Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Fisiologia del piacere

170554
Mantegazza, Paolo 10 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Come un albero può crescere alto e rigoglioso senza dar fiori nè frutti, così l'amore può illuminare di gioia la vita di due individui, senza che mai abbiano insieme spasimato nei piaceri del senso. Ma non per questo è men vero che la natura destina l'albero a tramandare la sua vita per mezzo dei semi, come accende il fuoco dell'amore perchè tramandi il calore della vita. Nello stesso modo con cui la vita d'una pianticella si prolunga, quando le si impedisce di portar fiori o frutti; così la vita dell'amore si protrae assai più a lungo, quando si accontenta di porgerci le foglie sempre verdi delle gioie platoniche. Quando la pianta ha dato i suoi frutti, il fine della natura è raggiunto, e se la vita, e conseguentemente l'amore, si prolunga ancora, ciò si deve alla generosità della provvidenza.

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Chi possiede ha maggiori doveri da esercitare; ma tutti gli uomini, perchè abbiano soltanto un'individualità morale, devono essere giusti e buoni, e devono quindi rendersi degni di gustare queste gioie sublimi. Queste gioie, per lo più, essendo calme e dignitose, si esprimono in pochissimi tratti, ed appena rendono lucido l'occhio od espandono la fisonomia a un sorriso di compiacenza. Nei gradi massimi un profondo sospiro può bastare ad esprimere la gioia più intensa. Le tracce della lotta e dei dolori sofferti servono spesso di sfondo al quadro della gioia. Quasi sempre l'uomo si compiace di aver fatto il proprio dovere, eleva il capo e fa tutti quei gesti energici che accompagnano l'esercizio di uno sforzo morale. In qualche raro caso il sentimento del giusto può essere ammalato per vizio della mente o del cuore, e l'uomo può compiacersi di un atto di giustizia, mentre commette forse un'azione riprovevole. Non altrimenti è di colui che ritiene giusto rubare per vendicare la ipotetica ingiustizia sociale della distribuzione della ricchezza.

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Tutti gli uomini sperano, ma non se ne trovano due soli che abbiano lo stesso capitale di speranza: l'uno è milionario e l'altro è pitocco; l'uno impiega i suoi fondi al cento per uno, e l'altro a stento ne ricava l'uno per cento. L'interesse della speranza è la gioia; ma come vi sono capitali che non dànno interesse, così vi è qualche speranza che non produce piaceri. Allora bisogna intaccare e divorare il capitale, misurandolo colle pretensioni della fame e coll'avarizia della miseria. Qualche volta, dopo aver consumato tutta la propria sostanza, bisogna vivere di elemosina, e in questo caso fortunatamente si trova molta generosità: tutti sono pronti a offrirvi il loro obolo e a mostrarsi caritatevoli. Quando poi non vi sentite di abbassarvi all'umiliazione dell'accattone, privatevi di qualcosa e andate a comperare un po' di speranza. Non mancano le botteghe dove la si vende; non mancano gli usurai che la pesano a libbre, ad once, a grani, e la vendono a tutti i prezzi, secondo il valore che hanno i fondi della fede pubblica. Quando l'uomo non può comperare un soldo di speranza, o quando non vuole abbassarsi al vile mercato, diventa suicida. L'uomo vivente senza speranza è un paradosso. Si può vivere senza godere, si può vivere in mezzo al dolore; ma per sopportare la vita bisogna avere fra mani una cambiale di gioia per l'avvenire, dovesse essere di un centesimo, dovesse essere falsa: una cambiale speranza. Essa costituisce il contravveleno dei più atroci dolori, il balsamo più soave delle piaghe morali. Quand'essa arriva a costituire un grande capitale può bastare a render amena la vita. Moltissimi individui si credono ricchi, perchè hanno nei loro scrigni fasci di valute, che potrebbero perdere tutto il loro valore col fallimento o la frode di un banchiere; così molti si credono felici perchè hanno fra mani mille cambiali per l'avvenire segnate dalla speranza. Essi muoiono sorridenti e beati senza che uno solo di quei biglietti di credito sia mai stato convertito in moneta sonante. È sotto quest'aspetto che alcuni economisti proclamano altamente che si debba in ogni caso impiegare i propri fondi su beni stabili e non sopra la carta; ma io trovo che quando non si può avere danaro sonante, è sempre meglio avere un credito, anche se inesigibile. Vi sono negozianti che lavorano sopra un capitale di credito, e vi possono essere anche uomini che vivono sopra un capitale di speranza. Quel che preme per giungere ai primi posti nel teatro della vita, è di avere qualche cosa fra mani onde abbagliare o ingannare il portiere, che fissa i posti alla folla che incalza per passare. In qualche caso ho veduto un petulante ciarlatano riescire a passare ai primi posti con un artifizio ingegnoso. Dopo avere sbuffato a lungo di impazienza e avere schiamazzato davanti alla porta per la quale doveva entrare nel teatro della vita, egli dava un pugno solenne sugli occhi del portiere, il quale, quasi accecato dal barbaglìo del colpo, credeva di vedere molt'oro, e curvandosi fino a toccare il suolo con la fronte, lasciava passare. L'oro porta sempre fra i primi posti. Se non volete credere a tanta imbecillità da parte del portiere, vi dirò che chi presiede alla distribuzione dei posti e alla gerarchia delle autorità è l'opinione pubblica, e allora mi crederete subito sulla parola.

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Altri, quantunque abbiano le migliori disposizioni, sono troppo agitati e turbinosi per arrestarsi a contemplare con piacere l'incessante moto del misterioso lavorio mentale, e godono soltanto delle grandi gioie delle scoperte, o dello scopo che raggiungono per mezzo del lavoro della mente. Essi godono dell'intelletto soltanto perchè li guida alla ricchezza o alla gloria, ma non si deliziano delle gioie del pensiero. Eppure vi ha tanta voluttà nel lavoro della mente, da allietare tutta la esistenza o da consolarci di tutte le miserie grandi e piccole che ci assillano sul nostro cammino: il piacere di pensare, anche indipendentemente da qualunque scopo, da qualunque premio, è uno dei più grandi della vita. Le sensazioni ci arrivano da ogni parte, e appena giunte in noi sono trasformate in idee. Qui un'idea, entrando nel campo della memoria, suscita per analogia un'altra idea; là una combinazione di giudizi fa scaturire uno sprazzo di luce o una scintilla. La luce che illumina a un tratto è tinta dei colori dell'iride che si riflettono su tutto. È la fantasia che, agitando il suo caleidoscopio, o abbandonandosi ad uno dei suoi giuochi di ottica, crea una nuova combinazione di colori. Ora è il rumore assordante dell'officina che tutta intera suda per generare una sola idea: ora è il silenzio più perfetto che arresta a un tratto l'attivo tempestar dei martelli e il rabbioso stridere delle ruote: la riflessione ha intercettata la luce, ha sospeso il lavoro; e gli operai, arrestati a un tratto e sospesi, rimangono silenziosi in mezzo alle tenebre non interrotte che dai sottili raggi e dalle scintille che escono dalle fenditure di un ardente fornello, dove forse si sta distillando una grande verità. Tutti questi mille accidenti si riflettono nello specchio della coscienza, dove l'io guarda e sorride. Non tutti quelli che pensano con voluttà esprimono nello stesso modo il piacere che pensano, ma tutti sentono che è una gioia indefinibile, che non si esaurisce mai e sempre si rinnova; gioia forse fredda e calma, ma che si può amare come una gioia del cuore. La massima differenza di questi piaceri è costituita dal grado di sensibilità e dalla forza del volere, più ancora che dal grado dell'intelligenza. Molti uomini di ingegno e fors'anche di genio sono trascinati dal pensiero, e, mirando alla meta, non guardano forse mai il sentiero che percorrono. Altre volte, impazienti e intolleranti delle piccole gioie, rimangono assorti nelle più sublimi speculazioni. Per godere del piacere primitivo del lavoro intellettuale bisogna arrivare alla pazienza di osservare quello che si compie, bisogna essere padroni e non servi del proprio pensiero; bisogna esser capaci della difficile impresa di mantenersi calmi in mezzo al movimento, tranquilli nel lavoro. Tra tutti gli intellettuali, quelli che in generale godono più degli altri del piacere di pensare, sono i filosofi e i letterati, quelli che ne godono meno, gli eruditi, che però sono quasi sempre rivenditori dei prodotti altrui e non dei propri. L'influenza di queste gioie è assai benefica. Esse ci rendono felici, o ci fanno capaci di aspirare alla felicità, ed elevandoci al disopra degli altri uomini, ci rendono quasi sempre degni dei piaceri caldi della gloria e dell'ambizione. Chi arriva a provare in vera voluttà del pensare, trova insipido e pallido ogni altro piacere intellettuale, e spesso trascura anche le gioie più o meno pericolose del sentimento. Quando si gode del piacere puro e semplice del pensare, si può esprimerlo col brillar degli occhi e con una maggiore animazione del volto: ma si può anche assorbirlo a poco a poco senza lasciarne trapelare una sola stilla.

