Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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ARABELLA

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De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Si mise il cappello in testa, e si cacciò le due mani nelle tasche sotto le falde del suo stiffelio della festa, lasciando cadere uno sguardo di compatimento sopra un infelice che, per l'avidità dell'oro, commetteva delle abbiette vigliaccherie. Aquilino aveva combattuto a Mestre con Poerio e poteva bene dall'alto della sua povera, ma onesta dignità, commiserare un meschino che si avviliva nel fango. Queste cose disse o credette di esprimere colla lunga occhiata con cui salutò il cugino, mentre avviavasi verso la porta. Sulla soglia si fermò, si voltò, sollevò un dito all'altezza del cilindro e declamò la sentenza del Metastasio: Se a ciascun l'interno affanno si leggesse in fronte scritto... E uscì tutto d'un pezzo, non degnandosi nemmeno di finire. Ci pensò l'Angiolina a finire. Trascinata sulla strada dal Boffa, che tirava come un argano, si appoggiò al muro, tra la porta dell'osteria e il tabaccaio, in faccia alla finestra dell'ammezzato, e cominciò, o per dir meglio, seguitò a gridare: "Maccagno birbone! Maccagnaccio ladro! fatti vedere, faccia d'impiccato". C'erano abbasso molti altri parenti interessati a far nascere scandali, che aizzavano l'ortolana a gridare più forte, che suggerivano le parole delle litanie. La donna, coi pugni appoggiati alle anche, il viso in una fiamma, l'occhio grosso e lucente, tirava un mezzo fiato, commentava alla gente, che prese subito a radunarsi, chi era il Maccagnaccio ladro, che cosa aveva fatto, che cosa aveva rubato: poi subito tornava da capo: "Gattone, Battista Scorlino, Boggia della povera gente!" Ferruccio sentivasi venir male, gli tremavano le gambe. A questi insulti, che salivano dalla pubblica strada, il signor Maccagno non seppe più star fermo. Saltò in piedi, venne a dare un'occhiata breve e tagliente attraverso i vetri polverosi, stringendo ancora il tagliacarte di bronzo come un coltello, masticò senza inghiottirle delle parole amare e avvelenate, trovando nell'irritazione dell'oltraggio la forza che non gli veniva data dalla buona coscienza. Nel livore dell'odio e della reazione selvaggia, l'egoismo, ingannando se stesso, confondeva il legittimo diritto della difesa col diritto del più forte, che non è sempre il migliore, come pare al lupo della favola. L'uomo arido e sprezzante ritrovava nella necessità della battaglia quasi un senso di orgoglio, che si accompagna sempre al valore, qualunque sia la causa per la quale si combatte. E come si sa, l'orgoglio si confonde spesso coll'onorabilità e aiuta con questa a confondere le idee, o almeno quelle che non desiderano troppo d'essere chiarite. Erano nell'affarista quasi due creature in cozzo tra loro. L'una, la primitiva, capace di idee buone e generose; e una seconda, quella del mestiere, che non intendeva che una ragione sola, l'interesse. Queste due nature s'erano fatte quasi due abitazioni nella sua coscienza, e come due vicine in discordia, cercavano sempre di non incontrarsi e di non farsi vedere insieme; si può dire che invecchiassero nella stessa casa, quasi senza conoscersi, odiandosi, respingendosi a vicenda, in una paurosa attesa, quale di loro due sarebbe morta prima, e quale sarebbe rimasta padrona assoluta della casa. "Grida, squàrciati, strega!" brontolò, pensando che tutti i cenci di quei pidocchiosi miserabili non avrebbero mai potuto mettere insieme il piccolo cencio di carta che le fiamme del caminetto avevano divorato insieme alla malizia dei preti e degli avvocati. "Sgòlati, crepa! Una carta abbruciata non c'è Dio che la risusciti." Da questa parte potevano assalirlo in cinquecento, ma la prova che la vecchia avesse fatta una carta non l'aveva che lui, e nemmeno lui era più in grado di presentarla. Le ingiurie e le insolenze pubbliche non facevano che dargli qualche ragione di più, se non si vuol dire che le sue ragioni cominciassero da queste. Un cagnolino debole ha bisogno d'essere aizzato per risolversi a mordere. Bene! le ingiurie e le insolenze aiutavano a farlo comparire vittima perseguitata. Si aggiunga che un torto fin che dorme (e in fondo sentiva d'aver torto in questa guerra) è come un lupo addormentato che si lascia ammazzare stupidamente a colpi di bastone. Queste punture obbligavano la bestia a dormire con un occhio aperto e a mandare