Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbiette

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Epistolario ascetico - Vol. IV

633167
Rosmini, Antonio 1 occorrenze

E questo non solo spiega come i grandi, i ricchi, i potenti sono inclinati alla superbia, ma ancora perchè tutte le passioni vive ed ardenti, anche le più abbiette, sono una disposizione all' orgoglio, hanno un non so che di superbo e arrogante; poichè questo pericolosissimo sentimento delle proprie forze s' estende a tutte le specie di forze e di facoltà. Un sentimento infatti accompagna l' esercizio delle forze e delle sensazioni fisiche: un sentimento, l' esercizio delle forze intellettive: un sentimento, anche l' esercizio delle forze e facoltà morali; e ogni sentimento puramente soggettivo, di qualunque specie sia, s' egli è vivace, è una tentazione di superbia, perchè il sentimento è cieco, e l' intelligenza che lo apprende e percepisce direttamente è pronta a giudicare in fretta sopra una tale percezione, senza riflessioni e senza confronti colle forze altrui, che non sono percepite, e quindi non sono vivamente conosciute. Il sentimento adunque delle proprie forze ha seco un pericolo per l' umiltà e per la giustizia; e per reprimere questo senso insolente e baldanzoso, che s' innalza in noi, guasti dal peccato originale, talora con una terribile potenza, l' uomo deve continuamente combattere, deve con tutte l' armi spirituali rintuzzarlo, acciaccarlo, mortificarlo. Questo è il grande lavoro della mortificazione cristiana, in cui si travagliarono tutti i santi dal principio fino alla fine del loro vivere: la crocifissione dell' uomo vecchio con tutte le sue concupiscenze: [...OMISSIS...] . Che cosa importa negare se stesso, se non disdire e ribattere il sentimento delle proprie forze? che cosa è prendere la sua croce, se non combattere questo arrogante sentimento a costo che ne vada quella vita che lo produce? Di qui anche il gran bene delle tribolazioni che Iddio provvidenzialmente distribuisce ai suoi servi, e colle quali li perfeziona incredibilmente. [...OMISSIS...] E tuttavia l' uomo non può vincere del tutto questo sentimento soggettivo delle proprie forze col solo castigarlo che faccia, se in pari tempo non trova la maniera di fare nascere in se stesso un altro sentimento più potente (sebbene talora profondo e inconsapevole) e soprannaturale che intieramente vinca e soggioghi quel sentimento naturale; e questa è la morte spirituale. Il sentimento vero e soprannaturale, che solo ha virtù di sottomettersi e tenere come schiavo a catena quell' altro della natura, è il sentimento di Dio e del prossimo, raccomandato da Gesù Cristo, il sentimento di ciò che è fuor di noi e che non cade nel senso di noi stessi. Parlando del sentimento istintivo, mi sono limitato a cavarne l' esempio dalla vita animale. Ma, come ho detto, c' è un sentimento soggettivo anche nell' ordine dell' intelligenza e in quello della moralità, benchè in questi ordini una qualche riflessione quasi sempre vi si accompagna. Ogni qual volta la mente, facendo qualche passo insolito, s' eleva a nuove e più nobili cognizioni, e ogni qual volta la volontà opera un bene insolito e, proporzionatamente allo stato abituale, fa degli atti straordinarii di virtù, l' una e l' altra operazione s' accompagna colla coscienza di un proprio ingrandimento; e questo può facilmente inclinare l' uomo alla superbia, ma non è necessariamente superbia, quando sia limitato entro i confini della buona natura, poichè la natura anche buona e bene ordinata sente il proprio bene, ma la natura malvagia e disordinata lo esagera, e, invece di tenerlo in un ordine di ragione, lo asseconda come fosse una grandezza assoluta dell' uomo, il che lo cambia in superbia. Vi farò osservare a questo proposito una fra l' altre leggi singolari, che presiedono a questo sentimento, ed è la seguente: « Quanto più si fa l' abito di quegli atti intellettivi