Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abboccando

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

La Colonia felice: utopia lirica (terza edizione)

663217
Dossi, Carlo 1 occorrenze
  • 1879
  • Stab. Tip. Italiano DIRETTO A L. PERELLI - Ditta Libraria di NATALE BATTEZZATI
  • prosa letteraria
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

- rispose il Beccajo, tosto abboccando all'esca del Letterato. - Sia fatta una legge! - Una legge! - iterò il papagallame. - Ebbene - fe' Aronne - giacchè la volete una legge, propongo anzitutto, che chi uccide o ferisce sia ucciso Chi non accetta, si alzi. - Nessuno si alzò. Nessuno l'ardiva. E il Letterato scrisse su 'n foglio l'unànime voto. Poi; - E chi ruba? ... e chi froda? ... e chi strugge? ... - A morte! - interruppe il Beccajo nell'entusiasmo dell'ira. - Troppo! - osservò Àmos il Lima, un mammamìa color foglia-morta, e (borbottando:) - ... chi uccide, sia ucciso; chi ferisce, sia ucciso; chi ruba, sia ucciso ... - Dunque non c'è differenza tra il fare un fazzoletto e una vita? - Ma il Letterato pacatamente: - Proprio; in faccia alla legge, non c'è. La legge vuol la stessa obedienza e in solajo e in cantina, e nell'unghia e nel capo. Tòccala in tanto così ... - e segnò sulle dita - tòccala in così tanto ... - e segnò sulla mano - è tutt'uno per lei. - E tutti, allora, acclamàrono: a morte! Donde, si venne a disputare del modo. Ognuno avea il suo a proporre, e tal fu, che, in così bella occasione, ebbe a scoprirsi di un lusso di fantasìa da disgradarne le illustrazioni del Santo Offizio più scelleratamente pie. Le parolette di boja, scure, tenaglie e d'altre sìmili galanterìe, si palleggiàvano senza riposo fra quelli onesti legislatori, i quali, sostituita alla privata vendetta la pùbblica, non più potendo sfogar nei delitti la loro ferocia, cercàvano legittimarla nelle pene. Senonchè, Aronne, meno bimbo di tutti, che, se non altro, non era mai stato gratuitamente malvagio, e che or sorrideva con tàcito naso ai lor disconclusi propòsiti, ci diede fine, osservando, che, se diverse le vie, la meta era poi sempre la stessa, cioè la morte una sola; che però, trattàndosi di elèggere un modo, a suo poco giudizio ei propendeva, per una certa tradizionale venerazione, al clàssico della impiccatura, aggiungendo con un diabolico riso: fareste torto, scartàndolo, a tante belle piantone, che pàjon quì nate e cresciute apposta. - La qual sentenza fu coperta d'applàusi. - Per cui accettata la ... - ei riprese, nell'inforcarsi coll'ìndice e il medio la gola, e sì compiendo ribaldamente la frase - chi invade una donna non sua ... - - A morte! - compì Tecla la Nera, sfavillante negli occhi. - Donna non sua? - saltò su a dire il Rampina. - Stà quì di casa una tal rarità? - Abbracciò Tecla il Beccajo e impetuosa baciàndolo: io sono tutta di Gualdo; la nostra bimba lo vuole. - - E le altre? - chiese il Rampina. La discussione si annuvolò, e, la passione aumentando, divenne più e più burrascosa. Già le parole si facèvano grida, come le idèe si èrano fatte parole. Dove c'è donna c'è lite. Eran le donne in nùmero minore assài degli uòmini; tuttavìa il progetto di porle in comune fu da esse respinto fierissimamente. Ben si sarèbbero, molte, accontentate di avere tutti; non una poteva soffrire d'èsser di tutti. E fu specialmente respinto da Tecla, che giunse perfino a toccare del malo esempio che ne trarrèbbero i figli, e da Aronne, il qual prevedeva nella incertezza della Famiglia, quella perpetua della Comunità. - Ora, udite - diss'egli, cogliendo un istante di general mancafiato - udite mè. Siamo in dieci a sottane; quìndici a brache. Ma, per due paja fra esse, non c'è più fòrbice ed ago. Dico di quelli che tèngono figli. I figli vàlgono un matrimonio; anzi, secondo mè, il vero matrimonio sono essi; nè noi possiamo levare la mamma alla creatura, nè la creatura al pappà. Resterebbèro dunque di lìbera caccia, fèmine otto e trèdici maschi, benchè, di questi ùltimi, alcuni non possèggano più, a uso maschio, che il nome ... - - Chi, per esempio! - arrocò, con quella sua voce eternamente in cantina, lo squarquojo Raccagna, il beone. - Io - ribadì il Letterato - e Gabiola il Lìbera-mè e Saverio l'Annegatore e Siro lo Zangarino e Luiso il Tremila, e tu anche, o Raccagna ... Chi ne può troppe contare, ne ha ben poche da fare. - Ma ecco