Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbigliatura

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LA GENTE PER BENE

678062
Marchesa Colombi 3 occorrenze
  • 1893
  • F. A. Brockhaus - A. Asher e C.- Veuve Boyveau - Ernesto Anfossi
  • prosa letteraria
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Intanto la sarta le prepara un bell'abito nuovo, da signorina, ma più elegante di quelli che ha portati fin allora; e la sposa, tutta ornata di quella nuova abbigliatura e della nuova gioia, va colla mamma a presentare lo sposo ai parenti ed agli amici più intimi. E si fanno gli itinerari pel viaggio; si può parlarne liberamente. * Andremo qua, e là, e poi là. Staremo fuori tanto tempo; vedremo questo e quell'altro. Ed il corredo? La sposa ne ha stesa la lista, ha assistito colla mamma a tutte le compere. Ha scelti lei tutti i modelli, le tele, le guarnizioni. E, man mano che ne giunge una parte, è lei che la riceve dalle mani delle operaie, ed esamina accuratamente oggetto per oggetto, prima di accettarli. Sarebbe trascurata una sposa che non facesse tutto questo. È una dolce occupazione, continuamente interrotta da dolci improvvisate. Tutti i parenti le mandano, o le portano un dono. Lei non ha che da accettare, ringraziare, esser contenta, e, ad ogni visita dello sposo, rendergli conto di tutte quelle novità, ed esser contenti in due. Ma la gioia delle gioie l'aspetta la mattina del giorno fissato pel contratto. Lo sposo le manda una scatola, un cofanetto, un tavolino da lavoro, un oggetto a sua scelta, che, qualunque ne sia la forma, è sempre una cornucopia della fortuna dal quale escono ogni sorta di meraviglie. Sono i doni nuziali, * quello che i Francesi ed i Piemontesi chiamano il Panier galant, che, per regola generale, deve rappresentare un valore tra il cinque ed il dieci per cento della dote della sposa. Ma una sposa per bene non fa questi calcoli: o se ha il cattivo pensiero di farli, deve avere il buon gusto di non esprimerli, neppure colla propria famiglia. In quel cofanetto trova l'abito bianco sacramentale pel giorno delle nozze, alcuni altri abiti; uno o più scialli turchi, e di Casimira. Se lo sposo possiede trine di famiglia, la loro tinta giallognola apparirà tra i freschi colori delle stoffe moderne. Altrimenti saranno due guarnizioni di trine moderne e di valore che faranno le veci; per lo più una di Bruxelles d una di Chantilly. finalmente una schiera di buste di velluto, colle iniziali del nuovo nome che la sposa sta per assumere, cioè del suo nome e del cognome dello sposo. Sono: i brillanti, ereditari o nuovi, che lo sposo può offrirle; un finimento completo d'oro e pietre; parecchi anelli; insomma i gioielli più o meno sfarzosi, a seconda della ricchezza e generosità dello sposo, fra i quali primeggerà la famosa catena coll'orologio, che la sposa porterà quella sera stessa al contratto. Qualche volta lo sposo presenta in persona i doni, ma è sconveniente. Obbliga la sposa e la sua famiglia a fare meraviglie e ringraziamenti ripetuti, per ogni oggetto, a misura che li osservano; e mette sè stesso nella situazione imbarazzante di stare ad aspettare, ad una ad una, quelle esplosioni di riconoscenza, e di rispondere a ciascuna con un complimento, che, per l'identica uniformità del caso, può avere ben poche varianti. Uno sposo ammodo manda i doni il mattino, e ne riceve i ringraziamenti, tutti in una volta, più tardi, quando va a fare la solita visita. I doni vengono esposti col corredo nella camera della sposa, dopo la lettura del contratto, tutti gli invitati sono condotti ad ammirarli. È un'usanza brutale, perchè, sebbene in molti casi lusinghi l'amor proprio del donatore, stabilisce sempre dei confronti indelicati. Infatti, dopo quelle esposizioni, è raro che non si sentano dei commenti di questo genere: * Che spilorceria il dono della tale signora! * E quello della tal'altra, che cattivo gusto! Ed in causa dell'esposizione i doni nuziali si fanno, più che per islancio di cuore, per quello che dirà la gente; le famiglie poco agiate s'impongono dei sacrifici per far buona figura all'esposizione dei doni, e difficilmente combattono un vago risentimento contro la sposa, che fu la causa involontaria di uno squilibrio nel loro bilancio. Ed il corredo poi.... via, proprio non so approvare che venga messo in mostra a quel modo. È un fatto indiscutibile che si usa. La signorina Rotschild, che maritandosi ebbe un corredo di dugento cinquantamila lire in biancheria, aveva consacrate parecchie camere all'esposizione delle camicie, delle gonnelle, dei calzoni. I giornali ne fecero minute descrizioni. Ma, dopo aver adempito al mio debito accennando quest'uso, sento il bisogno di aggiungere, a titolo di consiglio, che sarebbe meglio non seguirlo. Mi sembra che quelle biancherie, tanto intimamente personali, debbono avere il loro pudore, o piuttosto, che facciano parte del nostro. Una giovinetta non può a meno di arrossire, mostrando ad un uomo le sue camicie. Io conosco una bella sposina, maritata da parecchi anni; la vigilia delle sue nozze, un giovinotto, che frequentava la casa, mi descrisse il corredo, poi soggiunse: * Mi ha fatto veder tutto. Fino le calze che metterà domani. Non ho mai potuto dimenticare quella circostanza. La confidenza, fatta ad un giovine, delle proprie calze, mi ha spoetizzata. Ancora adesso, quando incontro per via quella bella donnina, comunque sia vestita, traverso il velluto, il raso, la seta, un'illusione ottica mi fa vedere le sue calze. E sarei pronta a scommettere che quel giovinotto prova la stessa illusione. Cosa ne penserebbe la bella signora se lo sapesse? E, sopratutto, cosa ne penserebbe suo marito? Lo sposo dovrà mandare un dono anche alle sorelle ed ai fratelli nubili della sposa; e la famiglia di lui ne offrirà alla futura parente. Quella sera la sposa distribuirà i suoi gioielli da signorina alle sue amiche più intime. Nè la sposa, nè la sua famiglia, debbono far doni allo sposo. Però vi sono paesi in cui la futura moglie deve offrire al futuro marito uno spillo di brillanti, in segno di unione. Pare che là non conoscano il proverbio: "Dono che punge, l'amor disgiunge." Ad ogni modo, in questa, come in tutte le circostanze in cui vi sono formalità convenzionali da compiere, la perfetta convenienza sta nell'uniformarsi agli usi del paese dove si vive, e non a quelli del paese proprio, quando se ne vive lontano; poichè nulla è più indelicato ed egoistico, che il respingere i costumi della città dove siamo ospitati. Il contratto nuziale viene letto dal notaio, ad alta voce e per intero, alle persone invitate, e, dopo la lettura, lo sposo deve essere il primo a sottoscriverlo. Porge poi la penna alla sposa; in seguito firmano i parenti, ed ultimi gl'invitati, cominciando dalle persone più ragguardevoli per età e grado sociale. Tutte le persone che firmano il contratto, se non lo hanno fatto prima, sono in dovere di mandare un ricordo alla sposa. Debbo aggiungere, e confesso che lo aggiungo con piacere, che, da qualche tempo, le persone d'animo raffinato vanno smettendo quest'usanza indiscreta di leggere i fatti loro dinanzi ad una numerosa società. Può darsi che la sposa abbia una dote modestissima, che il babbo, un po' avaro, le abbia ristretta oltremodo la somma destinata al corredo. Quegli indifferenti invitati, che sono là per divertirsi, si divertiranno facendo commenti: "Per quella dote avrebbe l'obbligo d'essere un po' più bella.... la legge di compensazione. "Duemila lire di corredo! Ma se farà una malattia le verranno meno le lenzuola." Oppure è lo sposo che non ha un patrimonio corrispondente alla dote, e patisce un'umiliazione, che la delicatezza della sposa deve sapergli risparmiare, sopprimendo la formalità della lettura del contratto. Anche quando tutto è perfettamente equilibrato, c'è sempre, se non altro, il gergo notarile che fa ridere. Ultimamente ho assistito ad un contratto; lo sposo aveva varcato il mezzo secolo, e la sposa gli stava indietro di poco. E quel buon uomo di notaio non la finiva di ripetere che erano maggiorenni. Oh mio Dio! Chi ne dubitava? Udii un cugino della sposa che diceva ad un altro cuginetto di diciott'anni: "Come! Rita è già maggiorenne? Ed io che ti avevo preso pel suo tutore!" In quello stesso contratto, descrivendo le proprietà dello sposo, il notaio leggeva d'una casa "ed annesso giardino con cinta di muro, chiuso da doppio cancello." "Sfido! dicevano gl'invitati, con una sposina appena maggiorenne le precauzioni non sono mai troppe. Ai due cancelli bisogna mettere due catenacci." - - - Otto giorni prima del matrimonio, si mandano le circolari alle persone che si vogliono invitare, indicando l'ora in cui si andrà al municipio, alla chiesa, ecc. L'invito deve essere su cartoncino lucido, diviso per metà da una linea verticale. Alla destra, sarà stampato l'invito a nome dei parenti della sposa, a sinistra quello dei parenti dello sposo. Le signorine mature, che vivono sole, faranno l'invito a nome proprio; ed in tal caso lo sposo, anche avendo i genitori, dovrà fare altrettanto. Oppure la sposa si fa fare, per la prima volta, delle carte da visita col suo nome da signorina, (è l'unica circostanza in cui le sono permesse) e si mandano ai conoscenti le carte da visita dei due sposi, unite da un anellino d'argento o d'oro. Però quest'uso, nato pochi anni sono, è già quasi abbandonato. Ed infatti, perchè voler fare da sè, e mettere da parte i genitori, che hanno sempre annunciato loro i matrimonii dei loro figlioli? Sembra che gli sposi si vogliano emancipare con quelle carte da visita personali. Si emancipano già col matrimonio; perchè togliere a genitori quell'ultimo atto di tutela, che non impone nessun vincolo, ed è un segno di rispetto? Io lascerei le carte da visita alle vedove ed alle zitellone orfane. Ma finchè una sposa ha i genitori, qualunque sia la sua età, sono loro che la maritano, è da loro che lei riceve la mano dello sposo che ama…, o che non ama; e tocca a loro annunciarlo alla società. - - - Nell'epoca di positivismo in cui viviamo, si usa fare prima il matrimonio civile, e dopo l'ecclesiastico; prima il contratto, poi la cerimonia; prima la prosa, poi la poesia. Per recarsi al municipio la sposa fa una toletta, elegante quanto vuole, ma sempre una toletta da visita, col cappellino assortito. La sposa, che quel giorno è il personaggio più importante, siede a destra nella prima carrozza, a sinistra sua madre, o quella parente che ne fa le veci. Sulla panchina dinanzi siedono, in faccia alla sposa, il suo babbo, in faccia alla madre, il testimonio della sposa. Nella seconda carrozza si mette lo sposo coi suoi genitori, o se non li ha, con quel parente che li ha suppliti nella domanda di matrimonio, e la signora che l'ha assistito nella compera de' doni, e nell'allestimento della casa; con loro deve entrare il testimonio dello sposo. Nelle altre carrozze si collocano i parenti e gli invitati. Tutto il corteggio parte dalla casa della sposa. Per lo più, tornando dal municipio, si offre agli