Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Giacomo l'idealista

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De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Mentre don Lodovico pensava al modo di aver un abboccamento con monsignore di San Zeno, che non aveva l'onore di conoscere di persona, sentí dire dal canonico Murari che il degno prelato era venuto a Milano ospite per alcuni giorni dei padri barnabiti di Sant'Alessandro. Non tardò a procurarsi una lettera di presentazione, non volendo perdere una cosí bella occasione, mentre perorava la causa d'un libertino, di tastare il terreno sul programma che il partito intransigente stava preparando per le prossime elezioni amministrative. Già da qualche tempo i vari partiti conservatori, di fronte alle fortunate audacie della progresseria radico- massonico- socialista, sentivano la necessità d'un segreto concentramento di forze, in virtú del quale i sentimenti piú liberali avrebbero dovuto abdicare a molte speranze e cedere un pezzo di superbia ai clericali, che, avendo un programma piú stretto e piú determinato, eran piú sicuri di vincere. Era sonata l'ora in cui i liberali della destra pura dovevano sostituire alla speranza la rassegnazione, al bene il meno male: ma non tutti sapevano acconciarsi al fatale destino, che travolge i partiti che non sanno rinnovarsi. Di Breno era uno di quelli che piú mordevano il freno e giurava che lui a Canossa non sarebbe andato mai. Cavouriano indurito, che sulla formola di "libera Chiesa in libero Stato" si sarebbe lasciato inchiodare vivo, era persuaso che con questo programma storico si poteva far molta strada ancora nella via del progresso e della libertà, non solo, ma che l'aristocrazia intelligente, piú che all'ombra del baldacchino, doveva prendere il suo posto all'ombra di questa bandiera, che era sventolata da Novara a Roma. Ma i preti, non contenti di far la parte del leone nella distribuzione delle cariche amministrative e nella rappresentanza delle Opere pie, pretendevano di mettere all'uscio addirittura il vecchio e nobile partito che aveva fatto l'Italia e, se era possibile, di seppellirlo non ancor morto del tutto nel sudario di Roma intangibile. Fiutando il vento infido, anche in vista d'una non lontana elezione politica, che avrebbe scosse le basi del suo vecchio Collegio, sapendo che questo monsignor di San Zeno aveva un po' la natura degli antichi arcivescovi, che andavano in battaglia colla croce in una mano e la spada nell'altra, immaginò che lo scappuccio di Giacinto potesse tornargli comodo, se non altro per rendere sua Eminenza meno rigido e meno restrittivo. Non c'è economia piú astuta di quella che insegna a trar profitto dai peccati degli altri: e il nostro don Lodovico, senza essere un genio, ci aveva questo talento nella zucca pelata. Sua Eminenza, appena ebbe ricevuta la lettera dell'onorevole deputato, gli fece sapere che sarebbe stato lieto di conoscere personalmente un gentiluomo, che conosceva cosí bene di fama. E il conte fu puntuale al convegno. Introdotto da un giovine prete grande e robusto come un gendarme in un salotto della fabbriceria, fu amabilmente e decorosamente ricevuto da monsignore. Questi era ancora una bell'asta d'uomo, di solida e fresca senilità, di carni ancor morbide e quasi biancheggianti sul severo paonazzo della mozzetta, che egli sapeva portare con signorile eleganza. Quantunque non schivasse col rigore dei principî le occasioni per farsi dei meriti presso la Curia romana e presso il partito piú intransigente che domina la Chiesa, pure nei rapporti sociali rivelava un uso non mai interrotto di aristocratiche abitudini e un galateo di tolleranza, che una certa prelatura di piú recente fabbrica non può né conservare, né inventare. Se avesse dovuto crearsi uno stemma morale a insegna dell'episcopio, al posto del santo, che decorava le torri della famiglia, monsignore avrebbe scritto il motto: "Mano di ferro in guanto di velluto ." , essendo egli persuaso che il primo segno di forza è nel rispetto che si usa all'avversario. La trivialità non è che una secrezione velenosa di animali inferiori. Di fronte alla persona larga e paludata del prelato, il povero conte, già cosí magro e cosí poco nei panni, con quel suo passo breve