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Moltissimi purtroppo non hanno torto di rassegnarsi, giacchè, quantunque abbiano tutta la buona intenzione di esser felici, non ne vengono mai a capo, e mille dolori ineluttabili li tormentano senza posa distruggendo fino nel loro germe i piaceri da loro seminati. Alcuni altri però dovrebbero accusare se stessi del non poter essere felici, perchè sono sempre colpevoli di un peccato d'ignoranza. Essi credono che la felicità sia misurata dal numero e dalla intensità dei piaceri, pensando che il danaro sia la sovrana quintessenza che li riunisce tutti in sè, e cercano avidamente di possedere e di godere meravigliandosi altamente come la sospirata felicità non si affretti a correre loro incontro. Dopo aver forse consumato la parte più bella della vita per raggiungere la difficile meta, si accorgono di essersi ingannati, e non essendo più in tempo per tornare indietro e cambiare strada, maledicono l'esistenza, o si rassegnano a tollerare la vita come un peso. Alcune volte la felicità non dura che pochi istanti ed è prodotta da un solo piacere, che, arrivando ai suoi gradi massimi impensatamente e di forza, ci rende beati. In quel momento fortunato dimentichiamo gli affanni e le cure, e concentrandoci sul delirio passeggero di una sensazione deliziosa, si grida, traendo un profondo sospiro: «Sono felice!» Quasi tutti gli uomini nella loro vita hanno veduto risplendere sul loro orizzonte qualcuna di queste scintille, le quali si possono godere anche mancando delle cognizioni più elementari della scienza del piacere. Queste felicità meteoriche possono in qualche caso esser date da tutti i piaceri, ma il più sovente sono scintille che scattano dai crateri sempre fumanti delle passioni più calde e più violente. L'amor fisico e l'amor morale, i palpiti dell'amicizia, i lampi di gloria, le voluttà della musica, possono procurare alcuni istanti di una felicità scintillante. È impossibile però determinare precisamente quale sia il piacere più intenso, concesso all'uomo dalla natura. Vi sono alcuni elementi che mancano affatto ad alcuni fra i più grandi piaceri, e che formano invece la prima delizia di altri; e d'altronde la diversità dell'organismo spesso ci rende più adatti a provare un genere di piaceri piuttosto che un altro. La gloria, l'amore, la musica, il delirio della mente che crea, sono certamente le sorgenti delle gioie più vive, ma essi si contendono il primato; e siccome hanno quasi tutti gli stessi diritti, il giudizio pende ancora incerto. I deliri dell'amplesso sono alla portata di tutti, e quindi vengono da molti incoronati e messi al primo posto nel regno dei piaceri; ma chi ha provato lo spasimo di un sentimento generoso o la sacra frenesia della mente che crea, non vuol prostituire la corona, consacrandola alle labili gioie dell'amore fisico. La seconda specie di felicità è quella che si diffonde come un'armonia calma e soave su tutta la vita, facendo benedire all'uomo la provvidenza e la fortuna. Per acquistare questo secondo tesoro non è necessario un gran numero di piaceri, nè il concorso di alcuna fra le gioie più vive. Qui l'influenza massima è esercitata dalla sensibilità prudente dell'individuo, cioè dalla riunione difficilissima di due fra gli elementi più contrari del mondo morale: la squisitezza del sentire e la temperanza del desiderio, la veemenza della fantasia e l'economia della prudenza.

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Sebbene questa asserzione non sia scientificamente provata, pure si verifica molte volte che questi individui abbiano organi genitali sviluppatissimi; per cui è probabile che i loro piaceri siano più intensi, qualora però essi siano dotati d'una più intensa sensibilità. La facoltà di generare non è concessa che alle età più vigorose della vita, quando l'organismo sviluppa forze molto superiori a quelle che basterebbero a conservare l'individuo, ne consegue perciò che i piaceri venerei debbono essere propri dell'età feconda, e quindi più vivi nel periodo della massima forza. Nei primi tempi della pubertà e nei primi anni della giovinezza i piaceri sono in generale più intensi, ma assai meno delicati; mentre negli anni seguenti, fin verso il quarantesimo, l'esperienza e il bisogno di ravvivare con un certo artificio sensazioni intiepidite dall'abitudine, rendono i piacerj più squisiti. Nel mezzo di questa età, quando l'ardore dei desideri giovanili si associa ad un certo stadio di lussuria, questi piaceri sono della massima potenza. Questo avviene in generale fra il ventesimo ed il trentesimo anno.

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Fortunatamente i casi di onanismo spinto agli estremi gradi, od anche soltanto alla massima tolleranza dell'organismo, sono rari, sebbene alcuni autori, che scrissero sopra questo argomento, abbiano da essi esagerate le conseguenze di questo vizio, falsando in questo modo la verità. E ciò con grandissimo discapito dei colpevoli, i quali, leggendo questi libri possono aver trovato di non avere alcun sintomo della terribile tabe dorsale, e, deridendo l'autore che li aveva voluti spaventare con lo spauracchio di mali tremendi, possono aver continuato nelle loro pessime abitudini. La verità si deve rispettare e adorare come una religione, e per amore di essa si deve riconoscere che la più parte degli uomini dediti ai piaceri dell'onanismo non commettono mai tali eccessi da esser condotti a malattie gravi o mortali. Non per questo però le loro colpe vanno impunite, e la natura li condanna a discendere d'un grado dalla scala intellettuale nella quale li aveva posti. O giovani, voi siete nell'età in cui le facoltà del senso, del sentimento e dell'intelletto sono in tutta la loro potenza d'azione, e vi aprono orizzonti infiniti di gioie. La vostra fantasia vi abbellisce gli oggetti che vi circondano, e vi fa battere il cuore alla magnifica fantasmagoria dei sogni dell'avvenire. L'amore, l'amicizia, la gloria, la scienza, vi fanno trepidare di speranza, e sospirare al pensiero che la vostra vita sarà troppo breve per poter abbracciare e comprendere il mondo che vi circonda. Eppure voi sacrificate tutto questo a un miserabile piacere di pochi istanti, che vi lascia avviliti, stupidi e impotenti di tutto. La lucida intelligenza si oscura, la tenace e pronta memoria della vostra età si fiacca, l'immaginazione non riflette, più nel lucido suo specchio i fulgidi colori delle vostre fantasie, la volontà si spunta; una molesta inquietudine vi tormenta e vi fa penare lunghe ore in uno stato di indifferenza e di ozio intellettuale, che dovreste aborrire più che la morte. Anche il vostro corpo è compagno di dolore al sentimento e all'intelletto: le digestioni si fanno difficili; si provano dolorose sensazioni; spesso si ha la nausea; la pelle, specchio della salute generale, impallidisce; e la fisonomia acquista un tal carattere sbattuto e squallido, che quasi sempre svela la colpa all'occhio di un acuto osservatore. Ma tali incomodi riescono tollerabili, e il giovane si accontenta di passare alcune ore nella sonnolenza o in lievi occupazioni, aspettando che il processo riparatore lo abbia messo ancora in grado di abusar di se stesso. Allora l'organismo abituale in cui vengono tenuti gli organi genitali dalle lascive immagini della mente lo fa ricadere nella colpa. Altre volte lo scoraggiamento e l'impotenza di eccitare altre sensazioni per le quali si richiederebbe tutta l'energia, trascinano al malaugurato piacere onde provare una scossa e sentire di vivere. Una vita passata fra occupazioni languide, fra lunghe ore di sonno o di sonnolenza, fra momenti d'ira e di dispetto, e segnata qua e là dalle abitudini sozzure, è miserabile e vile. Voi tutti che, incatenati dai pregiudizi, vi siete chiusi nell'angusto sentiero di una vita modellata dalle esterne circostanze che vi ballottano e vi urtano; voi che vivete senza esservi mai domandato perchè e a che vivete, voi che non siete che morte cifre nella formula di una generazione; continuate pure nelle vostre abitudini depravate, dacchè non potete intendere gioie più elevate o men basse. Ma tutti voi altri che avete infrante le catene del pregiudizio e salendo sulle alture del pensiero spaziate libero lo sguardo sull'orizzonte che vi circonda; voi che intendete la sublime voluttà del pensare, e che indirizzate la vostra vita ad uno scopo, come la religione, la scienza, la gloria o l'affetto; per quanto vi è sacra la vostra dignità di uomo, non cedete ad un vizio che vi farebbe precipitare dall'alto, e vi spezzerebbe fra le mani quelle armi, con le quali dovete combattere i formidabili nemici che ingombrano la via del vero, del bello e del buono. Se ancora non conoscete i solitari piaceri, non tentateli affatto, perchè la prova sarebbe pericolosa. Se fatalmente li imparaste a conoscere in un'età nella quale l'intelletto era ancora bambino, combattete il nemico coll'arme più potente concessa all'uomo, colla suprema facoltà della sua mente: la volontà. Educate questa potenza preziosa: vogliate tutto ciò che è difficile a conseguire; vogliate combattere ciò che è quasi invincibile: vogliate fabbricarvi la vita fin dove in natura ve lo concede; e allora proverete la sublime compiacenza dell'aver voluto e dell'aver vinto, la quale vale assai più del sacrifizio dei fremiti più voluttuosi. Se la natura non vi ha concesso che un fiacco volere, associatevi ad altri, confidate il vostro segreto ad un amico, unitevi a lui per vincere il nemico, e rendetevi degno di una delle vittorie più difficili.

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Questo argomento, come il precedente, è però debolissimo, giacchè molte volte nel coito il pentimento e il timore delle conseguenze sono assai più gravi, senza che per questo si abbiano i disturbi fisici e morali che seguono l'onanismo. La facilità di ripetere gli atti lascivi dell'onanismo non vale a spiegare gli effetti di un'unica polluzione manuale, messi a confronto con quelli di una polluzione naturale. L'ipotesi dello sviluppo della elettricità nel contatto dei due sessi è puramente gratuita, sebbene non si possa negare interamente. Un'opinione probabile su questo argomento e che nell'onanismo e nella copula gli effetti sono pari quanto alla perdita materiale dello sperma, ma che nel primo l'organismo deve esercitare uno sforzo sproporzionato per ottenere il delirio del piacere, non trovandosi mai nell'orgasmo naturale, il quale non può aversi che nel contatto dei due sessi. Nella copula abbiamo un eretismo straordinario, che viene spento da un proporzionato piacere , per cui si ha poco sviluppo di forza ed equilibrio totale. Nell'onanismo invece si ha un eretismo mediocre a cui tiene dietro un piacere straordinario, per cui vi ha sproporzione tra la forza e l'effetto e perturbamento del sistema nervoso. Questa mia ipotesi sarebbe giustificata in parte anche dall'osservazione, la quale dimostra che una polluzione per onanismo riesce meno dannosa quanto più veemente è il desidero che spinge alla colpa, e che il coito fiacca tanto meno, quanto più sospirato è l'amplesso. Non è improbabile ancora che, in questo terribile conflitto di voluttà fra i due sessi, si scatenino correnti vitali che passano da un corpo all'altro, e che, equilibrandosi si compensino a vicenda. In ogni modo tale questione non è ancora sciolta, ed essa deve essere studiata profondamente, perchè può portare molta luce sulla misteriosa azione del sistema nervoso. Non meno della masturbazione è da lamentare Il congiungimento tra persone dello stesso sesso. Due donne possono congiungersi in modi svariati ottenendo un godimento spasmodico, che raggiunge spesso il parossismo. I piaceri venerei fra donne snervano, sfibrano e riescono deleteri per l'organismo. Altrettanto avviene pei congiungimenti non naturali fra uomo e donna: l'usare la lingua e la bocca, al posto dei genitali, acuisce il piacere a tutto scapito del sistema nervoso e della salute. Riprovevole è anche il ricorrere a mezzi inconfessabili per procurarsi i piaceri venerei: le donne che si servono dei cani diletti, pagano poi ben care le blandizie delle loro leccate, e finiscono sfatte e invecchiate anzi tempo. Ma su tanti pervertimenti è meglio far punto!

