Numero di risultati: 4 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

IL Santo

669460
Fogazzaro, Antonio 1 occorrenze

Soggiunse che questa memoria lo aveva incoraggiato ad abboccarsi con lei per una faccenda delicatissima. Proferite ch'egli ebbe queste parole, anzi mentre le diceva, Jeanne sentì con certezza che quell'uomo sapeva il passato. Ella non poté a meno, di guardare alla sfuggita il sottosegretario. Gli lesse negli occhi la stessa scienza; ma lo sguardo del sottosegretario la turbava e la irritava; quello del ministro, invece, le apriva un'anima paterna. Il ministro entrò in argomento parlando di Giovanni Selva del quale fece ampie lodi. Si dolse di non avere con lui relazioni personali. Disse di sapere che Jeanne era amica della famiglia Selva. Egli si rivolgeva a lei per affidare a questi suoi amici una missione importante presso un'altra persona. E parlò di Maironi, sempre avendo cura d'interporre i Selva fra lo stesso Maironi e Jeanne, di evitare ogni accenno a possibili comunicazioni dirette fra l'uno e l'altra. Jeanne lo ascoltava, divisa fra l'attenzione alle sue parole, intensa, lo studio, pure intenso, di preparare una risposta prudente, misurata, e il fastidio sdegnoso che le dava la presenza del piccolo, mefistofelico Albacina. Il discorso del ministro fu diverso da quello che, in principio, ella si attendeva; migliore ma più imbarazzante. Egli le disse che non parlava come ministro ma come amico; che con lei non voleva fare misteri; che certe ombre non avevano avuto assolutamente corpo; che né ministri, né magistrati, né agenti di P. S. avevano a occuparsi affatto del signor Maironi il quale era perfettamente libero di sé e niente aveva a temere dalla giustizia del suo paese, fattasi persuasa della inanità di certe accuse mossegli per odio religioso; ch'egli aveva molta simpatia per le idee religiose del signor Maironi e anche molta stima per i suoi propositi di apostolato, ma che il signor Selva doveva persuaderlo della opportunità di allontanarsi, almeno per qualche tempo, nell'interesse del suo stesso apostolato, da Roma dove gli si faceva dai suoi nemici religiosi una guerra tale, a colpi di calunnie, ch'egli era per rimanere ben presto, inevitabilmente, senza discepoli. Qui il ministro, anche credendo fare cosa gradita a Jeanne, affermò la propria religiosità; abbaglio tragico, pensò lei amaramente. Egli sperava che in un prossimo avvenire il signor Maironi potesse esercitare liberamente la propria influenza in luogo altissimo; vi erano molti segni di una prossima trasformazione di quel tale ambiente, di una prossima disgrazia degl'intransigenti; ma per ora gli era opportuno di eclissarsi. Questo era il consiglio amichevole ma pressante che si desiderava di fargli pervenire per mezzo del suo illustre amico. Accettava la signora Dessalle di parlare all'illustre amico? Jeanne trepidava. Era da fidarsi? Era da dir cose che forse coloro non sapevano e cercavano sapere da lei? Guardò involontariamente il sottosegretario e gli occhi suoi parlarono così chiaro ch'egli non poté a meno di pigliare una risoluzione. "Signora" disse col suo abituale sorriso sarcastico, "vedo che Lei non mi desidera. La mia presenza non è necessaria e me ne vado per ossequio al Suo desiderio: desiderio giusto e che si capisce." Jeanne arrossì ed egli se ne accorse, si compiacque di averla ferita con la coperta allusione che si conteneva nelle sue ultime parole e più ancora nel sorriso maligno. "Però" soggiunse collo stesso sorriso "non me ne andrò senz'affermarle, sulla mia parola, che mia moglie Le è un'amica fedelissima, che non mi ha mai tenuto sul Suo conto un solo discorso indiscreto; come, sullo stesso argomento, non ne ho mai tenuto io a mia moglie." Vendicatosi così, l'omino se ne andò, lasciando Jeanne agitatissima. Dio, intendevano proprio che avesse a parlare lei, a Piero? Supponevano che lo vedesse, pensavano essi pure che la santità di Piero fosse mentita? Si ricompose con uno sforzo supremo, cercò aiuto nello sguardo grave, mesto, rispettoso del ministro. "Parlerò al signor Giovanni" diss'ella. "Credo però" soggiunse esitando "che il signor Maironi sia ammalato, che non possa viaggiare." Nel nominare Maironi le salirono le vampe al viso. Ella le sentì assai più che non si vedessero. Però il ministro se ne avvide e venne in suo soccorso. "Forse, signora" diss'egli "Ella dubita di compromettere i Suoi amici Selva. Non abbia questo dubbio. Prima Le ripeto che il signor Maironi non ha niente a temere da nessuno e poi aggiungo che noi sappiamo tutto. Sappiamo ch'è in Roma, che sta, per poche ore ancora, presso un senatore del Regno, in via della Polveriera. Sappiamo pure ch'è ammalato ma ch'è in grado di viaggiare; anzi Lei può dire al signor Selva che io gli farò avere, se vuole, dal mio collega dei Lavori Pubblici un coupé riservato." Jeanne, tremante, fu per interromperlo, per esclamare: poche ore ancora? Si contenne appena e prese congedo per correre al Senato, sapere. "Forse il signor Selva lo ignora" disse il ministro, accompagnandola verso l'uscio "ma il senatore aspetta non so quali parenti e non potrà più alloggiare il signor Maironi. Gli rincresce. Gran brav'uomo! Siamo vecchi amici." Jeanne tremava di avere intravveduta la Verità. A palazzo Braschi che il senatore congedasse Piero; un'altra spinta per allontanarlo da Roma! Ma possibile che il senatore si fosse lasciato persuadere? Congedare un infermo in quello stato? Salì nel suo coupé , si fece portare a palazzo Madama, chiese del senatore. Non c'era. L'usciere che le rispose così le parve un po' imbarazzato. Aveva una consegna? Non osò insistere, lasciò una carta colla preghiera di passare dal Grand Hôtel prima di pranzo. Ella stessa partì per il Grand Hôtel fremendo, e gemendo insieme nel suo cuore, battendo colla punta del piede il libretto contro la Massoneria, dimenticato da donna Rosetta. Avrebbe voluto che i due sauri volassero. Erano le quattro e tre quarti e il suo dovere quotidiano era di preparare la medicina per Carlino alle quattro e mezza.