e come dimezzato, con quegli occhietti miopi di formica affogati nelle lenti dell'occhialetto, con quella testa a foggia di mellone, faceva la figura, non d'un legislatore, ma a dir molto d'un fabbriciere, o quasi d'un sollecitatore d'elemosine. Monsignore, per quanto fiutasse da lontano il motivo di questa visita, volle per una strategia diplomatica mostrarsi esagerato nei complimenti. Se questi signori liberali, scassinati nelle loro basi, venivano al tempio col capo coperto di cenere, curvi sotto il peso di tutti gli errori commessi in sedici anni di cattiva politica ecclesiastica, piú che il gridare: "Vade retro, Satana ." era il caso di ammorbidir loro la contrizione e di mettere un cuscino di velluto sotto i loro ginocchi. - Ringrazio il signor conte di questa bella visita, - disse il vescovo, che, sorridendo in tutte le pieghe della sua faccia morbida e pastosa, soggiunse poi con arguzia: - Per quanto traviato, l'onorevole di Breno non è per noi un Innominato . - Invece io sono venuto a cercare il mio Federico Borromeo, - fu pronto a ribattere il conte, che in queste battagliuccie diplomatiche era un piccolo Machiavelli in guanti inglesi. E non volendo perdere il vantaggio di parlare per il primo, vantaggio che serve a dare, se non il motivo, almeno la battuta della musica, continuò subito: - Avrei dovuto venir prima a compiere il mio dovere verso monsignore e non qui in casa altrui . - I nostri doveri sono i nostri piaceri - declamò monsignore, premendo un istante sul largo petto la mano ossuta del conte nella sua piú nutrita, ingemmata del ceruleo topazio. I due illustri personaggi, davanti a un vasto camino, dove ardeva silenziosamente un gran tronco, sedettero in due seggioloni a spalliera ritta, coi bracci imbottiti di cuoio, sotto lo sguardo un po' fiero di un santo dipinto, dalla lunga barba nera, credo San Paolo, che reggeva colla sinistra un gran libro squinternato e colla destra si appoggiava a un lungo spadone. Cornice, quadro, seggioloni, e i pochi mobili massicci, che arredavano l'area della vasta sala in cui fluttuava un filo di odor d'incenso e di cera bruciata, ebbero per gli occhi del conte l'aspetto stanco e addormentato delle cose che non si muovono mai, come certi principi che non sentono gl'impulsi del tempo. - Prima d'ogni altra cosa mi dica come sta la signora contessa - riprese monsignore con un tatto gentile d'uomo, che sa il vivere del mondo. - Molto bene, grazie, monsignore. Essa mi ha incaricato di presentarle il suo ossequio rispose il conte, sapendo di dire un'amabile bugia. - Conosco donna Fulvia dalle unghie tenerelle. Non fu essa educata nel collegio delle Dame inglesi? - Appunto, Eminenza. - Non era compagna di mia nipote Cristina? - Precisamente. - L'ho confessata piú volte quand'ero vicario da quelle parti. Ha figliuoli, n'è vero? - Dio non ha voluto contentarla - confessò confusamente colle orecchie un po' calde il conte, fissando lo sguardo nel fuoco. - Pazienza! Si può essere sempre di vantaggio all'umano consorzio - si affrettò alla sua volta a correggere monsignore, che, per quanto esperto e navigato, non aveva forse finito d'imparare. - Io sono venuto, Eminenza, per due motivi - ripigliò subito il conte per uscir presto da quel discorso impacciato. - Il primo motivo è, dirò cosí di ragione pubblica; l'altro molto piú delicato, tocca molto da vicino la persona e la famiglia di vostra Eminenza. Cominciamo dal primo. Presto avremo le nostre elezioni amministrative, che preludieranno alle grandi elezioni politiche di questa prossima primavera . - Sicuro! - disse la voce baritonale del prelato che, ripercossa dalla vólta, lasciò indietro un silenzio un po' lungo pieno di difficili sottintesi. Il conte vedendo che il nemico non rispondeva alla prima cannonata, fece un passo avanti: - Io so che vostra Eminenza è un capitano che non dorme sugli allori. - Dica spine, dica spine, signor conte. - Se è permesso a un bandito qualche indiscrezione, vorrei chiedere a monsignore quali sono le sue intenzioni per la prossima battaglia. - Non ho nessuna difficoltà a dir quel che è. Il nostro partito questa volta farà da sé. - Cioè porterà nomi suoi, escludendo quelli degli alleati . - Salvo una o due eccezioni. - A tutto vantaggio degli avversari