invitati una colazione, che deve dare la famiglia della sposa in casa sua. A tavola gli sposi siedono vicini; a destra dello sposo la suocera, a destra della sposa il suocero. Dopo la colazione la sposa cambia d'abito. Si veste di bianco col velo ed i fiori d'arancio; oppure toglie solamente il cappello e si mette il velo bianco. Ed all'ora stabilita, coll'ordine di prima si parte pel matrimonio ecclesiastico. La sposa entra in chiesa dando il braccio a suo padre, e ne esce dando il braccio al padre dello sposo. Lo sposo entra accompagnando la suocera. Il babbo, che rimane libero, dà il braccio alla mamma che rimane libera in tutti e due i casi. E nel ritorno, la sposa entra in carrozza colla suocera, ma non prende più la destra. La cerimonia è compiuta, passata. Ella cessa d'essere nella situazione eccezionale di sposa: è una giovine signora, e deve alla suocera, ed alla vecchia signora, il riguardo di cederle la destra in carrozza. Il suocero si colloca in faccia alla sposa; lo sposo in faccia alla propria madre. In molti casi si differisce il matrimonio ecclesiastico fino alla sera o al mattino seguente, ed allora invece d'una colazione, la famiglia della sposa offre un pranzo. Le spose che hanno passato i venticinque anni non si vestono di bianco. Ed ora l'indifferenza scettica da cui siamo dominati va abolendo quel costume anche nelle giovani, ed accade di vedere giovinette di sedici o diciott'anni che vanno a marito senza l'abito bianco nuziale. Non posso a meno di dire che fanno male. Capisco le prime. La loro età richiede una serietà maggiore. Ma una giovine sposa perchè toglierebbe una parte di solennità a quella cerimonia che è la più importante della sua vita? Ho conosciuto una signorina, che per una serie di circostanze troppo lunghe a ripetersi, dovette maritarsi sull'alto d'una montagna, dove possedeva un villino, e nel cuore dell'inverno. Il suo villino non aveva cappella, e c'erano due miglia di strada, impraticabile alle carrozze, per scendere ad una chiesuola del villaggio. E tuttavia si vestì di bianco, e fece, in quel gelido costume, la lunga strada sulla neve, per inginocchiarsi in abito nuziale accanto al suo sposo, che anche lui era rigorosamente in abito nero. Confesso che, quando mi narrò questo particolare delicato, ne fui profondamente commossa. Le signorine mature, per lo più, semplificano la cerimonia andando prima al municipio, e di là direttamente alla chiesa in completo costume da viaggio. Vanno alla colazione così, e partono senza cambiar toletta. Le vedove che si maritano devono fare lo stesso. Nel matrimonio d'una vedova, qualunque pompa è della massima sconvenienza. In chiesa una vedova deve fare il matrimonio a porte chiuse; non deve mandare prima delle nozze la partecipazione della promessa; non fa inviti. Dopo il matrimonio, entro otto giorni, si mandano le circolari coll'annuncio che il matrimonio ha avuto luogo. Le partecipazioni dopo le nozze sono di primissima necessità, e si deve essere larghi nel distribuirle anche alle lontane conoscenze. È un riguardo che lo sposo deve a sua moglie, per non esporla ad incontrarsi, essendo al suo braccio, con qualche compagno di gioventù di lui, che la prenda in fallo, o con qualche signora che esiti a salutarla. Tutte le conoscenze dello sposo debbono essere informate del cambiamento, avvenuto nella sua situazione, ed aspettarsi d'incontrarlo colla moglie, per essere pronte a salutarla come tale. Per questo riguardo anche le vedove debbono mandare le partecipazioni del matrimonio compiuto. Tutte le spese del matrimonio, comprese le carrozze, se le rimesse delle famiglie non le forniscono, sono a carico dello sposo. Una volta era, se non un obbligo, un'abitudine per la sposa di sciogliersi in lacrime nell'andare all'altare. Gli occhi umidi ed accesi, le labbra tumide, il naso rosso come una ciriegia, facevano parte della tenuta di rigore per una sposina ammodo. Lo sposo, se non altro per amore di simmetria, non doveva mostrarsi lieto, in faccia a tanto dolore; si atteggiava al più profondo compianto, dinanzi alla lacrimevole situazione della fanciulla. Il sacerdote, compreso della necessità di mettersi all'unisono, recitava un predicozzo straziante ai due sventurati giovani, e tutte le signore lacrimavano nelle pezzuole ricamate. Se un indiano fosse entrato in una chiesa durante la cerimonia nuziale, al vedere il pubblico, e specialmente la sposa in quello stato di desolazione, l'avrebbe creduta una suttie da ardere sul rogo del marito estinto. La prima sposa giovane che fu veduta maritarsi senza piangere, fu la principessa Margherita. Tutti sanno che a Torino vi sono, o vi erano allora quattro signorine di famiglie patrizie, le quali avevano il gentile diritto di accompagnare all'altare le principesse della casa reale e di portare poi in capo quando andavano a marito, gli stessi fiori portati dall'augusta sposa. Ereditando i fiori della principessa Margherita, quelle signorine ne ereditarono naturalmente il diritto di non piangere. Ed infatti la cronaca assicura che quando si sposarono non si presentarono cogli occhi gonfi e col naso rosso. Fin d'allora dunque le lacrime furono messe da banda, a grande soddisfazione degli sposi, che s'accomodavano male di quelle scene in cui facevano la parte di necrofori, seppellitori di Vestali. Questo non vuol dire che le signorine amino meno la loro famiglia, e ne sentano meno il distacco. Si sono fatte più coraggiose e ragionevoli; hanno compreso che le loro lacrime non farebbero che affliggere maggiormente i loro cari, e che infine, per un matrimonio accettato da loro, e con pieno aggradimento, quell'atteggiarsi da vittime sarebbe un'incoerenza. Al momento poi di dire addio al babbo, alla mamma, alla casa paterna, di entrare in carrozza e di partire, se i singhiozzi fanno gruppo alla gola, se le lacrime fanno violenza alle ciglia, lascino che il loro cuore si sfoghi: non è che un istante. I cavalli scalpitano, i bauli sono già alla stazione; fra pochi minuti il fischio della macchina a vapore dirà alla mamma commossa, che la portiera del coupè s'è chiusa sui due viaggiatori, e che il primo bacio di sposa ha cancellato quelle ultime lacrime di fanciulla. - - - Nota dell'autrice. Nel correggere le bozze mi accorgo che il periodo seguente non ha nulla a che fare colle leggi di convenienza. A scarico di coscienza ne prevengo lealmente le lettrici. Se, come credo, non si curano punto delle mie opinioni personali sul viaggio di nozze, possono saltare queste pagine senza offendere nè me, né il mio libro. LA MARCHESA COLOMBI. Ho udito alcuni sentimentali vaporosi, esclamare che il viaggio di nozze è una profanazione; che: "si vanno disseminando le più care memorie nelle camere d'albergo! Vorrebbero la villetta isolata, e rinchiudervisi: "solo con sola Dido Enea ridotto." ripetersi giorno e notte: * Amoris tui solum et dives sum satis; quando se ne vanno pei fatti loro, le più care memorie, rinchiuderle tutte là sotto chiave. Sono spiriti unilaterali, e non comprendono che una felicità unilaterale. La felicità del viaggio di nozze invece è un prisma. In viaggio gli sposi si studiano, si conoscono, si apprezzano sotto mille aspetti diversi. Pensano: * Come saprà adattarsi agli inconvenienti del viaggio questa persona che ha vissuto sempre fra le agiatezze? Saprà resistere alle fatiche delle lunghe corse, delle abbigliature mattutine, delle visite assidue alle chiese, ai musei? Ed i suoi gusti artistici? Cosa dirà di quel quadro? di quella statua? Che impressione le farà quella musica, quel dramma? Come saprà discorrere nell'espansione della vita intima? Capirà, gusterà le bellezze della natura? Avrà impeti entusiastici, calore d'ammirazione e quella dolce bontà indulgente che porta a vedere alla prima il lato bello e buono di ogni cosa? Ed avrà spirito d'osservazione, intelligenza critica, e carattere pieghevole? Oh, le delizie del viaggio di nozze! Avere innanzi a sè una lunga serie di giorni, completamente liberi da qualunque cura, all'infuori del proprio amore e delle proprie gioie. Andar incontro all'ignoto che si annuncia con tinte color di rosa, come il sole col crepuscolo! E sentirsi nell'anima la convinzione che inebria e riposa, d'avere un essere sulla terra pel quale siamo il primo pensiero, il primo affetto ed anche il primo dovere. E con quest'essere amante e caro, prendersi allegramente a braccetto, ed affrettarsi per le strade, unendo il passo e parlandosi con abbandono; e poter ripetere a se stessi: Abbiamo diritto 'amarci! Lo neghino pure i romanzieri, ma il diritto di amarsi alla luce del sole, senza menzogne, senza rossori, sarà sempre la poesia dell'amore. Ed a poco a poco si comprende che quelle ore di espansione e di delizia non sono più misurate dalla durata d'una visita; che si ripetono senza interrompersi, e si ripeteranno sempre, per un tempo lungo, infinito. L'ora del pranzo, l'ora del riposo non li separa più. Oh la dolce prosa della vita materiale! Sedere insieme ad una mensa d'albergo interrogandosi a vicenda sui propri gusti, confessando di aver appetito, mangiando allegramente * à la guerre comme à la guerre, dandosi del tu resente una quantità di persone, pagando il conto colla borsa comune! Tutto il resto può parere un sogno poetico da menti innamorate; ma il primo pranzo all'albergo, è pretta realtà. Dopo il primo pranzo soltanto gli sposi sentono che quella felicità è vera, positiva, che le loro esistenze si sono congiunte per la vita vera, con tutto il suo corredo di spirito e di materia, di poesia e di prosa. E poi vi sono le ore in cui non sono soli: al teatro, al caffè. E nella piena libertà del viaggio da nozze rigustano il mistero d'una stretta al braccio, d'una mano presa furtivamente, del lungo sguardo appassionato che narra un'illiade di desideri, dello sguardo fuggevole e lampeggiante, che dà il fremito e l'ebbrezza d'un bacio. A traverso quel turbine di godimenti, in quel sogno di delizie, vedono azzurreggiare, in un prossimo avvenire la placida promessa d'una casetta tranquilla, dove saranno padroni e soli, e dove si vedranno sotto un aspetto nuovo, nell'uniformità della vita casalinga... È un'altra serie d'incanti, che promette loro quel dolce riposo dopo tanto movimento. I sentimentalisti che, pel culto delle memorie, hanno cominciato dalla fine e si sono isolati, hanno sacrificate tutte le immense dolcezze del viaggio e non le ritroveranno più tardi, perchè il viaggio di nozze è un frutto che fuori stagione non si gusta più. È vero che non hanno disperse le memorie care negli alberghi, e le hanno gelosamente rinchiuse; ma son ben certi che, a lungo andare, non ci sia entrata la sazietà o la noia, a metterle in fuga come una nidiata di passeri? Per quell'affetto che m'ispirano le mie lettrici le consiglio, qualunque sia la loro età, il loro grado di agiatezza, non rinunzino al viaggio di nozze, anche a costo di qualche sacrifizio d'interesse, di qualche privazione. Tutte le felicità che potrà dar loro l'avvenire, non le compenseranno mai di quella immensa gioia perduta.