L'ALTARE DEL PASSATO

676789
Gozzano, Guido 1 occorrenze

C'è, di quei giorni, una lettera di Madama, che non si può leggere senza un fremito di commozione e di ammirazione, e che rivela la tempra veramente superiore di quella donna che ha paura d'esser donna Ella deve lasciare per qualche giorno la Cittadella, deve abboccarsi segretamente col fratello Luigi XIII e Richelieu, a Grenoble, per moderarne i disegni crudeli e conciliare il destino di tutti quelli che ama. Essa lascia il figlio piccolino al Marchese di San Germano, lo affida con queste parole che è bene meditare: "Je vous confie le dépôt le plus cher. Ne laissez point sortir monn fils de la Citadelle: n'y recevez pas d'étrangers. Ne remettez cette place forte à personne. Si vous receviez des ordres contraires, fussent-ils revêtus de ma signature, regardez-les comme non avenus. On me les aurait extorqués. Je suis femme . .E altrove, accasciata per un attimo dal destino che minaccia la catastrofe ultima, oppressa dalla malvagità dei più famigliari, scrive al fratello: L'heureux a peu d'amis: le malheureux n'en a point! Je suis femme Com'era? Bella? Nessuna stampa dell'epoca la ritrae come doveva essere: è forse bene che il nostro sogno faccia di tutte le sue effigi una sola, per vederla com'era, o basta sillabare il suo nome, pensarla intensamente ad occhi socchiusi perchè la sua figura si profili contro la parete sanguigna, sotto le vôlte a crociera. Ha una veste nera - non ha deposto le gramaglie più mai, dal giorno che è rientrata in Torino vittoriosa centro i suoi sudditi - la quale l'avvolge graziosamente, con un guardinfante appena accennato: una veste che potrebbe ricordare la foggia odierna se non terminasse alle maniche, alla gorgiera con sbuffi di velo bianco e ondulato. Madama non ha più gioielli. Dato fondo al Tesoro per sostenere le spese della guerra, essa ha venduto i famosi brillanti, dono e retaggio di principi sabaudi, ha venduto "le smaniglie e le boccole pesanti", ha venduto la collana di Ahira, la meravigliosa collana bizantina d'oro massiccio e di smeraldi che gli Avi Cristianissimi avevano portato da Gerusalemme al tempo delle Crociate: " J'aime mieux, mon frère, me passer de joyaux que de lasser mes troupes sans paie ... ". Il volto è circondato da un'acconciatura di tulle nero, alla Holbein, che gli darebbe non so che espressione monacale se sotto non balenassero gli occhi chiari di amazzone, il profilo diritto, la bocca volontaria, la mascella forte: un volto che sembra la maschera dei guerrieri greci, come si sognavano nelle fantasie mitologiche di allora, non il volto d'una Regina, d'una donna segnata dal destino al dolore ed all'amore. L'amore? "Elle eut des envieux, des ennemis qui s'efforcèrent de répandre des nuages sur ses belles qualités: la calomnie n'épargna pas la grande Princesse". L'amore? La immagino dolorante, tragica, combattiva: non la so pensare amante. Se qualche verità c'è in fondo alla calunnia e alla leggenda, se in un'ora di sconforto supremo ella ha piegato la bella fronte virile sulla spalla di qualche amico, certo deve essersi sollevata subito, conscia del suo destino, deve aver ripetuto fieramente al favorito d'un'ora le parole che scriveva al Marchese di San Germano: "Regardez-les (trattati politici o baci che fossero) - regardez-lecorame non avenus, on me les aurait extorqués. - Je suis femme".

IL RE DEL MARE

682265
Salgari, Emilio 2 occorrenze

Doveva recarsi senza indugio a Sedang, risalire il fiume fino alla città omonima, fingendosi una tranquilla nave mercantile battente bandiera olandese, abboccarsi coi capi dayaki che avevano preso parte alla deposizione di James Brooke, zio dell'attuale rajah, dispensare loro le armi e le munizioni e mettere a ferro ed a fuoco le frontiere dello stato, quindi attendere alla foce del fiume il ritorno del Re del Mare. Qualche ora dopo, mentre la Marianna si preparava a mettersi alla vela, l'incrociatore lasciava Tanjong-Datu, risalendo a velocità moderata verso il nord-est, onde raggiungere Mangalum e provvedersi abbondantemente a quel deposito carbonifero destinato alle navi dirette nei mari della Cina. Sette giorni dopo, avendo sempre tenuta una velocità moderatissima, per non trovarsi a corto di combustibile nel caso d'un incontro con qualche squadra nemica, il Re del Mare, che si era tenuto sempre assai lontano dalle coste, passava attraverso il banco di Vernon. Lo stesso giorno sir Moreland faceva la sua prima comparsa sul ponte, sorretto dal dottore. Era ancora molto pallido e molto debole, però la sua ferita si era quasi interamente cicatrizzata, mercè la sua robustissima costituzione e le cure assidue del bravo americano. Era una mattinata splendida e non troppo calda, avendo il Re del Mare abbandonate le ardenti calme del tropico da qualche giorno. Una fresca brezzolina soffiava dal sud, increspando l'immensa superficie del mar della Sonda e mormorando dolcemente fra le sartie metalliche dell'incrociatore. Numerosi volatili, per lo più dei petrelli, agilissimi uccelli marini, dal volo leggero, turbinavano sopra la nave, assieme a delle phoebetrie fuliginose, le più piccole delle diomedee, dalle penne nerissime, inseguendo i pesci volanti che le voraci dorate scacciavano dal loro elemento, costringendoli, per salvarsi, a spiccare delle lunghe volate sopra le onde. Vedendo apparire l'anglo-indiano, appoggiato al braccio dell'americano, Yanez che passeggiava sul ponte assieme a Surama, si era affrettato a muovergli incontro. - Finalmente eccovi ristabilito, - gli disse. - Ne sono ben lieto, sir Moreland. Agli uomini di mare fa molto meglio l'aria libera del ponte che quella delle cabine. - Sì, sto bene, signor Yanez, grazie le cure e le attenzioni di questo bravo dottore, - rispose il capitano. - Da questo momento consideratevi come nostro ospite e non più come prigioniero. Voi siete libero di fare quello che meglio vi piace e di andare dove vorrete. La nostra nave non avrà segreti per voi. - E non temete che io possa abusare