Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abboccar

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Senso

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Boito, Camillo 1 occorrenze

Mi pareva di quando in quando di sentire abboccar l'amo, e tiravo su; niente. Stufo, mi posi a sedere sopra una pietra e a guardare intorno. Non si vedeva un bel nulla. Nero il cielo, nera la terra: non una stella, non un lume. Garve, nascosta da un gruppo di alberi, a quell'ora dormiva. Sul dorso del monte, lì nel sito ove doveva essere Provaglio, apparve un luccichìo, forse una candela accesa al capezzale di un moribondo. Era un sepolcro di tenebre, ma un sepolcro pieno di frastuoni. Il Chiese, battendo contro i sassi, faceva una musica da assordare: c'erano dentro tutti i toni, tutti gli accordi, e il vento v'aggiungeva le estreme note acute. A un poco per volta si finiva ad assuefare gli occhi all'oscurità e a distinguere qualche cosa: i grossi rospi schifosi, per esempio, che sbalzavano di traverso accanto a me, la spuma bianca, anche il verde cupo dell'acqua. Avevo ripreso la canna per ritentare la sorte, quando vidi correre a precipizio con le onde e fermarsi alla diga una massa grande, biancastra. Non capivo che cosa fosse, e pure un brivido mi corse dalla testa ai piedi. Presi il lanternino, che avevo lasciato sul sentiero; ma, mentre mi avvicinavo col lume a quell'oggetto grigio, l'acqua, che gli aveva fatto intorno un gran lavorìo, lo sollevò e lo portò a venti passi lontano, dove diede di cozzo in una gran pietra che usciva dal fiume. L'attenzione intensa mi aguzzava la vista. Aiutato dal pallido chiarore della lanterna tentai di guadare il piccolo tratto, mettendo i piedi sulle teste dei sassi: non mi riuscì. Stetti immobile, con gli occhi fissi. Le onde percuotevano la massa informe, schizzando bava, come se fossero adirate, e le giravano intorno, formando un vortice rapidissimo: il Chiese s'ostinava rabbiosamente nel volere trascinar via la sua preda. La spuntò. L'oggetto strano fece il giro del sasso e ripigliò il suo cammino, rovesciato in gran furia dal fiume. Allora principiò una lotta terribile tra me, che volevo conoscere il mistero di quella cosa biancastra, e il fiume che me lo voleva nascondere. Conoscevo a passo a passo i viottoli della sponda: in un solo luogo la roccia, che si alza quasi verticale per un centinaio di metri, obbliga a salire e a discendere; il resto della via, fino a Sabbio, è piano. Ma quella salita e sopra tutto quella discesa non erano senza pericolo nelle viuzze strette, fiancheggiate da un burrone, la notte. Le piogge dei giorni precedenti avevano fatto franare in un punto la terra del viottolo, e bisognava sbalzare sul precipizio. Saltai senza pensarci, non sapendo dove avrei messo i piedi, e mi trovai dall'altra parte sano e salvo, ma col lumino spento. Continuai la strada da capre nel buio, intoppando negli sterpi, chiuso tra gli arbusti spinosi, scivolando giù dalla china sui ciottoli tondi, che rotolavano al piano. Finalmente giunsi di nuovo alla riva del fiume. Ma, dov'era andata la massa grigia? Era corsa innanzi senza intoppi, o gli ostacoli, di cui è pieno il Chiese, l'avevano trattenuta? Aspettai un pezzo senza batter le palpebre, con gli occhi inariditi che mi bruciavano. Alla fine passò nella corrente, in un attimo. Ripresi a correre anch'io su quel margine, dove nascono i salici sottili e le larghe foglie delle ninfee. Più su il prato è verde, smaltato di fiori, e ai pioppi si mischiano i pini, gli olmi, qualche piccola quercia. Lì m'ero posto a sedere tante volte sopra un tronco abbattuto, studiando le formiche, ammirando gl'insetti gialli d'oro, rossi di rubino, verdi di smeraldo, leggendo un bel libro o fantasticando alle cose gaie nella vacuità della vita. Poco lontano, dove il viottolo costeggia un campo di magre pannocchie, m'ero sdraiato una mattina a guardare per un'ora di seguito tre giovani donne, che raccoglievano le noci, le quali, scosse da un ragazzo sull'albero, cadevano nel fiume, e le tre donne, ridendo, mostravano le grosse gambe fin sopra il ginocchio, con le gonne legate ai fianchi. La macchia grigia era andata ad arenarsi sopra un banco di ghiaia, accanto alla riva. Mi tolsi le scarpe e le calze, mi arrotolai i calzoni alle cosce, e camminai tra le onde. Non mi reggevo in piedi. Il fiume mi tirava giù con una violenza invincibile. Sentii la piccolezza dell'uomo in faccia alla volontà delle cose insensate. In quell'istante il Chiese dovette chiamare in aiuto tutte le forze de' suoi abissi: coperse il banco di ghiaia con un'ondata impetuosa e, avvoltolando l'orrido oggetto biancastro, lo portò via inesorabilmente. Mi sentii vinto. Rientrando nella mia camera di Garbe ero inzuppato d'acqua e di sudore, sfinito; avevo gli occhi gonfi, la testa in fiamme; i polsi martellavano. Non potei