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Sebbene però si abbiano infiniti piaceri dalla simmetria, esiste anche un bello irregolare, un'estetica del disordine; ciò che prova come nell'intricato meccanismo delle umane facoltà, dove infiniti elementi si confondono e si intrecciano, si possono avere effetti identici dalle cause più disparate.

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La piccolezza estrema degli oggetti suscita pure in noi l'idea dell'infinito, mostrandoci in qual modo i confini del microcosmo non abbiano limiti come gli spazi imponderabili del cielo. I piaceri che si provano in questo campo formano l'attrattiva principale delle ricerche microscopiche. È poi veramente singolare il fatto che ci porta molte volte ad amare alcuni oggetti per la sola ragione che sono piccoli. Pare che noi associamo ad essi l'idea della debolezza, e che ci sentiamo ispirati ad averne compassione e a proteggerli, anche quando essi non hanno vita. Altre volte essi ci ridestano il desiderio di possederli; per cui, prendendoli fra le mani e guardandoli con attenzione, atteggiamo il volto all'interessamento e alla simpatia. Questo genere singolare di piaceri non si prova in tutta la sua intensità, che quando l'oggetto è ben definito e costituisce un vero individuo. Difatti, il frammento angoloso di una roccia, per quanto piccolo, non produce in noi il piacere che gustiamo nel contemplare un ciottolino liscio e rotondetto; come pure la barba di una penna d'oca non ci interessa quanto un piccolo fagiuolo. A questi piaceri, per se stessi minimi, si collega spesso l'attrattiva speciale di alcune Il moto concorre ai piaceri morali della vista con molti elementi. Innanzi tutto, essendo uno dei sintomi essenziali di ogni specie di vita, ci ridesta la simpatia che abbiamo per ogni essere vivente. Quando il movimento intenso è prodotto dall'industria umana, noi ce ne rallegriamo, compiacendoci della nostra potenza. Quando invece il movimento è naturale, ci ridesta quasi sempre sentimenti più umili e delicati, a meno che non si sia riusciti colle nostre ricerche a scoprire un moto che non si rilevava spontaneo ai nostri occhi. I movimenti naturali producono due classi di piaceri ben distinti a seconda che siano alterni o continui. In generale i primi ci commuovono ad una affettuosa malinconia, mentre i secondi ci fanno gustare i piaceri grandiosi e tristi che si hanno dalle immagini dell'infinito. L'onda, che fremente si rompe sulla spiaggia e poi si allontana per tornare in alterna vicenda, ci interessa e ci consola, perchè ci rappresenta il moto della vita: il giorno dopo la notte, il riposo dopo la fatica, il riso dopo il pianto, il ritorno dopo la partenza. Invece lo scorrere lento e non interrotto delle acque d'un fiume ci tiene assorti in cupa contemplazione, che riesce piacevole solo per la grandezza delle idee che ci desta. L'acqua che scorre ai nostri piedi, scherza e si muove, ma passa e non ritorna; il vortice che molina e si scioglie è seguito da un altro che lo incalza e poi sparisce; la foglia che cade dall'albero è trascinata via e non ritorna; e sempre instancabile, continua, un'onda segue l'altra e il moto mai non riposa. Questo spettacolo ci offre nei suoi elementi una formula assoluta dell'eternità, un esempio del sempre. Il suicida che s'affaccia ad un fiume per precipitarvisi, ritornerebbe più facilmente addietro, se invece dell'onda inesorabile che passa e non ritorna, vedesse il lieto alternarsi delle onde sulla viva d'un lago. Anche la luce nei suoi diversi gradi di intensità può avere un valore morale. Quando è intensa ci ridesta alla vita; quando è debole e incerta ci ispira alla malinconia e alla calma. La luce di una mediocre intensità, ma tremula, ha una attrattiva speciale, e se ne ha un esempio magnifico nella calma voluttà che ci prodiga l'astro della notte. I colori hanno un valore morale di una certa importanza nei piaceri della vista. Noi chiamiamo allegri il rosso, il bleu e il giallo, che sono i tre colori fondamentali, mentre diciamo tristi il nero, il grigio o il cinereo, puro e verginale il bianco. Questo fatto, che si riscontra in tutte le lingue, dimostra più d'ogni altra cosa la natura intellettuale delle sensazioni della vista. Quasi tutti hanno una speciale simpatia per qualche colore: io, ad esempio, amo con trasporto l'azzurro. Nei paesi caldi si preferiscono i colori più vivi, mentre, là dove il sole sorride di rado, anche gli uomini amano meglio le tinte meno tenui e più cupe. Molte nazioni negre hanno una vera passione per i colori più sgargianti. Alcuni colori poi producono immensi piaceri per le memorie che vi si riferiscono; e l'esule può, in lontani paesi, piangere di gioia alla vista della bandiera tricolore. Gli esseri viventi ci interessano molte volte al solo vederli, per l'affinità naturale che abbiamo con essi; e il piacere riesce in generale tanto maggiore quanto più essi ci assomigliano. I vegetali, per quanto siano lontani da noi per ogni principio di affinità, e per quanto la loro vista sia fredda e priva di movimento spontaneo, pure ci interessano assai più dei minerali per la parte che prendono ai piaceri della vista. Il prigioniero, che tra le connessure delle pietre del carcere scorge una tenera pianticina di lichene, prova un piacere molto superiore che se avesse trovato un minerale pregiato. Le parti di una pianta che in generale ci interessano maggiormente sono i fiori, perchè appunto in essi la vita si mostra in tutto il lusso delle sue forme e dei suoi colori. La bellezza delle forme e la varietà dei colori, infatti, hanno gran parte nel piacere che ci dànno i fiori, ma non ne costituiscono l'elemento principale. Talvolta il fiorellino più modesto ci interessa assai più di un magnifico fiore smagliante, perchè una simpatia misteriosa ci lega a questi esseri delicati, a queste tenere creature del mondo vegetale. Gli animali possono piacere, quando non siano schifosi o non ci incutano paura. Tutti però in qualche circostanza possono concorrere alle gioie della vista. Il rospo si ammira nelle vetrine dei musei, come la tigre ci piace meglio quando è chiusa fra le sbarre di un serraglio. Alcuni animali ci interessano per la loro piccolezza, e il piacere che si prova contemplando una formica che passeggia sulla nostra mano, scomparirebbe del tutto, se quell'insetto avesse la proporzione di un coniglio. Altri animali rallegrano la vista col brio dei colori, colla vivacità dei movimenti, colla stranezza delle forme: alcuni di essi ispirano l'affetto, altri la curiosità. Le fiere ci dilettano per la loro potenza muscolare. L'uomo è l'animale che ci interessa più di tutti gli altri ed è naturale, sia perchè ci riguarda direttamente, sia perchè è l'essere superiore nella scala della creazione. Più d'una volta mi sono sorpreso in atto di ammirare la bellezza delle forme e la nobiltà dell'incesso che lo caratterizzano. La vista dell'uomo poi ci risveglia subito quell'affetto indistinto, che è il fondamento e la ragione prima della società. Il piacere che proviamo in questo caso sale poi di grado, a seconda dei vincoli che ci legano alla persona che vediamo. Fra lo sguardo affettuoso di una madre che divora cogli occhi il bambino che tiene fra le braccia, e l'occhiata distratta che gettiamo a chi passa per via accanto a noi, sta un mondo intero di sensazioni e di piaceri, che si riferiscono al sentimento. L'incontrarsi degli occhi è sorgente di gioie immense. Quando abbiamo dinnanzi a noi un uomo, possiamo contemplarlo e analizzarlo da capo a fondo; ma se egli si allontana senza averci guardato, noi restiamo stranieri l'uno all'altro, e la sensazione e le idee che egli ci ha destate si chiudono nei limiti del nostro io. Ma se ad un tratto i nostri occhi si incontrano, noi ci troviamo in rapporto intimo di fratellanza, e ci mandiamo mentalmente il saluto dell'uomo all'uomo. Questa corrispondenza misteriosa degli occhi non può farsi che fra esseri della stessa specie: e quando anche il nostro sguardo s'incontrasse con quello del cane che ci ama o del cavallo che ci porta, il piacere sarebbe languido e puramente sensuale. L'uomo, invece, col balenar dell'occhio, parla all'uomo e lo intende, e le due coscienze sembrano affacciarsi l'una all'altra. Una sensazione della vista può essere piacevole per le memorie che ridesta in noi. L'esule che, tornando in patria, dall'alto d'un colle scorge una semplice macchia bianca, ch'egli intuisce essere la sua casa paterna, la contempla con un vero delirio di gioia, senza che l'immagine sia per se stessa interessante. Egli contempla un oggetto che gli è caro e di cui adora anche l'immagine, e rimane sospeso fra la sensazione e il mondo di memorie che sta dietro ad essa, ma che ancora non si schiude; ed egli guarda e riguarda e si arresta, piangendo di gioia, sopra un'immagine che è pur sempre la stessa, ma che per lui diventa sempre più interessante, quanto più egli la contempla. Sotto questo aspetto, il valore morale degli oggetti può crescere a dismisura il piacere che ci danno colle loro immagini. La vista di una quercia può far delirare di gioia l'Europeo, che da lunghi anni non vede che palme e felci. Una donna che fila può far piangere lagrime soavi ad un soldato, cui rammenta la sua vecchia madre e i racconti del focolare domestico. Io non posso vedere senza compiacenza il cortile di una casa dove cresca dell'erba, perchè è sull'erba di un cortile che io ho tentato i primi passi, ho trascorso le ore più care della mia infanzia cacciando insetti e giuocando coi ciottoli, e dove ho gustato le sensazioni più vergini. La passione dominante rende piacevole la vista degli oggetti che vi si riferiscono, e produce in questo modo una infinità di piaceri diversi. Il sibarita guarda con gioia la polvere veneranda di una bottiglia a cui sta per dare l'assalto, mentre il bibliofilo palpita di piacere vedendo, ad un tratto, nei palchetti di una libreria un libro che ancora non possiede. In questo modo anche gli oggetti più indifferenti o anche ripugnanti possono essere fonti di gioia. Il malacologo ritorna a casa festoso dalla passeggiata, per una nuova lumaca che è riuscito a prendere; mentre l'anatomico rimane collo scalpello sospeso, nell'atto di una compiacenza superiore, sopra un cadavere ributtante, perchè egli ha sotto gli occhi un caso di inaspettata importanza.