comuni. - L'urna deciderà. Il dialogo seguiva serrato col passo d'un esercito che si concentra. Il conte masticò una goccia di saliva, e alzando una mano quasi per invocare indulgenza: - Ecco! - fece - se vostra Eminenza mi assolve, io credo che il partito, al quale Ella consacra la sua nobile attività, si lasci un po' troppo presto acciecare dalla buona fortuna e voglia mangiare, come si dice, il fieno in erba. - A noi non importa tanto il vincere quanto il purificarci, - fu pronto a ribattere monsignore, ingrossando la voce. - Oggi troppa zizzania è mescolata al buon frumento, e io son persuaso che, come in natura, cosí nella vita morale nessuna idea può nascere da ibridi connubi. - E nel finire questa bella frase, la voce, come se sentisse l'impulso dell'interna convinzione e dell'indole battagliera dell'uomo, cominciò a prendere una solennità pastorale. Il conte, che intese subito il latino della sacrestia, tentennò un poco la piccola testa aguzza, si fregò le ginocchia, masticò ancora una goccia di saliva, per finir di concludere: - Prego vostra Eminenza di credere ch'io non parlo per me, perché ormai della vita politica son piú le amarezze che le dolcezze che vado continuamente ingoiando, e il mio sogno è di ritirarmi in campagna a coltivare i miei cavoli. Ma la mia vecchia esperienza mi dice che il partito clericale, con questa sua intransigenza, fa un buco nell'acqua: provvederà forse a qualche piccola ambizione locale, ma perde di vista il bene supremo della patria e della religione . - Conte, conte, conte - scattò monsignore, facendosi rosso e caldo in viso, quantunque si sforzasse di smorzare l'improvviso risentimento sotto un sorriso, che non riusciva ad essere allegro. - Vorrà concedere, signor conte, all'ultimo dei ministri di Dio di saper intendere che cosa sia il bene supremo della patria e della religione, tanto quanto lo può intendere un seguace delle idee liberali. Non è colla diuturna guerra alle istituzioni ecclesiastiche, alle mense vescovili, agli ordini rnonastici, non è coll'obbligare al servizio militare i giovani chierici, condannandoli all'obbrobrio delle caserme, non è colla confisca delle mani morte, non è coll'ignorare o col fingere d'ignorare che ci sia una coscienza religiosa nel paese, non è coll'oltraggiare l'istituzione stessa del cattolicismo nella persona del suo Capo, non è con questi mezzi che i nostri avversari di ieri hanno provveduto al bene della patria. Peggio non potranno fare i nostri avversari di domani, se l'urna sarà repubblicana o socialista. Cristo ha detto: "se la tua destra ti è cagione di scandalo, tagliala", e noi tagliamo, caro conte, cioè noi separiamola causa nostra da tutti coloro che considerano, per esempio, il pontificato romano, non come una gloria e come una futura salvezza, ma come una vergogna della patria. È duro di dover ferire dei cari amici, ma l'intransigenza e la coerenza, è la forza dei principii, e per noi è la verità. L'Apostolo delle genti, che ci sta guardando da questa cornice - e monsignore indicò colla mano la fiera figura del santo dalla lunga barba nera - ci ha insegnato a combattere per Cristo. Il simbolo della pace è la spada. Il conte si guardò bene dall'interrompere una eloquenza, che sgorgava cosí calda e sonora, ma, fingendo un atto remissivo di rassegnazione, con voce umile riprese a dire: - Perdoni, Eminenza, se nella foga del dire mi è uscita qualche parola, che possa essere sonata male al suo orecchio. "Iliacos intra muros peccatur et extra", e la storia ci giudicherà tutti a tempo opportuno. Ora, per non farle perdere il suo tempo cosí prezioso dirò subito dell'altro motivo, che mi ha persuaso a chiederle questo abboccamento. Qui non è piú il deputato che parla ma parla l'ambasciatore: mi sia lecito dunque invocare il diritto delle genti, che riconosceva sacra e inviolabile la persona del feciale. Chi mi manda, come vostra Eminenza può vedere da questo biglietto, è don Giacinto Magnenzio, il figlio di donna Cristina. - Notus in Judea Che cosa vuole l'elegante ufficialetto? la mia benedizione? - Vuole, vuole, veramente non saprei come dire. Se parlassi a un uomo di mondo, potrei invocare il detto classico: Homo sum et nihil humani a me alienum puto. Il conte si rallegrò in cuor suo d'aver