di questa vostra generosità? - No, perchè vi credo un gentiluomo. - Pensate che un giorno noi ci troveremo ancora di fronte l'uno all'altro e terribili nemici. - Ci combatteremo lealmente. - Ah! Questo sì, signor Yanez, - disse sir Moreland, con una certa asprezza. Poi, dopo aver gettato un lungo sguardo sul mare e d'aver aspirato fragorosamente l'aria marina, disse: - Voi avete lasciata la regione ardente. Questa è brezza del nord. Dove andiamo, se non vi spiace dirmelo? - Molto lontano da Sarawak. - Fuggite dunque i paraggi frequentati dalle navi del rajah? - Per ora sì, perchè dobbiamo rinnovare le nostre provviste. - Allora voi avete dei porti amici. - No, a noi bastano quelli dei nemici per approvvigionarci, - rispose il portoghese, sorridendo. - sir Moreland, accomodatevi dove meglio credete e respirate un po' di questa brezza. L'anglo-indiano s'inchinò ringraziando e salì sul cassero dove aveva veduto Darma seduta su una sedia a dondolo posta sotto la tenda tesa all'altezza delle grue. La giovane fingeva di leggere un libro, ma invece sotto le lunghe palpebre, non aveva cessato di guardare il capitano. - Miss Darma, - disse sir Moreland, accostandosi alla giovane. - Mi permettete di sedermi presso di voi? - Vi aspettavo, - rispose la figlia di Tremal-Naik, arrossendo leggermente. - Starete meglio qui che nella vostra cabina, dove si soffoca. Il dottor Held offrì al convalescente una sedia, poi accesa una sigaretta andò a raggiungere Yanez il quale si divertiva ad osservare, insieme a Surama, i salti dei poveri pesci volanti perseguitati dalle dorate ed in aria dagli uccelli marini. L'anglo-indiano rimase alcuni istanti silenzioso, guardando la giovane, più bella che mai, nel suo lungo accappatoio di percallino azzurro guernito con pizzi, poi disse con un tono di voce nel quale si sentiva una strana vibrazione: - Quale felicità trovarmi qui, dopo tanti giorni di prigionia e ancora presso di voi, mentre avevo avuto il timore di non più rivedervi dopo la vostra fuga da Redjang. Mi avete giuocato per bene, miss. - Non avete serbato alcun ràncore verso di me, sir Moreland, di avervi ingannato? - Nessuno, miss: eravate nel vostro diritto di ricorrere a qualunque astuzia per ricuperare la libertà. Avrei però preferito tenervi mia prigioniera. - Perchè? - Non lo so: mi sentivo felice presso di voi. Il capitano sospirò a lungo, poi con voce triste disse: - Eppure il destino m'imporrà di dimenticarvi. Darma, udendo quelle parole, era diventata pallidissima, pure disse: - Sì, sir Moreland, bisognerà piegarsi dinanzi alle avversità del destino. - E tuttavia, - riprese il capitano, - non so che cosa farei per infrangere i decreti della sorte. - Non dimenticate, Sir, che fra noi sta la guerra e che questa ci dividerà per sempre. Che cosa direbbero mio padre, Yanez e Sandokan se sapessero che io ho accettato la mano di uno dei loro nemici? E che cosa direbbero i vostri, il cui odio verso di noi è ancor più profondo, più accanito, più spietato? Avete pensato a ciò, sir Moreland? Voi, uno dei più brillanti e dei più valorosi ufficiali della marina del rajah a cui la vostra patria ha armato il braccio per sopprimerci senza misericordia, sposare la protetta dei pirati di Mompracem? Vedete bene che la cosa sarebbe impossibile: un sogno che non potrà mai diventare realtà, perchè l'abisso che ci separa è troppo profondo. - Il nostro amore lo colmerebbe, perchè l'amore non ha patria, se ... - Vorrei che così fosse, - disse Darma con voce triste. - sir Moreland, dimenticatemi. Un giorno voi sarete libero, scordatevi di me, riprendete il mare e obbedite alla voce del dovere che vi chiede il nostro sterminio. Dimenticate che su questa nave si trova una fanciulla che voi avete amata e che pur vi ha amato e fate tuonare, senza misericordia, le vostre artiglierie su di noi, colateci a fondo o fateci saltare in aria. La nostra sorte ormai è scritta a lettere di sangue sul gran libro del destino e tutti noi siamo pronti a subirla. - Io uccidere voi! - esclamò l'anglo-indiano. - Tutti gli altri sì, ma non voi. Aveva pronunciato quelle parole "gli altri" con un tale accento d'odio, che Darma lo guardò con ispavento. - Si direbbe che voi avete dei segreti rancori contro Yanez e Sandokan e anche contro mio padre. Sir Moreland si era morso le labbra, come se fosse pentito di essersi lasciato sfuggire quelle parole, poi riprese prontamente: - Un capitano non può perdonare a coloro che lo hanno vinto e che gli hanno affondata la nave. Io sono disonorato ed è necessario che mi prenda una rivincita un giorno o l'altro. - E li annegherete tutti? - chiese Darma con ispavento. - Sarebbe stato meglio che io fossi colato a fondo colla mia nave, - disse il capitano, sfuggendo la domanda rivoltagli dalla giovane. - Quell'urlo terribile che mi perseguita non lo avrei più udito. - Che cosa dite, sir Moreland? - Nulla, - rispose l'anglo-indiano con voce sorda. - Nulla, miss Darma. Fantasticavo. Si era alzato, mettendosi a passeggiare con agitazione, come se più non si sentisse i dolori che doveva produrgli la ferita non ancora interamente rimarginata. Il dottor Held, che era poco lontano, vedendolo così agitato, gli si era avvicinato. - No, sir Moreland, - gli disse. - Simili sforzi possono produrre gravi conseguenze ed io, per ora, ve li proibisco. La mia vigilanza su di voi non è ancora cessata. - Che importa se la mia ferita si riaprisse? - disse l'anglo-indiano. - Se la mia vita dovesse fuggire da quello strappo, sarei più lieto. Almeno tutto sarebbe finito. - Non rimpiangete di essere stato salvato, Sir, - disse il dottore, prendendolo sotto il braccio e riconducendolo verso il quadro. - Chi può dire che cosa vi riserba l'avvenire? - Delle amarezze e null'altro, - rispose il capitano. - Eppure ieri sembravate lieto di essere ancora vivo. L'anglo-indiano non rispose e si lasciò ricondurre nella cabina, essendosi levato un vento freschissimo. Il Re del Mare intanto continuava la sua corsa verso il nord-est, mantenendo