Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbietto

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CENERE

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Deledda, Grazia 1 occorrenze

Si sentì vile, gli parve d'essere viscido e nero; d'essere carne della carne venduta di sua madre, anch'egli delinquente, misero, abbietto. Ricordi tumultuosi gli passarono nella mente; rammentò i generosi propositi tante volte accarezzati, il sogno di cercarla e di redimerla, la pietà infinita per l'incoscienza e la irresponsabilità di lei, l'orgoglio che egli provava nel sentirsi così pietoso, la sete di sacrifizio ... Tutto menzogna. Basta un vago indizio, dato da una vecchia rimbambita, per ridestargli nell'anima una tempesta di fango, e suggerirgli l'idea del delitto! Tutto illusione, tutto sogno in «questa cosa strana» che è la vita. «E se fosse illusione anche ciò che penso adesso? Se io mi ingannassi? Se Maria non fosse lei? Ebbene, se non Maria è un'altra», concluse disperato; «vicina o lontana, ella esiste e mi chiama, ed io devo ritornare sui miei passi, ricominciare, ritrovarla, viva o morta. Oh, fosse morta!». Attese il ritorno della padrona, e per calmarsi cercò di analizzare la strana passione che lo tormentava, ripetendo a se stesso che la maggior sua pena proveniva dal crudele contrasto dei due esseri che formavano lo sdoppiamento del suo io. Uno di questi due esseri era un bambino fantastico, appassionato e triste, col sangue malato; era ancora lo stesso bambino che scendeva la montagna natìa sognando un mondo misterioso; lo stesso che nella casa del mugnaio aveva per lunghi anni meditato la fuga senza compierla mai; lo stesso che a Cagliari aveva pianto credendo che Maria Rosa potesse essere sua madre: l'altro essere, normale e cosciente, cresciuto accanto al bambino incurabile, vedeva la inconsistenza dei fantasmi e dei mostri che tormentavano il suo compagno, ma per quanto combattesse e gridasse non riusciva a liberarlo dalla sua ossessione, a guarirlo dalla sua follia. Una lotta continua, un crudele contrasto agitava notte e giorno i due esseri; e il bambino fantastico e illogico, vittima e tiranno, riusciva sempre vincitore. Egli voleva sapere, voleva scoprire, voleva raggiungere il suo intento; e soffriva della vanità della sua ricerca e della speranza di arrivare al suo scopo. Molte volte Anania si era chiesto se, libero dall'amore per Margherita, egli avrebbe sofferto egualmente in questa sua triste ricerca. E sempre s'era risposto di sì. La Obinu rientrò verso sera. «Signora Maria», disse Anania, aprendo l'uscio, «venga; devo dirle una cosa». Ella entrò e si buttò a sedere accanto a lui: ansava per le scale salite di corsa, era insolitamente rossa, con la fronte lucente di sudore. «Perché sta al buio? Che cosa ha da dirmi, signor Anania? Si sente male?» La sua voce era tranquilla: e di nuovo egli sentì cadere i suoi sospetti, e gli parve ridicolo fare una scena a quella donna stanca che doveva apparecchiare la tavola per i suoi pensionanti.

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