infilato cosí felicemente e in cosí breve tempo le due belle citazioni latine, e lasciò capire che la riverenza verso il ministro di Dio lo rendeva un poco imbarazzato e perplesso. - Cioè? ha fatto degli altri debiti? è vero che giuoca? quella povera Cristina ha avuto la sua croce in questo ragazzo. - È un ragazzo un po' vivo e, girando per il mondo, si sa, le occasioni son molte. Anche sant'Agostino ha fatto le sue in gioventú. - Lei, conte, sarebbe un eccellente avvocato per la mia canonizzazione. - Monsignore rise con tutta la sua bella voce per dissipare con un gran frastuono quel po' di amaro e brusco che poteva essere rimasto nell'aria. Poi seguitò: - Parli, parli, il sacerdote è abituato a compatire le debolezze umane. Che cosa vuole questo signor Argante? - C'è che ha conosciuta una ragazza - disse il conte, scivolando sulle parole. - Cioè? - fece il vescovo, corrugando le grosse sopracciglia - E ci sono conseguenze . - Oh .! - uscí con un suono secco il prelato. - Una ragazza di bassa estrazione, una figlia del popolo . - Asino, imbecille! - tuonò questa volta monsignore, lasciando cadere sul braccio della poltrona un gran colpo di mano. E si volse a interrogare collo sguardo corrucciato. E il conte sempre umilmente, come se confessasse dei peccati suoi, continuò: - Suo padre non lo sa e non lo deve sapere, povero uomo. La contessa non fa che piangere. - Peggio per lui e peggio per lei! -soggiunse, battendo un altro colpo sdegnoso colla mano chiusa: poi, alzandosi in tutta la maestà del suo portamento patriarcale: - Dica a don Giacinto sentenziò gravemente - che ad altre cure, ad altri bisogni è consacrata la dignità del vescovo. - Monsignore, non respinga le lagrime di un peccatore, - supplicò nuovamente don Lodovico di Breno, che pregustava già il saporino del suo piccolo trionfo. - Chi è causa del suo mal pianga sé stesso - ribadí il vescovo duramente, rimettendosi lentamente a sedere. - Io credo invece che il caso questa volta meriti una speciale considerazione. La ragazza non è sconosciuta dalle nostre parti e, se i parenti vogliono sollevare un clamoroso scandalo, e mettere in qualche imbarazzo anche vostra Eminenza, avranno buon giuoco in mano. I nostri avversari, pardon, - corresse con un saltuccio di malizia birichina- dirò meglio gli avversari di vostra Eminenza non aspettano che un pretesto per dare una grande battaglia, che quest'anno sarà, da quel che so, non contrastata nemmeno dal Ministero, che vuol vincerla ad ogni costo. Ora è evidente che non Giacinto solo ne andrà di mezzo, ma ne andranno di mezzo i Magnenzio, i San Zeno, i di Breno, vale a dire tutti i piú bei nomi del Collegio, le colonne del partito onesto, che non so come potranno resistere ai colpi dei giornali avversari. Uno scandalo di questo genere, quando sia ben manipolato, fa una grande impressione sulle masse, è un turbine, che scompagina tutte le baracche della fiera. Mi par già di leggere quel che si stamperà in grossi caratteri sui giornali piú scalmanati di Milano o di Roma: "I fasti dei Catoni", "I diritti feudali .", "La moralità dei predicatori di morale", "Il nipote d'un vescovo .". Aggiunga, Eminenza, - continuava quel birbonaccio di conte colla compostezza di chi mette a posto un prezioso mosaico - aggiunga che la ragazza era fidanzata a un giovanotto di là, un ex garibaldino, un arrabbiato libero pensatore, una mezza testa filosofica, tutt'amicizia, pare, coi capoccia della framassoneria, che stampa dei libri, e che saprà fare di questo scandalo un buon sgabello per andare in su. " Rebus sic stantibus", io non so se a vostra Eminenza convenga proprio lavarsene le mani . - Quel che mi dice, caro conte, è veramente brutto - balbettò monsignore, abbassando la testa, coll'abbandono d'un uomo stanco, mentre col fazzoletto si asciugava la pallida fronte. - Perché non mi hanno scritto subito? - Prima non si sapeva, poi si è creduto che il male fosse minore di quel che è. Si è sperato sempre in qualche atto di riparazione… ma è una desolazione, creda, per la povera contessa. Se lei non interviene, monsignore, colla sua autorevole benevolenza, è una rovina per tutti . - E come posso io impedire ai nostri nemici di usare di un loro diritto di guerra .? - Ecco! - riprese colla sua vocetta meticolosa l'ometto avveduto - conosco un poco questi nostri nemici, perché li vedo piú da vicino. Dove non può arrivare la mano consacrata dei vescovo, potrebbe arrivare la mano scomunicata del deputato .