Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Fisiologia del piacere

170554
Mantegazza, Paolo 10 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Come un albero può crescere alto e rigoglioso senza dar fiori nè frutti, così l'amore può illuminare di gioia la vita di due individui, senza che mai abbiano insieme spasimato nei piaceri del senso. Ma non per questo è men vero che la natura destina l'albero a tramandare la sua vita per mezzo dei semi, come accende il fuoco dell'amore perchè tramandi il calore della vita. Nello stesso modo con cui la vita d'una pianticella si prolunga, quando le si impedisce di portar fiori o frutti; così la vita dell'amore si protrae assai più a lungo, quando si accontenta di porgerci le foglie sempre verdi delle gioie platoniche. Quando la pianta ha dato i suoi frutti, il fine della natura è raggiunto, e se la vita, e conseguentemente l'amore, si prolunga ancora, ciò si deve alla generosità della provvidenza.

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Chi possiede ha maggiori doveri da esercitare; ma tutti gli uomini, perchè abbiano soltanto un'individualità morale, devono essere giusti e buoni, e devono quindi rendersi degni di gustare queste gioie sublimi. Queste gioie, per lo più, essendo calme e dignitose, si esprimono in pochissimi tratti, ed appena rendono lucido l'occhio od espandono la fisonomia a un sorriso di compiacenza. Nei gradi massimi un profondo sospiro può bastare ad esprimere la gioia più intensa. Le tracce della lotta e dei dolori sofferti servono spesso di sfondo al quadro della gioia. Quasi sempre l'uomo si compiace di aver fatto il proprio dovere, eleva il capo e fa tutti quei gesti energici che accompagnano l'esercizio di uno sforzo morale. In qualche raro caso il sentimento del giusto può essere ammalato per vizio della mente o del cuore, e l'uomo può compiacersi di un atto di giustizia, mentre commette forse un'azione riprovevole. Non altrimenti è di colui che ritiene giusto rubare per vendicare la ipotetica ingiustizia sociale della distribuzione della ricchezza.

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Tutti gli uomini sperano, ma non se ne trovano due soli che abbiano lo stesso capitale di speranza: l'uno è milionario e l'altro è pitocco; l'uno impiega i suoi fondi al cento per uno, e l'altro a stento ne ricava l'uno per cento. L'interesse della speranza è la gioia; ma come vi sono capitali che non dànno interesse, così vi è qualche speranza che non produce piaceri. Allora bisogna intaccare e divorare il capitale, misurandolo colle pretensioni della fame e coll'avarizia della miseria. Qualche volta, dopo aver consumato tutta la propria sostanza, bisogna vivere di elemosina, e in questo caso fortunatamente si trova molta generosità: tutti sono pronti a offrirvi il loro obolo e a mostrarsi caritatevoli. Quando poi non vi sentite di abbassarvi all'umiliazione dell'accattone, privatevi di qualcosa e andate a comperare un po' di speranza. Non mancano le botteghe dove la si vende; non mancano gli usurai che la pesano a libbre, ad once, a grani, e la vendono a tutti i prezzi, secondo il valore che hanno i fondi della fede pubblica. Quando l'uomo non può comperare un soldo di speranza, o quando non vuole abbassarsi al vile mercato, diventa suicida. L'uomo vivente senza speranza è un paradosso. Si può vivere senza godere, si può vivere in mezzo al dolore; ma per sopportare la vita bisogna avere fra mani una cambiale di gioia per l'avvenire, dovesse essere di un centesimo, dovesse essere falsa: una cambiale speranza. Essa costituisce il contravveleno dei più atroci dolori, il balsamo più soave delle piaghe morali. Quand'essa arriva a costituire un grande capitale può bastare a render amena la vita. Moltissimi individui si credono ricchi, perchè hanno nei loro scrigni fasci di valute, che potrebbero perdere tutto il loro valore col fallimento o la frode di un banchiere; così molti si credono felici perchè hanno fra mani mille cambiali per l'avvenire segnate dalla speranza. Essi muoiono sorridenti e beati senza che uno solo di quei biglietti di credito sia mai stato convertito in moneta sonante. È sotto quest'aspetto che alcuni economisti proclamano altamente che si debba in ogni caso impiegare i propri fondi su beni stabili e non sopra la carta; ma io trovo che quando non si può avere danaro sonante, è sempre meglio avere un credito, anche se inesigibile. Vi sono negozianti che lavorano sopra un capitale di credito, e vi possono essere anche uomini che vivono sopra un capitale di speranza. Quel che preme per giungere ai