Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Le buone maniere

202636
Caterina Pigorini-Beri 2 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
  • paraletteratura-galateo
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Ad essa non sono permessi balli pubblici, abbigliamenti capricciosi, passeggiate e partite di piacere che possano dar luogo a osservazioni e commenti; e non le sarà permesso di intrattenersi con persone di diverso sesso, o di ostentare libertà soverchia di maniere o di discorsi. Dovendo conoscere il bene ed il male, essa saprà correr via sopra un argomento sdrucciolo, inculcare l'ordine e darne l'esempio con una compostezza misurata e severa. Essa sarà al corrente del movimento intellettuale, sociale e politico del suo paese, perchè non le abbiano a riuscire incomprensibili le leggi che deve rendere carne e sangue della crescente generazione. Ma questa conoscenza delle cose, questa coltura, questo amore dello studio, non deve degenerare in pedanteria, la quale spesso involontariamente tradisce l'abito peculiare dell'insegnamento. Le letterate non sono molto amate dal pubblico, perchè teme sempre di trovare in esse il tono cattedratico. Il sapere deve zampillare come sapienza spontanea, e le cognizioni essere assimilate così, che ne venga un ornamento del discorso e non un peso per l'interlocutore. Anche la dottrina delle donne deve avere il calore dell'affetto. Se per tutte le altre donne la moderazione e la dolcezza sono un ornamento dell'amabilità, in lei debbono esse il principale fattore del carattere. La mondezza dell'abito e la sua semplicità austera saranno il suo primo figurino di moda; e la conoscenza delle cose della vita non deve far altro che insegnarle a schivarne i pericoli e a porsi come un faro luminoso davanti alle piccole coscienze, che vanno svegliandosi negli alunni ad essa affidati. E poichè, come dice il Pascal, la virtù d'un uomo non deve misurarsi da' suoi sforzi, ma da ciò che fa ordinariamente, è naturale che l'esempio della virtù non può venire che da colui il quale l'esercita nelle piccole evenienze della vita. L'uomo si corica la sera, si alza la mattina, si veste, fa affari, mangia e digerisce quando non ha lo stomaco guasto: questa è l'intelligenza animale, come ha detto un filosofo, la materia in moto. Nessuno potrebbe immaginare neppure approssimativamente il numero di idee o di pensieri di quella folla nera, compatta, che esce ogni mattina dalle nostre case, inonda le piazze, ciarla, stride, piange, si rallegra e si dilegua silenziosamente nelle prime ore della notte buia, per ricominciare il domani colla stessa disordinata consuetudine il lavoro faticoso della vita materiale. Quel milione di teste che interrogate in un momento non appassionato sanno esprimere così bene i sentimenti più nobili, il gusto più fine, lo slancio più eroico, tal da poter sembrare la voce di Dio prese separatamente; per un contrasto bizzarro, specie di animali inconscienti con volto umano, pare non sappiano ragionare dirittamente, nè sentire profondamente le cose che esprimono, quando sono tutte insieme. Egli è che l'uomo singolo vive incatenato nelle consuetudini: e spetta a coloro che insegnano l'indirizzare l'intelletto umano ad averne di buone, di nobili, di oneste. Questa educazione delle consuetudini appartiene di diritto alle maestre, che essendo donne, sole sanno sorridere all'infanzia, sole possono cogliere per simpatia i primi moti di un'anima che si sveglia alle loro prime carezze. Egli è perciò che noi abbiamo intitolato e dedicato questo capitolo alla maestra e non al maestro; l'uomo non ne capirà mai nulla, salvo che per eccezione e poichè abbiamo fuse le scuole maschili colle femminili, non si vede più la ragione perchè una donna non possa condurre i fanciulli di ambo i sessi fino alle classi superiori, restando così esclusi gli uomini, i quali maneggiando colle loro grosse mani quei teneri cuori minacciano d'infrangerli. Se altro non fosse, ciò educherebbe gli uomini al rispetto e alla reverenza verso coloro che sono dolci, che sono soavi, che sono deboli. Più tardi li daremo in mano ai retori, agli scienziati e ai filosofi; essi non arriveranno mai troppo tardi: l'abito degli affetti sarà già formato. È stato detto che per ben intendere la scienza dell'anima bisogna