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Come presentarmi in società

200088
Erminia Vescovi 11 occorrenze
  • 1954
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Paolo chiamò rationabile obsequium; sapranno dunque benissimo quali ragioni e quale importanza abbiano anche certe dimostrazioni esterne di culto o di convenienza che giustamente sono prescritte. Ma posso anche supporre che vi sian delle anime, perfettamente e sinceramente credenti, che non abbiano potuto acquistare la cognizione o la pratica di tali norme, posso supporre altresì che alcuni, pur non aderendo alla fede comune, abbiano il nobile e lodevole desiderio di comportarsi in modo che nulla possa offendere o disgustare i credenti con cui si trovino insieme. Le mie avvertenze, dunque, potranno far del bene a tutti, e non faranno male a nessuno. In chiesa si va per le funzioni religiose consuete; si va per alcune cerimonie solenni; si va, infine, per ammirare bellezze d'arte. E comincio subito da questo caso. La nostra Italia è così ricca di meraviglie architettoniche, di quadri, di sculture, di mosaici, intagli, cesellature e oggetti preziosi d'ogni sorta, che non vi è, si può dire, nessuna modesta città di provincia, e forse anche nessuno sperduto paesello che non veda entrar i visitatori nelle sue chiese. Nelle città principali poi, in quelle che la rinomanza ormai mondiale ha classificato tra le artistiche per eccellenza, è un flusso e riflusso perenne: tanto che saggiamente in alcuni luoghi sono state fissate alcune norme riguardo al tempo. E' evidente che non si sceglierà mai volentieri l'ora delle sacre funzioni e specialmente quella della Messa cantata. Chi ha senso di religiosità e riguardo gentile a quella degli altri, sa quanto sia molesto quello scalpiccio, quel mormorio, quel trapassar di luogo in luogo di un gruppo talvolta numeroso di persone, mentre tutto intorno spira e impone il mistico silenzio del raccoglimento. Ma quando fosse assolutamente inevitabile entrare in tali ore, la persona bene educata attenua il rumore dei passi, tien sommessa la voce, e se vi è un «cicerone» sta vicino a lui più che sia possibile, al fine di non costringerlo a parlar troppo forte. Non si creda però che, anche a chiesa vuota e silenziosa, sia lecito dipartirsi molto da queste norme. Vi può esser sempre, in un canto, qualche silenzioso orante che, proprio in quel momento, espande i dolori del suo cuore e chiede soccorso alla bontà suprema: rispetto a lui. E rispetto, sempre, in ogni caso, al luogo sacro. Non tutti sanno, ma tutti dovrebbero sapere che passando davanti all'altare del S.S. Sacramento è obbligo piegare il ginocchio a terra, e che se vi fosse esposizione solenne o per le Quarant'ore o per altra funzione, è prescritto piegarle ambedue. Così si deve fare anche nel momento dell'elevazione, nel caso che durante la visita si stesse celebrando qualche Messa: bisogna allora aver la pazienza di attendere che siano cessati gli squilli del campanello, e proseguir poi, più tacitamente e riguardosamente ancora, il pellegrinaggio d'arte. Le donne dovrebbero entrare in chiesa solamente col capo coperto e modestamente vestite... Ma ahimè! non tocchiamo un doloroso argomento. Basti, a nostra vergogna, ricordare i cartelli ammonitori che sono appesi alle porte d'ogni chiesa: basti dire che alle grandi basiliche, ormai, è stato necessario metter di guardia un vigile, il quale ha l'incarico, non credo gradito certamente, di ammonir le visitatrici (meno male che la maggior parte sono straniere) di coprirsi le braccia e le spalle di cui fino allora avevan fatto esposizione sul listone di Piazza S. Marco o nelle vie e ai caffè circostanti a S. Maria del Fiore, o sotto la Galleria Vittorio Emanuele presso al Duomo di Milano. C'è poi anche l'altro cartello: vietato sputare. E il divieto è espresso ora in questo, ora in quel modo, ma la sua insistenza prova che non siamo riusciti ancora a vincerla su questo importantissimo punto di igiene e di decoro. La persona sana e pulita non sente mai il bisogno di sputare: tuttavia, se circostanze e ragioni specialissime la obbligassero a farlo, non dimentichi che tale atto così schifoso a vedersi, deve essere compiuto con la massima secretezza, in un apposito fazzoletto. Veniamo ora al contegno da tenersi durante le sacre funzioni. Occorrerà dire che non si deve stare sdraiati sul sedile, né accavallar le gambe? Le nostre signore, così avvezze adesso a tale libertà di modi e alla gioia ineffabile di mostrar i polpacci e perfino le loro ginocchia, non sanno talvolta privarsene nemmeno nel luogo più sacro. Quando si deve stare in ginocchio e quando a sedere e quando in piedi è prescritto dalla liturgia. Alle persone deboli e vecchie è naturalmente concessa maggiore libertà; basta per loro che stiano genuflesse nei momenti più solenni, quando lo squillo del campanello li annunzia reiteratamente. Ma chi non può stare in ginocchio non si creda lecito però, se è fra i banchi, di stare in piedi mentre gli altri siedono o stanno genuflessi: è grave scortesia verso quelli che sono dietro toglier loro la vista dell'altare e delle cerimonie che vi si svolgono, per mostrar loro quella del proprio dorso, spesse volte massiccio ed esorbitante. Durante le prediche è prescritto un rispettoso e assoluto silenzio. Nel passato, era invalsa la strana usanza di testimoniar al predicatore la propria ammirazione con un concerto di tossi e raschiature di gola, che si alzava unanime quand'egli faceva punto per la prima pausa, e più ancora alla fine.