primi posti nel teatro della vita, è di avere qualche cosa fra mani onde abbagliare o ingannare il portiere, che fissa i posti alla folla che incalza per passare. In qualche caso ho veduto un petulante ciarlatano riescire a passare ai primi posti con un artifizio ingegnoso. Dopo avere sbuffato a lungo di impazienza e avere schiamazzato davanti alla porta per la quale doveva entrare nel teatro della vita, egli dava un pugno solenne sugli occhi del portiere, il quale, quasi accecato dal barbaglìo del colpo, credeva di vedere molt'oro, e curvandosi fino a toccare il suolo con la fronte, lasciava passare. L'oro porta sempre fra i primi posti. Se non volete credere a tanta imbecillità da parte del portiere, vi dirò che chi presiede alla distribuzione dei posti e alla gerarchia delle autorità è l'opinione pubblica, e allora mi crederete subito sulla parola.

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Altri, quantunque abbiano le migliori disposizioni, sono troppo agitati e turbinosi per arrestarsi a contemplare con piacere l'incessante moto del misterioso lavorio mentale, e godono soltanto delle grandi gioie delle scoperte, o dello scopo che raggiungono per mezzo del lavoro della mente. Essi godono dell'intelletto soltanto perchè li guida alla ricchezza o alla gloria, ma non si deliziano delle gioie del pensiero. Eppure vi ha tanta voluttà nel lavoro della mente, da allietare tutta la esistenza o da consolarci di tutte le miserie grandi e piccole che ci assillano sul nostro cammino: il piacere di pensare, anche indipendentemente da qualunque scopo, da qualunque premio, è uno dei più grandi della vita. Le sensazioni ci arrivano da ogni parte, e appena giunte in noi sono trasformate in idee. Qui un'idea, entrando nel campo della memoria, suscita per analogia un'altra idea; là una combinazione di giudizi fa scaturire uno sprazzo di luce o una scintilla. La luce che illumina a un tratto è tinta dei colori dell'iride che si riflettono su tutto. È la fantasia che, agitando il suo caleidoscopio, o abbandonandosi ad uno dei suoi giuochi di ottica, crea una nuova combinazione di colori. Ora è il rumore assordante dell'officina che tutta intera suda per generare una sola idea: ora è il silenzio più perfetto che arresta a un tratto l'attivo tempestar dei martelli e il rabbioso stridere delle ruote: la riflessione ha intercettata la luce, ha sospeso il lavoro; e gli operai, arrestati a un tratto e sospesi, rimangono silenziosi in mezzo alle tenebre non interrotte che dai sottili raggi e dalle scintille che escono dalle fenditure di un ardente fornello, dove forse si sta distillando una grande verità. Tutti questi mille accidenti si riflettono nello specchio della coscienza, dove l'io guarda e sorride. Non tutti quelli che pensano con voluttà esprimono nello stesso modo il piacere che pensano, ma tutti sentono che è una gioia indefinibile, che non si esaurisce mai e sempre si rinnova; gioia forse fredda e calma, ma che si può amare come una gioia del cuore. La massima differenza di questi piaceri è costituita dal grado di sensibilità e dalla forza del volere, più ancora che dal grado dell'intelligenza. Molti uomini di ingegno e fors'anche di genio sono trascinati dal pensiero, e, mirando alla meta, non guardano forse mai il sentiero che percorrono. Altre volte, impazienti e intolleranti delle piccole gioie, rimangono assorti nelle più sublimi speculazioni. Per godere del piacere primitivo del lavoro intellettuale bisogna arrivare alla pazienza di osservare quello che si compie, bisogna essere padroni e non servi del proprio pensiero; bisogna esser capaci della difficile impresa di mantenersi calmi in mezzo al movimento, tranquilli nel lavoro. Tra tutti gli intellettuali, quelli che in generale godono più degli altri del piacere di pensare, sono i filosofi e i letterati, quelli che ne godono meno, gli eruditi, che però sono quasi sempre rivenditori dei prodotti altrui e non dei propri. L'influenza di queste gioie è assai benefica. Esse ci rendono felici, o ci fanno capaci di aspirare alla felicità, ed elevandoci al disopra degli altri uomini, ci rendono quasi sempre degni dei piaceri caldi della gloria e dell'ambizione. Chi arriva a provare in vera voluttà del pensare, trova insipido e pallido ogni altro piacere intellettuale, e spesso trascura anche le gioie più o meno pericolose del sentimento. Quando si gode del piacere puro e semplice del pensare, si può esprimerlo col brillar degli occhi e con una maggiore animazione del volto: ma si può anche assorbirlo a poco a poco senza lasciarne trapelare una sola stilla.

