Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Clelia: il governo dei preti: romanzo storico politico

675923
Garibaldi, Giuseppe 2 occorrenze
  • 1870
  • Fratelli Rechiedei
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Tremanti dinanzi al despotismo d’un abbietto tiranno straniero, noi non osiamo, per paura che ci castighi, passeggiare per casa nostra, dire al mondo che siamo padroni di noi, strapparci dal fianco il dardo che perfidamente ci ha conficcato. E più umiliante, più degradante ancora è la condizione che il despota straniero ci ha imposta, lasciò la preda che l’anatema del mondo gli vietava e ne disse: Codardi! guardatela, fate da birri in vece mia, ma non la toccate! Oh! Roma! patria dell’anima! tu, sei veramente la sola! l’eterna! Al disopra d’ogni grandezza umana anche oggi… sotto qualunque degradazione! Il tuo risorgimento non può esser che una catastrofe da mettere a soqquadro il mondo!

Or come ognuno di voi ebbe la sua parte di popolo, suddiviso per rioni, ad educare, così quella stessa parte di popolo sia da ciascuno di voi guidata il giorno della battaglia che non sarà lontana, il giorno in cui verranno infranti i ceppi della nostra Roma e risorgerà questo popolo che il prete, schiuma d’inferno, il prete solo, poteva depravare, corrompere, abbruttire a tal segno da cambiare il grandissimo fra tutti i popoli nel più meschino, più abbietto, ed ultimo popolo della terra. Sì, è stato il prete che ha avuto il merito di educare gli italiani all’umiliazione ed al servilismo. Mentre lui si faceva baciare la pantofola dagli imperatori, chiedeva agli altri esercitassero l’umiltà cristiana; mentre predicava l’austerità della vita, egli sguazzava nell’abbondanza, nella lascivia e nel vizio. Inchini e baciamani: ecco la ginnastica insegnata dal prete al popolo. Per Dio, lo dobbiamo a lui se la metà di noi porta il gobbo, od ha la spina dorsale curvata! La lotta che siamo per imprendere è santa. E a noi, non solo l’Italia, ma il mondo sarà grato se giungeremo a liberarlo da questa maledizione. Imperocché tenete per certo che nel mondo intero sarà possibile la fratellanza umana ove sia liberato dai preti...». A questo punto era arrivato col suo ardente discorso Attilio, quando un lampo improvviso illuminò la vasta navata del Colosseo, come se a un tratto mille torcie si fossero accese per incanto. Al lampo tenner dietro le tenebre più fitte di prima ed un terribile tuono scosse fino dalle fondamenta la sterminata mole. Non impallidirono i congiurati, disposti come erano ad affrontare la morte in qualunque guisa, né rimasero scossi. Ed ognuno di loro corse colla destra nel seno a ricercare il ferro. Quando, quasi fosse un seguito della meteora, s’udì una voce di disperazione risonare nel vestibolo dell’anfiteatro e poco dopo una giovine scarmigliata, fuori di sé, grondante acqua dalle vesti, si precipitava in mezzo ai congiurati. Silvio fu il primo che la riconobbe, e: «Povera Camilla!» sclamò il coraggioso cacciatore di cignali. «Povera Camilla! in quale stato mai l’hanno ridotta codesti mostri, che l’Europa c’impone a padroni, per i quali l’inferno solo dovrebbe servire di stanza». Subito dietro alla Camilla, erano entrati alcuni dei giovani rimasti di guardia al di fuori e al loro capo raccontavano come quella donna al chiarore del lampo li avesse scoperti, come si fosse slanciata verso il loggione, senza che fosse stato possibile, in modo alcuno, trattenerla. «Vedendo una giovane donna - dissero le sentinelle - abbiamo creduto farci interpreti del vostro desiderio non adoperando le armi per arrestarla. In altro modo ci è stato impossibile il farlo». Camilla intanto, sollevata da Silvio avea innalzato meccanicamente gli occhi fino a lui. Ma fissatolo un momento, diede un urlo spaventoso e cadde a terra boccone, così dolorosamente singhiozzando da intenerire le pietre.

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