Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Clelia: il governo dei preti: romanzo storico politico

675842
Garibaldi, Giuseppe 3 occorrenze
  • 1870
  • Fratelli Rechiedei
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Io non consiglio una subita ritirata perché anche il Governo abbisogna di tempo per fare i suoi preparativi. Ma da qui innanzi, fa mestieri usare tutta la vigilanza possibile, per conoscere le mosse del nemico e non essere sorpresi. Voi, Principe, dovete tornare a Roma. La vostra presenza qui non è necessaria per ora, mentre là, potete esserci utile, credetemi, di un’utilità somma. Potete dire che vi abbiamo posto in libertà sotto il vincolo della vostra parola d’onore, di non combattere contro di noi. Dimettendovi dal servizio voi non potete temere di essere molestato». Rispose il Principe. «Il vostro consiglio è savio ed io farò quanto voi dite. Comprendo che più utile vi potrò essere in Roma e vi dò la mia parola d’onore che sarò con voi per la vita e per la morte!». Attilio fu della stessa opinione, quindi soggiunse che per le relazioni sulle mosse del nemico bisognava far capo a Regolo, e Regolo darebbe avviso di tutti i movimenti delle truppe papaline. Poi, avendo il Principe desiderato un mezzo sicuro per restare in relazione con loro, Attilio, su d’un pezzettino di carta tanto piccolo da potersi inghiottire al bisogno, scrisse a Regolo una linea di riconoscimento pel Principe. Il resto della giornata fu impiegato a seppellire i morti, che non eran pochi, ed alla cura dei feriti, sì gli uni come gli altri quasi tutti papalini. I liberali ebbero tre feriti soli, e questi non gravemente perché nella pugna i valorosi pericolano meno e se si desse un colpo d’occhio alla statistica di tutte le battaglie, si vedrebbe sempre che i fuggenti hanno perduto un numero immensamente maggiore di uomini che i vittoriosi. Nella notte il Principe partì per Roma e sapete con che guida? con Gasparo, il Cesare dei banditi di tutte le età, divenuto anche lui uno sviscerato liberale, siccome lo avea provato nell’ultimo combattimento facendo prodigi coll’infallibile sua carabina. Io sono di natura tutt’altro che pessimista e quindi credente nel miglioramento umano sotto tutte le forme e se l’umanità non migliora con sensibile progresso la maggior colpa l’hanno i governi. Coi buoni trattamenti e le carezze si dominano, si addomesticano le belve e se ne migliora l’indole feroce. Cosa volete sperare da un popolo ridotto alla miseria dalle vostre esazioni, dalle vostre imposte, dalle vostre tasse? Egli sa che queste tasse, imposte ed esazioni non sono, come voi dite, per la difesa dello Stato e per mantenere l’onore nazionale, ma per ingrassarvi ed ingrassare la sterminata caterva di parassiti, qualunque sia la loro denominazione, parassiti che sono pel popolo quel che gl’insetti per il corpo, i vermi pel cadavere, atti soltanto ad immiserirlo e divorarlo. Chi negherà che le popolazioni dell’Italia meridionale non fossero migliori, perché meglio governate, nel 1860 che non lo sieno al giorno d’oggi? Allora, appena si sospettava il brigantaggio e non v’eran prefetti, non gendarmi non birri. Oggi all’incontro con quell’immensità di satelliti, che minano le finanze dell’Italia esiste nella parte meridionale della penisola, l’anarchia, il brigantaggio e la miseria. Povere popolazioni! Dopo tanti secoli di tirannide e dopo la brillante rivoluzione del 60, esse speravano un Governo riparatore, un’era di riposo, di progresso e di prosperità e non l’ottennero! Sì! Gasparo si era battezzato alla vita dei liberi col sangue degli oppressori. Egli fu accolto dalla giovine brigata con indulgenza, con entusiasmo ed ebbe l’importante missione di guidare il Principe I.... fuori della foresta, fin sulla via di Roma. Le previsioni d’Orazio sugli apparecchi del Governo papale si avverarono. Dopo il rovescio del castello di Lucullo i mitrati decisero in consiglio d’inviare a quella volta tutto il loro esercito con artiglieria e giacché, pensarono con ragione, i liberali, non staranno molto tempo ad aspettare la tempesta, bisogna mettere il disegno immediatamente in esecuzione. E non soltanto i soldati papalini ma si divisò d’impiegare in quell’ardua impresa tutta la truppa straniera, che si trovava al servizio del Papa. Un generale straniero di gran fama fu chiamato a dirigere la grande campagna e tutto si preparò con alacrità per giungere in tempo che il famoso attacco cadesse nel santo giorno di Pasqua, generalmente propizio ai preti, poiché in quel giorno grasso essi satollano meravigliosamente la pancia, loro divinità principale, alla barba dei divotissimi fedeli. Orazio ed i suoi compagni non dormivano frattanto. Informati da Roma di quanto vi accadeva e degli strepitosi preparativi che vi si facevano i quali, benché il governo cercasse di tenerne segreto lo scopo, erano senza dubbio al loro indirizzo, dapprima i nostri amici eseguirono una minuta esplorazione dei sotterranei conosciuti da Orazio e da taluno de’ suoi, particolarmente dal vecchio Gasparo, già tornato dalla sua missione col Principe.