Nella sua abbigliatura deve dominare l'azzurro se il piccolo angelo che dorme accanto a lei è un bambino; il roseo, se è una bambina. Il personaggio minuscolo dovrà essere in ordine per venir presentato alle visitatrici. Lui però non dovrà darsene pensiero, nè prendersi disturbo di sorta. Basta che, steso tra i merletti della sua culla, si degni di lasciarsi ammirare; del resto può gridare, dormire, e fare il suo comodo in tutta l'estensione del termine. La prima visita della mamma, dopo essere stata in chiesa a rientrare in santo dev'essere per la comare. In seguito andrà da tutte le persone che sono state a vederla. E, più tardi, quando il bambino comincerà ad uscire, dovrà andare con lui portato dalla nutrice o dalla bambinaia, da tutte le persone che hanno salutato con una visita la sua venuta nel mondo. Per riguardo al bambino, a cui si debbono evitare gli urti dei passeggieri affrettati, la signora, andando a piedi in istrada, cederà sempre la destra alla persona che porta il suo tesoro. - - - Ed il bimbo cresce; comincia a balbettare; ed è una delizia averlo a tavola dove mangia un po' di tutto, e discorre.... E tuttavia se si hanno persone a pranzo che non siano di grande intimità, mi duole il dirlo, e confesso che mi duole anche il vederlo fare, non l'approvo, ma tuttavia è un fatto che i bimbi non si mettono a tavola. Che farci? Vi sono persone intolleranti, a cui tutto dà fastidio. Un bambino durante un pranzo, fa cadere almeno una dozzina di volte il cucchiaino, il pane, e tutto quello che ha intorno. Vuol pigliare il bicchiere e la sua manina, piccina, unta, inesperta, lo lascia scivolare sulla tovaglia. Se qualche cosa gli dà noia, piange. Se è di buon umore, si mette a galloriare rumorosamente, senza curarsi d'interrompere i discorsi; anzi, più la conversazione è animata più grida anche lui. Per me, tutte queste sono delizie, e non pranzo mai tanto bene, come quando vedo la tavola contornata di testine bionde. Ma pare che sia una manìa speciale a me sola, o a ben pochi. La generalità trova che i bambini disturbano, e la convenienza vuole che non si mettano a tavola se non si è in famiglia o nella massima confidenza; e così sia! Si fanno però entrare alle frutta. - - - Ho la disgrazia di conoscere una signora che ha sette figli. La maggiore è una bimba di tredici anni; il più piccino è un baby i tre anni e mezzo. La natura ha data a tutta quella cara marmaglia una memoria straordinaria, per la massima afflizione degli amici di casa. Si esce col proposito di fare almeno quattro visite. Ma è sabato. La signora Feconda riceve. Si sale prima da lei. Dopo un quarto d'ora si vorrebbe congedarsi. * No; aspetti un momento. Le faccio vedere Lotto (Carlo, Carlotto, Lotto) e Vevè (Vincenzo, derivazione inesplicabile) che non sono a scuola. I due signorini entrano invariabilmente col naso sporco. * Salutate la signora. Come si dice? Buongiorno, ma non basta, Cosa si fa? Si dà un bacio alla signora. La signora esita un momento. La mamma se ne accorge. * Oh ma che naso avete! e colla sua pezzuola fa la pulizia di tutti i piccoli nasi, e non transige sul bacio. * Ed ora fatele sentire una poesia. Prima tu, Lotto. * No, * Sì. * No.... * Dilla, e la signora ti dà la chicca. La signora non ha chicche e resta mortificata. Intanto tornano gli altri cinque figli dalla scuola. Un bis di presentazioni, di saluti, di pulitura di nasi; e poi la mamma in possesso di tutta la compagnia, dispone le cose in modo, che, col buon esempio dei grandi destando l'emulazione nei piccini, riesce a far udire, alla visitatrice tutto il repertorio delle poesie, da Lotto che diverte balbettando in francese: "Je suis un enfant gâté De jolie figure." fino alla primogenita, che fa addormentare recitando tutta la Passione i Manzoni, di cui non capisce il gran nulla. Intanto sono le cinque; le altre visite sono andate a monte e la visitatrice deve ancora leticare colla signora Feconda, la quale vorrebbe farle sentire che la signorina dice il Natale ncora meglio che la Passione poi eseguisce una sonata.... e che Vevè, oltre all'Ode all'Italia di Leopardi, che ha declamata, sa tutta La Charité i Victor Hugo in francese. E la lascia partire a stento promettendo però di renderle visita accompagnata da tutta la sua dotta prole, per darle una rappresentazione a domicilio. Ah signore mamme! Lo sanno pure quanto noi siamo di difficile contentatura in fatto di recitazione! Io confesso che, prima di decidere se prenderò l'abbonamento al Manzoni ho bisogno di sapere chi sono tutti gli artisti della compagnia.... Si figurino se posso divertirmi alle declamazioni delle loro piccole gioie! Udrò sempre volentieri l'enfant gâté de jolie figure dirmi: "J'aime les petits pâtés et les confitures, Si vous voulez m'en donner Je saurai bien les manger." Ma, lo ripeto, io faccio eccezione per la passione che ebbi sempre pei bambini. Stiano certi che alla generalità i loro bimbi saranno tanto più accetti e simpatici quanto meno reciteranno, e quanto più brevi saranno le loro permanenze in salotto. Da qualche tempo gl'italiani si sono accorti che la nostra lingua è bella, armoniosa e ricca, e sopratutto che è la nostra lingua, e prima di guastare la pronunzia dei bambini avvezzandoli alle lingue straniere, li avvezzano a parlar bene l'italiano. È un uso da raccomandarsi caldamente. Come pure è da raccomandare che non si facciano parlare ai figlioli le lingue straniere che sanno o che imparano, quando sono presenti persone estranee alla famiglia. Oltre ad essere un'affettazione vana, può anche darsi il caso che metta nell'imbarazzo un fior di galantuomo che senza valer meno di nessuno per intelligenza, non ha imparate le lingue straniere. - - - Ed ora le loro bimbe si sono fatte grandi. Sono signorine. Bisogna aver pazienza, signore mamme, e cangiar modo di vivere. L'abbonamento alla commedia bisogna lasciarlo, le signorine non vanno alla commedia, ed una mamma per bene, non le lascia sole tutta la serata in casa per andarci lei. Può condurla al pattinaggio, al gioco del lawn-tennis, all'opera; ai balli di famiglia, e dopo i sedici anni, anche ai grandi balli. * Ma, * scusino, mi rincresce dirlo, so che è un sacrifizio; * tuttavia.... che farci. Una mamma che accompagna una signorina non deve nè ballare, nè pattinare, nè giocare al lawn- tennis. * Quando è decrepita forse? Nossignora, anche quando non lo è. * Ma io sono tutt'altro che vecchia.... * Lo so, si figuri! Chi mai è vecchio a questo mondo? Ma lei accompagna una signorina.... * Ma io non ho che trentanove anni, undici mesi e ventinove giorni. * Ma accompagna.... * Una signorina, ho capito; ma, dacchè son giovine anch'io.... * Ma! Del resto possono ballare, se vogliono, e giocare e pattinare. Chiunque possiede due gambe, e due braccia, può fare tutte queste cose. Ma allora non mi domandino se è conveniente. Altrimenti sono costretta a dire di no. Una signora che accompagna una signorina non deve prendere parte attiva ai divertimenti giovanili ai quali prende parte sua figlia; eccettuato alle commedie da salotto ed ai concerti se sa di musica perchè l'arte è di tutte le età. - - - I maestri a cui una madre affida l'istruzione ed in parte l'educazione dei suoi figli, debbono godere tutta la sua stima e la sua fiducia. Dovrà dunque accompagnare in persona per la prima volta i fanciulli alla scuola, ed in seguito fare ai maestri quelle visite di dovere, che fa ai vecchi parenti ed ai superiori. Se i professori dei figli sono giovani e la madre pure è ancora giovine, supplirà alle visite di dovere che non può fare, invitandoli alle sue riunioni. Molte signore, che sono pure educate e gentili, hanno l'imprudenza d'incaricare i loro bambini stessi di presentare ai maestri i doni che vogliono offrir loro in segno di riconoscenza, al capo d'anno o al finire delle scuole. Ed i bambini ne fanno un mondo di piccoli pettegolezzi. * Tu cos'hai portato alla maestra? * Un ventaglio d'avorio. E tu? * Oh, io le ho dato un braccialetto; costa tanto. * Io l'orologio colla catena. Coi maestri bisogna esser generosi se si vogliono avere i premi. L'ha detto la mia mamma. Quante cose dicono le mamme che farebbero assai meglio a tenere per sè! Che i bambini non odano mai discorrere dell'onorario dei maestri, del prezzo delle lezioni, Se v'ha un punto su cui sono inclinata a convenire con Rousseau, nella sua idea che l'uomo nasce con tutti gli istinti buoni, e la società lo corrompe, è l'apprezzamento del denaro. Non so se tutti i bambini siano come eravamo le mie compagne ed io. Ma noi mentre nutrivamo un'ammirazione stupida per la ricchezza, come idea astratta e nelle sue manifestazioni di lusso, avevamo una specie di ribrezzo pel denaro. Ci umiliava come un errore, ci faceva arrossire come una vergogna. Una volta andai con altre fanciulle della mia età, ad un breve corso di lezioni di rammendo. Erano otto lezioni. All'ultima la mia mamma, che era sofferente e non poteva uscire, mi diede i denari da consegnare alla maestra. Le mamme delle mie compagne avevano fatto lo stesso colle loro figlie. Quella maestra nomade, uccello di passaggio, autorizzava forse ai loro occhi un tratto meno delicato. Noi ci consultammo prima della lezione: * Tu come fai? Osi darle il denaro in mano? * Io no, non oso. * E neppur io. E neppur io. Ci sembrava di avvilirla. Come fare? La maestra aveva una piccola scrivania. * Se mettessimo il denaro qui dentro? dissi io. Lo troverebbe da sè e noi non s'avrebbe la vergogna di darglielo. Tutte d'accordo mettemmo i quattrini sotto la ribalta della scrivania e non ci pensammo più. Due giorni dopo la maestra, che doveva partire, mandò a tutti i nostri parenti la carta di visita pregandoli a voler saldare la loro piccola partita. * Cos'era stato? Cos'era avvenuto dei denari? Come! Li avevamo messi là, in un luogo aperto? Alla guardia di Dio? E si era figurato tutti male presso quella maestra, che aveva dovuto domandare il suo compenso.... Grande agitazione nelle famiglie. Il fatto era che la maestra aveva fatto imballare la scrivania senza sollevarne la ribalta, ed i quattrini dormivano là dentro al sicuro d'ogni pericolo. Ma a noi fece un'impressione punto poetica, il vedere genitori e maestra, in tanta agitazione per quella miserabile questione di dare e d'avere. E, sopportando i loro rimproveri, avevamo un'idea vaga che vi fosse più nobiltà nella nostra sprezzante noncuranza, che nella loro esattezza. I fanciulli non possono farsi un'idea delle necessità materiali dei maestri, che vedono vestire e trattarsi come i loro parenti. E, se quell'idea se la facessero, il prestigio dei maestri sarebbe distrutto. Tocca alle mamme il conservarlo intatto non immischiando mai i loro figli nei rapporti d'interesse coi loro superiori. Se i figlioli sono in collegio fuori di paese, la mamma supplirà con lettere e carte da visita alle cortesie che dovrebbe fare personalmente ai maestri. Le lettere dirette ai figli ed ai maestri non dovranno mai essere chiuse nella stessa busta; e scrivendo ai fanciulli non si accennerà mai ai doni che si possono aver fatti ai loro superiori. Oltre l'educazione della scuola e del collegio, le signorine hanno le lezioni di musica, di disegno, di lingue straniere, che prendono a domicilio, e continuano fino a tempo