di tanto in tanto un sordo ruggito d'avvertimento ai ragazzacci e ai villani della contrada. "Piglierò le mie note, stupida creatura." Tornò al tavolino, e tolto un foglio di carta, notò il giorno e l'ora, come se pigliasse gli appunti per un processo verbale. "Tognino, ladro di testamenti" urlò la donna. "Benissimo" e scrisse anche queste parole sulla carta. "Assassino della povera gente!" "Brava, dinne un'altra, brutta cagna." "Schifoso!" "C'è abbastanza per cacciarti in galera. Aspetta." Si mosse ancora dal suo posto e buttata nella viuzza un'altra rapida occhiata, notò molta gente sulle botteghe, riconobbe l'albergatore, il tabaccaio, il lattivendolo, qualche altro, dei quali volle scrivere i nomi nel verbale, per chiamarli tutti come testimoni d'accusa nel terribile processo d'ingiuria, oltraggio e diffamazione ch'egli avrebbe domani intentato all'ortolana e a' suoi compari. Oh se li avrebbe fatti ballare! "Ferruccio!" chiamò a mezza voce, aprendo un poco l'uscio verso la scala. Il giovinetto, colle convulsioni nelle gambe, era disceso in corte e andava cercando cogli occhi qualche sorvegliante o una guardia di questura che facesse smettere la spiritata. Non pareva più Milano. La strada in poco tempo fu piena di curiosi e di sfaccendati e anche di gente che aveva qualche cosa di meglio da fare, ma che il caso nuovo e stuzzicante teneva lì, fermi a guardare e a pestar la premura coi piedi. Chi rideva, chi canzonava, chi eccitava la donna, credendola ubriaca, a dirne sempre delle più grosse. Intorno a lei si parlava (come si può parlare tra gente male informata) della vecchia Ratta, che aveva lasciato un milione: del canonico Pianelli che aveva, d'accordo col Maccagno, rubato il testamento e s'eran diviso mezzo milione ciascuno: dell'avvocato Baruffa, il quale aveva le prove in mano che la vecchia era stata avvelenata: e altre siffatte fanfaluche, che parevan vere a chi le diceva, in proporzione del gusto che ci pigliava a dirle. E siccome questo gusto è sempre un po' meno di quello che prova chi le ripete, in poco tempo la storia del testamento e del veleno si sparpagliò in tutto il quartiere, e a furia d'esser data per vera, divenne verosimile. Chi rideva come alla commedia, chi, più interessato e quindi meno ragionevole, parlava d'impiccare, di bastonare, di cavare il denaro dalle budella. E come di fuori, così nel vano del cortile sporgevano teste di donne, berretti di cuochi e di lavoranti, correvano voci da muro a muro, da scala a scala, mentre dai retrobottega uscivano i commessi e i facchini di studio a domandare, a sentire, a vedere, a mettere il naso. Ferruccio, impaurito dal crescente bisbiglio, vistosi quasi preso di mira dai curiosi, chiamato dalla voce dell'Augusta che strepitava in cima alle scale, risalì le quattro scalette a corsa, e stava per entrare nell'ammezzato, quando nell'arco della porta risonò un grido acutissimo, un grido terribile di donna spaventata o ferita, un grido che fece balzare Tognino Maccagno dalla scranna, e suscitò un immenso susurro di voci adirate e scandalizzate. Tognino Maccagno, stringendo sempre quel tagliacarte acuto e lucente come un coltello, uscì, afferrò Ferruccio che vacillava sul pianerottolo, se lo tirò dietro per un braccio, scese a precipizio, passando, urtando, tra la gente, livido in faccia, e arrivò nel momento appunto che Arabella stramazzava mezza morta ai piedi della scala. Tornava dall'aver fatto una visita a Maria Arundelli che abitava verso le parti di Porta Genova. Giunta in via Torino, invece d'entrare in casa per la porta principale, svoltò ancora nella viuzza, per ripetere e per aggiungere una nuova raccomandazione a Ferruccio in favore della povera Stella, e per incaricarlo di qualche sussidio. Svoltato appena l'angolo, era stata ravvisata dall'Angiolina, che a vederla, fu presa da una nuova idea. Lasciato il posto, dove sbraitava all'aria, l'ortolana andò incontro alla moglie di Lorenzo Maccagno, che veniva rallentando il passo, coll'animo sospeso allo spettacolo della folla insolita che ingombrava la strada, le piombò subitamente addosso come un'aquila che ghermisce una tortora, e presala per un lembo del vestito cominciò a chiamarla ladra, moglie di ladri, nuora di ladri, manutengola... Arabella, còlta all'improvviso, trasalì, stentò a capire, e per l'istinto prese a correre verso la porta. E l'altra dietro: "Mettilo giù quel cappellino, smorfiosa, figlia di ladri..." Arabella vide come una gran fiamma rossa, un