A buon conto, prescindendo da questi viaggi che hanno un carattere tutto speciale, le ragioni di muoversi da una città all'altra sono così varie e numerose, specialmente in certi periodi dell'anno che i treni sono affollati, e non è cosa facile nè saper conquistare un posto, nè diportarsi fra tanta gente in modo che la cortesia e il rispetto reciproco non abbiano a subir qualche strappo. Il galateo del viaggio ha dunque, ai tempi nostri, una importanza speciale. E siccome la forma più comune del viaggio è quella per le strade ferrate, vediamo come ci si deve comportare nelle stazioni e in treno. Alla stazione si deve giungere con un discreto anticipo sia per prendere il biglietto a tempo sia per scegliere eventualmente il posto in treno. Non è però da approvare chi esagera in questo, e corre alla stazione un'ora prima, angustiando i familiari, facendo loro perder la testa, guastando forse gli ultimi preparativi, per modo che, giunti ansanti alla stazione, trovano chiuso lo sportello dei biglietti, vietato perciò' l'accesso alla sala d'aspetto, e in quel non desiderato intervallo cominciano a rammaricarsi di non aver forse ben chiusa quella finestra, di non aver dato quell'avviso al portinaio, o forse si avvedono d'aver dimenticato l'ombrello, o vien l'atroce dubbio di aver chiuso il gatto in cucina! Si stabilisca dunque quanto tempo è necessario per recarsi alla stazione, o in tram, o in carrozza, o a piedi, si provvedano possibilmente i biglietti in qualche agenzia di città, e si proceda con calma agli ultimi preparativi. Si suol dire che il treno non aspetta, ed è vero: ma è vero anche che nessun treno mai usa partire in anticipo sull'orario. I bagagli dovrebbero essere pochi, solidi, pratici. Se il viaggio è lungo, sarà meglio spedire un baule, e non ingombrarsi con valige e involti e fagotti. Ogni persona porti seco in una valigetta quel che può occorrere in treno o in una notte d'albergo: questo sarebbe il bagaglio ideale. Ma se le circostanze vogliono diversamente, si guardi di non oltrepassare i limiti di peso e volume segnati dal regolamento. Che cosa brutta e sconveniente è mai quella di veder una brigata numerosa, una famiglia, invader la vettura con valige e portamantelli, e fagotti, e sacchette, e accaparrarsi ogni spazio vuoto costringendo talvolta quelli che son giunti prima di loro a restringersi in modo incomodo, a ritirar i loro oggetti che prima avevano ben disposti nelle reti! E qualche volta accade anche che a una mossa brusca del treno tombola giù una borsetta o un cappellino, o un oggetto qualsiasi malamente issato in cima al mucchio... e pregare il cielo che non sia un oggetto pesante. Talvolta questi indiscreti si buscano delle osservazioni dai ferrovieri, che li invitano poi a far portare quella roba al bagagliaio, fatto apposta; e la lezione sta loro benissimo. Quando il treno si ferina alla stazione, chi è arrivato prima prende il posto che meglio gli aggrada. Se il treno è di passaggio, bisogna aspettare che siano scesi i viaggiatori che devono scendere, e dopo accomodarsi come si può. La fretta soverchia, gli urtoni, l'insistenza per passare avanti, oltre che esser prova di mala educazione, finiscono poi coll'esser più dannosi che utili: chi invece ha pazienza d'attendere, e occhio sicuro da guardare e osservare, finisce coll'accomodarsi meglio degli altri. Accade talvolta, alle fermate dei treni, che quelli che stanno comodi nei loro carrozzone guardano con una specie di inimicizia i poveretti che voglion salire, specialmente se vedan compagnie numerose, e riempiono gli sportelli e vorrebbero far credere che non c'è più posto per nessuno. Ahi, nelle piccole e nelle grandi cose, l'egoismo umano!... Homo homini lupus. No, non bisogna far così come non piacerebbe che a noi facessero altrettanto. Bisogna invece, con lealtà e cortesia, lasciar scorgere i posti liberi e stender la mano soccorrevole a qualche povera signora che trova difficile la salita e prender di mano a mettere a posto qualche valigia ingombrante. Il bello è che tante volte, quelle stesse persone che avevano mostrato una istintiva repulsione a lasciarvi salire, vi si mostrano più cortesi e servizievoli, e divengono ottimi compagni di viaggio. In viaggio si deve vestire decentemente, per rispetto a noi e agli altri, ma senza fronzoli ed eleganze malintese. La signora farà bene a indossare un vestito grigio o di altro colore neutro, dal taglio all'inglese; l'uomo non viaggerà mai in abito da cerimonia, anche se fosse diretto a qualche festa ufficiale. Bisogna, in tal caso, aver seco ciò ch'è necessario per mutarsi, all'arrivo. Un uomo farà bene a non tenere il cappello in treno. Si può aprire e anche togliersi del tutto la giacca o la pelliccia, se nello scompartimento si soffrisse troppo caldo: ma l'uomo che si toglie la giubba e si mostra in maniche di camicia commette una vera sconvenienza. Quando il sonno giunge, nei viaggi notturni, ci son di quelli che si sdraiano sui sedili, dopo aver semplificato al massimo il loro abbigliamento, ed essersi persino tolte le scarpe. Costoro seguono la teoria «che si deve f are il proprio comodo», teoria ottima per gli egoisti screanzati. Una signora, si capisce, sarebbe ancor più biasimevole se si accordasse simile libertà. Ma non le sarà proibito, specialmente se attempata e sofferente, appoggiarsi e stendersi per quanto lo spazio lo permette, senza esser d'incomodo ai vicini. Non occorre poi raccomandare a chi viaggia la massima accuratezza nell'abbigliamento intimo. Son tanti i casi che possono succedere! Una signora a cui dia noia il fumo non entra negli scompartimenti dei fumatori. Ma anche dove è permesso fumare, un uomo cortese chiederà se il sigaro disturba e si regolerà in conseguenza della risposta, o forse anche dal modo con cui è data, che spesso esprime assai bene un sì, mentre le labbra mormorano no... Potrà allora uscir un momento nel corridoio. Si intende poi che non sarà così villano da fumare dove è proibito. E non parliamo dell'orribile vizio di sputare in treno, contro cui si combatte ora una multilaterale e accanita battaglia, e che sembra abbia già ottenuto gran parte del suo intento. Una signora non rivolge mai la parola a uno sconosciuto, in treno, se non per chiedergli quei piccoli favori che non impongono se non l'obbligo di un grazie. Sconvenientissimo si mostrerebbe colui che volesse per forza attaccar conversazione con una signora: essa ha diritto di respingere questi tentativi con dignità e severità e, occorrendo, anche con modi più risoluti. Fra uomini poi, e più ancora fra signore, si avviano spesso e volentieri dei dialoghi che poi divengono generali, e spesso, dopo un'ora o due di viaggio comune, lo scompartimento sembra diventato un salottino dove ferve una conversazione ben nutrita, e squillano allegre risate. Niente di male, se quelle conversazioni si aggirano su terni di carattere generale, e danno modo a chi può di palesare il proprio ingegno e la propria arguzia. Ma sarebbe imprudente, e mostrerebbe piccolo cervello chi raccontasse in pubblico i fatti propri. Eppure accade qualche volta che, dopo un breve tragitto, una persona che ci sta accanto ha creduto bene di farci conoscere di sé e la patria e la condizione, e la famiglia, e gli amici, e le abitudini e i gusti, e le speranze e gli affari... Il nome talvolta sì, talvolta no. Questi originali bisogna lasciarli sfogare, e non dar loro troppa ansa, e soprattutto non credersi obbligati a contraccambiare confidenza con confidenza. La signorina che viaggia (ormai ce ne sono tante!) sarà riguardosa e riservata al massimo, e cercherà di non dare soverchia confidenza a nessuno. E' lecito in treno far colazione con qualche cosa che si sia portato seco. Ma siano cibi asciutti e senza troppi odori forti: un panino ripieno, una tavoletta di cioccolata, qualche frutto precedentemente sbucciato o facile a sbucciarsi e basta. Si lascino stare i polli, gli stufati, la roba unta in genere, i formaggi e i salami, che danno così sgradevole aspetto alla refezione. Si abbia un tovagliolo da stendere sulle ginocchia, un bicchierino per bere, e si gettino dalla finestra gli avanzi e le carte e ci si ripulisca bene le dita e la bocca, passando, se si può, nel camerino dove c'è (o ci dovrebbe essere) l'acqua corrente. Non è obbligo offrire agli altri ciò che si è portato per mangiare: se però ci fossero persone di conoscenza o con cui si avesse fatto un po' di conversazione, si può offrire un arancio, una caramella, un cioccolatino ecc. ecc. Coi bambini poi sarebbe quasi una crudeltà fare diversamente. Si tenga aperto o chiuso lo sportello vicino a noi secondo il piacer nostro; perchè questo è un diritto che il regolamento concede; ma si abbia anche riguardo a persona che mostrasse di soffrire, sebben lontana, l'aria corrente, o di sentirsi soffocare a finestrino chiuso. Non si deve muoversi spesso senza ragione, passando e ripassando davanti a chi siede, ma questi, alla loro volta, devono tener composte e non distese le gambe, per non impedire agli altri il passaggio. Chi arriva alla stazione di scesa raccolga con qualche anticipazione i suoi bagagli, si riaccomodi la persona, e stia pronto allo sportello. Con un cortese buon viaggio ai suoi compagni, qualcuno dei quali sarà sempre gentilmente pronto a porgere la valigia e ad aiutare in altro modo che occorra, si scende e si va dritti dritti verso l'uscita, dove si consegnerà al bigliettario il biglietto già preparato prima, per non far perdere il tempo e impedire il libero passaggio degli altri.

E se avessero da fare con maschi (ora che anche gli istituti secondari sono promiscui) non accordino loro nessuna confidenza... e non abbiano altro pensiero che di superarli nel progresso e nell'amore allo studio. Molto spesso, nelle famiglie facoltose, si tiene una istitutrice o si provvede all'istruzione della signorina con lezioni private. Allora essa deve ricordarsi che la sua posizione privilegiata non dev'essere mai una scusa per la negligenza, la svogliataggine, la mancanza di riguardo per coloro che l'ammaestrano e la educano. Avrà per l'istitutrice tutti i riguardi che si devono avere per una persona superiore in età e. in merito (e spesse volte in natali!) e non si permetterà mai un'osservazione contro di lei o la maldicenza che talvolta forma l'argomento prediletto nelle conversazioni tra fanciulle. Ricevendo poi lezioni in casa, si faccia trovar pronta e puntuale all'ora stabilita, nel salottino da studio, pulita e composta nella persona, e... ben preparata alle lezioni. Se l'insegnante è una signora, tocca a lei aiutarla a deporre il mantello o il soprabito, e a rimetterlo poi. Le chieda brevemente conto della sua salute, con termini gentili, ma non avvii una conversazione. E non interrompa l'insegnante con digressioni oziose, e non mostri stanchezza se si trattenesse un po' più del consueto. Non dimentichi mai di ringraziarla, accompagnandola alla porta. La signorina amerà lo studio sul serio, e non per fare una vana mostra nei salotti, pensando che possa bastare una lieve infarinatura d'ogni materia. Or non è più così, le esigenze sono accresciute, e chi non ha una vera coltura farà molto meglio a tenersi in un prudente silenzio. In una fanciulla, poi, la saccenteria e la presunzione sarebbero intollerabili. Richiesta di dar prova della sua abilità nel canto o nel suono, la signorina consenta senza farsi troppo pregare, se si sente veramente capace di soddisfare l'aspettazione altrui. Ma se così non fosse, rifiuti con bei modi, ma inesorabilmente. Perchè non confessare che quell'arte è destinata solo a procurare un po' di svago a sè, ma non ad esser oggetto di esposizione? Meglio la breve critica che forse taluno farà di questa risposta, anzichè le critiche prolungate e maligne di ascoltatori delusi e annoiati. Un'arte gentile che può coltivare con minore noia degli altri, e che non richiederà mai sacrifici alla timidezza è la pittura o il disegno: anche il ricamo e il l avoro a maglia le faranno passare gradevoli momenti e le forniranno il modo di far dei regali che riusciranno veramente cari. E' giusto che la giovanetta faccia di tutto per meritarsi l'altrui simpatia e per dare agli altri un buon concetto di sè. E ciò accadrà se lascerà trasparir naturalmente la bontà e la grazia dell'animo: mentre ogni affettazione o finzione sarebbe facilmente smascherata e le guadagnerebbe invece la diffidenza e l'antipatia. Bisogna dunque che con tutti quelli che pratica si mostri desiderosa di giovar loro, di compiacerli, di usar ogni rispetto. La signorina deve specialmente assuefarsi per tempo a coadiuvar la madre nei graditi doveri dell'ospitalità. Essa assiste ai ricevimenti di casa: deve dunque sapere come ci si comporta in un salotto. All'entrar di una visitatrice, si alza e le va incontro, salutando e stringendo lievemente la mano che la signora le porgerà. Se vi è qualche sua coetanea, il saluto può essere più espansivo; non sono però consigliabili i baci e gli abbracci davanti ad altra gente. E' naturale che la conversazione sarà più animata tra signorine, ma non è lecito far gruppo a sè, e dimenticar quasi le altre visitatrici. La signorina bene educata sa mescolarsi ogni tanto nella conversazione generale, sempre con qualche frase gentile, e senza mai permettersi (Dio guardi!) osservazioni maligne e inopportune, tratti di spirito di cattivo gusto. Se viene offerto il thè il caffè, tocca a lei far girare le tazze, porger lo zucchero, la panna, i biscotti. Ella poi accompagnerà le visitatrici alla soglia del salotto, e, in mancanza di persone di servizio, aprirà loro la porta, badando bene di non rinchiuderla finchè non sente che sono scese di qualche scala. Nei trattenimenti di maggior importanza, la fanciulla ha una parte assai notevole. Tocca a lei preparar con buon gusto i fiori nei vasi, i dolci e i biscotti nelle coppe, tocca a lei sorvegliare il servizio dei domestici nel giro dei rinfreschi, o sostituirlo addirittura. Per questi ricevimenti, indosserà un vestito chiaro ed elegante, ma non mai troppo sfarzoso, per non aver l'aria di sopraffare le sue ospiti. Se c'è un po' di ballo in confidenza, la signorina suol aprirlo con qualche giovanotto intimo di casa; ma se vedesse scarsezza di cavalieri, dopo di questo, saprà rinunziare con bel garbo, ed esortare invece gli amici del fratello a invitar le signorine, presentandoli all'occorrenza. A tavola, se ci sono invitati, terrà d'occhio che non manchi nulla a nessuno, e rivolgerà specialmente ai bambini o a fanciulli timidi le sue gentili premure. S'intende poi che la preparazione della mensa, con tutte le eleganze permesse dalla condizione della famiglia, suol essere opera delle brave fanciulle di casa. E spesso è opera loro anche qualche pietanza speciale, qualche dolce; del quale però si guarderanno bene d'annunziare: - L'ho fatto io! - Tocca ai genitori, se sono in confidenza, procurar loro questa piccola soddisfazione d'amor proprio. Se vi sono ospiti in casa per qualche giorno, la giovanetta si unisce alla mamma per preparare tutto il necessario nelle loro camere, e nel far passare più gradevolmente che sia possibile il tempo in cui si tratterranno. Naturalmente, si compiacerà di più nella compagnia delle sue coetanee, ma sapendosi sacrificare all'occorrenza anche per qualche signora anziana, o per qualche vecchio un po' fastidioso. Le signorine generalmente non fanno visite da sole, e da sole non ne ricevono, quando si tratta di visite di etichetta, mentre scambiano le normali visite di amicizia, secondo le convenienze, e prendono normalmente parte a riunioni, sia fra loro che con amici. Talvolta queste riunioni hanno uno scopo benefico. E benedetta pure quella carità che prende nuova attrattiva dalla grazia femminile. Ma attente alla beneficenza che prende l'aspetto di un divertimento, e diventa una esposizione di novità! Meglio non far le cose buone che profanarle e snaturarle. La signorina che esce colla mamma le cede sempre la destra e così fa coll'istitutrice. Naturalmente se esce col babbo o coi fratelli, la destra è sua. In altri tempi, una signorina non doveva mostrarsi mai per la strada con uomini che non fossero suo padre o suoi parenti. Al giorno d'oggi questa regola è più che superata; una giovane farà però bene, nell'accompagnarsi a giovanotti, a tener conto dei possibili pettegolezzi ed a non esporvisi troppo. Solamente se fosse un vecchio rispettabile o persona molto a lei superiore che la trattenesse, potrà farlo liberamente. Un ultimo avvertimento. Per quanto alla sua età sia lecito amare il divertimento, e se le condizioni della sua famiglia lo permettono, si guardi bene dall'intervenire a ogni spettacolo, a ogni ballo, a ogni trattenimento. Di una fanciulla che si vede dappertutto, si suppone ch'ella voglia mettersi troppo in mostra, e questa opinione sfavorevole si traduce spesso (chi lo crederebbe? non certo le signorine che in tal modo pensano appunto a trovar più felicemente marito) si traduce, dico, nel far cadere le intenzioni matrimoniali in qualche giovane di buona volontà.