studiarne l'alfabeto accanto ad una culla. Ma quell'inno alle culle gli uomini non sapranno mai cantarlo; e tutta l'educazione d'un popolo è in mano di chi insegna all' infanzia, perchè solo chi ha veduto il principio delle cose grandi, può giudicarne l'andamento. Gli insegnamenti della scienza e della filosofia sono dottrine e non moti dell'animo; esse possono calmare le ebbrezze dell'intelligenza, non saziare la sete dei nostri cuori e indovinarne la fine. E questa sete d'affetto è la rivelazione di quell'ideale che solo l'educazione può raggiungere. Questo grande compito dell'educatrice dovrebbe crearle un'atmosfera più atta a far maturare la messe della virtù e della sapienza popolare e metter lei sopra un trono. Invece non è così, si direbbe anzi che sia tutto il contrario; e ciò si spiega colle premesse; ma tocca in gran parte ad esse di distruggere la continuità di quel giudizio ingiusto; e non sarà loro difficile se sapranno, prima di entrare nel gran meccanismo dell'educazione nazionale, di che fardello si gravino le spalle e quanto sia faticoso ufficio e di che lagrime grondi e di che sangue. Se l'educatrice ha una posizione difficile in società e nella scuola, ne ha una non meno grave nei collegi e nei convitti, in genere nella vita di reclusione. La vita delle recluse, specie di quelle che sono già adulte e quindi restìe al vivere in comune, è degna di uno studio di importanza capitale. I rapporti tra le maestre e le scolare e tra esse e il mondo sono tanto complessi, da non poter essere accennati che sommariamente. La prima necessità è di rendere i collegi e i convitti così lieti e sereni da impedire la noia, da evitare il pettegolezzo, da rendere tranquillo e calmo l'ambiente. Se l'istitutrice deve evitare con ogni fatica le predilezioni anche involontarie, deve altresì invigilare a che le allieve con contraggano intimità troppo sentimentali, e quelle disposizioni alla sensibilità eccessiva che deprimono il carattere e tolgono il concetto del vero nei cuori della gioventù. Anche il così detto parlatorio deve essere accomodato di guisa che le anime giovanili possano espandersi lietamente, impedendo le esagerazioni, ma coltivando la naturale confidenza dei figliuoli verso i genitori. Infine i collegi debbono essere case di educazione, con regole fisse, ma con spontanea naturalezza nei modi e negli affetti. E i convitti, come lo dice il nome, luoghi in cui si convive transitoriamente, vale a dire grosse famiglie in cui l'urbanità, la tolleranza reciproca, i servigi scambievoli hanno una impronta regolamentare indispensabile pel migliore andamento dell'azienda e per un raccoglimento necessario alla conquista d'un titolo accademico; ma che ospitano appunto delle persone già sul limitare della vita; non possono avere quelle discipline fisse e rigorose e strette, che si addicono ai collegi propriamente detti. Le convittrici e i convittori degli istituti normali e superiori debbono essere le custodi di loro stesse: nel loro tratto cortese e educato saranno escluse le parole vivaci, i nomignoli impertinenti, le consorterie o le ostilità aperte o i maneggi sotterranei. Lo studio in comune, il pasto in comune, le passeggiate in comune possono essere altrettante discipline morali e sociali; e l'aiuto, l'emulazione, perfino la lotta urbana nelle difficoltà scolastiche, altrettanti ammaestramenti civili per l'esercizio pratico della vita. L'istruzione in sè e per sè, non vale nulla; la trasformazione sociale si è effettuata, le idee si sono moltiplicate; le nazioni sono divenute intelligenti; ma si sono staccate man mano dai loro sentimenti e gli entusiasmi salutari le hanno abbandonate. E così questa grande rivoluzione intellettuale ha stipato i cervelli senza fecondarli e minaccia di abbandonare i popoli alla follia della loro intelligenza. Ora è all'educatrice che è riservato il Sursum corda! E questo otterrà per sè e per gli altri non colle pedanterie scolastiche, coll'orpello d'una laurea, colla vanità d'una patente, colle pretese di un titolo rimbombante, colle arti o colle scienze o col sapere la storia greca, romana, la teoria darwiniana o fare dei versi; ma coll'essersi assimilati gli studi che nel campo morale e intellettuale le vietino le mode bizzarre negli abiti e le maniere virili o scomposte, o sconvenienti. Questa salutare assimilazione le indicherà quella perfetta educazione civile, la quale irradiandosi da lei porterà ne' suoi discepoli l'urbanità, e spronerà allo studio, al rispetto delle consuetudini paesane e delle altrui opinioni e condurrà le giovani menti a venerare in essa non soltanto il sapere ma la virtù; onde poi accoglieranno nei cuori quel possente anelito, per cui la civiltà si diffonde, si stabilisce e rende meno aspro e meno difficile il vivere in comune. PIGORINI-BERI C., Le buone maniere. 11

