Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbietto

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CAINO E ABELE

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Perodi, Emma 2 occorrenze

Gli pareva d'essere abbietto e vile, come quei satiri che vanno a scoperchiare le tombe delle giovinette per violarle. Ah! il freddo di quel corpo, lo sentiva ancora sulla carne, lo agghiacciava ancora, mentre il sudore della angoscia gli scendeva dalla fronte. Fuggire! Non voleva altro che fuggire! Egli si diede a correre sulla spiaggia, travergando quel terreno coperto di colonne infrante e di massi biancheggianti fra l'appio e le palme, che al chiarore dei lampi parevano tombe, ora inciampando, ora rialzandosi, preso da un terrore che toglievagli il respiro. E l'impressione di quelle carni gelide, di quella bocca che non si schiudeva a nessuna carezza, a nessun grido, lo perseguitò anche nella sua camera, ove appena giunto accese molti lumi, per scacciare i fantasmi che lo perseguitavano. Quando ebbe fumata una sigaretta e si fu alquanto calmato, esclamò con un ghigno di rabbia: Sono sempre un inetto, anche nel male! Ho forse goduto? L'ho forse umiliata? No, Velleda non saprà nulla e domattina, destandosi nel suo letto, ignara di tutto, correrà a stender le braccia, a offrire la bocca desiosa di baci a Roberto! No, non lo farà, si vergognerà di farlo; questo almeno voglio - e ubbidendo a un pensiero improvviso, andò alla scrivania e tracciò sulla carta queste parole: Velleda, mentre stanotte tu credevi di dormire nel tuo letto, giacevi nella grotta in riva al mare, su un letto d'alghe. Su quel letto, come una belva mi sono gittate sul tuo corpo nudo e ti ho fatta mia. Voglio che tu lo sappia affinchè il pensiero di quest'onta tu lo senta anche nelle braccia di mio fratello, affinchè tu lo respinga inorridita. Si, sei stata mia, rammentalo sempre. Tu arrossirai ora dinanzi a me, tu non potrai più trattarmi con disprezzo, poiché tu mi appartieni; ma non è inerte, insensibile che ti voglio ancora. Ti voglio, viva, animata, fremente; ti voglio subito, poiché il mio desiderio ,si è fatto più vivo, più imperioso. A quando? Il duca non firmò la lettera, ma dopo averla chiusa in una busta e avervi fatto l'indirizzo la sigillò con l'anello di smeraldo, che portava incisa la mano che spezza il pane, con lo stemma dei Frangipani. Domattina saprà tutto, - disse, e accesa un'altra sigaretta prese a fare con cura minuziosa la sua toilette toiletteda notte.