una velocità di sette nodi. A mezzodì Yanez e Sandokan avevano fatto il punto ed avevano constatato che una distanza di centocinquanta miglia separava la loro nave da Mangalum, distanza che potevano superare in poco più di ventiquattro ore senza forzare le macchine. Entrambi avevano fretta di giungervi, perchè il tempo accennava a guastarsi rapidamente, quantunque al mattino fosse apparso splendido. Alcuni cirri biancastri, che salivano dal sud, erano già apparsi e s'avanzavano lentamente; era certo l'avanguardia di vapori ben più densi ed ai due pirati non piaceva di farsi sorprendere da qualche burrasca in quei paraggi cosparsi di banchi e di scogliere isolate. Ed infatti il mar della Sonda, così aperto ai venti freddi del sud e dell'ovest, è uno dei peggiori, perchè si formano in quei luoghi delle ondate così gigantesche, che non s'incontrano in altri, nemmeno nel Pacifico. E poi Mangalum non poteva offrire un sicuro asilo per una nave così grossa, non avendo che un minuscolo porto, accessibile solamente ai prahos. Le apprensioni dei due vecchi lupi di mare dovevano avere una conferma molto presto. Infatti, alla sera il sole era tramontato fra un fitto velo di vapori dalla tinta molto oscura e la brezza si era tramutata in un vento piuttosto forte e assai fresco. La calma che regnava sul mare si era spezzata. Delle onde salivano di quando in quando dal sud e correvano, muggendo sordamente, contro l'incrociatore, sollevandolo bruscamente. - Avremo mare forte domani, - disse Yanez al dottor Held, che era risalito in coperta. - Il Re del Mare ballerà terribilmente se si scatena un uragano. Ho fatto già una crociera in questi paraggi e so quanto diventano terribili allorquando soffiano i venti del sud o dell'ovest. - S'alzano delle onde mostruose, è vero, signor Yanez? - Di quindici metri e talvolta perfino di diciotto e che lunghezze che hanno! - Ma Mangalum non deve essere lontana. - Sarebbe meglio evitarla, piuttosto che trovarsi presso di essa, mio caro signor Held. Mangalum non è che un grosso scoglio e le altre due isolette che lo fiancheggiano, due punte rocciose. - Un soggiorno poco invidiabile pei loro abitanti. - Eppure non sembrano scontenti della loro terra, quantunque siano, si può dire, completamente isolati dal resto del mondo, non vedendo che molto di rado qualche nave. Ed infatti quel deposito di carbone non viene rinnovato che ogni due o tre anni. - Si dice che sia la colonia più minuscola che esista nel nostro globo. - È vero dottore, perchè la sua popolazione non ammonta nemmeno a cento persone. L'anno scorso non erano che in novantanove. È bensì vero che anni sono aveva raggiunto i centoventi abitanti. - E perchè sono scemati? - In causa d'una tremenda bufera la quale spinse le onde attraverso l'isola, atterrando molte case e spazzando via numerosi abitanti. - E perchè i superstiti non hanno abbandonata l'isola? - Pare che amino assai il loro suolo ingrato e malsicuro e poi credo che in nessun altro luogo potrebbero godere tanta libertà. Quantunque appartengano a razze diverse, essendovi inglesi, americani, malesi, bughisi, macassaresi e cinesi, vivono in perfetta armonia e sul piede d'una completa eguaglianza. Si può anzi dire che quegli isolani hanno risolto il famoso problema sociale e con soddisfazione generale, perchè sono retti da una specie di comunismo. Il loro capo è il più vecchio abitante dell'isola, con poteri limitati. Lavorano in comune, si istruiscono a vicenda, e non conoscono il valore del denaro che per loro rappresenta una mera curiosità. Perfino le donne, che sono molto più numerose degli uomini, si sono adattate ai lavori mascolini, onde ovviare il pericolo che vi possano essere persone più bisognose di venire nutrite che non lavoratori costretti a nutrirle. - Un'isola meravigliosa! - esclamò il dottore. - Sotto un certo aspetto è veramente ammirabile, - disse Yanez. - Sono molti anni che è popolata? - Dal 1810, perchè prima non vi erano che bande di uccelli marini. Un disertore inglese, certo Granvill, fu il primo ad approdare insieme ad un suo compatriotta e ad un americano. Più prepotente degli altri due, con un editto si proclamava re dell'isola e dei due isolotti vicini. Pare però che ciò non gli portasse fortuna, perchè quando nel 1818 il governo inglese inviava una nave a prenderne possesso, non viveva che l'americano. Era possessore di molto oro, moneta affatto inutile fra quelle rocce e che avrebbero potuto godere in patria. Pure invitato a tornarsene in America, oppose un rifiuto categorico. A poco a poco sbarcarono dei malesi e anche dei bughisi e degli inglesi. Nel 1865 la popolazione aumentò d'un colpo avendo, in quell'epoca, un corsaro americano, sbarcato quaranta prigionieri, presi durante la guerra di secessione. Quell'aumento di popolazione rese ben dura la vita agli isolani, essendosi dimenticato il corsaro di sbarcare dei viveri, nondimeno a poco a poco la colonia prosperò e continuò ad aumentare. Forse a quest'ora, il signor Griell, che è l'attuale governatore dell'isola, ha più d'un centinaio di sudditi. - Un piccolo re. - Che ci tiene al suo regno, specialmente dopo la visita ricevuta da un ammiraglio inglese della squadra della Cina che lo ha investito del supremo potere, d'incarico della Regina d'Inghilterra. - Figurarsi che onori avrà avuto quell'ammiraglio! - No, signor Held, gli onori ha dovuto farli lui, offrendo alla colonia un banchetto pantagruelico, di cui i buongustai dell'isola serbano immortale ricordo, seguìto da molti doni fra i quali una bandiera inglese che Griell conserva gelosamente. - Vedrò con piacere quel piccolo regno. Speriamo di avere una buona accoglienza, - disse il dottore. - Lo dubito, - rispose Yanez, - perchè quegli isolani ci terranno a non sprovvedersi di carbone che consumano essi in gran parte. Sapremo però calmarli avendo noi degli argomenti molto persuasivi. Chiamino pure in loro soccorso gli inglesi e ci scaccino. Siamo in guerra e la faremo a tutti i sudditi inglesi, senza eccezioni.