o morali, da cui nasce il detto sentimento soggettivo, questo riesce tanto meno vivo, e però meno pericoloso, e quanto più tali atti sono fatti dall' uomo senza un abito precedente, o con un abito minore, tanto più arrecano un sentimento vivo, e perciò stesso pericoloso ». Con questo si spiega perchè chi è più avanzato in un solido sapere, supposte le altre cose eguali, è meno soggetto ad un sentimento di sè, che lo tenti di superbia; e similmente perchè i principianti nella via della virtù soggiacciano più facilmente alle tentazioni d' insuperbirsi dei progressi che credono di fare nella virtù. Ma infine del conto come il rimedio di quella prima specie di superbia, che viene eccitata dal sentimento della vita e dell' animalità, non è altro che la mortificazione di questo sentimento e la produzione nell' uomo del sentimento d' una vita soprannaturale infinitamente migliore; così il rimedio della seconda specie di superbia, che nasce dal sentimento dei propri atti intellettivi, consiste nel conoscere ed avere vivamente presente all' intelligenza tutte quelle diverse e fortissime ragioni che persuadono l' uomo a mantenersi umile, e sopra tutto la cognizione soprannaturale della vera e assoluta sapienza, verso alla quale tutto quello che noi sappiamo è ignoranza e tenebra. Il rimedio poi verso quella terza specie di superbia, la più maligna di tutte le altre, che nasce dal sentimento dei nostri atti virtuosi, non è che la cognizione intima e la soprannaturale persuasione dell' assoluta nostra impotenza morale [...OMISSIS...] e del venire tutto da Dio quello che facciamo di vero bene (non essendo vero e conosciuto bene quello che non è soprannaturale); e finalmente il sollevarsi col pensiero e col cuore fino alla santità di Dio, e a questa luce intendere come ogni uomo sia mendace e peccatore, e come, qualunque cosa faccia, possa sempre dire con piena verità: « Io sono un servo inutile ». Giova ancora che l' uomo, che vuole appieno difendersi da questa superbia spirituale, sappia e bene intenda che il bene morale è essenzialmente cosa semplice e così compiuta che qualunque grave mancamento distrugge la morale bontà, e che un solo peccato grave esige secondo giustizia una detestazione ed una soddisfazione infinita, e che anche il peccato leggiero è una macchia che impedisce la visione della faccia di Dio. Il che ben inteso recide dall' uomo ogni stima di sè e sospende almeno ogni giudizio favorevole che di sè volesse portare, sia per la consapevolezza di qualche grave od almeno leggiera mancanza, sia pel dubbio che sempre gli rimane circa la sua condizione morale, non potendo egli mai sapere con piena certezza, se sia degno di odio o di amore, qualunque sieno gli atti particolari e le opere virtuose che egli pur faccia. Fin qui del sentimento che accompagna gli atti immediati delle potenze umane: di quel sentimento dico della propria forza intellettiva e della propria grandezza morale che inclina l' uomo alla superbia, e che è superbia quando la volontà lo ama come fine. Noi abbiamo veduto che, opponendo all' istinto una riflessione illuminata dalla fede e gli altri mezzi accennati, l' uomo può vincere per la grazia di Gesù Cristo tutte coteste tentazioni che sorgono spontaneamente dalla morbosa natura; ma la riflessione stessa, qualora congiuri con esse e sia vacillante e debole, accresce il male ed aggiunge nuovi pericoli. La riflessione nell' uomo adulto accompagna la più parte delle sue operazioni, e questa è più o meno elevata, cioè di un ordine più o meno alto. Onde se la riflessione è superba, ci hanno tante maniere o forme di superbia, quanti sono gli ordini della riflessione, a cui l' uomo nel suo sviluppo può arrivare. La riflessione pecca di superbia quando porta un giudizio esagerato ed ingiusto a proprio favore, il quale giudizio suole avere per materia quel sentimento istintivo della propria eccellenza di cui abbiamo parlato. Già se l' uomo giudica