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E non si tema di affrontar la questione finanziaria: dopo, sarebbe molto più malagevole e, del resto, per dare o rifiutare un consenso è giusto che si abbiano in mano tutti gli elementi. Appena accettato come futuro sposo il giovane fa la sua prima visita da fidanzato. Se tale visita deve rivestire la forma di presentazione ufficiale alla famiglia, la fidanzata, vestita elegantemente (ma non mai con troppo sfarzo) circondata dai parenti e dagli amici intimi che sono stati invitati per farle festa e conoscere lo sposo, lo accoglierà, cercando di frenare il soverchio della sua commozione, e di mostrarsi serena, disinvolta, schietta, nella sua letizia. Da quel giorno, egli può frequentar la casa, nelle ore e nei modi che saranno fissati di comune accordo. La convenienza non permette che i due giovani rimangano soli nei loro colloqui, e la mamma o chi per lei non può sempre essere a loro disposizione: è bene dunque che le visite sian fatte con discrezione e quando meglio convenga alla famiglia. E' permesso, però, al giovane dar una rapida capatina, anche ogni giorno, se vuole, e informarsi come sta la sua diletta. Non tarderà molto a consegnar l'anello di promessa, che sarà più o meno ricco secondo la sua condizione, ma nel quale cercherà di indovinare il gusto di lei. Una semplice gemma bene incastonata in un leggero cerchio è meglio adatta di ogni complicato lavoro d'oreficeria. C'è chi diffida delle perle perchè «significan lacrime» si dice in Germania, c'è chi guarda con orrore l'opale, come portator di disgrazia. Avviso a chi credesse di tenerne conto. La sposa potrà contraccambiare con un regalo analogo: una spilla, un paio di gemelli ecc. non mai con un altro anello. Usano in certi luoghi partecipar il fidanzamento con annunci a stampa. Comunque esso si annuncia agli amici e parenti con lettera o a voce, secondo i casi; spesso l'annunzio ufficiale alla famiglia si dà con un pranzo, unendo questa cerimonia colla consegna dell'anello. E comincia allora pei due giovani un periodo lieto e solenne, come auspicio della futura felicità; ma nel quale hanno nuovi doveri di convenienza a cui non possono venir meno. E' il periodo in cui si studiano e si preparano: devono comunque star insieme quant'è giusto e ragionevole, e aprirsi liberamente l'animo loro, e anticipar quella fusione d'idee e di sentimenti ch'è garanzia di felicità matrimoniale. Non si mostrino dunque bramosi di svaghi e distrazioni; se il giovanotto non sarà biasimato perchè talvolta va ancora al caffè coi suoi amici, o si fa vedere al teatro, la signorina eviti possibilmente, se il fidanzato abita nella stessa città, di recarsi per abitudine a divertimenti ai quali egli non intervenga. Ciò dimostrerebbe una smania di godere che darebbe poca garanzia della sua serietà di sposa futura. I due giovani, se escono colla madre o con altro parente, le si metteranno ai lati, e non cammineranno innanzi frettolosi, lasciando dietro a sè, sola e sgambettante, la persona anziana a cui debbono tutto il rispetto. Son cose che non si dovrebbero dire eppure l'amore rende talvolta ciechi ed egoisti, e fa dimenticare un po' le convenienze. I guardiani, alla loro volta, non prenderanno delle arie da carabiniere, e non invocheranno gli occhi d'Argo. Se il giovane è ben educato non oserà certo prendersi una libertà meno che rispettosa verso colei ch'egli deve stimare e onorare per tutta la vita: e una fanciulla saggia e modesta, in nessun caso lo permetterebbe Non ci sarà dunque niente di male, se durante le visite convenute, resteranno per qualche minuto a quattr'occhi. E' bensì severamente proibito dal codice delle convenienze che il giovane dorma sotto lo stesso tetto della fanciulla: ma le mutate condizioni della vita d'oggi fanno sì che spesso questa regola non sia più osservata. Del resto, quando i due giovani siano conosciuti per la loro rettitudine e per la loro solida formazione, nessuno penserà ad interpretare male questa infrazione alla vecchia regola. S'intende che quando i due fidanzati si assenteranno insieme per qualche giorno, in occasione di qualche gita od altro eviteranno di andare soli, a meno che non vadano ospiti di parenti o amici. Se i fidanzati sono lontani, è ben naturale che provino il desiderio di estendere in lunghe lettere i loro sentimenti. Si lasci su questo la massima libertà: e sarebbe veramente indiscreta la madre che, salvo gravissime ragioni, volesse leggere quella corrispondenza... d'amorosi sensi. Non è bene anticipar i nomi di parentela ai futuri suoceri, cognati, ecc. Se poi tutto andasse all'aria? E ciò potrebbe anche accadere. Ci son delle gravi ragioni per cui i due giovani, dopo essersi praticati alquanto, capiscono ch'è meglio rinunziare al disegno vagheggiato. E se la rottura è fatta seriamente, dignitosamente e ragionevolmente, si dirà dalle persone di buon senso: Meglio così che un matrimonio mal riuscito. Durante il fidanzamento (che non dovrebbe mai esser meno di tre mesi o più di un anno, salvo specialissime circostanze) si procede in casa della sposa all'allestimento del corredo. Questo dev'essere adatto alla condizione della sposa e alla vita che dovrà condurre: si preferisca roba solida, di qualità fine e ben lavorata, a quel subisso di trine, di veli, di mussoline e di sete trasparenti che si è cercato di mettere di moda. E' una eleganza frivola, costosa e niente affatto pratica ne conveniente. Una volta, la giovanetta cominciava ben presto a preparare il suo corredo, e se lo trovava pronto al momento delle nozze; ora si ordina, si compra, si commette di qua e di là, e talvolta con troppa fretta. Il corredo personale della sposa vien portato nella futura casa nei giorni imminenti a quello dello sposalizio, e dovrebbe esser tutto pronto e cifrato già colle sue iniziali. C'è poi il corredo della casa, che suol essere fornito dallo sposo o dalla sposa, secondo l'usanza del paese o secondo i comuni accordi: questo deve portar le iniziali del marito ed esser pure composto di roba solida più che vistosa. S'intende però che la pompa delle tovaglie di Fiandra (benchè ora non siano più in gran uso) e dei ricchi lenzuoli di lino ricamato non è vietata a chi può procurarsela. E' uso in certi luoghi esporre il corredo della sposa; uso ch'io non temo di asserire indiscreto e sconveniente. E'. invece normale l'esposizione dei regali, col relativo bigliettino portante il nome del donatore. Agli sposi si regala quello che si può e si vuole: a cominciar dai ricchi gioielli, che però sogliono esser dono solo dei parenti o degli amici strettissimi, giù giù per una serie infinita di cose, utili o inutili, ricche modeste, artistiche o... antiartistiche. Quel che temono specialmente gli sposi e che dispiace anche al donatore è il duplicato, il triplicato dello stesso dono... Si cercherà di evitarlo indagando opportunamente in modo più o meno diretto il gusto e il desiderio degli interessati. Quando poi s'avvicina il gran giorno, si procuri d'aver previsto tutto e provveduto a tutto: gli annunzi, gli inviti, ogni particolare del vestiario e ricevimento, e di esser perfettamente in regola colle carte e colle pratiche sia civili, sia ecclesiastiche. E non sarà male ricorrere, per questo, all'aiuto di qualche buon amico di famiglia, che abbia più tempo a sua disposizione, e meno pensieri per la testa. Ora, in seguito al Concordato del Laterano il matrimonio religioso assume il valore del matrimonio civile: la cerimonia è dunque una sola. I due sposi vestiranno colla massima eleganza relativa alle loro condizioni: «tight» o abito scuro da mattina lo sposo, se è civile, o grande uniforme se è militare; la sposa non rinunzi, se può, alla leggiadra poesia della bianca veste e del velo fluttuante. Ma se essa non fosse più giovanissima, se non si credesse opportuno uno sfoggio di toilette, può avere un bello e ricco abito da società e un elegante cappellino, e in conformità al suo vestire sarà quello delle signore del corteo. Lo sposo eviti l'abito da pranzo (il cosiddetto «smoking») che contrariamente a quanto molti credono, specialmente nei piccoli centri, non va mai portato di mattina nè per altre occasioni che non siano, come dice il nome, una riunione serale. Le automobili se non sono di famiglia, devono essere provvedute dallo sposo. Nel primo veicolo entra la sposa col parente che deve condurla all'altare, nel secondo lo sposo coi parenti più prossimi della sposa suoi, negli altri i testimoni e gli invitati. La sposa è condotta alla chiesa e su per le scale del municipio dal padre, o dallo zio o dal tutore, e apre il corteo; segue immediatamente lo sposo colla futura suocera o la più stretta parente. In Francia e in certe città si usano le damigelle e i cavalieri d'onore, giovani amici e parenti, disposti a coppie (una o due) ed elegantemente vestiti. Nei matrimoni di gran lusso vi sono anche i paggetti che reggono lo strascico della sposa. Ma ora si tende anche in queste cerimonie a una gran semplicità, anche da famiglie molto facoltose, Purchè gli sposi sian felici - si suol dire - che cosa importano tante pompe? Perchè dar tanto pascolo alla curiosità? E taluni spingono questa teoria sino a celebrare il matrimonio quasi clandestinamente. E fanno male, perchè questo atto, compiuto nel libero giubilo del cuore, segna l'inizio di una vita nuova e merita d'esser celebrato con quanto apparato si può. Al ritorno dalla chiesa, la compagnia si trattiene per un rinfresco (che deve essere finissimo ed abbondante) o per una ricca colazione. C'è chi usa farla addirittura all'albergo, per risparmio di tempo e di brighe, ma altri biasimano come troppo prosaico tale uso. Però una bella sala elegante, una mensa riccamente adorna, fiori a profusione possono trasformar anche il banale aspetto di un luogo d'albergo. Lo sposo e la sposa staranno vicini, e intorno a loro i parenti e i testimoni, per ordine d'importanza e di intimità. E' difficile che alla fine del banchetto non ci siano i brindisi: ma, per carità, brevi e discreti! Gli sposi potranno rispondere con un semplice grazie; qualche parente anziano può alzarsi e parlar in nome loro e della famiglia. Ai presenti si distribuiscono confetti. Le scatolette di dolci per amici e conoscenti vanno inviate nei giorni seguenti le nozze. La spedizione degli annunzi matrimoniali, precedentemente preparati, si fa almeno una settimana priprima del giorno del matrimonio. Per gli invitati al ricevimento, si acclude alla partecipazione un biglietto di invito a stampa. Il testo di quest'invito sarà il seguente: «Il signor e la signora X Y saranno in casa il giorno ..... all'ora ..... (oppure: dopo la cerimonia) per un saluto agli sposi». Generalmente sono i parenti degli sposi che figurano nella partecipazione; ma se gli sposi non sono più molto giovani, o se non hanno più i loro genitori, la comunicazione avviene direttamente colla formula più semplice: - Carlo M. e Maria G. annunziano il loro matrimonio -. Alla data si aggiunge l'indicazione del domicilio, affinchè si possano spedire i biglietti di congratulazione e d'augurio.