indeterminato. Molte signore, che escluderebbero con orrore dall'amicizia delle loro figliole una signorina, di cui si dicesse che riceve visite di uomini quando sua madre non è in casa, lasciano poi quelle figliuole impeccabili, sole durante un'ora col maestro di pianoforte e di lingua inglese. È troppo spingere la fiducia ed il rispetto, signore mie. I maestri sono uomini come gli altri, ed una madre per bene non deve mai mancare di assistere alle lezioni delle sue figlie. Se è occupata, se ha una visita, si fa supplire all'assistenza della lezione, o la differisce. - - - Nei collegi si fanno le conoscenze senza tante formalità, per cui accade spesso che due giovinetti o due giovinette stringano una relazione intima sebbene le loro famiglie non si conoscano. In tal caso, quando i ragazzi escono di collegio, prese le debite informazioni, toccherà alla madre più attempata, o a quella che occupa una situazione più elevata, a fare il primo passo, mandando la carta di visita con qualche parola d'invito all'altra mamma, la quale risponderà subito con una visita; non mai con una carta. Se una signora invita delle signorine a passar qualche tempo in casa sua, dovrà esercitare su di loro la stessa sorveglianza che esercita sulle sue figlie: assistere alle loro lezioni, accompagnarle; e se ha dei figli grandi, vigilarne il contegno rigorosamente, in modo che le ospiti non abbiano a trovarsi, neppur un momento, in una falsa situazione. La regola più sicura e migliore è di non offrire ospitalità a signorine quando si hanno in casa giovinotti, e di non offrire ospitalità a giovinotti quando si hanno in casa signorine. Se poi è sua figlia che accetta l'ospitalità in casa altrui, la mamma deve provvederla di denaro, perchè possa largheggiare di mance colle persone di servizio. Su questo punto, nessuna economia. Non dimenticherò mai un signore molto ricco, il quale venne a passare dieci giorni in una villa dove ero ospite anch'io. Nel partire avvertì pomposamente la cameriera, in modo che tutti potessero udire, che aveva lasciato in camera qualche cosa per lei. Ed infatti trovò venti centesimi ccuratamente avvolti in una carta. La padrona di casa era una persona educatissima, che non si sarebbe mai immischiata di certi particolari. Ma quella volta non seppe resistere. Quando la cameriera, sicura del successo, osò venire nel salotto, dove stavamo lavorando, a dirci quella novella, vi fu uno scoppio d'ilarità spontanea e generale, in barba alle convenienze. Quell'ospite aveva fatto il primo passo, e le sconvenienze sono come le ciliege, una tira l'altra, e non si sa più dove si va a finire. - - - "Otez de la vie le cœur qui vous aime, qu'en reste-t-il?" Cosa ci resta, mie signore, quando si perde lo sposo a cui eravamo unite per la vita, i genitori che furono il primo dei nostri amori, i figli che furono l'ultimo? Cosa ci resta? Nulla. Il dolore e null'altro. Eppure si lesina il tempo al lutto dei più prossimi, de' più cari. Il lutto che si usa da noi è scarso. Una vedova, un vedovo, parlo della Lombardia, portano il lutto un anno. Un anno! Tutti gli anni del nostro avvenire che avevamo promessi, giurati ad uno sposo, glieli ritogliamo, perchè la sventura l'ha colpito, perchè non è più a pagarceli con altrettanto del suo tempo, del suo amore. Un anno solo! e dopo un anno le vedove possono danzare, i vedovi possono vestire la casacca d'arlecchino. Chi muor muore, e chi vive si fa cuore. h! chi mi rende l'eroica poesia del rogo, e le vedove entusiaste che si bruciano sul cadavere del marito? A patto ben inteso, che i vedovi si brucino un pochino anche loro sul rogo delle mogli. Ma per tornare alle convenienze sociali, le vedove che non desiderano di bruciarsi, possono farne a meno senza mancare di civiltà. E, quanto al lutto, possono uniformarsi agli usi del paese dove vivono. Sono libere però di prolungarlo, non di abbreviarlo. In Francia, ed anche in Piemonte, il lutto da vedova è di due anni. Il primo anno tutto in lana nero, con gran velo vedovile che copre quasi tutta la persona. È sempre il costume del rogo; nobile, pittoresco, solenne, senza gale, senza vetro nero lucente; la tetra divisa del dolore. È così ch'io comprendo la sposa d'un morto. Ma il secondo anno, anche in Francia e dappertutto, comincia un crescendo di luce, di tinte: il velo scompare, le gramaglie cedono il posto alla faglia di Lione, al taffetà di Napoli, neri, ma lucidi; e comincia a fremere in fondo una gala e poi un'altra. Poi, dopo sei mesi, compare un solino bianco, coi relativi polsini: e dopo tre mesi ancora, un abito bigio, violetto.... E poi è finito. Ci si mette un anno di più, ma ci si arriva sempre alla casacca d'arlecchino. * Ma cosa pretende, marchesa? Che si vesta di nero tutto il resto dei nostri giorni, perchè s'è avuto la disgrazia.... * Io? Chi lo ha detto? Nemmen per sogno. Io non ho opinioni. Cito le regole, e basta. Da noi il lutto da vedova è d'un anno. Si può fare il secondo semestre col mezzo lutto. Ma non è più di moda. Dunque un anno di lutto; e non c'è morto per bene che abbia diritto di lagnarsi della propria moglie. Il lutto pel babbo, la mamma, i nonni è pure d'un anno. Pei fratelli, le sorelle, gli zii, è di sei mesi. Pei cugini, i cognati, tre mesi soltanto. Per una persona da cui si eredita si porta un lutto almeno di tre mesi. La servitù d'una famiglia in lutto grave, deve pure essere in lutto. E questo si fa, beninteso, a spese dei padroni. * Scusi, marchesa, non ha parlato della somma delle sventure: una madre a cui muore un bimbo.... * Ebbene, lo fa seppellire. * Ma il lutto? * Il lutto? Ma che, le pare? Non si usa. Se lei, signora lettrice, dovesse perdere quel suo cherubino biondo, il giorno dopo si vestirebbe come il giorno prima. I selvaggi, gli Esquimesi, ed anche i chimpansé, quando perdono i loro figli si rotolano per terra, si coprono il capo di polvere. Sono i loro segni di lutto, e, da veri barbari, li dànno pei figli come pei padri. Ma noi, gente civile, abbiam trovato il pelo nell'ovo. Noi sappiamo che i genitori sono superiori ai loro figli, ed i superiori non portano il lutto per gli inferiori. Superiori? Inferiori? Davanti ad un morto? Ed una madre potrà pensar questo? E non si coprirà tutta di nero! e non si circonderà di un lutto rigoroso, lei che ha nel cuore il più grande dei lutti umani, il più grande degli umani dolori? "Oh mondo bello, tu sei pien d'orror!" Ma mi perdonino questa scappatina di sentimento. Il mio compito era soltanto di dire, che le mamme ed i babbi non hanno nessun dovere di portare il lutto pei loro figli; però, se arbitrariamente volessero portarlo, come molti fanno, i codici non hanno pena speciale per questo delitto. Oltre ai lutti di famiglia vi sono lutti di circostanza. Una signora, invitata alle esequie d'un conoscente, deve andarci tutta vestita di nero, e se la stagione lo permette, col velo invece del cappello. Altrimenti coprirà il cappello con un velo nero. Quando si ha la disgrazia di portare un lutto nazionale, la durata del lutto per una signora dipende in gran parte dalla situazione del marito. Ad ogni modo però, non essendovi una regola prestabilita per queste dolorose circostanze, sarà bene uniformarsi alle disposizioni che sono prese al momento dalla generalità, e peccare piuttosto per eccesso che per difetto. Il lutto quaresimale si porta rigorosamente soltanto nella settimana santa. Vi sono alcune signore che vestono di nero tutta la quaresima. In tal caso però bisogna astenersi dalle feste e dai balli, oppure deporre il lutto in quelle circostanze. Il ballo non è certamente in nessuna epoca una mortificazione quaresimale, e sarebbe assurdo portarvi un abito di penitenza e di divozione, che vi figurerebbe come un arlecchino a servire la Messa. - - - Per le mamme, come pei confessori, vi sono dei casi riservati. Non per tutte, fortunatamente, ma pur troppo per alcune. Cominciano sempre da una scoperta dalla mamma, a cui tiene dietro la recitazione, a porte chiuse, di pochi versi di Molière: " La mamma Le deviez-vous aimer, impertinente? La figliola . . . . . . . . . . . . . . . . Hélas! Est-ce que j'en puis mais? Lui seul en est la cause Et je n'y songeais pas lorsque se fit la chose." Ed intanto una letterina della figliola, o magari la sua fotografia, sono nelle mani d'un giovane che potrebbe essere imprudente, e che, ad ogni modo, se non la domanda in isposa, non ha nessuna ragione di tenerle. E la ragazza ci pensa, e ne soffre per quell'implacabile "Amor che a nullo amato amar perdona." In tal caso una madre veramente ammodo non ne parla a suo marito per non esporlo a quistioni. Non ricorre a terze persone che, per quanto parenti od amiche, sono sempre di troppo in un segreto, in cui è impegnato il decoro di sua figlia "Io della vita nella dubbia via Il peso porterò delle tue pene." È la santa missione della madre. Tocca a lei sola quel peso. Deve scrivere al giovine, parlargli a cuore aperto: "Avete tolta alla mia figliola la pace del cuore. Avete fatto male. E lei pure ha fatto male scrivendovi. Ma voi avete più esperienza di lei. Voi sapete che, senza averla domandata a suo padre, e senza esserle fidanzato non avete diritto a quella corrispondenza. So che non abusereste dell'imprudenza d'una giovinetta per comprometterla; ma una lettera si può perdere, è cosa troppo delicata. Siate generoso. Rendetela a me...." Non bisogna incoraggiarlo (pregarlo sarebbe una enormità) a domandare la fanciulla in isposa. Una madre non offre mai sua figlia a nessuno. Se n'è innamorato davvero, nel restituire la corrispondenza clandestina alla madre, il giovinotto le scriverà delle scuse, una confessione generale, e le chiederà il permesso di domandare a suo marito la mano della figlia; o, se la signora è vedova, la domanderà a lei stessa. Se è innamorato, ed ha cercato d'illudere una giovinetta senza scopo e senza passione, è meglio che se ne vada: un uomo sleale non sarebbe mai un buon marito. Ad ogni modo, il passo fatto dalla mamma non può essere infruttuoso, nè compromettente. Ho conosciuto dei giovani che hanno abusato delle lettere d'una signorina. Non ne ho conosciuto mai nessuno capace di abusare di quella di sua madre. E se un simile essere, per una mostruosa eccezione, esistesse, per fortuna non viviamo tra i barbari; alla prima parola troverebbe un gentiluomo per dargli una buona lezione. Io stessa ebbi qualche volta l'occasione di assumere quel penoso incarico per giovinette amiche prive di madre, e, sia detto ad onore dei nostri giovinotti, fui corrisposta sempre con cortesia, lealtà, rispetto. Dopo un fatto simile, dovunque si scontri col giovine imprudente, una signora dovrà essere la prima a fargli comprendere che è disposta a salutarlo. Nel caso in cui un matrimonio si sciogliesse dopo che la sposa ha già ricevuti i doni, toccherà alla madre il rimandarli allo sposo, con tutti quelli che lui avesse offerti agli altri membri della famiglia, e con un suo biglietto dignitoso, in cui lo dispensa, per riguardi che deve comprendere, da qualunque visita o saluto. Cesserà pure dalle visite alla famiglia ed ai parenti di lui; non manderà più a loro carte, nè annunci in nessuna circostanza, finchè la fanciulla non sarà maritata; però, scontrandoli, non eviterà di salutarli.