con troppa sicurezza a proprio favore, comincia con questo solo a peccare; perchè egli non può esser giudice di se stesso. Più ancora pecca, se da atti particolari di virtù presume di giudicare del proprio stato abituale, stantechè questo è cosa totalmente diversa da quelli, e Iddio solo chiaramente il vede. Talora nondimeno la riflessione è rapidissima, e accompagna quel sentimento con un giudizio oscuro ed implicito, sicchè l' uomo per accorgersi di questo tranello dell' amor proprio dee meditare molto sopra se stesso. E questa è una delle ragioni per le quali la superbia si nasconde talvolta in seno all' uomo profondamente, sebbene faccia degli atti particolari di diverse virtù e anche della stessa umiltà. Avviene che certi uomini si credano e si reputino umili, perchè non sono consapevoli di fare atti espliciti di superbia, e sono anche consapevoli, come dicevo, di fare atti parziali ed espliciti di abbassamento di se stessi, che paion loro umiltà, perchè tali sono in se stessi considerati, e ne hanno tutta l' apparenza; quando nel fatto sono superbissimi a cagione di un continuo e perpetuo giudizio abituale di sè orgoglioso e superbo. Questa specie di superbia abituale si scopre più facilmente osservandone gli effetti, che non sia osservandola in se stessa. L' ira per cagione di piccole offese, cui sente e ingrandisce l' amor proprio, e che talora non sono punto offese: una facilità al disprezzo degli altri: la gelosa cura dei proprii diritti, del proprio onore, ed il valore esagerato dato a quelli ed a questo: la confidenza in sè nell' operare, la temerità del giudicare, la baldanza per la buona riuscita di ciò che s' intraprende, ed altri somiglianti, sono tutti segni che dimostrano l' esistenza di questo nemico, qualunque sieno le parole, le proteste e gli atti particolari in contrario. Quanto poi la superbia appartiene ad una riflessione più elevata, essa è più maligna, più volontaria e più implicita di giustificazioni sofistiche, perchè la riflessione più elevata spazia in un ambiente più vasto d' intelligenza, e da una parte c' è nell' uomo maggiore luce per conoscere il vero, il che aggrava la sua colpa, dall' altra i giudizii superbi ch' egli pronunzia di se medesimo sono più assoluti, più universali, più liberi. I quali giudizi, quelli massimamente che giudicano non di un atto, ma di tutto l' uomo, possono peccare per due ragioni di superbia, o perchè cadono temerariamente su quello che l' uomo non sa, o perchè giudicano falsamente di quel che sa. L' uomo superbo infatti giudica di quel che non sa, ogni qual volta col suo giudizio preferisce in un modo universale se stesso agli altri, come il Fariseo, che diceva, « non sum sicut coeteri hominum, raptores » ecc.: dicendo egli così, li giudicava tutti in massa inferiori a se stesso, come osserva S. Agostino: ora egli non poteva certo sapere come stessero di virtù tutti gli altri uomini: si arrogava dunque di sapere quello che non sapeva, per innalzare se medesimo; la superbia lo spingeva a quella temerità di giudizio. Il che o simile è più facile ad accadere che non paia, ed avviene a molti per quel giudizio abituale di cui abbiamo toccato di sopra, pel quale si credono sempre qualche cosa di più degli altri, di cui non sanno mai concepire un' alta stima, dimenticano volentieri gli altri, e non si occupano che di se stessi: tale è propriamente quella superbia, che si chiama egoismo , alla quale procede direttamente contraria la carità. Ancora, l' uomo superbo giudica di quello che non sa, ogni qual volta antepone se stesso a qualche altro individuo, per rispetto alla virtù interiore o alla santità, come di nuovo faceva il Fariseo quando aggiungeva: « velut etiam hic publicanus (Luc. XVIII) »; perchè lo stato interno e morale dell' anima all' uomo è impenetrabile, e solo a Dio palese, « qui scrutatur renes et corda »; e però con un tale giudizio il superbo s' usurpa la scienza e l' autorità di Dio