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E poi, se le persone abitano nella stessa città, e abbiano compreso che c'è tra loro una sincera affinità, ogni buona ragione di stima, la relazione si può continuare, e assume spesso la natura di una vera e stabile amicizia. In caso opposto, mille complimenti! Si prende congedo, ci si scambia tutt'al più qualche cartolina illustrata, e poi, un oblio spesso volontario da ambedue le parti. Dico, spesso volontario, perchè talvolta negli alberghi e nelle pensioni accade spesso di dover stare a contatto con persone i cui gusti, le cui abitudini sociali sono troppo differenti dai nostri. In questo caso, si cerchi di conservar quanto è possibile la nostra libertà; ma se per circostanze speciali si dovesse trovarsi frequentemente con costoro, si cerchi d'aver prudenza e pazienza, e si ricordi che fra le opere di misericordia è stata messa sapientemente anche quella di tollerar le persone moleste. Ed è certo una delle più difficili e delle più meritorie. Coll'albergatore e coi camerieri bando all'albagia e ai modi insolenti che tanto piacevano una volta e che anche ora taluni sembrano creder loro diritto, per la gran ragione che pagano. Se qualche osservazione deve farsi, si usi una forma cortese, la quale certamente produrrà assai meglio il suo effetto. Sedendo a tavola, si salutano lievemente coloro che ci stanno vicini, si siede in silenzio, si chiama con discrezione il cameriere se qualche cosa occorre, si aspetta il proprio turno d'esser serviti e non si mostrano soverchie esigenze. La signora, in un albergo di lusso, entrerà nella sala da pranzo senza cappello e con elegante vestito; i signori porteranno abito nero o smoking secondo il caso. In un albergo più modesto, non occorrerà una toilette speciale, ma sarà sempre da curare una certa eleganza. A tavola d'albergo, dopo qualche giorno, se la clientela è fissa, si finisce col far un po' di relazione coi vicini, e allora le conversazioni fioriscono intorno alla mensa e fanno di quell'ora una delle più piacevoli della giornata. Veniamo ora ai ristoranti, quelli ove non si chiede che il pasto del mezzogiorno e della sera e da dove ci si alza, appena compiuto il rito quotidiano. Sono il regno degli scapoli di tutte le età, che talvolta finiscono per farne la propria casa e la propria famiglia: una signora non vi prende i propri pasti se non per circostanze eccezionali. Si dà il caso, per esempio, di una professionista che non abbia comodità nella propria casa, o di chi risieda in quella città per qualche mese all'anno, come spesso accade alle insegnanti. Molti occhi curiosi sbirciano la donna che entra nella pubblica sala e siede alla mensa aperta a tutti: talvolta gli occhi sono anche maligni e si divertono a dar materia di commento a lingue ancor più maligne. Una signora dunque non sarà mai abbastanza riservata, specialmente se è sola. Entrerà con modestia e con franchezza, si toglierà il mantello se l'ambiente è notevolmente più caldo che fuori, non mai il cappello. Non farà conversazione a voce troppo alta con chi la accompagna, si asterrà dal ridere forte, dal volger troppo gli occhi in giro; lascerà al suo cavaliere dare gli ordini al cameriere e far le osservazioni. Se è colla madre, o colla zia, o in genere con altra signora più anziana, le userà tutti i riguardi nella scelta del posto, l'aiuterà a togliersi e a rimettersi il mantello, e non permetterà mai che il cameriere adempia a questa bisogna, ringraziando, però, con cenno cortese alla sua offerta. Ora è meno raro di un tempo vedere signorine, anche giovanissime, entrar a prendere un pasto in qualche ristorante. Mancherebbe seriamente ai doveri non solo del galateo, ma della più elementare convenienza chi si permettesse con tali giovanette il più piccolo atto di libertà, uno sguardo men che rispettoso. Al caffè vanno per serale ritrovo i signori uomini, e talvolta vi conducono anche le loro signore. Ma una donna sola, che voglia esser rispettata, cercherà di non trattenersi oziosamente a uno di quei tavolini; solo di giorno le sarà lecito sedere quel tanto che è necessario perchè le venga servito un gelato o una bibita qualsiasi di cui abbia bisogno. Se però accompagna i suoi bambini, nessuno troverà a ridire di vederla fermarsi un po' di più. Gli uomini, se sono soli, nel caffè chiuso hanno una grande libertà, di cui però faranno bene a non abusare; fumano, conversano ad alta voce, ridono, scherzano. In generale sono amici e colleghi che si riposano dalle fatiche del giorno. Ma hanno però l'obbligo di rispettarsi reciprocamente, di vigilare che lo scherzo non si tramuti in offesa, che la discussione non divenga disputa... Molte gravi querele, che spesso son finite nel sangue, hanno avuto origine da una parola imprudente, da uno scherzo troppo confidenziale... Tra conoscenti che non siano amici, e tra estranei frequentatori del caffè, si usi cortesia e riguardo: non si accaparrino i giornali e le riviste, non si finga di non vedere chi cerca un posto, non si pretenda d'esser sempre serviti prima. All'aperto, quando i tavolini son gremiti di gente che nelle belle serate gode la musica, i caffè presentano l'aspetto di una piacevole e variopinta confusione. Si odono voci gaie di signore e giovinette, voci squillanti di bambini, trilli e risate. E un tintinnio di bicchieri e di piattini, e un correre affaccendato di camerieri da un tavolino all'altro, e... se è lecito trarre a scherzo una frase classicamente solenne:

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Generalmente l'affetto reciproco suggerisce senz'altro il contegno migliore; talvolta l'affetto della novella generazione non è molto vivo per l'antica: allora vi si supplisca colla cortesia, e i genitori, come anello di congiunzione, saranno quelli che debbono vigilare perchè tutti i riguardi siano usati; e i vecchi, ospiti nella loro casa, non abbiano mai a lamentarsi di mancanze a loro riguardo.