(Il conte, per togliere ogni sapore ingrato alla facezia, cercò colla sua la mano paffutella dell'alleato, che rispose con una stretta lunga e cordiale). - Non solo conosco molti di questi avversari, ma so anche quel che costano. Quando poi lasciassi capire al sottoprefetto che una guerra di scandali non sarebbe gradita alla Corte, Gadda é un uomo da far tacere anche le oche del Campidoglio. Ma perché io possa essere forte con Gadda, bisogna che mi senta sicuro nelle mie scarpe, ovverosia che vostra Eminenza mi dica fin dove posso andare col suo nome e col suo appoggio . - Ho capito! - disse monsignore, chinando la testa: e per un istante le due piccole potenze rimasero in silenzio in una grave contemplazione del fuoco. Quindi come due corrieri che, giunti da strade diverse a un crocicchio, si preparano a far insieme il resto della strada, continuarono a discorrere un pezzo, in un colloquio piú sciolto e familiare, da buoni amici, che provvedono a guardarsi dai ladri. Il deputato promise di veder subito il sottoprefetto: il vescovo avrebbe fatto chiamare il curato del sito; se la ragazza era già nelle buone mani delle contesse di Buttinigo, non sarebbe stato difficile farla viaggiare anche piú lontano; non restava che uno scoglio: il fidanzato, questo ex garibaldino. - Come si chiama questo giovane? - chiese il prelato. - Giacomo Lanzavecchia - disse il conte, dopo aver consultato un piccolo taccuino. - 1 suoi hanno una fornace e un deposito di tegole non molto lontano dal Ronchetto. Monsignore prese nota dei nomi, dei siti, delle circostanze, e promise di scrivere al piú presto le notizie delle sue investigazioni. Il conte posò le labbra sul ceruleo topazio e venne via in fretta col suo passetto dimezzato, desideroso di veder Giacinto, prima che partisse per Roma. Lo trovò che passeggiava martoriandosi i piccoli baffi, in preda ad una nervosa inquietudine, sotto l'atrio del teatro alla Scala. Infilò il suo braccio in quello del giovine e, rimorchiandolo verso il caffè Cova, andarono a sedersi a un tavolino d'angolo nella sala grande del ristorante, dov'era tutto preparato per la colazione. - Coraggio, le cose si mettono bene. Credo di aver vinto, non una, ma due cause, la tua e la mia. È proprio il caso di ripetere col salmista: " Felix culpa. !" e, tracannato un bel bicchiere d'acqua per spegnere l'arsura interna che lo rodeva, disse al cameriere, che aspettava gli ordini, ritto, impalato nella sua linda falda nera, coll'aria anche lui d'un solenne diplomatico: - Il tenente beve Lafitte e in quanto al resto ci mettiamo nelle tue mani, Biagio. Oggi pago io, s'intende, per diritto d'anzianità. - E dopo aver ripulita due volte la bocca col tovagliolo, don Lodovico, che sentiva d'aver guadagnata la sua giornata, datasi una fregatina di mani, soggiunse: - Peccato non essere un Paolo Ferrari, che avrei l'argomento per una magnifica scena diplomatica. Avessi sentito con che tono alto aveva cominciato: "Vorrà concedere, signor conte, all'ultimo dei ministri di Dio di saper intendere che cosa sia il bene supremo della patria e della religione. A noi non importa tanto il vincere quanto il purificarsi .". Ma poi il sant'uomo scese da cavallo, ammorbidí la voce, sbarrò tanto d'occhi a sentire come suo nipote santifichi le feste, e per farla corta, s'incaricò di far chiamare il prete della parrocchia e mi ha dato un specie di carta bianca per tutte le autorità eretiche e scismatiche. Per questa volta, - continuò con nervosa garrulità l'onorevole di Breno, mentre col tovagliolo finiva di compiere la pulizia delle posate e dei bicchieri - per questa volta anche il diavolo avrà la sua parte. E a rivederci alle elezioni generali! Non resta ora che di mettere a posto quel povero pretendente, che tu hai servito un po' troppo ladramente, turpe seduttore di ragazze oneste. Che porcheria mi dai per cominciare? - chiese, interrompendosi e volgendosi al cameriere, che metteva in tavola un piatto di cibi freddi. - Huîtres à l'huile , signor conte.

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