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Isabella Gonzaga e Vittoria Colonna, eccelse donne, Alessandra Mazzinghi degli Strozzi e Isabella Guicciardini non sprezzavano gli abbigliamenti, benchè non ne facessero oggetto di troppo grandi cure. È noto che Isabella Gonzaga mandava ambasciatori per avere ragguagli sul corredo di Lucrezia Borgia, e che la dogaressa veneziana rendeva famosi nel mondo i merletti di Burano. Il corredo d'una gentildonna italiana, che portava i velluti e i broccati veneziani, le stoffe orientali, gli Agnus Dei miniati da frate Angelico, le perle dei mari lontani, i coralli delle nostre pesche tirrene, le filigrane genovesi, i ricami dei monasteri nei fazzoletti di una battista che si chiamava pelle d'ovo, e le oreficerie di Benvenuto o di Ascanio, rendevano testimonianza della ricchezza dei nostri commerci e del predominio delle arti belle che resero così splendido il rinascimento. E le industria fiorentine coll'arte della seta e della lana, le veneziane coi broccati e broccatelli, quelle di Camerino coi taffetani e i veli più belli del mondo, quelle di Milano colle stoffe meravigliose; e i profumi dell'estrema Calabria, bergamotto, fior d'arancio e rosmarino, facevano delle nostre gentildonne un modello di perfezione gentile, che passando nell'uomo lo ornavano pei torneamenti, in cui si addestravano nelle armi Fieramosca e Marco Visconti, Ottorino, Castruccio Castracani e Niccolò Piccinino, Lorenzo il Magnifico e Prospero Colonna, Giulio Cesare Varano ed Emanuel Filiberto. Le donne più famose da Vittoria Colonna a Costanza Varano, da Caterina Cibo a Margherita de' Medici, furono altresì le più eleganti. L'abbassarsi dell'istinto dell'eleganza innata nelle donne fu altresì la rivelazione del decadimento del pensiero umano, e della brutalità de' costumi. Il vestire alla guillottina fu l'ultimo eccesso della decadenza rivoluzionaria e suscitò, nel più grande poeta civile del secolo, l'ode a Silvia, grande ammaestramento di civiltà. Ma questa orgia sfrenata di sangue, questa rivolta all'eleganza e alla gentilezza della forma esteriore, fu come la rispondenza dell'altro eccesso in cui ancora il poeta del Giorno colpiva l'esagerazione del lusso e della mollezza, solennemente sferzando la falsa eleganza, i nèi, il belletto di un'epoca di decadimento e di vergogne. E questa lenta trasformazione dell'eleganza in lusso sfrenato e insultante, che ebbe un primo famoso documento in Lucrezia Borgia e un'ultima tragedia in Maria Antonietta, due donne così diversamente famose e terribili e degne di pietà, rivela l'abuso di una facoltà che ha cessato di essere un accessorio indispensabile per diventare uno scopo diretto e positivo. Questo piccolo volo a traverso la storia dell'eleganza nel vestire e nell'adornarsi, non è che un documento umano per preservare dalle vanità le persone di buon senso, e per non far loro tenere in dispregio quelle forme di squisitezza che rendono le donne amabili e utili nel vivere quotidiano. Anche in questo ci vuole quella misura per cui non si esca dalla sapiente e indispensabile teoria dei limiti, che Gino Capponi accenna ne' suoi Pensieri sull'educazione e che gli fece mettere a capo dell'educandato della Santissima Annunziata un'amabile donna straniera, la quale scriveva come madama di Sévigné, vestiva come Madama di Grignan, conversava come Madama di Genlis e sapeva presentarsi come Madama Recamier. Il modo di contenersi in società d'una giovinetta non sarà petulante nè, per servirmi d'una parola messa in voga dagl'Inglesi, scontroso, o d'una taciturnità che rasenti la zotichezza. Per la fusione delle classi, per la facilità di trovarsi al contatto di ogni ordine delle sue coetanee, la giovinetta non mostrerà a quelle di condizione meno elevata della sua quello sprezzo