stesso. L' altra maniera con cui dicevamo potersi peccare di superbia con un giudizio riflesso, è quando l' uomo giudica a favore della propria eccellenza, pronunciando ciò che pur conosce per falso, accecandosi per non riconoscerlo. Questa è la superbia propriamente di Lucifero, il quale non poteva in alcun modo ignorare la infinita eccellenza di Dio, e la sovreminenza della divina natura sopra l' angelica, che era la sua; ma volontariamente rivolgendo gli occhi da quella verità lampantissima, affissò e concentrò il proprio sguardo in se stesso, e a se stesso solamente applaudì con applauso assoluto, dimenticando Iddio, e così facendo Dio se stesso. Or poi se attentamente si consideri, si vedrà che da questa seconda specie di giudizi superbi e falsi deriva anche la specie precedente di giudizi superbi e temerari, e che qui sta il vero principio di tutti gli atti e il fondamento di tutti i generi di superbia riflessa. Perchè in ogni guisa di superbia l' uomo pone sempre più o meno a fine se medesimo, ossia la propria eccellenza, in cui si compiace; e questo equivale ad un pareggiarsi, o ad un anteporsi a Dio che solo è fine di tutte le cose, e dee essere per tale riconosciuto, sia col pensiero, sia coll' affetto, sia coll' opera. Il che è cosa sì chiara che ogni uomo può conoscerla; e se non la riconosce, è solo perchè volontariamente s' accieca, lasciandosi abbagliare al fulgore della propria eccellenza non vera, ma creatasi dall' orgogliosa immaginazione. Si pecca adunque di superbia in questi modi colla riflessione. Questo pericolo conviene ovviare contrapponendo il rimedio di un amore grande e dominante della verità e della virtù, il pensiero e la riflessione abituale dell' assoluta grandezza di Dio e dell' umana pochezza; e oltre a ciò quello della propria e personale infermità e deficienza, al che guida e dà lume e forza la grazia di Dio. Eccovi, mio caro Agar, la teoria: voi solo potete ora applicarla a risolvere quei due quesiti che mi proponevate; perocchè voi solo potete, al lume dell' eterna verità, fare una diligentissima indagine dei movimenti del vostro cuore. [...OMISSIS...] 1.54 Giunsero al sommo grati a tutti noi i vostri buoni augurii, e ve li ricambiamo di cuore. Ma non meno grate ci giunsero le notizie del vostro stato e del vostro esordire nel pastoral ministero, dal quale spero nel Signore che ritrarrete frutti abbondanti e per la perfezione dell' anima vostra e per la salute delle anime altrui. Confidate nel Signore, ed egli vi benedirà. Apprezzate ed amate grandemente il ministero, a cui siete stato chiamato; perchè è un ministero regale, anzi ministero del Re dei re, che fu costituito dal Padre suo sul monte della giustizia praedicans praeceptum Domini . Il zelo ardente del gran Pastore, che dà la sua vita per le sue pecore, vi sia guida e quasi stella nel vostro cammino, perchè nel fuoco del puro zelo luce la sapienza di Dio. Oh voi fortunato, mio caro Giuseppe, se questo fuoco zelatore della giustizia di Dio e diffonditore della santità sarà la vostra vita e l' anima dell' anima vostra! Di questo prego il Signore per voi di cuore, e questi sono gli augurii che io vi faccio per l' anno che abbiamo pur ora incominciato. [...OMISSIS...] 1.54 Rispondendo alle care vostre del 17 febbraio e 7 marzo corrente non mi sembra necessario, per vero dire, ch' io replichi ancora quello che voi già sapete e, conoscendo intimamente il fondo dell' animo mio, potete voi stesso attestare, e quello che tante volte ho già espresso in pubblico ed in privato sul mio figliale e devoto attaccamento alla Santa Sede, sulla mia sommessione ed obbedienza ad ogni suo desiderio e cenno. Iddio m' è testimonio, che non mento: non ho mai desiderato altro che la sana dottrina coll' edificazione del prossimo: e in conseguenza non ho e non ho mai avuta l' intenzione e la voglia di sostenere pertinacemente le mie opinioni, o il mio modo d' esprimerle: ma diffidando troppo