Sandokan e Yanez, sapendosi ormai inseguiti e supponendo, non a torto, che gli alleati avessero indovinato lo scopo di quella crociera, volevano giungere alla foce del Sedang con un vantaggio di almeno ventiquattro ore, per proteggere la Marianna e possibilmente abboccarsi coi capi dayaki. Essi erano certi di trovare la loro piccola nave nascosta fra le scogliere, in attesa del loro arrivo. - Se il diavolo non ci mette la coda, - disse Yanez a Tremal-Naik, - quando la squadra degli alleati ci raggiungerà, tutto sarà finito. - Che non cessi di darci la caccia? - chiese l'indiano. - Cercheranno di chiuderci fra il Sedang ed il Redjang per costringerci a gettarci verso la costa, - rispose il portoghese. - Spero tuttavia che non giungeranno in tempo. - Purchè laggiù non incontriamo il figlio di Suyodhana. Hai udito quello che ci ha gridato sir Moreland? - Sia pure, ma suppongo che quell'uomo non avrà certo una flotta sotto i suoi ordini. - E se l'avesse armata? I thugs dovevano possedere dei tesori immensi che solo il figlio di Suyodhana avrà raccolti dopo la dispersione della setta. - Sì, immensi, padrone, - disse Kammamuri che si era in quel momento accostato. - Durante la mia prigionia nel sotterraneo di Raimangal io ho veduto una caverna piena di barili colmi d'oro. - Purchè non siano rimasti sott'acqua, - disse Yanez. - Mi fu poi detto che possedeva ricchezze incalcolabili depositate presso le principali banche dell'India. - Tu mi guasti la mia fumata, mio caro Kammamuri, - disse Yanez. - Che il figlio della Tigre dell'India sia riuscito ad armare parecchie navi? Bah! - esclamò poi, alzando le spalle, - la nostra nave può ben tenere testa a parecchie e daremo una lezione anche a quel signore. Veramente sarebbe ora che si mostrasse e si facesse vedere se somiglia a suo padre. - Che peccato che sir Moreland non ci abbia fornito qualche spiegazione sul nostro nemico, - disse Tremal-Naik. - Uhm! - fece Yanez. - Io ho il sospetto che quell'anglo-indiano sia più ai servigi del figlio di Suyodhana che a quelli del rajah di Sarawak. - Ragione di più per non risparmiarlo, signor Yanez, - disse Kammamuri. - Dovevate lasciar tuonare tutte le artiglierie contro la sua scialuppa a vapore, invece di danneggiarla solamente. - Che cosa vuoi, mi rincresceva lasciar massacrare quel giovane valoroso, - rispose Yanez. - Così piacevole e cortese, - aggiunse Tremal-Naik. - Con noi si è mostrato un vero gentiluomo, quand'io e Darma eravamo suoi prigionieri, specialmente verso la mia figlia. - Fino dal primo istante? - Veramente no, - rispose l'indiano. - Nei primi giorni appariva estremamente freddo, anzi mi guardava sovente con un brutto sguardo che mi dava non poche preoccupazioni, poi a poco a poco cambiò. - Ah! - fece Yanez, sorridendo. Riaccese la sigaretta che gli si era spenta e s'avviò verso il cassero dove si erano in quel momento mostrate Surama e Darma. - Non avrete già avuto paura, mie buone fanciulle - disse guardando specialmente la figlia dell'indiano con una certa malizia. - Grazie signor Yanez, - gli sussurrò Darma, prendendogli la destra e stringendogliela fortemente. - Che cosa sai tu? ... - Ho sentito tutto. - Ti sarebbe assai spiaciuto se fosse stato ucciso, è vero Darma? - Sì, - sospirò la fanciulla. - Amor fatale! ... - Bah, finita la guerra vedremo di scovarlo quel coraggioso giovane. Chissà! ... Tutto potrebbe finire bene e fare di voi due felici, poichè me ne sono accorto che anche sir Moreland ti ama ardentemente. - Eppure, sahib bianco, - disse Surama, - mi hanno detto che aveva tentato di far saltare la nostra nave. - Danneggiarla gravemente forse e approfittare della confusione per rapirci Darma, - disse Yanez. - Oh, non l'avrebbe certo lasciata annegare. Toh! ... La nebbia si alza e vedo laggiù a diffondersi un poco di luce. È l'alba che sorge; vedremo se le navi degli alleati ci sono ancora alle spalle. Infatti la nebbia, che aveva così opportunamente protette le tigri di Mompracem, cominciava ad alzarsi, cacciata via dalla brezza mattutina. Quando tutti quei vapori scomparvero verso il nord, il mare apparve deserto. La squadra degli alleati, che non poteva competere colle poderose macchine del Re del Mare, doveva essere rimasta molto indietro e fors'anche ritornata verso la foce del Sarawak. Anche verso il nord l'orizzonte appariva sgombro, essendosi tenuto l'incrociatore molto lontano dalle coste bornesi, per non farsi scorgere da qualche nave costiera. Non si vedevano altro che degli uccelli marini, assai numerosi in quei paraggi e che volteggiavano con una leggerezza ed una velocità veramente ammirabili. Il Re del Mare continuò la sua corsa velocissima tutto il giorno, volendo Sandokan non solo conservare il suo vantaggio, ma aumentarlo, onde avere il tempo necessario per trovare la Marianna. Prima del tramonto l'incrociatore navigava già nelle acque che bagnano la costa del Sedang. - Possiamo considerarci, almeno per ora, fuori di pericolo, - disse Yanez a Horward il quale, assieme a Darma, contemplava il tramonto del sole. - Sì, però fra giorni, anzi forse fra quarant'otto ore, saremo costretti a ricominciare la musica, - rispose l'americano. - Le navi degli alleati non ci lasceranno tranquilli. - Ah! ... che superbo tramonto! ... - esclamò in quel momento Darma. - Quelli che si ammirano in questi mari sono infatti i più splendidi. - disse Yanez. - Hanno delle tinte che non si vedono in altri luoghi. Se state attenti vedrete il famoso raggio verde. - Un raggio verde! - esclamarono l'americano e Darma. - È splendido, mia