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Moltissimi purtroppo non hanno torto di rassegnarsi, giacchè, quantunque abbiano tutta la buona intenzione di esser felici, non ne vengono mai a capo, e mille dolori ineluttabili li tormentano senza posa distruggendo fino nel loro germe i piaceri da loro seminati. Alcuni altri però dovrebbero accusare se stessi del non poter essere felici, perchè sono sempre colpevoli di un peccato d'ignoranza. Essi credono che la felicità sia misurata dal numero e dalla intensità dei piaceri, pensando che il danaro sia la sovrana quintessenza che li riunisce tutti in sè, e cercano avidamente di possedere e di godere meravigliandosi altamente come la sospirata felicità non si affretti a correre loro incontro. Dopo aver forse consumato la parte più bella della vita per raggiungere la difficile meta, si accorgono di essersi ingannati, e non essendo più in tempo per tornare indietro e cambiare strada, maledicono l'esistenza, o si rassegnano a tollerare la vita come un peso. Alcune volte la felicità non dura che pochi istanti ed è prodotta da un solo piacere, che, arrivando ai suoi gradi massimi impensatamente e di forza, ci rende beati. In quel momento fortunato dimentichiamo gli affanni e le cure, e concentrandoci sul delirio passeggero di una sensazione deliziosa, si grida, traendo un profondo sospiro: «Sono felice!» Quasi tutti gli uomini nella loro vita hanno veduto risplendere sul loro orizzonte qualcuna di queste scintille, le quali si possono godere anche mancando delle cognizioni più elementari della scienza del piacere. Queste felicità meteoriche possono in qualche caso esser date da tutti i piaceri, ma il più sovente sono scintille che scattano dai crateri sempre fumanti delle passioni più calde e più violente. L'amor fisico e l'amor morale, i palpiti dell'amicizia, i lampi di gloria, le voluttà della musica, possono procurare alcuni istanti di una felicità scintillante. È impossibile però determinare precisamente quale sia il piacere più intenso, concesso all'uomo dalla natura. Vi sono alcuni elementi che mancano affatto ad alcuni fra i più grandi piaceri, e che formano invece la prima delizia di altri; e d'altronde la diversità dell'organismo spesso ci rende più adatti a provare un genere di piaceri piuttosto che un altro. La gloria, l'amore, la musica, il delirio della mente che crea, sono certamente le sorgenti delle gioie più vive, ma essi si contendono il primato; e siccome hanno quasi tutti gli stessi diritti, il giudizio pende ancora incerto. I deliri dell'amplesso sono alla portata di tutti, e quindi vengono da molti incoronati e messi al primo posto nel regno dei piaceri; ma chi ha provato lo spasimo di un sentimento generoso o la sacra frenesia della mente che crea, non vuol prostituire la corona, consacrandola alle labili gioie dell'amore fisico. La seconda specie di felicità è quella che si diffonde come un'armonia calma e soave su tutta la vita, facendo benedire all'uomo la provvidenza e la fortuna. Per acquistare questo secondo tesoro non è necessario un gran numero di piaceri, nè il concorso di alcuna fra le gioie più vive. Qui l'influenza massima è esercitata dalla sensibilità prudente dell'individuo, cioè dalla riunione difficilissima di due fra gli elementi più contrari del mondo morale: la squisitezza del sentire e la temperanza del desiderio, la veemenza della fantasia e l'economia della prudenza.