giustamente di me stesso, le ho sempre sottomesse al giudizio dell' Apostolica Sede, pronto a cangiarle, ritrattarle, modificarle, esprimerle diversamente, come mi venisse insegnato da questa mia sicura ed amata maestra. Se talora ne' miei libri dimostrai delle persuasioni forti, quando ho creduto che ciò giovasse alla causa della verità, esse cesserebbero subito d' essere forti, e anche d' essere persuasioni per me, ove la legittima autorità parlasse in contrario. Quand' anco m' avvenisse, quello che può avvenire all' uomo, limitato com' egli è, di non intendere la ragione di ciò che mi si prescrivesse, questo non mi cagionerebbe la minima molestia e non mi darebbe il minimo ostacolo a professare la piena e sincera obbedienza; condannerei dunque il giudizio mio proprio, e abbraccerei con tutto il contento ciò che mi fosse insegnato, farei ciò che mi fosse comandato. Ma ora intendo da voi, e parmi di poter raccogliere da tutto quello che s' è fatto fin qui circa l' esame delle mie opere, che non si tratti più di dottrina, ma che, dissipati intorno a questa i timori, rimanga del dubbio sulle espressioni, quasi sentissero di pericolosa novità. Io vi prego primieramente di assicurare tutti, ma specialmente di mettere ai piedi del Santissimo Padre questa mia disposizione, che io non solo desidero, che la dottrina da me professata sia pienamente sana, ma bramo di più che anche le espressioni della medesima sieno immuni da ogni pericolo, e che per conseguente sono sempre pronto a cangiarle o a dichiarare e migliorare in esse tutto ciò che io potessi riconoscere esservi da cangiare, da dichiarare e da migliorare. E lo conoscerò tostochè, per mia gran ventura, il Santo Padre si degnasse di comunicarmi quali sieno le espressioni che meritano questa emendazione: lo conoscerò ancora, se altre persone autorevoli, anche persone private e dotte, avessero la carità di somministrarmi intorno a ciò dei lumi, avendo io sempre bramato d' imparare da tutti, e facendo io gran conto della opinione di persone benevole che conoscano la materia. E perciò appunto vi prego e v' incarico espressamente di raccogliere con ogni possibile diligenza tutte le osservazioni che si facessero costì sulle espressioni o frasi da me adoperate nelle varie mie opere. Raccoglietele da persone autorevoli e dotte, raccoglietele anche dagli indotti, dagli amici e dai nemici, e riferitemele diligentemente: io me ne farò carico, le metterò a profitto per emendare, dichiarare, migliorare comecchessia i miei scritti: che quantunque destinati sieno, pel loro argomento, nella loro maggior parte ai dotti, tuttavia da parte mia desidero di soddisfare a tutti, sapendo che siamo a tutti debitori, a' sapienti e insipienti. Non credo però di poter soddisfare con tutto questo alle persone passionate. Oltrechè io non posso certamente cavarne tutto il profitto che bramerei dicendomi soltanto in un modo indeterminato che alcune espressioni possono riuscire d' inciampo ai giovani e superficiali. Se mi si facesse la grazia di dirmi quali sono queste espressioni, io farei di tutto per soddisfare a tutti i giusti desiderŒ. Una sola espressione voi mi accennaste come notata da taluno, quella dell' essere in universale. Ma questa espressione è così comune in S. Tommaso e in tutti gli Scolastici, che non parmi prezzo dell' opera il parlarne, giacchè non se ne può far senza nè in filosofia, nè in teologia. Voi sapete che il « Nuovo Saggio » è lo sviluppo di questa sentenza di S. Tommaso che ho posta come epigrafe in principio al volume II: « Obiectum intellectus est ens vel verum commune (Summ. I, 55, 1) ». Se non si possono indicare come pericolose e nuove altre frasi che di questa natura, io mi consolo grandemente e ne ringrazio Iddio. Umiliate dunque, se voi lo credete, tutti i sentimenti espressi in questa mia (e sono quelli che ho sempre avuto) al Santissimo Padre, e sopratutto ripetetegli la mia disposizione a uniformarmi in tutto e sempre e con allegrezza ai suoi giudizi, e, se fa bisogno, il mio fermo proposito di correggere, per quanto si stia in me, ogni mio detto che conoscessi, per qualunque sia rispetto o delle cose o delle parole, difettoso. Io mi ricordo vivamente di quanto dice S. Agostino a proposito di un elogio che fa Cicerone di un cotale, scrivendo che « « non ebbe mai proferita parola che volesse revocare » ». S. Agostino soggiunge: [...OMISSIS...] . Non è dunque probabile che io aspiri ad un tanto elogio. [...OMISSIS...] 