Il Signorini diceva che il nome del marito di Velleda era Crespi; ma che ella faceva bene a ripudiarlo e a portare quello del padre, per evitare le persecuzioni di quell'uomo abbietto, che scontava nella casa penale di Nisida una truffa. Prima di terminare la lettera, il giovane signore confessava a Franco che anche lui, come molti altri, aveva fatto la corte alla bella letterata, senza però ottener da lei nulla, perché a " Melusina " non si conosceva altra passione che l'arte; altro affetto che quello di suo padre e della sua bambina, rapitale dal marito. " Questo è quanto posso dirle della signora Velleda Bianchi, - concludeva il Signorini, - e se ella, nelle sue peregrinazioni in Sicilia, riesce a ottenere le buone grazie della piccola fata bianca; potrà dirsi veramente fortunato e abile più di me e degli amici miei. Dica alla indimenticabile Melusina che io sono fra i suoi amici più devoti e fra i più caldi ammiratori e che il suo ritorna a Firenze sarebbe una festa per me. " Ecco svanita una speranza! - disse il duca accendendo una sigaretta; - ma io non posso ne voglio rassegnarmi. Quell'uomo dagli imperiosi desiderj, che si dibatteva nell'impotenza di appagarli, appariva ben diverso dal consueto e i suoi freddi occhi si posavano irrequieti sulla lettera che aveva davanti, quasi quelle righe dovessero suggerirgli l'idea che cercava invano nella sua mente sognante perfidie, senza saperle preparare. Sono un inetto e porterò questo marchio d' inettezza tutta la vita. Ora Roberto sarà eletto deputato; se io mi fossi portato a Roma non avrei raccolto mille voti: eppure ero una potenza! E da deputato salirà sempre e sempre più si attaccherà a Velleda e sempre più ella insuperbirà della gloria di lui! Ah! è atroce la mia sorte; se non fosse ridicola. Prese la lettera e stava per farla in tanti pezzetti. ma si trattenne. Mi può sempre servire a qualcosa, - pensò, e la rinchiuse in un cassetto insieme con i danari. La vista dei biglietti di banca, molto diminuiti dalle perdite al giuoco, ricondusse il pensiero di lui al Purpura, all' Orlando, a tutti quei nuovi conoscenti di Castelvetrano e s'accorse che potevano essere altrettanti alleati per combattere reiezione di Roberto. Allora un sorriso cattivo gli sfiorò le labbra e capì che tutte le speranze di vedere una volta almeno umiliato suo fratello e afflitta Velleda, non erano perdute. Non fece un piano, perché era incapace d'idearlo, anche sotto l'impulso dell'invidia e del desiderio, ma si rimise, come tutti gli inetti, nelle braccia misericordiose del caso, e confortato dormì un lunghissimo sonno, che Saverio si guardò bene dall'interrompere. Era una domenica, una burrascosa giornata d' agosto. Il mare gonfiato dal vento di terra spingeva al largo le onde crestate di bianco per modo che guardando dalla spiaggia si vedeva una distesa verde su cui svolazzavano a stormi i gabbiani e in distanza una montagna nivea e fluttuante che si confondeva con la linea dell'orizzonte. La sabbia turbinava sulle rovine, sui palmizj, sulla villa, avvolgendo ogni cosa in una nube giallastra, di sinistro aspetto. I valori e i velieri ancorati nel piccolo porto alzavano e abbassavano le prue con moto continuo e disordinato, minacciando di urtarsi, e le alberature e g'li scafi cigolavano sinistramente. Alla villa erano alzati per tempo, nonostante la veglia prolungata, e chi avesse veduto Velleda e Roberto, senati alla tavola della colazione, con la piccola Maria nel mezzo, guardandosi sorridendo, non avrebbe mai supposto che da quei due giovani era stato poche ore prima tracciato un programma così serio di esistenza operosa. Parevano due giovani imposi occupati soltanto della loro felicità e della educazione della bambina, che sedeva in mezzo ad essi. Non c'era una nube sulla fronte liscia di Velleda, sulla quale scendevano i ricciolini dei brevi capelli; non un pensiero triste negli occhi grandi e mansueti di Roberto. Tutte e due sapevano che le lotte stavano per incominciare, che una esistenza di sacrifizj li aspettava, ma ormai avevano calcolato tutto e non provavano pentimento e si sentivano uniti nell'avvenire come nel passato; uniti sempre, e in questo consisteva la loro calma, la loro felicita. Oggi, Maria, - disse Velleda, - non puoi fare il bagno e neppure uscire; fuori non si sta ritti; leggerai, ti baloccherai con le bambole e se nel dopopranzo la burrasca continua, io ti racconterò una novella. Questa promessa teneva sempre buona la bambina, perché nessun libro procuravate mai tanto diletto guanto la narrazione di una novella immaginata da Velleda. la quale univa alla meravigliosa fantasia delle razze slave, una ricchezza di colorito tutta meridionale. Ed io pure ascolterò la novella, - disse Roberto, e starò attento quanto Maria. Io pure ho bisogno di passare il tempo. Tu scherzi, babbo, a te il tempo manca sempre. Lo zio Franco, invece, non sa mai che cosa farne. Dimmi, babbo, tutti i duchi sono così disoccupati? Chi ti ha detto che è duca? - domandò Roberto. Lui stesso; anzi mi ha promesso di lasciarmi il suo titolo, perché tu non vuoi farmi portare i tuoi. Il signor Franco cerca sempre di destare in Maria idee vane e ambiziose, - disse Velleda. - Io mi sono studiata si paralizzare quell'influenza, senza ricorrere a lei, ma vedo che la nostra piccina non vuoi dimenticare le parole dello zio; ed è bene che lei, signor Roberto, si valga della sua autorità per dimostrare a Maria che e inutile che si culli in quei pensieri, che ella si chiamerà sempre Maria Frangipani e che nessun titolo vale quanto un nome onorato. Roberto soffriva visibilmente; ripugnavagli di far nascere nel cuore di Maria la sfiducia contro Franco e capiva benissimo il delicato sentimento che aveva trattenuto Velleda dal parlargli di quella opera di corruzione del fratello; ma dinanzi al male che questi poteva recare alla sua bambina, non ebbe più esitazioni e disse, atti randola a sé dolcemente: Senti, Maria, tuo zio ha ricevuto una cattiva educazione; forse nessuno gli ha voluto veramente bene. Per questo egli non sa educare gli altri e non vuol bene a nessuno. Con te, egli si balocca come farebbe con un gingillo. Non gli prestare attenzione quando ti parla, ma non gli dimostrare disistima. È un infelice che va compatito e tollerato. Egli non può lasciarti proprio nulla; neppure quel titolo di cui si vanta e che è la sua sola ricchezza. Te lo dico io, che non saprei ingannarti, come non ti sa ingannare Velleda. Dovrei allontanarlo di qui, soltanto per la perfidia con cui cerca d'insinuarsi nell'animo tuo; ma ho compassione di lui e non lo faccio. Però invito te ad esser più ragionevole di lui e a non prestar fede a quello che ti dice. Se tu non lo facessi, io dovrei dirgli di partire, e lontano di qui sarebbe anche più abbandonato e infelice. Saprai essere forte contro le sue insinuazioni, Maria? Roberto aveva nella voce e nello sguardo quell'affascinante dono della persuasione, proprio degli apostoli, di coloro che parlano al cuore degli individui e delle masse, fascino indescrivibile che sfugge ali' analisi e che consiste forse nella grande armonia fra il pensiero e il sentimento. Maria subì il fascino delle parole e dello sguardo paterno e si gettò nelle braccia di Roberto, commossa. Egli la baciò affettuosamente e nell'alzarsi disse a bassa voce a Velleda: Ci sarà fatale, Franco? Ella non rispose. I suoi presentimenti erano sinistri, ma non voleva turbare la pace di quella grande anima, e i sibili del vento, la burrasca che si scatenava sulla villa; le parvero in quel momento i prodromi dell'altra che sentiva accumulare sulle loro teste.

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