piccola Darma: è un fenomeno meraviglioso che si può ammirare solamente nei mari della Malesia e nell'Oceano Indiano. Il cielo è purissimo, quindi anche tu lo vedrai. Aspetta solamente che l'orlo superiore del sole stia per scomparire. - Possibile che da tutto quel fulgore infuocato possa sprigionarsi un raggio d'un tal colore! - esclamò. - Sono certo di non ingannarmi: state attenti. Il sole tramontava in un oceano di luce, le cui tinte a poco a poco variavano certo a causa dello stato più o meno igrometrico dell'atmosfera e della distanza dell'astro dallo zenith. Mentre stava, per modo di dire, per affondare nell'oceano, pel cielo si diffondeva una luce rosso-giallognola la quale prendeva rapidamente una tinta quasi violacea che si perdeva insensibilmente in un fondo azzurro-grigiastro. Il margine superiore del disco stava per sparire, quando apparve improvvisamente un raggio assolutamente verde, d'una bellezza tale da strappare all'americano ed a Darma un grido d'ammirazione. Si proiettò per qualche istante sulle acque, poi scomparve di colpo, mentre l'ultimo lembo dell'astro diurno si celava dietro l'orizzonte. - Splendido! - aveva esclamato Horward. - Superbo! - aveva detto Darma. - Non avevo mai veduto un raggio d'un tal colore! ... - Perchè non hai percorso che di rado questi mari, - rispose Yanez. - E non si può vederlo in altri luoghi? - chiese Kammamuri che si era unito a loro. - È difficilissimo, perchè occorrono eccezionali condizioni di limpidezza ed una grande purezza d'orizzonte e solamente in queste regioni si possono avere con maggior frequenza tali condizioni. Ecco la campana che ci chiama a cena. Approfittiamone finchè nessun pericolo ci minaccia, - disse Yanez, offrendo il braccio alla giovane anglo-indiana. Due ore dopo il tramonto, il Re del Mare, che non aveva diminuita la sua velocità, si trovava di fronte alla foce del Sedang, ad una distanza di qualche mezza dozzina di miglia. - Che la Marianna sia nascosta entro il fiume? - chiese Kammamuri a Yanez che esplorava la costa con un cannocchiale. - Il suo comandante non sarà stato così sciocco. Deve essersi celato in mezzo alle scogliere di levante, che formano parecchi canali. Avanzeremo lentamente in quella direzione. La nave, che aveva moderata la sua velocità, fece una punta fino a breve distanza dalle foci del fiume, poi si diresse verso l'est, dove si scorgevano lunghe file di scogliere. Già si trovava a poca distanza dalle prime rocce che emergevano come minuscoli isolotti, quando si udirono rombare in lontananza alcune deboli detonazioni. Sandokan, prontamente avvertito da Kammamuri, si era affrettato a salire in coperta assieme a Tremal-Naik ed a Horward. Esaminato attentamente l'orizzonte in tutte le direzioni, nessuna nave, nè a vela, nè a vapore, apparve in vista. Eppure quegli spari, tre, se gli uomini di guardia non si erano ingannati, erano stati uditi da tutti. Una viva inquietudine si era dipinta sul viso di Sandokan. - Che qualche nave abbia sorpresa la mia vecchia Marianna e l'abbia cannoneggiata? - si chiese. - Da quale parte venivano quegli spari? - Da occidente, - disse Yanez, che era di guardia. - Non hai veduto prima, in quella direzione, alcuna colonna di fumo? - Niente; l'orizzonte era purissimo. - Quelle detonazioni erano deboli? - Debolissime. - Quelle cannonate devono quindi essere state sparate ad una grande distanza, - disse Horward. - Sì, considerato che il vento soffia appunto dall'est. - Sandokan, - disse Tremal-Naik, la cui fronte si era oscurata. - Cerchiamo subito la Marianna. - È quello che faremo, - rispose la Tigre delle Malesia. - Se non la troveremo dietro a quelle scogliere, torneremo verso il Sedang. Manda Kammamuri con dei gabbieri sulle coffe e con dei buoni cannocchiali onde esplorino attentamente l'orizzonte. Il Re del Mare aveva continuata la sua corsa verso l'est, seguendo la costa ad una distanza di un paio di miglia per non urtare contro qualche banco di sabbia; tuttavia nessuna nave appariva in vista. Una profonda ansietà aveva invaso l'equipaggio e soprattutto Sandokan e Yanez. L'assenza del loro praho, che doveva trovarsi in quei paraggi già da parecchi giorni e forse da qualche settimana, inquietava assai tutti, temendo che fosse stato scoperto da qualche nave nemica ed affondato. Sambigliong era furioso, più di tutti, e girava e rigirava fra le torricelle dei grossi cannoni, promettendosi di fracassare l'audace che aveva osato di abbordare la vecchia Marianna. La corsa del Re del Mare durò un'ora, senza che i gabbieri avessero potuto scoprire in alcuna direzione il veliero, poi ad un comando di Sandokan l'incrociatore virò di bordo, accostandosi ad una barriera d'altissime scogliere che formavano un braccio di mare fra esse e la costa. Ormai tutti erano convinti che una disgrazia fosse toccata alla povera nave. - Attivate i fuochi! - aveva comandato Sandokan. - Se giungiamo in tempo, faremo pagar caro agli inglesi questo colpo di mano! ... - Che ci raggiunga la squadra degli alleati? ... - chiese Tremal-Naik a Yanez. - Dobbiamo avere un vantaggio d'una dozzina d'ore almeno, - rispose il portoghese. - Giungerà troppo tardi. La nave filava come una rondine marina, a tiraggio forzato. Tonnellate di carbone venivano precipitate nei forni, sprigionando un calore così intenso che macchinisti e fuochisti penavano a sopportare. La notte, chiarissima, essendo sorta la luna poco dopo le undici, permetteva di discernere sull'argentea superficie del golfo qualsiasi punto nero, i gabbieri però, ad ogni domanda che veniva