1.54 Intendo benissimo tutte le vostre pene e i vostri combattimenti, e nello stesso tempo che ve ne sento tutta la compassione, porto fiducia che siano altrettanti mezzi, che adopera con voi l' amorosa Provvidenza del Signore per umiliarvi e così santificarvi. Sarà facile che sulla fine di luglio o in agosto passi da Milano, e allora verrò sicuramente a vedervi; intanto raccomanderò ogni cosa al Signore. La prima cosa, di tutte la più importante, è di non lasciare che venga mai e poi mai meno la confidenza in Dio. Scolpitevi nella mente queste due massime: 1 che non c' è mai nessun motivo ragionevole di diffidare di Dio , nè pure il peccato ; chè anzi il peccatore deve sempre buttandosi nelle braccia di Dio dire: « voi vincerete la mia iniquità, e per occasione del mio peccato s' accrescerà la gloria della vostra misericordia »; 2 che chi conserva la confidenza e la speranza in Dio, non si può perdere : tutti quelli che sperano in Dio non possono essere da Dio abbandonati, e però si salvano. Conviene dunque che vi prefiggiate di fare frequentissimi ed anzi continui atti di speranza e di confidenza, rendendovi questa maniera di pregare abituale; con questi atti vi laverete di continuo nel sangue preziosissimo di Gesù Cristo. La seconda cosa che vi prescriverei, se fossi vostro direttore, si è di evitare che il vostro pensiero non ricada troppo spesso sopra voi stessa. E` meglio non cercar tanto di sapere come si stia, perchè tante volte è impossibile il saperlo; Iddio solo lo sa, perchè è quegli che scruta i reni e i cuori. Col pensare troppo a sè stessi s' arrischia di fare dei giudizi falsi, che ci portino o all' avvilimento o alla presunzione; ovvero, rimanendo nell' oscurità, ci troviamo agitati dalla stessa incertezza. E` meglio dunque dire al Signore: « Io non mi conosco, voi solo mi conoscete; togliete dunque da me tutto quello che vi dispiace, e mi basta, vivo confidata in voi ». E dopo di ciò pensare sempre avanti, pensare a far bene e meglio, senz' altro pensare al passato. Anche quando un' anima avesse la disgrazia di offendere Iddio gravemente, deve pentirsi e confessarsi, e poi ricominciare a far bene, senza pensare più troppo a quello che è accaduto, dicendo: « Vi ho offeso, o Signore, ma ora non voglio offendervi, e se mi accadesse di nuovo la stessa disgrazia, confiderò ancora in voi, risorgerò per la vostra misericordia, e ricomincerò sempre di nuovo ». L' assoluzione sacramentale ha un potere infinito, perchè è un' applicazione fatta al peccatore dei meriti della passione di Cristo; e avendo Gesù Cristo istituito questo Sacramento senza limiti e non per una volta sola, ha mostrato la sua intenzione di perdonare senza limiti. Evitate dunque in ogni caso la soverchia tristezza che abbatte, e consolatevi nella infinita bontà del Salvatore. Una soverchia tristezza toglie le forze e fa venire a noia la vita spirituale; una moderata allegrezza accresce le forze e la rende piacevole. Distinguete tra quello che è di preciso dovere, e quello che omettendolo, non costituisce peccato alcuno. Certe volte, permettendolo Iddio, non si sente l' affetto alla divozione; ma questo non è peccato, perchè tante volte non dipende da noi, ma da disposizioni fisiche. Allora non c' è da fare altro, che sopportare con pazienza e aspettare la visita del Signore. Coraggio adunque, e vincerete e sarete consolata. [...OMISSIS...]

Cerca

Modifica ricerca

Categorie