due allampate figure, cui non mancava se non la granata per èssere streghe, ecco due faccie rugose sulle quali la vita appariva in piena dirotta, solo durando, indomata, la foja, avanzarsi, stringendo rabbiosamente le grinfe, e con due bocche spigionate di denti strillare: e noi? - Ribattè Aronne: vi accomoderèbbero i vecchi, a voi? - Giuliana la Maga e Ortensia l'Arciduchessa soffiàrono offese. - Ebbene - egli fece, con quella gioja tutt'astio che è l'irrisione - fate conto, o bambine, che i giovanotti la pènsano giusto così. Quindi - seguitò egli - messi da parte i quattro già in gabbia, e questi due funerali, e noi sei che non abbiamo più sesso, c'è da disporre di uòmini sette, e sei donne. Alle quali donne, io, per evitare le graffiature, propongo d'invocare la Sorte, giocando al lotto il marito. - Un bàtter giulivo di mani accolse la nuova proposizione. I polizzini coi sette nomi de' condannati furono tosto scritti. E allora, quelle zitelle un poco sdruscite, ma che, in virtù di un pròssimo matrimonio, assumèvano un'aria di provvisoria verginità, zoccolàrono insieme da un lato, dove, in bel gruppo, illuminate dall'aureo sole, stètter guardando, tra la soja e la sfida, i lor futuri sposini, i quali, dai Nebbioso all'infuori, riunìvansi sull'altro lato, tanto quanto impacciati, tanto quanto ingoffiti, come se già il lor sangue impigrisse di maritale elefantìasi. Nel mezzo poi, da tutti gli altri attorniato e appunto fra le due vecchie che somigliàvano alle due Parche peggiori, Làchesi e Cloto, rimase Aronne. In una mano egli tenèa la sua berretta e mescolàndone entro i polizzini con l'altra, ad alta voce chiamava: Ambra, avanti! - Ambra l'Avvelenatrice distaccossi dal gruppo. Era una bruna dalle linee severamente egizie. Parèa la Faraònide di Cherubino Cornienti. Movèa le spalle, come se sopra le fiumeggiasse una pòrpora; il capo, come reggesse corona. Il viso di lei non impallidiva, non arrossiva mai; lo sguardo imperioso scendèa nelle ime midolle e gelava. Era di quelle donne di cui fà l'odio paura, ma l'amore spavento. Un regno ... e Ambra avrebbe calpêsti i diademi di tutti i prìncipi della terra e coi diademi le fronti, avrebbe usurpato gli inni di tutti i poeti, eternatori la notte de' suòi capelli e il giorno degli occhi suòi e la insaziàbile brama e la voluttuosa terribilità degli abbracci; nulla ... e un piatto di sospetti funghi bastò a impigliarla nella ragnaja di un còdice, e giùdici, fatti arcigni dal pranzo in ritardo, la condannàrono prodigalmente, e le manette le divènner monile, non ottenendo in compenso dalla parziale Celebrità, che il nome e un oltraggio sulle gazzette. E Ambra, regalmente incedendo, elesse, dalla berretta che presentàvale Aronne, un biglietto, e, come l'ebbe travisto, senza scomporsi, si volse e andò, degnàndosi quasi, a stènder la mano a Sergio il Ranza, un barbuto. Il quale, attiràndosela al seno e baciàndola, aggricciò di terrore. Si applaudì. - Avanti l'Èster! - appellò Aronne. Da tutti gli occhi costretta, con un sorriso intrigato, fatto a onore dei denti, si avanzò una tosoccia rubiconda e polputa; quaglia aspettante il tàlamo della polenta. La sua incresciosa andatura avèale imposto il soprannome di Oca. Non bellezza, belluria. Era tonda e di fuori e di dentro; tonda di fianchi, di sguardo, di ànimo. Quella scarsìssima intellettiva, che, il Cielo o che altro le avèa concesso, stava tutta in vetrina. Non passava il suo sguardo oltre la pelle; non èrano i suòi pallori e rossori, effetto di sentimento, ma di lune sanguigne. Rappresentava la Indifferenza; non già la divina di chi moltìssimo sà, ma di chi niente. Un passo più giù e ci saremmo trovati in pieno ebetismo. Era insomma di quelle ragazze che non isvègliano che desiderii fatti di carne e di mùscoli; di quelle che con l'eguale commovimento sèntono una dichiarazione d'amore e l'annunzio della zuppa che aspetta. Èster, nata in una làuta onestà, non si sarebbe, certo, incomodata ad uscirne; avrebbe, come il più delle donne, aumentato la formidàbile turba degli imbecilli e attaccato bottoni saldìssimi: sorta, al contrario, in un ambiente di viziosa miseria, continuò, senza rimorso nè gusto, a far quanto la sozza interceditrice matrigna più non poteva; alimentò il corpo col corpo, mettendo bottega de' suòi baci stopposi e delle lievìssime effervescenze. - E l'Oca, sempre con quel suo