Regolerà la sua abbigliatura da pranzo sulla forma dell'invito. Se è stampato, si metterà in abito di gala. Se è manoscritto, un po' meno. Giungerà all'ora indicata, nè prima nè dopo: e piuttosto prima che dopo. Il quarto legale una concessione di chi invita, ma l'invitato non deve farsene un diritto. Gli antichi Romani non pagavano i servitori. E quando davano un pranzo li facevano schierare ai due lati della porta, affinchè i commensali, uscendo, porgessero man mano a ciascuno una mancia. Era un onore non indifferente. È vero però che ne era compensato da un uso strambo, il quale dava diritto a ciascun invitato di togliere tre pietanze dalla mensa e mandarle in dono ai propri amici. Supposto che s'avessero dieci commensali, si dovevano preparare trenta pietanze di troppo affinchè si potessero togliere, senza che il pranzo ne patisse. Noi non usiamo portar via nulla dalla casa che ci ospita. Ma non affettiamo neppure, con una mancia ai servitori, di volerci sdebitare del pranzo ricevuto. Sarebbe un'impertinenza. Per dare la mancia alla servitù d'una casa che non è la nostra, bisogna averci passato almeno una notte. Tuttavia, se in una casa si va a pranzo sovente, o a passar la sera con assiduità, il giorno di capo d'anno si darà una mancia alle persone di servizio, che si trovano all'entrata, senza mai cercare di quelle che sono assenti, il che parrebbe un mezzo di far conoscere ai padroni che si vuol fare una generosità. Per quanto meschino, strano, assurdo possa essere il servizio d'un pranzo, una signora ammodo si guarderà bene dal censurarlo, o dal metterlo in caricatura. Gli anfitrioni soltanto debbono avere in mente i due versi che ho messi per epigrafe a questo capitolo; gli invitati invece debbono ricordarsi che l'ospitalità non consiste nell'offrir molto, ma nell'offrire quello che si ha. - - - Ricevendo di sera, se la conversazione è numerosa, è indispensabile di far annunciare alla porta le persone che entrano, perchè la padrona di casa non potrebbe, dopo aver presentato un nuovo venuto, ripetergli tutta la litania dei nomi dei suoi ospiti, e ricominciare la medesima seccatura ad ogni persona che entra. Allora le presentazioni saranno parziali, ed il tatto della signora soltanto dovrà dirigerle, regolandosi sui rapporti di gusti, di professione, d'età, in modo che le persone che ha presentate le une alle altre si trovin bene insieme. Sa che una signora ha grande ammirazione per un poeta? presenterà quel poeta all'ammiratrice. Due persone che hanno viaggiato molto le saranno grate se le riunirà per discorrer delle loro impressioni. Tutti i melomani saranno lusingati d'essere presentati alle notabilità musicali. Fuorchè nel caso in cui si balli, non presenterà mai un giovinotto ad una signorina ed in nessun caso presenterà mai una signora ad un uomo; ma sempre l'uomo alla signora; a meno che si trattasse d'un uomo tanto vecchio da poter ricevere lui quell'atto di deferenza. Gian Giacomo Rousseau ha detto: "A la manière dont les gens du monde passent leur temps, on dirait qu'ils ont peur de n'être pas assez bêtes." Quando una padrona di casa non sa condur bene la conversazione, mi accade sempre di ricordarmi quel motto. Domina un'atmosfera di soggezione. Ogni persona che parla, sembra affrettata di finire, perchè si sgomenta ad udir echeggiare la propria voce. Poi succedono quei minuti di silenzio imbarazzante, e quell'infelice che deve romperlo, prova l'impressione di slanciarsi sopra un lago di ghiaccio per spezzarne la crosta. Oppure un argomento domina tutta la sera, e le persone che non vi si interessano sono ridotte al silenzio. Lascerò allo stesso Gian Giacomo Rousseau che ha condannato il modo d'agire delle persone del gran mondo, la cura d'insegnare come debbono regolarsi. Non c'è miglior medico, per curare un male, di quello che l'ha scoperto: "Una conversazione ben intesa * dice Rousseau * dev'essere scorrevole, naturale. Nè pesante nè frivola; dotta senza pedanteria, allegra senza tumulto, civile senz'affettazione, galante senza sguaiatezza, faceta senza equivoco. Non si fanno nè dissertazioni, nè epigrammi; vi si ragiona senza argomentare; vi si scherza senza freddure; i si associa con arte lo spirito e la ragione, le massime e le arguzie, i motti ingegnosi, e la morale austera. "Vi si parla di tutto, affinchè ciascuno possa dire qualche cosa. "Non si approfondiscono le questioni per non annoiare; si propongono di volo, si trattano rapidamente; dalla precisione risulta l'eleganza. Ognuno, dice il suo parere, e l'afferma con poche parole. Nessuno si oppone vivamente al parere di un altro, nessuno difende con ostinazione il proprio; si discute per imparare; ma non bisogna spingere troppo la discussione. Tutti s'istruiscono; tutti si divertono; tutti se ne vanno contenti; ed anche il savio può raccogliere in quei trattenimenti, degli argomenti degni d'esser meditati in silenzio." Lo spirito è il dono più pericoloso che la sorte possa fare ad una signora. È come quei talenti della parabola che eran tanto difficili ad impiegar bene. Bisogna possedere un'abnegazione eroica, per saper sacrificare lo spirito alla cortesia. Viene alle labbra un motto; è un motto assassino; quella persona ne soffrirà: ma quell'altra lo apprezzerà: lo andrà ripetendo. La convenienza è in lotta colla vanità, ma pur troppo è questa che vince. È nota la conseguenza fatale d'un motto di Danton. Disse di Saint-Just, il quale camminava diritto tutto d'un pezzo come camminerebbe, se camminasse, un turco impalato: Il porte sa tête comme le Saint-Sacrement. aint-Just, lo seppe, e rispose: Je lui ferais porter la sienne comme Saint- Denis. utti sanno che S. Dionigi decapitato, fece il miracolo di passeggiare colla propria testa in mano. Danton non fece il miracolo, ma fu decapitato per opera di Saint-Just. Certo erano nemici politici, e non fu per quel motto che Danton fu condannato. Ma è certo altresì, che quel motto ha posto la sua goccia di fiele in quell'odio implacabile. Ho udito io stessa un motto che non ebbe conseguenze tragiche, ma fece nascere un'iliade di guai. Una signorina di spirito era fidanzata con un giovinotto che amava con passione; ma non doveva sposarlo che fra un anno; però, volendo tenere segreta la cosa, non si erano stabilite relazioni d'amicizia tra le due famiglie, ed i fidanzati andavano in società e si trattavano come semplici conoscenti. Una sera la fidanzata si trovò ad una riunione danzante accanto ad una signora, la quale aveva una paura così orribile dei trent'anni, che sebbene fosse prossima alla quarantina, si ostinava di rimaner alla porta della terza decina senza entrarvi mai. E, come tutte le persone in simili disposizioni di spirito.... e di fede di nascita, parlava sempre della sua età per informare il pubblico di quella che voleva avere. Non danza? le disse un suo conoscente. * Che le pare! Alla mia età! Presto presto avrò compiti i trent'anni. * Tarda assai a compirli! disse la fidanzata al suo ballerino, abbastanza forte perchè tutti i vicini l'udissero, compresa la signora, la quale si fece di brace. Poco dopo venne suo fratello a prenderla. Era il fidanzato della signora di spirito; lei non conosceva neppure di vista quella futura cognata, maritata fuori di Milano, e giunta pochi giorni prima per passare un po' di tempo in famiglia. Da quella sera, i genitori del giovine posero tanti bastoni nelle ruote che il matrimonio non si fece più fin dopo la loro morte. Le due cognate non si vedono ancora. Boccaccio ha detto: * Il motto deve mordere come la pecora, non come il cane. - - - Perchè una serata riesca gradevole bisogna provvedere in modo che tutti possano divertirsi alla loro maniera. La conversazione è ottima per chi ama conversare: ma non basta. Ci devono essere un pianoforte pei dilettanti; delle tavole da gioco pei giocatori seri di scacchi, di dama, di tarocchi; qualche altro gioco meno serio per la gioventù. I pedanti nutrono un profondo orrore per le signore e signorine, che non rifuggono dalle tavole da gioco, come il diavolo dall'acqua santa. * Vi si provano commozioni pericolose, esclamano; e consigliano ancora e sempre i giochi innocenti. Ebbene, confesso che sono del parer contrario dei signori pedanti, e non è la prima volta. Io non mi sgomento affatto al veder una signorina od una signora esposta alla terribile commozione di perdere o di guadagnare qualche soldo, o anche qualche lira; ma mi mortifica, mi affligge il vederle impegnate in quei giuochi pieni d'equivoci che sembrano inventati apposta per farle arrossire, sebbene si chiamino innocenti. Mi ricordo una sera in cui si faceva quello stupido gioco degli spropositi. S'erano date le domande: Dove? Quando? Perchè? Quali saranno le conseguenze? Le risposte furono scritte a caso senza saper le domande. Una signora maritata senza figli, supponendo le domande frequentissime: Che cosa desidera? Chi è più bello? Qual'è la cosa più gentile? cc., rispose: Un bambino. i posero nell'urna le domande e le risposte. Si appaiarono a caso, ed aperti i biglietti risultò: * Dove? * Nell'ombra. * Quando? * A piacere. * Perchè? * Debolezze umane! * Quali saranno le conseguenze? * Un bambino. Quella che leggeva era una giovinetta. Via, confessino, signore mie, che sarebbero state meno pericolose le emozioni d'una partita di tresette o di tombola; credo che in tutta la sua vita quella giovine non avrà più occasione di arrossire come in quel gioco innocente. - - - Il trattamento da offrire in una serata è arbitrario. Il più generalmente adottato è il té; a è altresì il più economico, ed il meno accetto. Non è ancora abbastanza entrato nelle nostre abitudini, ed una grande quantità di persone non possono prenderlo senza soffrirne una veglia nervosa. Una padrona di casa non può offrire una seconda sera il té d una persona che l'ha rifiutato la prima per questa ragione. Lo zabajone, la cioccolata, il vino caldo, il ponce, i vini fini, i liquori dolci, sono tutte bevande che si possono offrire. Le paste più adatte sono i picnics i muffins, e sugar-wafers, sopratutto i petits fours, soltanto col té e coi vini si accoppiano bene i sandwichs. ol ponce e col vino caldo vanno egregiamente le brioches, il babà. ogli altri servizi tutte le paste dolci, non escluso il panettone.... e che Dio, il signor Fanfani ed il signor Rigutini mi perdonino il linguaggio ostrogoto di questi particolari gastronomici. Per quanto la mia ignoranza mi consigli ad aggrapparmi al detto di Voltaire: Le puriste est toujours pauvre d'idées, on posso farmi l'illusione che il valore di queste idee ghiotte sia tale da farmi perdonare la barbarie della nomenclatura. Se un artista di professione, uomo o donna, ha fatto ad una signora la gentilezza