Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Come presentarmi in società

200410
Erminia Vescovi 2 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Abbiate pazienza con costoro, o gentili lettori e lettrici, che mi avete seguito fin qui. Della loro scortesia la colpa può essere una educazione trascurata, una indole infelice: perciò non sarebbe generoso, e forse nemmeno giusto, esiger da loro quello che invece dovremo esigere rigorosamente da noi. Anch'essi, colla frequentazione assidua di persone ben educate, col ricever da loro prove costanti di cortesia, posson pian piano essere indotti a far un esame di coscienza, ed esser punti dalla buona e nobile volontà di fare altrettanto. Ognuno nella società faccia tutto quanto può di meglio, colla parola e coll'esempio, per diffondere la vera gentilezza, e come il progresso si mostra sempre più confortante nello sviluppo della cultura e nella mitezza dei costumi (nonostante le querimonie di certi brontoloni!) così si giungerà anche, e forse fra non molto, a far sì che universalmente regni anche la correttezza dei modi, l'arte di ben trattare, in qualsiasi ceto sociale. E in questo, come in tutto il resto, l'Italia nostra, gentil sangue latino, deve stare al primo posto!

Se vi cade qualche macchia sul foglio, d vi avete fatto delle correzioni troppo lunghe, abbiate pazienza e ricopiatelo. E la lezione che avete studiato, di cui eravate sicuri prima di venir a scuola, come la recitate? Con una cantilena noiosa, se è poesia, o altro esercizio a memoria, oppure con una gran precipitazione, come se non vedeste l'ora di cavarvi quella noia (e dire che si tratta spesso delle più alte creazioni dell'ingegno umano!). Se poi è cosa da ripetersi a senso, allora si cercan le parole, si balbetta, si torna indietro, non si riesce a mettere insieme un breve periodo senza storpiature. E perchè? Perchè avete studiata la lezione senza prepararvi alla forma con cui esporla, e così mettete a dura prova la pazienza degli insegnanti, fate una meschinissima figura, e vi private d'un esercizio che è assolutamente necessario a prender padronanza della nostra lingua. E i suggerimenti? Questi sono la piaga della scuola: un vizio che quasi nessun insegnante riesce a sradicare. Lo so anch'io che fa pena veder il compagno, l'amico restar lì impappinato, come chiedendo soccorso, mentre con una parolina o due lo possiamo levar d'impaccio. E c'è anche un po' di amor proprio, nel mostrar di saper la cosa che l'altro non sa o non ricorda. No, caro ragazzo, se il professore non vuol suggerimenti, ha ragione: perchè ognuno deve dare la misura del proprio valore; fa tacere dunque il tuo buon cuore, e serba la soddisfazione del tuo amor proprio per quando sarai interrogato. E poi, sei sicuro che quel suggerimento proprio sia dato a proposito? Che sia ben compreso? Che non imbrogli invece le cose peggio di prima? E' poi una vera slealtà presentar compiti non fatti da chi ci mette la propria firma. Il più elementare senso di decoro personale dovrebbe impedire questo inganno, che da noi alligna purtroppo ma di cui si vergognerebbe un ragazzo inglese o americano. Chi comincia a ingannare nella scuola si forma una coscienza subdola e doppia, che lo condurrà col tempo ad altri e maggiori inganni. Se l'insegnante rimprovera un negligente, se castiga chi non ha fatto il suo dovere, è obbligo accettare la sgridata o il castigo con sottomissione, e non aggravar la colpa con un fare dispettoso e superbo. Non si vieta però di addurre le proprie ragioni, quando si creda veramente d'averle, ma sempre con modi rispettosi e remissivi. Se lo scolaro non ha potuto fare il suo compito, o non si è potuto preparare alla lezione, ne avverta anticipatamente l'insegnante, il quale da persona assennata e amorevole, terrà conto delle ragioni. Durante la lezione non si deve voltarsi qua e là, chiacchierar col vicino, giocherellare colla penna o con altri arnesi scolastici, divertirsi in quei tanti modi che hanno inventato gli scolari svogliati, a cui quelle ore sembrano interminabili. E queste belle cose si fanno specialmente quando il professore interroga o corregge il compito di qualche compagno, e si crede che non veda o non senta. Oh, se vede, e se sente! Seguitate ancora un po' ad abusare della sua pazienza e ve ne accorgerete. Durante la spiegazione gli scolari devono fissare attentamente l'insegnante, e cercar di non perdere nè una parola, nè un'espressione del suo viso. Talvolta è questo il più efficace commento! E non interrompere mai per chiedere spiegazioni: bisogna aspettare che sia finita la lezione, o almeno la trattazione di quel dato punto. Quelli poi che mostrano noia, che si stirano, che apron la bocca allo sbadiglio, che consultano l'orologio, o chiedon con taciti segni al compagno che ora è, dimostrano proprio d'essere indegni del gran beneficio dell'istruzione che loro viene impartita. All'uscita del professore, non bisogna saltar fuori schiamazzando dai banchi, nè precipitarsi in tumulto nel corridoio. E se si resta in classe non si faccia un rumore assordante, che spesso disturba nell'aula vicina, ove forse si sta facendo qualche esercizio. Non si deve poi sgorbiare il banco con nomi, figurine, motti, sfoghi personali: si deve rispettar la lavagna e lasciarla al suo uso naturale. E sulle pareti della scuola non si deve scrivere nè il proprio nome, nè altro (nomina stultorum scripta sunt ubicumque locorum). E... le pareti di quei tali luoghi che sono tanto necessari, ma che, come dice il Manzoni in un suo giovanile sermone

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