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Sebbene questa asserzione non sia scientificamente provata, pure si verifica molte volte che questi individui abbiano organi genitali sviluppatissimi; per cui è probabile che i loro piaceri siano più intensi, qualora però essi siano dotati d'una più intensa sensibilità. La facoltà di generare non è concessa che alle età più vigorose della vita, quando l'organismo sviluppa forze molto superiori a quelle che basterebbero a conservare l'individuo, ne consegue perciò che i piaceri venerei debbono essere propri dell'età feconda, e quindi più vivi nel periodo della massima forza. Nei primi tempi della pubertà e nei primi anni della giovinezza i piaceri sono in generale più intensi, ma assai meno delicati; mentre negli anni seguenti, fin verso il quarantesimo, l'esperienza e il bisogno di ravvivare con un certo artificio sensazioni intiepidite dall'abitudine, rendono i piacerj più squisiti. Nel mezzo di questa età, quando l'ardore dei desideri giovanili si associa ad un certo stadio di lussuria, questi piaceri sono della massima potenza. Questo avviene in generale fra il ventesimo ed il trentesimo anno.

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Fortunatamente i casi di onanismo spinto agli estremi gradi, od anche soltanto alla massima tolleranza dell'organismo, sono rari, sebbene alcuni autori, che scrissero sopra questo argomento, abbiano da essi esagerate le conseguenze di questo vizio, falsando in questo modo la verità. E ciò con grandissimo discapito dei colpevoli, i quali, leggendo questi libri possono aver trovato di non avere alcun sintomo della terribile tabe dorsale, e, deridendo l'autore che li aveva voluti spaventare con lo spauracchio di mali tremendi, possono aver continuato nelle loro pessime abitudini. La verità si deve rispettare e adorare come una religione, e per amore di essa si deve riconoscere che la più parte degli uomini dediti ai piaceri dell'onanismo non commettono mai tali eccessi da esser condotti a malattie gravi o mortali. Non per questo però le loro colpe vanno impunite, e la natura li condanna a discendere d'un grado dalla scala intellettuale nella quale li aveva posti. O giovani, voi siete nell'età in cui le facoltà del senso, del sentimento e dell'intelletto sono in tutta la loro potenza d'azione, e vi aprono orizzonti infiniti di gioie. La vostra fantasia vi abbellisce gli oggetti che vi circondano, e vi fa battere il cuore alla magnifica fantasmagoria dei sogni dell'avvenire. L'amore, l'amicizia, la gloria, la scienza, vi fanno trepidare di speranza, e sospirare al pensiero che la vostra vita sarà troppo breve per poter abbracciare e comprendere il mondo che vi circonda. Eppure voi sacrificate tutto questo a un miserabile piacere di pochi istanti, che vi lascia avviliti, stupidi e impotenti di tutto. La lucida intelligenza si oscura, la tenace e pronta memoria della vostra età si fiacca, l'immaginazione non riflette, più nel lucido suo specchio i fulgidi colori delle vostre fantasie, la volontà si spunta; una molesta inquietudine vi tormenta e vi fa penare lunghe ore in uno stato di indifferenza e di ozio intellettuale, che dovreste aborrire più che la morte. Anche il vostro corpo è compagno di dolore al sentimento e all'intelletto: le digestioni si fanno difficili; si provano dolorose sensazioni; spesso si ha la nausea; la pelle, specchio della salute generale, impallidisce; e la fisonomia acquista un tal carattere sbattuto e squallido, che quasi sempre svela la colpa all'occhio di un acuto osservatore. Ma tali incomodi riescono tollerabili, e il giovane si accontenta di passare alcune ore nella sonnolenza o in lievi occupazioni, aspettando che il processo riparatore lo abbia messo ancora in grado di abusar di se stesso. Allora l'organismo abituale in cui vengono tenuti gli organi