superbo, che fa giungere le lagrime agli occhi dei timidi e degl'impressionabili: non si abbandonerà a troppo grande confidenza colle uguali, non sarà ardita colle maggiori per posizione o per ricchezze, nè adulatrice o lusinghiera. Non farà esclamazioni esagerate, non parlerà in prima persona - casa mia, i miei cavalli, la mia cameriera - e simili; non si crederà autorizzata a prometter nulla, non farà doni e non ne riceverà se non col permesso dei superiori, molto più se il donatore è di sesso diverso e non ha un'età che giustifica il dono, il quale non può essere che un libro, dei fiori o dei dolci. Un dono di valore non è permesso che al padrino, od un parente, ad un vecchio amico della famiglia. Il giudizio sugli uomini e sulle cose deve essere subordinato a molte riflessioni rispettose e remissive, che rivelano quel che si chiama il tatto, il quale non è che la principale espressione del carattere. La giovinetta non dà ad alcun uomo il suo ritratto, non lo incornicia nel salotto, non lo mostra a chi potrebbe avere la mancanza di tatto di chiederglielo, non lo profonde neppure fra le amiche. Il concedere il proprio ritratto a molti può dimostrare due cose: o la vanità di credersi bella, o il trattare troppe persone con intimità, il che distrugge il valore di una amicizia troppo facilmente accordata a molti. Anche colle sue amiche più care non esagera l'espressione del suo affetto, non le bacia e abbraccia troppo spesso, specialmente in società, dove ciò sveglia una idea di sdolcinatura poco conveniente e di attestati iperbolici d'un affetto, che è tanto più sicuro e fedele quanto è meno rumoroso e esteriore: invece la sua amicizia non prodigata alla prima venuta e colla dignità d'un carattere che lampeggia nella prima gioventù per illuminare nell'età matura l'intelletto e il cuore, sarà costante, ferma, serena: essa apporta, come si esprime felicemente la Baronessa di Staaffe, nel commercio della vita usuale colle sue amiche un capitale di onestà sincera e franca, che nell'impedirle l'adulazione le darà modo di non scorgere neppure i difetti e qualche volta gli errori delle altre, senza gelosia per loro meriti, per la loro bellezza e per la loro ricchezza, compiacendosi anzi di poterli far ammirare insieme con lei dagli altri. In una conversazione se le tocca per vicino un interlocutore un po' noioso non sbadiglia, cosa che si può sempre evitare pur di comprimere il primo impulso; è caso qui, come in tutte le cose della vita, di un buon principiis obsta, come diceva il Conte Zio al Padre Provinciale nell'affare del Padre Cristoforo. Sentendosi a ripetere, da un vecchio specialmente, un aneddoto, un fatterello, una spiritosità, un racconto, avrà la pazienza di ascoltarlo colla stessa serietà e la stessa attenzione come se non lo avesse mai sentito dire. Evita con ogni studio di raccontare fatti e di accennare ad avvenimenti che potrebbero offendere o affliggere inavvertentemente le persone intervenute, e non perde mai la buona occasione di tacere, come dice una dama amabile; cosa di cui nessuno ebbe mai a pentirsi. Se sa sonare o cantare non si fa soverchiamente pregare prima di corrispondere all'invito, e sopratutto non mostra di essersi preparata all'invito stesso, cavando fuori il quaderno della musica, il che è ridicolo. Se ognuno fa l'esame di coscienza trova in sè di aver riso di siffatte evidenti vanità. Se uno non è sicuro di sè stesso e di quello che sa, può sempre evitare una inutile agitazione, non esponendosi volontariamente ad un cimento che può produrre una freddezza invincibile nell'ambiente. Il ridicolo doloroso che copre un oratore, un artista, un dilettante ad un insuccesso, dovrebbe allontanare ogni persona ragionevole dal presentarsi in pubblico: una giovinetta specialmente potrebbe danneggiare per sempre la sua riputazione, benchè sia una mancanza tutta convenzionale e non di sostanza. Bisogna ricordarsi che come i senatori considerati isolatamente erano, secondo il motto latino, buonissimi uomini ma il Senato tutto insieme mala bestia (Senatores boni viri Senatus mala bestia), così ciascuno da sè e in sè è disposto all'indulgenza, messi tutti insieme sono giudici crudeli e qualche volta inesorabili. Nessuna belva è più fiera d'una folla anche riunita a scopo di beneficenza o di pietà. L'anima collettiva