- ripigliava Attilio - questa fanciulla più infelice che colpevole, abbisogna di protezione e tu generoso non gliela niegherai. Vanne e l’accompagna, ed il giorno della riscossa, noi siamo certi, non mancherai al tuo posto». E Silvio era generoso davvero e amava ancora la sua disgraziata Camilla. Costei alla vista dell’amante parve quasi per incanto calmata dal morboso furore, e tacita, rannicchiata era diventata docile come un agnello. Silvio le si accostò, sollevolla, l’avvolse nel proprio mantello e dolcemente tenendola per mano, la condusse fuori del Colosseo verso l’abitazione di Marcello. «Per il quindici alle Terme di Caracolla, e pronti a menar le mani!...». «Pronti! Pronti!» ripeterono i trecento. Ed in pochi minuti il deserto delle rovine avea ripreso la sua tetra spaventosa solitudine.

Non ha l’Italia molti nemici ancora, e non abbisogna essa di tutte le braccia de’ suoi figli per scuoter le secolari catene? Cessate dalla lotta fratricida, ve lo chiedo, ve lo impongo in nome della madre comune! Cessate! non rinnovate le gare antiche, retaggio fatale degli incauti, scellerati padri vostri, che precipitarono questa bella patria in tanta abbiezione! Tornate amici. Tornate fratelli! Domani voi proverete allo straniero che tenterà ancora di strapparvi le vostre sostanze e le vostre donne, chi dei due sia più valoroso». Le onde dell’Adriatico infrangevansi contro gli scogli granitici che arginano i murazzi con più effetto delle parole patriottiche ed umanitarie del vecchio sull’ostinata risoluzione di quei due assetati di sangue ed il principe, con certo piglio di dispetto, che chiariva l’aristocratica origine intimò al vegliardo: «ritiratevi». Si ripresero da capo i segnali, le battute di mano si seguirono, ed alla terza gli avversarii marciarono ad incontrarsi colla pistola armata nella destra e coll’occhio fisso l’uno sull’altro senza battere palpebra col meditato intento dell’omicidio. A dodici passi sparò il principe e la palla sfiorò passando la parte destra del collo di Morosini: lo ferì e ne sgorgò il sangue, ma fu ferita leggera. Il soldato di Calatafimi, più freddo dell’avversario, s’avvicinò di più a forse otto passi. Sparò ed il fratello della nostra Irene si aggomitolò cadendo sul terreno come uno straccio. La palla gli avea traversato il cuore. Il Sant’Ufficio dal Vaticano sorrise di quel sorriso infernale con cui si rallegrò ogni volta che un olocausto di sangue sparso dal pugnale della discordia bagnava questa terra infelice. E chi lo versò quel sangue italiano? Una mano italiana, consacrata alla redenzione del suo paese.

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