genitali dalle lascive immagini della mente lo fa ricadere nella colpa. Altre volte lo scoraggiamento e l'impotenza di eccitare altre sensazioni per le quali si richiederebbe tutta l'energia, trascinano al malaugurato piacere onde provare una scossa e sentire di vivere. Una vita passata fra occupazioni languide, fra lunghe ore di sonno o di sonnolenza, fra momenti d'ira e di dispetto, e segnata qua e là dalle abitudini sozzure, è miserabile e vile. Voi tutti che, incatenati dai pregiudizi, vi siete chiusi nell'angusto sentiero di una vita modellata dalle esterne circostanze che vi ballottano e vi urtano; voi che vivete senza esservi mai domandato perchè e a che vivete, voi che non siete che morte cifre nella formula di una generazione; continuate pure nelle vostre abitudini depravate, dacchè non potete intendere gioie più elevate o men basse. Ma tutti voi altri che avete infrante le catene del pregiudizio e salendo sulle alture del pensiero spaziate libero lo sguardo sull'orizzonte che vi circonda; voi che intendete la sublime voluttà del pensare, e che indirizzate la vostra vita ad uno scopo, come la religione, la scienza, la gloria o l'affetto; per quanto vi è sacra la vostra dignità di uomo, non cedete ad un vizio che vi farebbe precipitare dall'alto, e vi spezzerebbe fra le mani quelle armi, con le quali dovete combattere i formidabili nemici che ingombrano la via del vero, del bello e del buono. Se ancora non conoscete i solitari piaceri, non tentateli affatto, perchè la prova sarebbe pericolosa. Se fatalmente li imparaste a conoscere in un'età nella quale l'intelletto era ancora bambino, combattete il nemico coll'arme più potente concessa all'uomo, colla suprema facoltà della sua mente: la volontà. Educate questa potenza preziosa: vogliate tutto ciò che è difficile a conseguire; vogliate combattere ciò che è quasi invincibile: vogliate fabbricarvi la vita fin dove in natura ve lo concede; e allora proverete la sublime compiacenza dell'aver voluto e dell'aver vinto, la quale vale assai più del sacrifizio dei fremiti più voluttuosi. Se la natura non vi ha concesso che un fiacco volere, associatevi ad altri, confidate il vostro segreto ad un amico, unitevi a lui per vincere il nemico, e rendetevi degno di una delle vittorie più difficili.

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Questo argomento, come il precedente, è però debolissimo, giacchè molte volte nel coito il pentimento e il timore delle conseguenze sono assai più gravi, senza che per questo si abbiano i disturbi fisici e morali che seguono l'onanismo. La facilità di ripetere gli atti lascivi dell'onanismo non vale a spiegare gli effetti di un'unica polluzione manuale, messi a confronto con quelli di una polluzione naturale. L'ipotesi dello sviluppo della elettricità nel contatto dei due sessi è puramente gratuita, sebbene non si possa negare interamente. Un'opinione probabile su questo argomento e che nell'onanismo e nella copula gli effetti sono pari quanto alla perdita materiale dello sperma, ma che nel primo l'organismo deve esercitare uno sforzo sproporzionato per ottenere il delirio del piacere, non trovandosi mai nell'orgasmo naturale, il quale non può aversi che nel contatto dei due sessi. Nella copula abbiamo un eretismo straordinario, che viene spento da un proporzionato piacere , per cui si ha poco sviluppo di forza ed equilibrio totale. Nell'onanismo invece si ha un eretismo mediocre a cui tiene dietro un piacere straordinario, per cui vi ha sproporzione tra la forza e l'effetto e perturbamento del sistema nervoso. Questa mia ipotesi sarebbe giustificata in parte anche dall'osservazione, la quale dimostra che una polluzione per onanismo riesce meno dannosa quanto più veemente è il desidero che spinge alla colpa, e che il coito fiacca tanto meno, quanto più sospirato è l'amplesso. Non è