di cantare o sonare ad una serata d'invito, senza un accordo di compenso, la padrona di casa deve mandargli un dono a titolo di ringraziamento. - - - Se la serata offerta è un ballo, si debbono mandare gli inviti almeno otto giorni prima, per dar tempo alle signore di preparare le abbigliature. Oltre le sale smobigliate, ornate di fiori ed illuminate per la danza, ci dev'essere un salotto ben riscaldato, dove si accoglieranno i primi invitati, e dove potranno ripararsi dal gelo le signore che non danzano, qualche sala da gioco, e, se si vuole, un gabinetto pei fumatori; una moda che altre volte sarebbe sembrata un po' soldatesca, ma di cui gli uomini tengono gran conto; e serbano riconoscenza alla padrona di casa; del resto è adottata anche a Corte. Non bisogna trascurare di mettere un ordine scrupoloso nel regolamento della guardaroba, affinchè ognuno possa con sicurezza deporre il soprabito ed il cappello, i mantelli ed i cappucci delle signore, ricevere un riscontrino numerizzato, e riavere tutte le cose sue quando lo ripresenterà nell'uscire. Gli immensi strascichi, la leggerezza degli abiti da ballo, e i movimenti vivaci della danza, danno luogo ad una quantità d'inconvenienti, per cui si dovrà destinare una camera per le signore, dove rimanga tutta la notte una cameriera munita di aghi, spilli, sete d'ogni colore, per accomodare gli abiti lacerati, rimettere a posto i fiori caduti, rifare le pettinature. Sarei ben meravigliata se una signora uscisse di là senza aver cercato collo sguardo una scatola di cipria; e consiglio la padrona di casa a non lasciar mancare quest'oggetto, che le signore considerano di prima necessità. Se durante la notte si dà una cena, tutto deve essere apparecchiato sopra una tavola a cui siederanno soltanto le signore, nel caso che non ci fosse posto per tutti, lasciando gli uomini stessi, se la cena è di confidenza, incaricati di servire le signore. Non si servono che cibi freddi. Ho letto in un romanzo del padre Bresciani d'un giovinotto innamorato, che profittò di quell'occasione per mettersi in tasca, a titolo di ricordo, i torsi, i noccioli e le bucce della frutta che la sua bella aveva mangiate. Non posso consigliar le signore d'ingoiare quelle reliquie, per non correre il rischio di trovarne il profumo e le tracce succulente sugli abiti del loro ballerino. E non mi sembra neppure il caso d'incoraggiarle a nasconderle dove Rebecca nascose i suoi idoli alle ricerche di Labano. Ma se sanno di avere un adoratore capace di spingere la devozione a tali estremi, non si lascino servire che da un fratello, o dal proprio marito. Sgraziatamente vi sono troppo spesso nelle adunanze numerose dei raccoglitori, che tendono a compromettere non le signore ma il buffet, mpiendosi le tasche di tutt'altro che di torsoli. Per costoro ogni parola sarebbe superflua. Sono troppo teneri dei loro gusti per cercare nel mio libro insegnamenti che li combattono. Ma una signora che, per disgrazia, avesse un marito di quel genere, dovrà astenersi assolutamente dal farsi accompagnare in qualsiasi luogo, dove possa scontrarsi in una tentazione. Quanto alla padrona di casa, dovrà imporre silenzio alla delicatezza de' suoi gusti, oltraggiata da tanta volgarità, e non dimostrare menomamente la ripugnanza che prova per l'individuo sconveniente ed esoso, salvo ben inteso, a non invitarlo mai più. Se non si vuole apprestare nè una cena, nè un buffet i faranno portare in giro le stesse cose che si offrirebbero ad una semplice serata ripetendole parecchie volte; e tra l'una e l'altra non si cesserà di far offrire acque sciroppate e gelati. Per chi dà un ballo, è un'indiscrezione il contare sulla compiacenza dei dilettanti per la musica. Questa parte tanto importante d'una festa da ballo è troppo sovente trascurata dai padroni di casa. Una signora che voglia fare le cose bene, si rivolgerà al suo maestro di pianoforte, e lo pregherà di procurarle dei buoni suonatori. E li accoglierà con quella cordialità con cui le persone educate e di buon gusto accolgono sempre gli artisti. Haydn ha suonato tante volte per far danzare; e che povera gente anche! Una signora, che lo avesse trattato con alterezza, sarebbe stata ridotta più tardi a piangere di vergogna. Lesinare sul compenso che è loro dovuto, limitarne i rinfreschi, farli cenare alla tavola di servizio, sono volgarità da villani rifatti. Debbono avere una tavola a parte ed un trattamento uguale a quello degli invitati. Se i sonatori fossero i maestri della padrona di casa, di suo marito o dei suoi figli, nulla può dispensarla dal farli sedere a cena alla sua stessa tavola e dal rivolger loro la parola spesso durante la notte. La padrona di casa, se è giovine apre il ballo con una quadriglia, nella quale deve avere in faccia suo marito. Se i padroni di casa non ballano, scelgono una coppia giovine nella loro parentela o nei più intimi amici, e la pregano di rappresentarli. Durante il ballo la padrona di casa non accetterà mai di ballare, quando rimangono altre ballerine sedute e procurerà di mandar loro dei ballerini. Non occorre dire che deve incaricarsi, unitamente a suo marito, delle presentazioni. Il dare un ballo in casa propria è un lungo e penoso sacrifizio. È vero che si semina per raccogliere. Ma la seminagione è laboriosa e difficile; il raccolto incerto, e non sempre proporzionato a quanto è costato. - - - E, poichè ci siamo, parliamo di quel raccolto, che consiste in un ricambio d'inviti, ai quali, s'accettino o no, si risponde sempre con una carta di visita unita a quella del marito. È affatto inutile d'affrettarsi per giungere ad un ballo; si arriva sempre a tempo. È parimenti superfluo il mostrarsi impensierita della propria abbigliatura, rialzare lo strascico, assicurarsi tratto tratto se i gioielli sono al loro posto. Ogni signora procuri di esser vestita bene e solidamente, ed alla guardia di Dio! E se l'abito si lacera, passi a farlo accomodare, senza fermarsi a gemere doglianze ed a verificare i danni. E se un vezzo di brillanti si spezza lo lasci spezzare, e riponga la parte staccata senza altri discorsi. Nulla è più plateale di quella continua cura dei propri averi. Una vera signora deve saperli portare con nobile indifferenza. Sarebbe un malcreato chiunque pregasse una signora di accordargli un ballo, senza esserle stato presentato, ma se il malcreato ci fosse, la signora dovrebbe rifiutargli il favore. Volendo passare dalla sala da ballo al buffet isogna farsi accompagnare dal proprio marito, e le signore vedove e nubili ci andranno col babbo, lo zio, o il marito della signora colla quale si sono accompagnate. Le dimenticanze, i doppi impegni di balli, i rifiuti non giustificati, le preferenze evidenti, tutto quanto può far nascere quistioni, dissapori o commenti, è sconvenientissimo da parte d'una signora, e dà una idea meschina della sua educazione. Se una signora che non ama il ballo, è afflitta dalla disgrazia suprema d'un marito maniaco per la danza, si sacrifichi a Tersicore, e balli anche lei ad ogni costo. Il più grottesco di tutti i ridicoli che brulicano sotto il sole, è il marito danzante d'una signora che non balla. In Francia nella casa in cui si dà un ballo si usa fermare tutti gli orologi. Non si contano le ore alla gioia. Si è là per passare il tempo allegramente, non per misurarlo. Questa precauzione non serve a nulla, perchè ogni ballerino ha un orologio in tasca. (Ai tempi della marchesa Colombi ne avevano due). Ma.è un pensiero grazioso. - - - In teatro una signora occupa sempre il posto d'onore. Se sono due nello stesso palco, maritate e giovani entrambe, cambieranno posto una volta durante la serata, non di più. Sono le provinciali che si credono in obbligo di alternarsi ad ogni atto, per mutar prospettiva, come se facessero parte dello spettacolo. Le signorine di provincia non crederebbero d'esser ben equipaggiate pel teatro, se non si munissero di un mazzo di fiori, di due o tre cartocci di caramelle, d'una scatola di pastiglie di menta, d'un sacchetto i zuccherini e cioccolatta, come se partissero per un lungo viaggio in paesi deserti. Nulla di tutto codesto. Se il marito, un parente, un amico intimo, ha il gentil pensiero d'offrire qualche fiore o qualche dolce ad una signora, li accetterà in teatro; altrimenti ne faccia a meno; ma non arrivi, per carità, colle sue provvigioni da bocca come un soldato al bivacco. Ricevendo visite in palco, la signora dovrà salutare, sostenere la conversazione durante gli intermezzi, e frenarla durante la rappresentazione per non esporsi alla vergogna di farsi zittire. Tutti gli uomini educati sanno che, entrando, debbono occupare l'ultimo posto ed avanzarsi man mano, per diritto d'anzianità, a misura che un primo venuto si congeda, finchè siano giunti a tenere alla loro volta uno dei posti accanto alla signora. Di tutto questo lei non dovrà occuparsi affatto. Qualunque sia l'entusiasmo che le ferve nel cuore, una signora non applaude mai. Le dimostrazioni opposte non sono convenienti neppure per gli uomini. Davanti ad una signora poi, non vi potrebbe essere altri che un mascalzone capace di voler fischiare. Ed i mascalzoni non vanno nei palchi delle signore. È di buon gusto il non uscir mai dal teatro in un momento in cui lo spettacolo interessa vivamente il pubblico, o almeno di uscire in gran silenzio per non disturbare lo spettacolo. Quando entrano in teatro il re, la regina o altri personaggi della casa reale, anche le signore si alzano e rimangono in piedi finchè il personaggio illustre è seduto. Ai concerti, ai ritrovi d'ogni sorta dove la famiglia reale siede in posti speciali, chiunque dovesse passare a lato delle Loro Altezze dovrà fermarsi e fare un inchino. Questo si deve fare anche in istrada quando passa una carrozza di corte. Agire altrimenti sarebbe una dimostrazione ostile. - - - Cessati i piaceri della città, chiusi i teatri, e le serate divenute tanto brevi che non c'è più tempo alle riunioni, una signora elegante non ha altro di meglio a fare che ammalarsi. Oh! una malattia senza gravità, che non ne alteri la freschezza, che non la obblighi a star in casa, nè a nessun'altra privazione. * Un'emicrania periodica, che verrebbe ogni otto giorni.... se venisse. Un prurito nervoso sotto l'unghia del dito mignolo. Un'avversione pronunciatissima a tutti i colori delle tappezzerie di casa. Una lieve difficoltà a digerire peperoni crudi e corteccie di limone. Infine una malattia comoda purchessia, la quale porti con sè la certezza che la sua guarigione sta nelle acque del tal paese, o nei bagni del tal altro. Naturalmente, la civiltà moderna non ammette che esista sulla terra un marito così barbaro, così pelle rossa, così basci-bazouk, il quale