fuoco agli occhi, affrettò di nuovo il passo, mentre sentiva il sangue precipitare. E l'altra sempre dietro, a incalzarla, a tormentarla fin sotto la porta, dove allungò la mano al collo della giovine, che inorridita gettò un grido, quel terribile grido, si rivoltò, vacillò, si resse colle mani al muro, poi vide scendere il buio, sentì la morte venire... e cadde sugli ultimi scalini. Molti uomini, disgustati a quella scena, presa in mezzo l'ortolana, la cacciarono via, bistrattandola e battendola. Essa corse e sparì come una grossa talpa, tirandosi dietro un nugolo di ragazzi. "È niente. State lontano, non toccatela... È niente, Arabella. Un po' d'acqua. È meglio portarla di sopra. Fate stare indietro la gente, per bacco! Arabella, è nulla, mi creda; è uno sbaglio. Pigliala, Ferruccio, che la portiamo su." Era il signor Tognino Maccagno che parlava così, che ordinava, che teneva lontano la gente, sorreggendo il corpo della giovane svenuta, trascinandola con uno sforzo verso la scala, mentre Ferruccio, cogli occhi velati da un fiume di lagrime, la prendeva fasciandole modestamente i piedi nel vestito, e aiutava a portarla su per le quattro scalette fino all'ammezzato. Pareva che portassero una morta. Aquilino si collocò ai piedi della scala e col tono irritato di chi non ama le vigliaccherie, persuase i parenti a non far scene, ch'era una vergogna. Pigliarsela colle donne è più che una vigliaccheria, è una sporchezza. Il veterano, fremendo, cominciò egli stesso colle mani e col fazzoletto rosso di cotone a mandar via la ragazzaglia, che si caccia dappertutto come le mosche. Quando fu tutto finito, arrivarono le guardie. Arabella, posta a sedere sopra la poltroncina di pelle, cominciò leggermente a sospirare. Il suocero le sorresse colle mani la testa cadente, premendosela sul petto, mentre due o tre buone donne accorrevano con dell'acqua, con dell'aceto, con del rum. Essa riaprì gli occhi, li girò mollemente intorno con aria trasognata, sospirò, si ricordò, strinse la mano del parente per ringraziarlo, e dopo aver mormorato delle parole chiuse, uscì a dire: "Non c'è più quella donna?" "Nossignora, non c'è più" disse in fretta Ferruccio, che tremava sempre come una foglia. "Non c'è più nessuno. È stato un equivoco... Ha creduto che fosse chi sa chi... Come si sente? vuol andare di sopra, Arabella?" Il vecchio Maccagno parlava con una voce così alterata, che egli stentò a riconoscerla per sua. "Se queste buone vicine mi accompagnano..." Entrano l'Augusta e la Gioconda, che si strinsero amorosamente intorno alla padroncina. Arabella si sforzò di alzarsi, ma non poté reggersi. Sentiva la testa in fiamme e la vita fuggire. Le due donne presero la poltrona e la sollevarono così, mentre Ferruccio correva innanzi a spalancar gli usci. Il giovine gemeva senz'avvedersene, come quando si soffre in sogno. Fu portata su e messa subito a letto. Una delle vicine, la moglie del mercante, capì che bisognava il dottore e ne avvertì subito il signor Tognino. "Perché, perché?" domandò il vecchio sbarrando gli occhi. "Ho paura che perdiamo le belle speranze." Tognin Maccagno si portò i pugni stretti e angolosi alla bocca; ma non volendo mostrarsi avvilito, voltò le spalle e uscì. In anticamera trovò Ferruccio, fermo in mezzo, come un mobile dimenticato. "Hai visto Lorenzo?" Il ragazzo disse di no colla testa. "Sai dove sta il dottor Taruzzi?" "Sì, lo so." "Va a chiamarlo." Il giovane s'avviava già per uscire, quando il principale lo richiamò di nuovo: "Se vedi Lorenzo, non dirgli nulla com'è stato. Chiama il dottore e poi to'... son dieci lire..." Tognin Maccagno trasse con mano tremante il portamonete e dette il denaro. "Vai a Porta Romana, pigli il tram di Lodi, e se non c'è, pigli una carrozza e avverti la sua mamma, sai? alle Cascine..." "Sì, sì" disse il ragazzo, non accorgendosi che per la prima volta il principale gli dava del tu. E tornò a discendere le scale correndo. "Il soggetto è per natura delicato," osservò il dottor Taruzzi sul pianerottolo, dopo aver visitata la malata, "però, dopo l'accidente, il fenomeno è regolare e non presenta pericolo. C'è bisogno di un'assoluta quiete per una ventina di giorni e raccomando una continua vigilanza. Poi farebbe bene l'aria di campagna. Del resto, gli sposi son giovani e non sono i figliuoli che mancano a questo mondo. In quanto al nonno, caro signor Tognino, abbia pazienza anche lui per questa volta."

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