improbabile ancora che, in questo terribile conflitto di voluttà fra i due sessi, si scatenino correnti vitali che passano da un corpo all'altro, e che, equilibrandosi si compensino a vicenda. In ogni modo tale questione non è ancora sciolta, ed essa deve essere studiata profondamente, perchè può portare molta luce sulla misteriosa azione del sistema nervoso. Non meno della masturbazione è da lamentare Il congiungimento tra persone dello stesso sesso. Due donne possono congiungersi in modi svariati ottenendo un godimento spasmodico, che raggiunge spesso il parossismo. I piaceri venerei fra donne snervano, sfibrano e riescono deleteri per l'organismo. Altrettanto avviene pei congiungimenti non naturali fra uomo e donna: l'usare la lingua e la bocca, al posto dei genitali, acuisce il piacere a tutto scapito del sistema nervoso e della salute. Riprovevole è anche il ricorrere a mezzi inconfessabili per procurarsi i piaceri venerei: le donne che si servono dei cani diletti, pagano poi ben care le blandizie delle loro leccate, e finiscono sfatte e invecchiate anzi tempo. Ma su tanti pervertimenti è meglio far punto!

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Sebbene però si abbiano infiniti piaceri dalla simmetria, esiste anche un bello irregolare, un'estetica del disordine; ciò che prova come nell'intricato meccanismo delle umane facoltà, dove infiniti elementi si confondono e si intrecciano, si possono avere effetti identici dalle cause più disparate.

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La piccolezza estrema degli oggetti suscita pure in noi l'idea dell'infinito, mostrandoci in qual modo i confini del microcosmo non abbiano limiti come gli spazi imponderabili del cielo. I piaceri che si provano in questo campo formano l'attrattiva principale delle ricerche microscopiche. È poi veramente singolare il fatto che ci porta molte volte ad amare alcuni oggetti per la sola ragione che sono piccoli. Pare che noi associamo ad essi l'idea della debolezza, e che ci sentiamo ispirati ad averne compassione e a proteggerli, anche quando essi non hanno vita. Altre volte essi ci ridestano il desiderio di possederli; per cui, prendendoli fra le mani e guardandoli con attenzione, atteggiamo il volto all'interessamento e alla simpatia. Questo genere singolare di piaceri non si prova in tutta la sua intensità, che quando l'oggetto è ben definito e costituisce un vero individuo. Difatti, il frammento angoloso di una roccia, per quanto piccolo, non produce in noi il piacere che gustiamo nel contemplare un ciottolino liscio e rotondetto; come pure la barba di una penna d'oca non ci interessa quanto un piccolo fagiuolo. A questi piaceri, per se stessi minimi, si collega spesso l'attrattiva speciale di alcune Il moto concorre ai piaceri morali della vista con molti elementi. Innanzi tutto, essendo uno dei sintomi essenziali di ogni specie di vita, ci ridesta la simpatia che abbiamo per ogni essere vivente. Quando il movimento intenso è prodotto dall'industria umana, noi ce ne rallegriamo, compiacendoci della nostra potenza. Quando invece il movimento è naturale, ci ridesta quasi sempre sentimenti più umili e delicati, a meno che non si sia riusciti colle nostre ricerche a scoprire un moto che non si rilevava spontaneo ai nostri occhi. I movimenti naturali producono due classi di piaceri ben distinti a seconda che siano alterni o continui. In generale i primi ci commuovono ad una affettuosa malinconia, mentre i secondi ci fanno gustare i piaceri grandiosi e tristi che si hanno dalle immagini dell'infinito. L'onda, che fremente si rompe sulla spiaggia e poi si allontana per tornare in alterna vicenda, ci interessa e ci consola, perchè ci rappresenta il moto della vita: il giorno dopo la notte, il riposo dopo la fatica, il riso dopo il pianto, il ritorno dopo la partenza. Invece