rifiuti di sacrificare tutti i suoi risparmi, di alienare se occorre il suo patrimonio, d'impegnare l'argenteria di casa, di vendere fin i ciondoli del suo orologio ed i suoi sigari d'avana, pur di ricuperare la salute pericolante di sua moglie, colla cura delle acque indicate... dalla moda. Se lui non può accompagnarla, non importa. Sua moglie è pronta a sacrificarsi. Andrà sola. Oh le mogli sono d'una generosità!... le bagnature sono tutte popolate di signore senza mariti e di uomini senza signore. Appena giunte alle bagnature, le donnine più ammodo aprono una nobile gara a chi riuscirà meglio a farsi prender in fallo. Abiti stravaganti; cappellini impossibili; acconciature sguaiate. Tutte approvano il canto del dott. Brown, la marsigliese elle emancipatrici: "Freedom of speech from what we think, And freedom too in dress;" che io traduco liberamente: "Libero il dir quanto ci passa in testa, Ed alle ortiche la toletta onesta!" Le più modeste ladies, he cadrebbero coscienziosamente svenute se il loro marito osasse chiamare col suo vero nome quella parte del loro vestiario che loro definiscono pudicamente gli inesprimibili, on esitano a mostrarsi sulla spiaggia, succintamente vestite di inesprimibili anche loro lasciando all'estremità delle gambe che ne sporgono, tutta la cura di predicare la rinuncia al mondo ed al demonio, com'esse hanno rinunciato alla carne. E si scende a colazione in accappatoio come se si stesse alla sponda, o come direbbe il signor Rigutini, nel corsello del proprio letto. E, con quell'abito svolazzante ed i capelli sciolti, si siede o si passeggia flirteggiando on un ignoto qualunque, di cui è molto se si conosce il nome ed il colore dei guanti; la sera si scende scollate nelle sale di compagnia; o, sole, sissignore; ai bagni è permesso. Fanno tutte così. * Sa cantare, signora? * Un poco. * Conosce il duetto degli Ugonotti Di' che m'aaami diii.... * Sissignore. * Vorrebbe cantarlo con me? * Chi me Lui; chiunque; non importa; ai bagni si parla, si balla, si canta con tutti. Freedom of speech Che meraviglia poi, se, per farsi conoscere meglio, quell'ignoto s'affretta a dimostrare di che misura d'impertinenza lo ha dotato l'educazione moderna? Eppure se la cosa viene ad orecchio al marito, dovrà mettere durlindana al vento, e se occorre, fare col proprio sangue la quietanza all'oltraggio che ha ricevuto sua moglie. Ma! così si usa. Perchè? Per evitare il ridicolo? Già. Però dopo il duello sarà più ridicolo di prima. Oh! la libertà delle signore, che vuole le sue piccole cospirazioni, che suscita i suoi piccoli odii, ed i suoi piccoli amori, e le sue guerre in diciottesimo come la libertà dei popoli, piccolo serpente che seduce le pronipoti della vecchia Eva! Dov'è la Madonna che gli schiacci il capo? Si comportano come ho accennato più sopra, mie gentili lettrici, quando vanno alle bagnature? In tal caso hanno sbagliato strada. Smettano un poco il rigore delle presentazioni che si deve serbare in città, se sono col loro marito; ma se sono sole, richiedano più che mai quella guarentigia prima di entrare in relazione con chicchessia. Cerchino di giungere con una lettera pel proprietario dello stabilimento, e lui avrà di presentar loro le persone di cui crederà di poter rispondere. Cogli ignoti scambino le parole di stretta cortesia, e non altro. Procurino di essere sempre in tempo alla tavola comune, per evitare ai conoscenti la noia di aspettarle e se tarda una signora con cui hanno stretta relazione e che ha il posto vicino a loro ed è solita a pranzare discorrendo insieme come fossero in casa, le usino la cortesia d'aspettarla un poco. Se sono ai bagni per fare una cura non parlino a tavola dei loro malanni. Vi sono persone a cui i discorsi di malinconie tolgono l'appetito. E se per caso è un altro che fa la descrizione delle proprie sofferenze, non se ne mostrino disgustate. Appena conoscono qualche signora, si associno con lei per le partite di piacere, le passeggiate, le chiacchiere all'ombra, i giuochi. E non vadan mai sole passeggiando fra le ombre del giardino: "Ove in disparte bisbigliando errano (Nè patto umano nè destin ferreo L'un dall'altro divelle) I poeti e le belle. - - - Dove una signora può veramente permettersi una maggior libertà, è in campagna. Prima di tutto potrà ricevere degli ospiti per un tempo più o meno lungo. Sono conoscenti di famiglia, e per essere invitati debbono godere un certo grado d'intimità. Lei sa con chi tratta, ed è sicura che le sue parole e le sue azioni non possono venir interpretate malignamente. I vicini di villa, o sono proprietari che tutto il circondario conosce; o sono inquilini le cui informazioni hanno già soddisfatto il proprietario, che ha creduto di potere con tutta fiducia affittar loro la sua villa. E sono istallati là per un certo tempo. Non sono la popolazione nomade dei bagni. Si può aspettare alcuni giorni, osservare le loro abitudini, prima di decidere se convenga o no incontrarne la relazione. Ogni villeggiante è tenuta a fare una visita agli ultimi vicini venuti; ben inteso quando vi sono signore. Se è ricambiata con una visita entro otto giorni, vuol dire che la relazione è accettata, ed allora lei ritorna, e si stabiliscono quei rapporti frequenti ed amichevoli che sono uno dei piaceri della campagna. Se riceve invece una carta di visita, deve comprendere che i nuovi venuti desiderano viver soli, ed allora li lascia in pace. In villa si hanno maggiori doveri che in città verso i visitatori. Non basta farli sedere, metter loro uno sgabello sotto i piedi se sono signore, ed intrattenerli a discorrere. Bisogna pensare che hanno fatto un tratto di strada in campagna col caldo e la polvere, che forse vengono da lontano, e, senza spingere le cose fino a far loro un pediluvio come si usava nell'eccessiva ospitalità dei patriarchi, bisognerà offrir qualche cosa da bere, un rinfresco. E badino, signore mie, a non interrogare i visitatori prima di dare quell'ordine, o prima di mandare in giro le tazze. Il domandare: "Vogliono bere? Prendono qualche cosa?" è come obbligarli a dire di no per cerimonia. Mi trovai una volta con una brigata numerosa nella villa d'una sposina giovanissima, che faceva gli onori di casa con tutta l'inesperienza de' suoi sedici anni, ed un po' di mala grazia per giunta. Aveva fatto posare il vassoio col ghiaccio, le brocche, le tazze e tutto sopra una tavola, e là, piantata dinanzi al servizio, si pose a fare l'appello come un ufficiale alla sua compagnia: * Signora A prende caffè? La signora A aveva molta sete, ma per complimento dovette dire: * La ringrazio, non si disturbi. * Signora B * No davvero, la prego; non si stia ad incomodare. E così giunse all'ultima persona senza immolare all'ospitalità neppure una goccia di quel caffè prezioso, ed obbligandoci a ringraziarla di nulla mentre si ripartiva assetati! Quando s'invita un ospite, è di buon gusto andarla ad incontrare al suo arrivo, per mostrargli che è aspettato con impazienza. Se vi sono altri ospiti in casa, che possano associarsi a quella passeggiata, la padrona di casa ne farà la proposta. Se invece avesse con sè persone di suggezione o attempate non le lascerà. Procurerà di mandare suo marito, suo figlio, una sorella maritata, qualcuno della famiglia incontro ai nuovi venuti, che per lo più scendendo allo scalo hanno bisogno d'una carrozza o d'una guida. E se la signora fosse sola, manderà la carrozza, se l'ha, colla propria cameriera: oppure un servitore a piedi, ed in mancanza d'ogni altro lusso, un massaio; ed appena i viaggiatori giungeranno in vista della casa, correrà ad incontrarli, ed addurrà le vere cause che le impedirono di andar prima e più lontano, e se ne scuserà. Quando avrà offerti agli ospiti tutti quei rinfreschi di cui possono aver bisogno dopo il viaggio, li condurrà nella camera che avrà destinata per loro. Ma per carità non trascini una persona stanca a far l'inventario di tutta la villa; è un complimento opprimente. Più tardi, il domani, quando il suo forastiero sarà riposato, avrà tempo a veder tutto. Ed anche allora lasci che vada da sè. I padroni di casa sono i più incomodi e gravosi fra i ciceroni. Gli altri si pagano uno scudo, e si acquista il diritto di bestemmiare loro sul muso magari che San Pietro in Roma è una chiesuola da villaggio, e che il Mosè di Michelangelo è un fantoccio. Per quello scudo abdicano ogni suscettibilità artistica e patriottica. Ma ai padroni di casa si deve un aggettivo ammirativo per ogni cosa che ci mostrano, fortunati ancora noi, se ci fanno grazia del superlativo. L'esposizione della casa dev'essere stupenda e saluberrima. I quattro punti cardinali hanno fatto delle transazioni colla cosmografia, per aggiustarsi in modo che quella casa potesse goderli tutti: * È solida questa costruzione, sebbene sul colle. Senta che saldezza di pavimenti. Faccia un salto. Così. Un altro! * Ed il padrone di casa salta lui pel primo, e bisogna saltare, e trasecolare per meraviglia di non avere sfondata la casa. * E le mie cantine! Sono fresche come ghiacciai. * Sono persuaso.... si capisce dalla posizione.... dal terreno.... * Ma no, deve vederle. Sentirà che freddo. C'è da pigliarsi un'infreddatura. Il signor Tale che è sceso ieri, oggi ha una tosse!... ed il signor Tal altro ha sternutato otto volte di seguito nell'entrarci. Il meno che possa fare il nuovo venuto è di sternutare dieci volte per cortesia, e prendere una bronchite. * Ed i cavoli dell'orto! Una meraviglia! * Ed i peperoni! Un prodigio. * Per i fiori: * bello, molto bello, bellissimo, stupendo!... guai se vengono meno gli aggettivi. L'amor proprio del padrone di casa è ferito. Doveva essere un triste ospite Voltaire, il quale diceva che * "l'aggettivo è il maggior nemico del sostantivo anche quando s'accordano in genere, numero e caso..." Dunque, signore mie, risparmino ai loro invitati la via crucis el loro podere. Accordino loro la massima libertà d'azione. Tocca all'ospite di non goderne e di associarsi completamente alle abitudini della famiglia. Se per caso l'ospite è un maestro o un dilettante di musica, non gli addossino l'incarico di divertire e far danzare tutto il vicinato. Se è un pittore, non lo condannino a ritrattare tutta la famiglia, dal capo di casa fino al gatto. Se è un avvocato non lo obblighino a dare una serie di consulti legali sui fatti loro, e se è un medico non lo tormentino coll'illiade dei loro piccoli e grandi malanni. L'ospite è un amico, lo trattino come amico soltanto, ed alla sua presenza, signore massaie, lascino andare tutti i discorsi d'economia. Sì, il vitto è caro; la carne ha un prezzo esagerato; e le frutta poi, un'immoralità. È verissimo. Tutto questo lo diranno al loro