loro indirizzata rispondevano sempre negativamente. Nulla, sempre nulla! ... Nessun punto nero sull'orizzonte! ... - Che quei colpi di cannone abbiano segnata l'agonia della Marianna? - si chiedevano tutti, con crescente ansietà. Alla mezzanotte le coste orientali di Sedang cominciarono a delinearsi, nerissime per la massa imponente delle loro foreste secolari. Ad un tratto, quando il Re del Mare aveva già imboccato il canale che s'apriva dietro le scogliere, una voce risuonò sulla piattaforma del trinchetto. - Fumo dinanzi a noi! ... Yanez aveva puntato un cannocchiale nella direzione indicata. Un grosso punto nero, che emetteva una fitta colonna di fumo, filava fra la costa e le scogliere, fuggendo verso levante. - Una nave a vapore! - gridò il portoghese. - Duemila metri! ... Buon tiro per dei valenti artiglieri! Fermiamola! ... Cento rupie a chi la tocca! ... Non aveva ancora terminata la frase che il vecchio quartiermastro americano, che aveva già guadagnati i duecento dollari, era dietro al suo pezzo, sotto la torretta proviera di babordo. Vedeva perfettamente la nave che cercava di fuggire. La luna la illuminava in pieno. La distanza era ragguardevole, però il vecchio cannoniere aveva fiducia nei suoi occhi e nel suo pezzo. - Ora li accomodo io! - disse. - Le cento rupie balleranno nelle mie tasche in attesa di comperare una montagna di tabacco ed un barile di ginepro. Attese che la nave passasse attraverso la prora dell'incrociatore e fece fuoco rapidamente. Aveva colpito nel segno, causando all'avversario qualche grave danno o l'aveva mancato? Gli fu impossibile saperlo, perchè quasi nell'istesso momento la nave scompariva dietro un ostacolo, che la distanza non aveva permesso prima di distinguere, un isolotto o qualche scogliera. Il Re del Mare si era messo in caccia, rallentando però la corsa, perchè da un momento all'altro poteva trovarsi dinanzi a uno dei tanti numerosi banchi sabbiosi che si estendono dinanzi alle foci del Sedang. Giunto ad un chilometro dalle spiaggie, Sandokan aveva dato il comando di scandagliare. Non conosceva che imperfettamente quei paraggi e non osava avanzarsi alla cieca, per paura di arenare l'incrociatore. La nave però, contro la quale l'incrociatore aveva fatto fuoco, pareva che fosse scomparsa. Certo aveva approfittato delle scogliere che si vedevano numerose verso il nord, per cacciarsi in qualche canale e dileguarsi o cercare un rifugio entro qualche piccola baia. Il Re del Mare, nella sua seconda corsa, doveva essere rimontato molto verso il levante del Sedang, quindi Yanez e Sandokan presero il partito d'abbandonare il fuggiasco, che doveva essere troppo debole per osare di contrastargli il passo, e di tornare verso ponente per cercare la Marianna. Era sorto in loro il dubbio che il praho, per potersi sottrarre all'inseguimento, avesse cercato pure qualche nascondiglio o si fosse gettato alla costa. Marciava da un quarto d'ora, a velocità ridotta, continuando a perlustrare, quando presso un gruppo di scogliere apparve una massa nerastra fornita d'un'alberatura altissima, dove si vedevano delle vele ancora spiegate. - Nave alla costa! - gridarono in quel momento le vedette delle coffe. - Deve essere la nostra Marianna! - gridò Yanez. - Finalmente! ... Il Re del Mare aveva subito virato di bordo, avanzandosi lentamente verso quelle scogliere. Tutti si erano precipitati verso prora per meglio osservare quella nave, la cui immobilità però dava luogo a non poche inquietudini, tanto più che pareva si trovasse addossata alle rocce. Un fanale elettrico era stato subito volto verso di essa, illuminandola come in pieno giorno, eppure, cosa strana, pareva che nessuna persona si trovasse in coperta. - Accendete tre razzi, - comandò Yanez. - Se a bordo vi sono degli uomini risponderanno di certo. - Che sia proprio la Marianna? - chiese Tremal-Naik, il quale condivideva le apprensioni dei due comandanti. - Non te lo posso ancora dire, - rispose il portoghese, - quantunque le vele siano d'un grosso praho o per lo meno d'un giong. - Mi nasce un dubbio. - Che quella nave, per sfuggire alle cannonate dell'inglese si sia gettata addosso a quelle scogliere, arenandosi? È così Tremal-Naik? - Sì. - E temo che tu abbia indovinato. - E l'equipaggio? Non si vede nessuno? - E nessuno risponde, - disse Sandokan che si era accostato, mentre tre razzi lanciati da Kammamuri e da Sambigliong si spegnevano dopo di aver sparso in aria un nembo di scintille multicolori. - Allora gli inglesi hanno fatto prigioniero l'equipaggio, - disse Tremal-Naik. - E noi andremo a liberarli, dovessi inseguire quella nave fino entro il Sedang. Fa' calare in acqua una scialuppa e andiamo a vedere se si tratta veramente della Marianna. L'incrociatore aveva rallentata la marcia, sempre per tema di trovarsi improvvisamente dinanzi a dei bassifondi. Gli scandagli avevano già dati solamente dodici metri e pareva che il fondo si elevasse rapidamente. La gran barca a vapore fu calata e Sandokan, Yanez e Tremal-Naik, con venti malesi armati, vi entrarono, dirigendosi verso la scogliera. Il Re del Mare aveva virato di bordo tornando un po' al largo, essendo l'ondata piuttosto forte. La scogliera non distava che cinque o seicento metri. Era una lunga fila di rocce, di colore molto scuro, tagliate a mo' di sega, coi fianchi sventrati e corrosi dall'eterna azione delle onde. La nave si era arenata verso la punta settentrionale e nell'urto, che doveva essere stato violentissimo, si era piegata su un fianco, appoggiandosi colle bancazze ad una roccia elevata