lo scorrere lento e non interrotto delle acque d'un fiume ci tiene assorti in cupa contemplazione, che riesce piacevole solo per la grandezza delle idee che ci desta. L'acqua che scorre ai nostri piedi, scherza e si muove, ma passa e non ritorna; il vortice che molina e si scioglie è seguito da un altro che lo incalza e poi sparisce; la foglia che cade dall'albero è trascinata via e non ritorna; e sempre instancabile, continua, un'onda segue l'altra e il moto mai non riposa. Questo spettacolo ci offre nei suoi elementi una formula assoluta dell'eternità, un esempio del sempre. Il suicida che s'affaccia ad un fiume per precipitarvisi, ritornerebbe più facilmente addietro, se invece dell'onda inesorabile che passa e non ritorna, vedesse il lieto alternarsi delle onde sulla viva d'un lago. Anche la luce nei suoi diversi gradi di intensità può avere un valore morale. Quando è intensa ci ridesta alla vita; quando è debole e incerta ci ispira alla malinconia e alla calma. La luce di una mediocre intensità, ma tremula, ha una attrattiva speciale, e se ne ha un esempio magnifico nella calma voluttà che ci prodiga l'astro della notte. I colori hanno un valore morale di una certa importanza nei piaceri della vista. Noi chiamiamo allegri il rosso, il bleu e il giallo, che sono i tre colori fondamentali, mentre diciamo tristi il nero, il grigio o il cinereo, puro e verginale il bianco. Questo fatto, che si riscontra in tutte le lingue, dimostra più d'ogni altra cosa la natura intellettuale delle sensazioni della vista. Quasi tutti hanno una speciale simpatia per qualche colore: io, ad esempio, amo con trasporto l'azzurro. Nei paesi caldi si preferiscono i colori più vivi, mentre, là dove il sole sorride di rado, anche gli uomini amano meglio le tinte meno tenui e più cupe. Molte nazioni negre hanno una vera passione per i colori più sgargianti. Alcuni colori poi producono immensi piaceri per le memorie che vi si riferiscono; e l'esule può, in lontani paesi, piangere di gioia alla vista della bandiera tricolore. Gli esseri viventi ci interessano molte volte al solo vederli, per l'affinità naturale che abbiamo con essi; e il piacere riesce in generale tanto maggiore quanto più essi ci assomigliano. I vegetali, per quanto siano lontani da noi per ogni principio di affinità, e per quanto la loro vista sia fredda e priva di movimento spontaneo, pure ci interessano assai più dei minerali per la parte che prendono ai piaceri della vista. Il prigioniero, che tra le connessure delle pietre del carcere scorge una tenera pianticina di lichene, prova un piacere molto superiore che se avesse trovato un minerale pregiato. Le parti di una pianta che in generale ci interessano maggiormente sono i fiori, perchè appunto in essi la vita si mostra in tutto il lusso delle sue forme e dei suoi colori. La bellezza delle forme e la varietà dei colori, infatti, hanno gran parte nel piacere che ci dànno i fiori, ma non ne costituiscono l'elemento principale. Talvolta il fiorellino più modesto ci interessa assai più di un magnifico fiore smagliante, perchè una simpatia misteriosa ci lega a questi esseri delicati, a queste tenere creature del mondo vegetale. Gli animali possono piacere, quando non siano schifosi o non ci incutano paura. Tutti però in qualche circostanza possono concorrere alle gioie della vista. Il rospo si ammira nelle vetrine dei musei, come la tigre ci piace meglio quando è chiusa fra le sbarre di un serraglio. Alcuni animali ci interessano per la loro piccolezza, e il piacere che si prova contemplando una formica che passeggia sulla nostra mano, scomparirebbe del tutto, se quell'insetto avesse la proporzione di un coniglio. Altri animali rallegrano la vista col brio dei colori, colla vivacità dei movimenti, colla stranezza delle forme: alcuni di essi ispirano l'affetto, altri la curiosità. Le