marito, lo scriveranno a me se hanno bisogno di sfogarsi un poco. Ma per chi vive in casa loro, capiranno che certi calcoli si potrebbero tradurre in volgare: * Quanto mi costa ospitarli, signori miei! Mi sono debitori di tanto e tanto.... e poi ancora tanto! Quando un invitato annuncia che vuol partire, dev'essere sempre troppo presto per la padrona di casa. Le sembra che sia giunto allora! Però si guarderà bene da quelle dimostrazioni di amicizia imperiosa ed aggressiva, che nasconde le valigie, manda indietro le sfere degli orologi, fa perdere i treni, violenta gli ospiti in ogni maniera, e li obbliga ad una lotta corpo a corpo per ricuperare la loro libertà. Lo crederebbero, signore mie, che esistono a questo mondo, a questo stesso mondo in cui vivono loro, così educate e gentili, certe padrone di casa che quando i loro invitati hanno voltate le spalle domandano alle persone di servizio quanto hanno dato di mancia? * OOOh!!! Così è. Loro non ne conoscono. Io neppure, se Dio vuole. Ma se mai sentissero dire che la signora Trestelle, o Quattro Asterischi ha questa volgare abitudine, facciano in modo di smarrire questo mio volumetto alla porta della sua casa. Per quella signora là soltanto, io noto qui che le padrone di casa debbono astenersi assolutamente dall'entrare in certi particolari, e se una persona di servizio troppo famigliare volesse raccontarli, tocca alla signora insegnarle il rispetto che le deve. Sono i padroni di bottega che domandano conto delle mancie; e quelli sono giustificati dalla necessità di ripartirle equamente fra i loro garzoni. - - - A misura che l'istruzione delle signore si raffina, la loro corrispondenza si fa più estesa ed importante. In questo anno di grazia, e di scuole superiori, mille ottocentonovantadue, sarebbe ridicolo che io mi mettessi ad insegnare alle signore come si scrivono le lettere. Ho detto su questo proposito il mio parere alle signorine e basta. Ne parlo unicamente per la parte che riguarda le convenienze. Una signora deve avere la carta colle sue cifre, e la corona, se l'almanacco di Gota non ci ha nulla in contrario. La forma della carta è soggetta ai capricci della moda, come pure il colore. Costa così poco l'uniformarvisi, ed è tanto bello il vedere che tutto quanto parte da una signora è grazioso, elegante, moderno come lei, che non esito a consigliarle di seguire la moda se possono. Ora l'ultimissima moda è d'avere un motto latino. Da tempi immemorabili questo si è usato da qualcuno. Ma ora si va generalizzando, e non c'è persona raffinata che non abbia il suo motto in testa alla carta da lettere. È un uso che mi sembra buono. Per un sentimento di onestà si studia un motto che risponda ad un nostro principio, ad una nostra passione alta e nobile; ad un nostro proposito, e per lo stesso sentimento di onestà, si è portati a non ismentire il motto colle nostre azioni; per cui è quasi un impegno che ci assumiamo di mettere in pratica il motto adottato. Ma, badino, la carta colla cifra e collo stemma o col motto, non si adopera mai per mandar commissioni alla sarta, alla modista, al mercante, al calzolaio. Possono figurarsi, un calzolaio, che riceve una lettera precisamente uguale a quella che manderebbero alla loro più intima amica? Sarebbe come farlo sedere alla loro tavola e questo non si usa. Il più democratico dei deputati di sinistra, un arruffapopolo addirittura, stringerà la mano al suo portinaio, ma non trincherà insieme, e non gli farà di cappello come ad un ministro. La corrispondenza d'una signora è più estesa che quella di una signorina; e le presenta un più vasto campo per far apprezzare il suo spirito, le sue osservazioni, la sua originalità d'idee; bisogna avere, come ho la fortuna d'avere io, un'immensa corrispondenza colle signore, per farsi un'idea del gusto, della grazia, dell'eleganza che ci mettono. Nella loro modestia, alcune di quelle lettere sono piccoli capolavori. Ed i pedanti ed i puristi vanno dicendo che in Italia non si sa scrivere! Chi non sa scrivere? Loro, e noi, letterati e letteratucoli mi metto fra questi, che, a forza di studiare parole nei vocabolari, perdiamo il filo delle idee, e diventiamo imbecilli. Ma torniamo a bomba, come dicono i letterati. Le lettere di dovere per una signora si suppliscono, volendo, con una carta da visita. E di queste avrà una larga distribuzione da fare. Avrà cura di esserne sempre ben provveduta. Al capo d'anno, dopo aver scritto ai parenti ed amici lontani e visitate personalmente quelle persone, verso le quali i riguardi di grado sociale e d'età non le permettono di disimpegnarsi con una semplice carta, manderà la carta da visita alle sue conoscenti. Una delle sue, ed una del marito bastano per una vedova, per una signora sola, per una madre con una o più signorine. Per due sorelle o due cognate, vedove o attempate entrambe, manderà due carte proprie e due del marito. Ad una signora maritata manderà una carta sua e due del marito, il quale deve far auguri all'amica della moglie, ed al marito di lei. In una casa in cui vi fossero oltre al marito colla moglie (i figli non contano), un suocero, una suocera, una cognata, ecc., la signora manderà tante carte quante sono le signore in famiglia; il marito tante carte quanto sono gli uomini, più una per la padrona di casa. Dato che una famiglia sia molto numerosa, il moltiplicare esattamente le carte di visita che vi si devono mandare, sarebbe una pedanteria. Allora si mandano soltanto ai coniugi che sono capi di casa. Ricevendo un annuncio di matrimonio, si risponde con una carta dei due coniugi ai genitori della sposa, ed una pure d'entrambi, ai genitori dello sposo. Se si è assistito ad un matrimonio, subito dopo si mandano le carte da visita, una della signora e due del marito ai nuovi sposi. Ricevendo l'annuncio d'un battesimo o d'una morte, si risponde colle proprie carte alla famiglia. In entrambi i casi, come pure per nozze, molti usano le lettere P. C. Vuol dire ugualmente per condoglianza, per congratulazione. onosco un signore che le ha fatte incidere addirittura sulle sue carte. Dice che sono un tesoro quelle due iniziali, perchè sanno interpretare tutti i sentimenti. Secondo lui, in caso di morte, i superstiti che hanno ereditato non mancano mai di leggere per congratulazione; , sempre secondo lui, gli sposi, che possono averle soltanto tornando dal viaggio, leggono quasi sempre per condoglianza. uando si ammala una persona di conoscenza si deve subito mandare a domandarne nuove; e la prima volta la persona di servizio dovrà presentarsi con carta di chi la manda alla quale si aggiungeranno le parole: "Per prender nuove" o le iniziali p. p. n. uesto perchè la persona di servizio sia conosciuta, e possa essere informata ogni giorno. All'annuncio che l'ammalato entra in convalescenza, si deve mandargli la carta "Per congratulazione." Se, come si usa da molti, la famiglia dell'ammalato mette nella portineria giornalmente il bollettino del medico, gli amici dovranno passare in persona almeno ogni tre giorni a sottoscriversi, e quando non vanno, mandare una persona di servizio, che dovrà sottoscrivere: "per il signore o la signora tale," senz'altro. Il convalescente manderà subito a tutti quanti si sono sottoscritti, o hanno mandato a prendere nuove, la sua carta colle iniziali p. r., d appena potrà uscire, dovrà fare una visita a tutti. Trattandosi di un personaggio illustre, alla cui porta, in caso di malattia, vanno a sottoscriversi conoscenti lontani, ammiratori ignoti, basterà la carta di visita; ma invece delle succinte e poco cordiali iniziali p r dovrà contenere alcune parole di ringraziamento. Se s'è avuta una disgrazia in famiglia, si risponde a tutte le carte da visita ricevute con le carte dei capi di casa, o quelle della vedova su cui si scrive P R (per ringraziamento) alvo a ricevere e ricambiare le visite di condoglianza dopo quindici giorni almeno. Non debbono mai essere le persone dolenti che si incaricano personalmente di mandare le carte. Sarebbe dimostrar che la loro afflizione le impensierisce ben poco, se lascia loro testa da pensare a tanta gente. Assentandosi dal paese dove si abita, o dove s'è passato qualche tempo si mandano ai conoscenti le carte di visita colle iniziali p p c (per prender congedo). ornando dalla campagna o da un viaggio, si manda la carta di visita senza iniziali. In questo caso aggiungere quella del marito sarebbe ridicolo, perchè la carta è incaricata di dire che la signora è pronta a ricevere e non è ammesso che un uomo possa dare la stessa nuova, senza essere un principe; ed i principi sono dispensati da questa formalità verso i semplici mortali. In tutte le circostanze una signora non rende mai la carta ai giovani soli, a meno di essere francamente vecchia. Ad ogni figlio che ha perduto il padre o la madre, anche una signora giovine manda la sua carta; ma dicono i galatei francesi, vi aggiunge due parole di condoglianza. Oh Dio! Anche in quel momento solenne si diffida di lui! Potrebbe abusare della carta di una signora! Le condoglianze scritte non sono condoglianze, sono una guarentigia che non potrà farsi bello di quell'invio, senza che si giustifichi da sè stesso con quelle parole. Oh mondo pessimista! Oh mondo pedante! Un figlio che ha perduta sua madre! Ma inginocchiatevi dinanzi a lui per consolarlo. È per la sua cara morta il vostro omaggio; e egli è sacro. Non dubitiamo dell'amore dei figli. In che cosa crederemo più, allora? No, non voglio dubitarne; è triste il pessimismo e spoetizza il cuore. Parliamo d'altro. In Francia le carte di visita di una signora non portano mai il suo nome di battesimo. Si usa dire la signora Emilio di Girardin; la signora Vittorio, e la signora Carlo Hugo. I galatei francesi sono in ammirazione dinanzi a questa trovata; secondo loro è l'ultima espressione del decoro, perchè il nome di battesimo di una signora non deve esporsi ad esser conosciuto dai profani: "Non debbono saperlo, lessi in uno di quei galatei formalisti, che il marito, il babbo o il fratello." Confesso d'aver visto in Italia, scritte in italiano, alcune carte di visita con quella combinazione bislacca di nome maschile e titolo femminile. Ma se Dio vuole non è ammesso dai nostri costumi. È un oltraggio al buon senso, ed è affatto inutile. Che torto può fare ad una signora che si sappia il suo nome? Lucrezia romana la moglie modello, Susanna tanto casta.... coi vecchioni, la vergine Maria, hanno serbata una riputazione immacolata, malgrado tanti popoli e tante generazioni in possesso del loro nome Ma i Francesi non ci credono; e per dimostrare il loro rispetto a Maria, sentono il bisogno di chiamarla Notre Dame.

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