chiudere occhio. Appena giorno mi alzai barcollando, e sulla sinistra del Chiese, lungo la via postale, andai a Sabbio. Ora le mie membra erano tutte ghiacciate, ora dovevo asciugarmi la fronte. A Sabbio, dove spesso andavo a far colazione, l'idalgo e la sua moglie ostessa m'accolsero con un mondo di cortesie, chiedendomi venti volte se stavo male. - Non è niente, - rispondevo, - l'aria fresca, la passeggiata e la colazione mi rimetteranno -. Non mangiai nulla. Guardavo come in sogno il largo portico adorno di ragnateli, le chioccie che venivano a beccheggiare i minuzzoli di polenta per portarli a' pulcini, la chiesa della Madonna, la quale, alta com'è sul colle e posta lì proprio accanto, pareva piantata sopra i tetti dell'osteria. Mentre io stavo immerso in queste visioni, entra uno dei figliuoli dell'ostessa, Pierino, bel ragazzotto di sette anni, saltando, e si mette a gridare: - Mamma, l'ho visto, sai? - Chi? - L'uomo che hanno trovato nel fiume stamattina. - È bello? - No, è tanto brutto. Domandalo alla Nina. La Nina era entrata insieme col fratello, ma s'era tosto rincantucciata in un angolo del portico, con le mani giunte, mormorando qualcosa sotto voce. Si sentiva a intervalli la parola Requiem , flebile, soffocata. - È giovine o vecchio? - ripigliò la madre. La Nina non rispose. Rispose Pierino: - È vecchio, ha la barba bianca, lunga lunga. Ha gli occhi stralunati. - Dov'è? Voglio vederlo - gridai scattando in piedi. L'ostessa mi sbirciò, e bisbigliando: - Dio, che gusti! - ordinò a Pierino di accompagnarmi. In quattro salti fui alla chiesa, quella del paese basso. In una stanza umida annessa alla sagrestia avevano esposto il corpo dell'annegato. La stanza era piena zeppa di contadini. Uno diceva: - Chi lo deve conoscere? Si vede bene da' panni che non è del paese. Un altro soggiungeva: - Io dico che è tedesco. - No, è di Milano. - Indosso non gli hanno trovato niente? - chiedeva un giovinotto. - Niente: né una carta, né un soldo. - Si sarà affogato per la miseria. - Io dico che è cascato nel fiume. - Io dico che ve l'hanno gettato. - L'occhio è da demonio. - Con quella bocca aperta sembra che ci voglia mangiare vivi. Una bambina si nascondeva, tremando, dietro al corpo del padre, e ripeteva: - Ho paura, ho paura; andiamo via. Il padre intanto esaminava da vicino l'abito dell'annegato, lo toccava e sentenziava: - Bel fustagno! Dev'essergli costato caro. M'ero cacciato innanzi tra la folla. Il vecchio del Ponte dei Re fissava gli occhi nel mio volto, sinistri, minacciosi. Sentivo in quello sguardo immobile un supremo rimprovero. Alle orecchie mi ronzava un soffio da tomba, che diceva: - Tu mi hai lasciato morire: sii maledetto. Tu potevi salvarmi, tu mi hai lasciato morire: sii maledetto. Tu avevi indovinato quel che io stavo per compiere, tu mi hai lasciato morire: sii maledetto. Il soffitto della stanza mi crollava sul capo; la folla mi stritolava. Credevo di essere nell'inferno, in mezzo ai diavoli, giudicato dalla voce cavernosa e dagli occhi implacabili di un cadavere grigio. Entrò un contadino, che avevo visto a Idro. Guardando l'annegato, esclamò: - Povero vecchio, le voleva tanto bene! Due giorni soli ha potuto vivere dopo morta la sua Teresa! * * * Mi posero a letto con una febbre da cavallo. Le impressioni di quella mattina, le fatiche della sera precedente, i rimorsi, produssero il loro effetto: avevo delle allucinazioni spaventose. Gli occhi infiammati mi dolevano assai. Il mio buon sindaco veniva a visitarmi due volte al giorno, e mi stava accanto delle lunghe ore, porgendomi egli stesso le medicine e raccontandomi piano, quando gli sembravo un po' quieto, qualche storiella, che non mi faceva sorridere. D'allora in poi la febbre s'è mitigata, ma, ad onta del chinino, non m'ha voluto lasciare. I medici dicono che è di quelle periodiche, le quali si pigliano facilmente con l'umidità e con gli strapazzi. Io la sopporto in pace; ma non posso tollerare in nessun modo questa maledetta macchia negli occhi. Appena uscito dai vaneggiamenti, me la son vista dinanzi, e continuo a vederla, come vi ho descritto, ostinata, abbominevole ... Ecco, anche in questo momento uno spettro scialbo e confuso mi balla di contro, ecco che insudicia il foglio bianco. Il sole è già tramontato, e la scrivania rimane in una penombra, che mi basta a gettare sulla carta in furia queste parole, ma che non mi lascerebbe rileggerle. Volevo finire prima di accendere il lume, e la macchia si giova della mezza oscurità per lacerarmi il cervello ... La macchia cresce, la macchia - cosa nuova! - prende una forma d'uomo Le spuntano le braccia, le spuntano le gambe, le nasce il capo. È il mio vecchio, il mio terribile vecchio! Parto stasera; vi consegnerò io stesso domani questo manoscritto. O guarisco o mi strappo gli occhi.

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