fiere ci dilettano per la loro potenza muscolare. L'uomo è l'animale che ci interessa più di tutti gli altri ed è naturale, sia perchè ci riguarda direttamente, sia perchè è l'essere superiore nella scala della creazione. Più d'una volta mi sono sorpreso in atto di ammirare la bellezza delle forme e la nobiltà dell'incesso che lo caratterizzano. La vista dell'uomo poi ci risveglia subito quell'affetto indistinto, che è il fondamento e la ragione prima della società. Il piacere che proviamo in questo caso sale poi di grado, a seconda dei vincoli che ci legano alla persona che vediamo. Fra lo sguardo affettuoso di una madre che divora cogli occhi il bambino che tiene fra le braccia, e l'occhiata distratta che gettiamo a chi passa per via accanto a noi, sta un mondo intero di sensazioni e di piaceri, che si riferiscono al sentimento. L'incontrarsi degli occhi è sorgente di gioie immense. Quando abbiamo dinnanzi a noi un uomo, possiamo contemplarlo e analizzarlo da capo a fondo; ma se egli si allontana senza averci guardato, noi restiamo stranieri l'uno all'altro, e la sensazione e le idee che egli ci ha destate si chiudono nei limiti del nostro io. Ma se ad un tratto i nostri occhi si incontrano, noi ci troviamo in rapporto intimo di fratellanza, e ci mandiamo mentalmente il saluto dell'uomo all'uomo. Questa corrispondenza misteriosa degli occhi non può farsi che fra esseri della stessa specie: e quando anche il nostro sguardo s'incontrasse con quello del cane che ci ama o del cavallo che ci porta, il piacere sarebbe languido e puramente sensuale. L'uomo, invece, col balenar dell'occhio, parla all'uomo e lo intende, e le due coscienze sembrano affacciarsi l'una all'altra. Una sensazione della vista può essere piacevole per le memorie che ridesta in noi. L'esule che, tornando in patria, dall'alto d'un colle scorge una semplice macchia bianca, ch'egli intuisce essere la sua casa paterna, la contempla con un vero delirio di gioia, senza che l'immagine sia per se stessa interessante. Egli contempla un oggetto che gli è caro e di cui adora anche l'immagine, e rimane sospeso fra la sensazione e il mondo di memorie che sta dietro ad essa, ma che ancora non si schiude; ed egli guarda e riguarda e si arresta, piangendo di gioia, sopra un'immagine che è pur sempre la stessa, ma che per lui diventa sempre più interessante, quanto più egli la contempla. Sotto questo aspetto, il valore morale degli oggetti può crescere a dismisura il piacere che ci danno colle loro immagini. La vista di una quercia può far delirare di gioia l'Europeo, che da lunghi anni non vede che palme e felci. Una donna che fila può far piangere lagrime soavi ad un soldato, cui rammenta la sua vecchia madre e i racconti del focolare domestico. Io non posso vedere senza compiacenza il cortile di una casa dove cresca dell'erba, perchè è sull'erba di un cortile che io ho tentato i primi passi, ho trascorso le ore più care della mia infanzia cacciando insetti e giuocando coi ciottoli, e dove ho gustato le sensazioni più vergini. La passione dominante rende piacevole la vista degli oggetti che vi si riferiscono, e produce in questo modo una infinità di piaceri diversi. Il sibarita guarda con gioia la polvere veneranda di una bottiglia a cui sta per dare l'assalto, mentre il bibliofilo palpita di piacere vedendo, ad un tratto, nei palchetti di una libreria un libro che ancora non possiede. In questo modo anche gli oggetti più indifferenti o anche ripugnanti possono essere fonti di gioia. Il malacologo ritorna a casa festoso dalla passeggiata, per una nuova lumaca che è riuscito a prendere; mentre l'anatomico rimane collo scalpello sospeso, nell'atto di una compiacenza superiore, sopra un cadavere ributtante, perchè egli ha sotto gli occhi un caso di inaspettata importanza.

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