quanto l'alberatura. Temendo una sorpresa, Sandokan comandò a dieci uomini di armare i fucili, poi spinse la scialuppa contro una caletta formata da una cintura di scogli, dove l'acqua era tranquilla. Lasciati sei marinai a guardia dell'imbarcazione, cogli altri raggiunse la nave. - La Marianna! - gridò ad un tratto, con accento di dolore. Il disgraziato veliero, od in causa d'una falsa manovra, o spintovi appositamente, si era sventrato sulle punte delle scogliere in così malo modo, da ritenerlo per sempre perduto. Le rocce assai aguzze, gli avevano fracassata la carena, causandole uno squarcio così enorme, che le onde entravano liberamente nella stiva, rumoreggiando continuamente. - In che stato è ridotto quel povero legno! - esclamò Yanez, che pareva non meno commosso della Tigre della Malesia. - Che l'abbiano costretto a gettarsi su queste scogliere? E il suo equipaggio? - Vi è una scala di corda a babordo, - disse Tremal-Naik. - Saliamo. - Preparate le armi, - comandò Sandokan. - Vi possono essere degli inglesi a bordo. - Pronti! - disse Yanez. Salì pel primo, quindi Sandokan, poi gli altri, tenendo in mano i fucili e le pistole. Un silenzio di morte regnava sulla nave, ma che disordine sulla tolda! ... Si vedevano casse e barili sventrati per ogni dove, fucili e spingarde rovesciate, poi a prora un buco enorme che pareva fosse stato prodotto da qualche granata. Il boccaporto maestro era aperto e giù, nella profondità della stiva, si udiva l'acqua a muggire cupamente. - Non vi è nessuno qui, - disse Yanez. - Che cosa sarà successo dei miei uomini? - si chiese con ansietà Sandokan. - E del carico che aveva la nave? Mi pare che la stiva sia stata vuotata. In quell'istante sulla cima dello scoglio, contro cui s'appoggiava la Marianna, si udì una voce a gridare: - Il capitano! ... Sandokan e Yanez avevano alzata vivamente la testa, mentre i malesi, per precauzione, armavano rapidamente le carabine. Un uomo dalla pelle oscura e semi-nudo, scendeva rapidamente la roccia, tenendo in mano un parang, la cui larga lama scintillava vivamente ai raggi della luna. In pochi istanti raggiunse la murata di babordo e balzò in coperta, dicendo: - Vi aspettavo, capitano. - Tu, Sakkadana! - esclamarono ad una voce Yanez e Tremal-Naik, riconoscendo in lui il pilota della Marianna. - Che cosa è successo qui? - chiese Sandokan. - Siamo stati sorpresi ieri sera da una nave a vapore, che ci ha costretti a gettarci su queste scogliere, avendoci prodotto due squarci sotto la linea di galleggiamento. È fuggita vedendo giungere il vostro incrociatore. - Ha saccheggiato la Marianna il suo equipaggio? ... - Sì, Tigre della Malesia. Ha portato via armi e munizioni. - Ed i tuoi compagni dove sono? ... - Hanno guadagnato il Sedang. - E tu sei rimasto? - Non vi era più posto nella scialuppa, essendo stata l'altra spaccata da una palla di cannone. - Non vi siete abboccati coi capi dayaki? - Sì, - rispose il pilota, - otto giorni or sono, ma nulla abbiamo potuto concludere. Il rajah, sospettando di loro, ne ha fatto imprigionare per precauzione una buona parte ed altri li ha esiliati lontani dalle frontiere. - Maledizione! - esclamò Yanez. - Ecco una notizia che non m'aspettavo. Addio speranze! ... - Forse abbiamo tardato troppo, - disse Sandokan. - Il rajah ci ha prevenuti. - Che cosa faremo ora, Sandokan? ... - Non ci rimane che lottare sul mare, - rispose la Tigre della Malesia. - Ritorneremo verso il nord, giacchè il grosso degli alleati si trova nelle acque di Sarawak e riprenderemo la guerra contro le navi mercantili, arrecando alle linee di navigazione il maggior danno possibile. Se sarà necessario ci spingeremo fino nei mari della Cina. A bordo, amici! ... Non perdiamo tempo. Stavano per ridiscendere nella scialuppa, quando udirono un colpo di cannone rimbombare a bordo del Re del Mare. Sandokan aveva trasalito. - Che segnali la flotta degli alleati? - si chiese. - Lo suppongo, - rispose Yanez. - Vedo che si muove e che punta la prora verso di noi. - Guardate! - gridò Tremal-Naik. Verso l'ovest una luce vivissima illuminava l'orizzonte che poco prima era ancora tenebroso. La flotta degli alleati, composta d'una mezza dozzina di navi, muoveva velocemente per impedire all'incrociatore di prendere il largo. - Presto, a bordo! - gridò la Tigre della Malesia. Si lasciarono scivolare l'un dietro l'altro giù per la fune e la scialuppa mosse velocemente verso il Re del Mare, che dal canto suo le muoveva incontro. Le navi nemiche, quantunque fossero ancora lontane, avevano aperto il fuoco e le cannonate si succedevano alle cannonate e qualche proiettile s'inabissava a poche dozzine di metri dall'imbarcazione. Fra qualche minuto quelle masse metalliche dovevano giungere a destinazione. Il Re del Mare era però ormai a poche gomene. Manovrò in modo da coprire la scialuppa dai tiri delle artiglierie avversarie, opponendo ai proiettili i suoi poderosi fianchi, poi la scala fu abbassata d'un colpo solo. L'ingegnere Horward, Darma e Surama con Kammamuri erano usciti dalla torretta di poppa, gridando: - Presto! ... Presto! ... Salite! ... Alcuni marinai avevano già calati i paranchi per issare la scialuppa. Yanez, Sandokan, Tremal-Naik ed i loro compagni si slanciarono sulla scala, dopo d'aver assicurato i ganci. - Finalmente! - esclamò l'americano. - Credevo che non arrivaste in tempo. - A posto gli artiglieri! - gridò Sandokan. - Doppi timonieri alla ruota! ... - Avremo da fare per sbarazzarci della squadra; però siamo forti e veloci, - disse Yanez.

Cerca

Modifica ricerca