non è più semplice nè libera, e diventa severa, dispotica, egoistica; e perchè è una belva a molte teste, e il collettivismo non è che una folla limitata ed è necessariamente, pel suo stesso carattere, contraria alle belle maniere e alla delicatezza dei sentimenti, la giovinetta non perderà neppure questa bella occasione di starsene in disparte, pensando a quel motto profondo di una signora di grande esperienza e valore e che dominò un uomo potente e famoso: - La donna che fa parlare di sè è perduta - L'uomo che non fa parlare di se è perduto. Naturalmente questo motto profondo deve essere interpretato con misura e con riserva: ogni cosa sotto il sole ha il suo tempo. E il tempo nostro è molto diverso nei costumi di quello che era nel secolo XVIII, come ognuno sa. È certo che le fanciulle debbono nelle conversazioni numerose avere un riserbo accurato, specialmente con persone appartenenti all'altro sesso. Non è interdetto ad esse di cercare di piacere a coloro che le circondano: anzi è soltanto per questo che l'educatore cerca di ornarne il carattere di quelle qualità esteriori, le quali sono la moneta spicciola di quel gran tesoro nascosto che è la virtù sincera, forte e operosa: a questo esse riusciranno con tanta maggiore facilità quanto più cercheranno di rendersi amabili mostrando di apprezzare il valore altrui, di non insuperbirsi del proprio, di esser grate a coloro che si adoprano al loro vantaggio e sapranno fare qualche sagrifizio personale con buona grazia, come se per esse fosse un piacere non un disagio, e rispettare le opinioni, i pareri, i giudizii e sia pure, i pregiudizii degli altri. Evitando le arie languenti e le pose dette romantiche, silenziosa di un silenzio comunicativo e intelligente, non distratto e isolatore, una fanciulla bene educata sfuggirà ugualmente le mosse vivaci e virili che sono stonature nelle armonie sociali, e ornando la sua mente di geniali studi senza ostentazione di dottrina o di emancipazione grottesca e antisociale, uniformerà la sua condotta a quella della moglie d'un illustre inglese, che fu tanto fortunato da poterne scrivere così: «È avvenente; ma di una bellezza che non risulta nè dai lineamenti nè dalla carnagione nè dalle forme; sono ben altre le qualità con cui incatena gli animi e li volge a suo favore: la dolcissima sua indole, la benignità, l'innocenza, la sensibilità che trasparisce dalla sua fisionomia sono i pregi che ne compongono la bellezza. Il suo volto non ferma punto l'attenzione al primo istante, ma in ultimo uno rimane sorpreso di essersi accorto così tardi che è bella. «I suoi occhi sono dolcissimi: però sanno anche imporre riverenza quando vogliono: essa si fa obbedire come un uomo buono fuori del suo ufficio, non per l'autorità ma per la virtù. «Questa donna non è fatta per essere oggetto di ammirazione a tutti, ma per formare la felicità di uno solo. «Essa ha tutta la fermezza che può accordarsi colla delicatezza, e quanta soavità si può avere senza che ecceda in debolezza. «La sua voce è una dolce musica sommessa, non fatta per dominare nelle pubbliche assemblee, ma per deliziare coloro che sanno distinguere una società da una folla: ed ha un bel vantaggio, che bisogna esserle vicini per udirla. «Descrivendo il suo fisico se ne descrive anche il morale: uno è la copia dell'altro; la sua intelligenza non si rivela in una copiosa varietà di oggetti, ma nella buona scelta che essa sa farne. E non ne dà saggio col dire o fare cose singolari, ma piuttosto coll'evitare cio che non deve nè fare, nè dire. «Nessuno alla sua giovane età può conoscere il mondo meglio di lei, e nessuno mai fu meno corrotto da questa conoscenza. «La sua urbanità deriva piuttosto da naturale disposizione di rendersi accetta, che da alcuna regola, e perciò tanto piace a coloro che sanno apprezzare le belle maniere, come a quelli che non sanno. «Ha mente solida e ferma che non parrebbe derivare dalla sensibilità del carattere femminile, come la compattezza del marmo non deriva dalla pulitura e dal lustro che gli è dato. «Ha quei pregi che si richiedono a farci stimare le virtù veramente cospicue del suo sesso; e tutte le seducenti grazie che ci fanno amare finanche i difetti che scopriamo negli esseri deboli e leggiadri come lei».

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