vàpido riso e quel molleggio di anche, dondolò fino al berretto di Aronne, dove, fatto un inchino e sortito una scheda, stette con questa in mano e spiegata, senza sapere che fare, senza sapere che dire, tìmida no, ma analfabeta. - Chi è? - da ogni parte si chiese, e tutti le si affollàrono intorno. - Mia! - eruppe in trionfo un giovanotto rossigno, travedendo il suo nome. E Rosario il Fanfirla l'abbracciò stretto stretto e baciolla; ed essa, lasciossi baciare e abbracciare. Per quanto stolta una donna, un uomo c'è sempre che la vince in stoltizia - il suo amante. Ma intanto, l'urna di feltro era scossa di nuovo, e si udia: Cecilia avanti! - Ed ecco, venire ad Aronne quella grassotta e fulva fanciulla, che già conosciamo. Stette Cecilia, dinanzi la sorte sua, arrossendo e imbiancando; poi, con leggera esitanza, scelse un biglietto, che lentamente aprì, incominciando dubbiosa a compitarci su un nome ... Nè molto inoltrossi, che le si effuse la guancia di felice rossore: Mario! - diss'ella. Senonchè Mario, il qual si tenèa in disparte accavalciato ad un trave, senza voltarsi, senza mòversi pure, rispose: io impicci non voglio. - Tentò parlare Cecilia ... Il pianto anticipò la parola. Ora - via Mario - la divisione diventava ben piana. Nulladimeno, si volle continuata la lotterìa. E ad Àmos il Lima toccò la pellùcida e rosea Olivetta Cuorbello; a Giorgio il Rampina, Càrmen la Smorta, una bellezza in pien frutto; a Làzaro il Guercio, Battistotta la Serva, ancacciuta e baffuta schiattona; infine, ad Erminio il Tedesco, un colosso dagli occhi e dai capelli sbiaditi, toccò la Cecilia, cui, lombi torosi dovèano dare passata degli affanni di cuore. Nè qualcuno sogghigni a sìmili nozze fabricate sul caso ... Che è un matrimonio, in tutti i paesi del mondo, per quanto premeditato, se non un getto di dadi? - E così - ripigliò Aronne, parlando alle otto coppie di sposi, che si schieràvano dinanzi a lui braccio a braccio - or che le sedie son prese, chi scavalca l'altrùi ... - - Impicca! - sbraitàrono ferocemente i mariti. Ma solo i mariti. - E a chi il ricordare la legge? e il condannare? e il punire? - insinuò Aronne. - Un capoccia! un capoccia! - esclamàrono tutti. Il Letterato fe' un cenno, che invitava al silenzio, e: - Date ascolto. È meglio non comandare del non venire obediti. Ma non si obedisce alla legge se non per amore di questo - e mostrò il pugno. - Chi ha questo più forte è capoccia ... Lo è dunque il Beccaio. - Viva il Beccajo! - vociò l'ossequente bordaglia. Ma Gualdo: - No - oppose. - Se il pugno io l'ho forte, dèbole è il capo. Io non potrèi che farmi accoppare. Troppo mi sento ignorante ... di una ignoranza a cui non c'è menda. Il mio braccio ha bisogno di testa. Ecco la testa! - e additò il Letterato. Sul che, la mòbile plebe, che o dà tosto ragione al primo che parla per evitar la fatica di udire il secondo, o al secondo per non scomodarsi a bilanciarlo col primo, acclamò a quello. Insieme al quale si elèssero poi quattro giùdici, che fùrono lo Zangarino, il Tremila, il Raccagna, e il Lìbera-mè, compensati in tal guisa, con un poco di fumo, dell'arrosto mancato, cioè della moglie. - E adesso - sommò il Letterato, che avèa scritto man mano su un ampio foglio di carta i comuni decreti - venga ciascuno, e quì giuri obedienza a quanto, egli stesso, si ha comandato. Dio danni il fedìfrago al cànape, ai corvi, alla perpetua oscurità! - E Aronne firmò per il primo; indi passò la penna al Beccajo, che v'inchiostrò uno stentato crocione, poi al Raccagna, che vi lasciò un tremoleggiante sgorbio, e, così via, uòmini e donne, pòsero tutti il loro segno sul foglio ... un camposanto di croci. Più non mancava che Mario. Egli stava - sempre accavalcioni del trave, sempre chiuso in sè stesso - col gòmito sul ginocchio e sulla palma la guancia, come se inconscio di quanto gli succedeva all'intorno. Ma, quando ogni sguardo si fisse in lui, quando ogni bocca il chiamò, donde sedèa scese, e, camminando di un fare sbadato e di una dispettosìssima cera, venne al macigno che serviva da tàvola. E colà prese la penna, che girò fra le dita, alcuni momenti, indeciso; ... poi, accipigliàtosi a un tratto, sdegnoso la gittò via, dicendo: è inùtile! non obedirèi. - E Mario il Nebbioso si esiliò dai compagni, pigliando il cammino dei boschi e della misèrrima libertà delle fiere.

Cerca

Modifica ricerca