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Le vecchie abbiano indulgenza e buon garbo nell'istruire le giovani: queste procurino d'esser docili e rispettose. Tra maschi e femmine si eviti ogni confidenza soverchia, che è male per se stessa, ma che può esser fonte di altri e gravissimi mali.

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Ma non deve temer che essi lo abbiano poi ad ignorare: il viso ridente dei domestici nell'accompagnarlo alla porta sarà testimonianza sufficiente, e tanto più quanto sarà stata più larga la mancia. Giunto a destinazione, l'ospite dovrà scriver subito alla famiglia presso cui ha dimorato lettera a cui è obbligo di risponder subito, per non far nascere il dubbio fastidioso che non sia giunta e il timore d'aver fatto cattiva figura. In essa egli renderà conto del viaggio, e rievocherà i bei. giorni passati insieme, ripetendo i suoi vivi ringraziamenti. Chi credesse di cavarsela con una cartolina illustrata mostrerebbe di essere uno screanzato. Bisogna poi ch'egli pensi a un modo anche materiale per manifestar la propria riconoscenza: ma sarebbe indelicatezza mandar subito un regalo: si aspetti alla prima occasione, per la ricorrenza di qualche festa. Il regalo può essere di ogni genere, ma sempre proporzionato all'entità delle cortesie ricevute, e al gusto dei padroni di casa: un oggetto d'arte, un libro di valore, un lavoro eseguito di mano propria, qualche giocattolo, se vi sono bimbi. Una specialità gastronomica di qualche valore può essere pure molto gradita, ma solo fra persone di confidenza. Un'altra avvertenza è importantissima per chi è stato qualche tempo in casa altrui. Naturalmente egli è rimasto unito alla vita di famiglia, e ha veduto e sentito molte cose. Partendo, cerchi di dimenticarsi tutto quello che non potrebbe tornare se non a onore degli ospiti. Non si lasci vincere dalla voglia di dimostrarsi più informato degli altri, taccia gli interessi a cui fosse stato immischiato, i discorsi che potesse aver udito. E va da sé che si mostrerebbe sommamente villano e ingrato se osasse andar sparlando di loro, in qualsiasi maniera. Quando fosse richiesto delle sue impressioni, si limiti a parlare delle cortesie ricevute, del buon volere dimostrato, del piacere goduto, così genericamente, e scansi ogni inchiesta indiscreta. I precetti che qui sopra abbiamo esposti si applicano anche, con qualche lieve differenza, alle pensioni di famiglia. Chi tiene pensione deve cercare di accontentare in tutto i suoi clienti, che in fine son poi come ospiti, e di dar loro quegli agi e quel trattamento che si convengono ai patti stabiliti, mettendovi di più un'amorevolezza cordiale. E chi sta a pensione abbia riguardo anche al comodo e al gusto altrui: cerchi di essere puntuale ai pasti, non disturbi col rientrar troppo tardi in casa, non abbia esigenze irragionevoli. Gli è bensì consentito di esporre i suoi desideri e anche le sue preferenze: non gli è permesso brontolare e lamentarsi o per questo o per quello, ad ogni istante: piuttosto cambi pensione. Ha naturalmente l'obbligo di dar le mance usuali alla servitù, nelle solennità, e quando lascia la casa, e, se gli sembra opportuno, farà cosa gentile offrendo tratto tratto qualche dono alla padrona di casa. Lasciando la pensione, non mancherà di ringraziare per le cortesie ricevute (o poche o molte che siano state!) e se veramente ha avuto da lodarsi di chi la teneva, scriverà almeno una volta dalla nuova sede, e si ricorderà poi con qualche biglietto o cartolina illustrata nelle ricorrenze festive.

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Le signore sovraccariche di perle nere, di vezzi cascanti, quelle che fanno ondeggiare il loro velo su una gonna che mostra i polpacci, quelle che al severo emblema del dolore uniscono le scollacciature e le sbracciature, o mal nascondono le carni sotto veli trasparenti, abbiano piuttosto la franchezza di smetterlo, e di non presentare lo spettacolo di una vanità vergognosa, unita all'assenza di sentimento e di decenza. Per gli uomini, il gran lutto è il vestito tutto nero; ma molti ora usano semplicemente il crespo al cappello o al braccio. Non si può dar una regola assoluta, ed è meglio prender norma dalle circostanze.

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Naturalmente il discorso prenderà varie impronte dal genere degli interlocutori e dalle loro speciali occupazioni, ma quando la società è mista, è dovere della padrona di casa, e rispettivamente di ciascuno, far che i discorsi abbiano una piacevole varietà, affinchè la conversazione ottenga il suo scopo che è quello di ricreare e ingentilire gli spiriti. Vi sono pertanto degli argomenti che vanno esclusi a priori, e son quelli che riescono spiacevoli alla maggioranza. Non si parli dunque di malattie, e tanto meno se ne descrivano i ripugnanti particolari, non si parli di sventure pubbliche alle quali non c'è rimedio, tormentandoci reciprocamente con piagnistei, non si intavolino discussioni letterarie, religiose e politiche, che possano riscaldare gli animi e turbare la serenità del ritrovo. E soprattutto si rispetti l'onore degli assenti. La maldicenza deturpa la conversazione e crea delle inimicizie, oltre ad essere indizio di animo vile e maligno. Il Manzoni ha, a questo proposito, una pagina severissima. Egli fa la rassegna delle passioni che spingono alla maldicenza, e le mostra in tutta la loro bruttezza. Volete sentire la triste litania? Eccola: E' l'orgoglio che tacitamente ci fa supporre la nostra superiorità nell'abbassamento degli altri, che ci consola dei nostri difetti col pensiero che gli altri ne abbian dei simili o dei peggiori; è l'invidia che si rallegra del male, e respira più liberamente quando una bella reputazione è macchiata; è l'odio che ci rende tanto facili sulle prove del male; è l'interesse che ci fa odiare i concorrenti d'ogni genere. «Non di rado, aggiunge, è una adulazione, tanto più ignobile quanto più ingegnosa, verso chi ascolta». Ammettiamo pure che il quadro sia eccessivamente fosco, e concediamo che talvolta son meno ignobili le ragioni che ci spingono a menar un po' di lingua sul conto del nostro prossimo: per es. la voglia di parer più informati degli altri, la vanità di fare un po' di psicologia, il piacere di sapersi (o di credersi!!) esenti da quel difetto, il gusto di brillare con motti spiritosi e osservazioni argute... Ma è sempre pericoloso avventurarsi su questo terreno, e lo proibisce la carità cristiana non meno che il galateo. Infatti, nei salotti ben tenuti, per tacito accordo la maldicenza è esclusa, e fiorisce solo nei discorsi delle comari, o di coloro che abbiano a loro somigliante l'animo. Non per questo è proibito qualche frizzo, qualche motto sarcastico. Ma si badi che sia discreto, ben diretto, appropriato al caso, e che abbia un valore morale. Chi potrebbe chiamar insolenza l'ironia sapiente e garbata di Socrate contro i sofisti? Ed è anche molto graziosa la risposta degli Ateniesi a chi annunziò loro che Dionigi il tiranno era morto di gioia perchè una sua commedia era stata coronata in Atene. «Se l'avessimo potuto prevedere, dissero, lo avremmo coronato venti anni prima». Ad ogni modo è sempre meglio tacere e sacrificare un motto, anzichè offendere l'altrui amor proprio e farsi un nemico senza ragione. E perciò stesso si eviti di scherzar troppo familiarmente cogli astanti, e di pungerli senza ragione: e si badi che ciò è molto più sconveniente con le persone inferiori a noi per condizione e che non possono ribellarsi. Non faremo mai oggetto di celia qualche difetto fisico delle persone, o presenti o assenti che siano; ciò è regola vecchia, ed ogni eccezione può essere pericolosa. E nemmeno è permesso scherzar imprudentemente sulle usanze particolari, sulla professione, sulla patria di taluno. E' un triste vezzo, quest'ultimo, di noi italiani, che ancor abbiamo nel sangue il germe delle antiche discordie, e sentiamo l'eco di tanti detti ingiuriosi che un tempo si scambiavano tra di loro gli abitanti delle città vicine... Ma non solo lo diciamo per celia; purtroppo c'è chi ha il mal gusto di criticar per metodo la città nella quale il caso lo ha portato a vivere, di metterne in ridicolo le usanze, di deplorarne il clima, di biasimarne la cultura, la vita intellettuale e materiale, di lamentarsi perchè troppo rumorosa o troppo quieta, o, quando non si sa più che dire, censurar velenosamente gli abitanti e dire per esempio: Gran bella città sarebbe Napoli... se non ci fossero i Napoletani. Bisogna far guerra a questa scortesia antipatriottica ed ingiusta: è tempo che i benefici dell'unità non siano frustrati da piccolezza d'animo e di idee. Tornando all'argomento di prima, la celia però tra amici dev'essere amichevolmente tollerata, e chi ne è fatto segno, non deve mostrarsi permalosamente indispettito. Parlando di celie e di motti spiritosi, è opportuno qui ricordare che il buon gusto interdice le parole a doppio senso, i bisticci, i calembours nei quali si deliziano i provinciali dallo scarso intelletto, e che formano il tormento di chiunque sia dotato di vero spirito. Passi per una volta o due, ma farne un fuoco di fila, introdurli per forza in ogni discorso, sviare talvolta o interrompere un argomento importante con simili scempiaggini, è veramente spiacevole... I discorsi frivoli e leggeri annoiano le persone di buon senso e si devono sfuggire. E il parlar del tempo e della stagione? E' questo l'argomento satireggiato come il più insulso e impersonale... Pure non a torto Melchiorre Gioia difende chi. se ne occupa notando che le vicende delle stagioni hanno grande influenza sullo stato fisico e morale della specie umana, sui prodotti dei campi, sul corso del commercio, e non di rado sui pensieri degli uomini grandi e piccoli: a un punto tale che gli uomini di scienza ne osservano l'andamento progressivo e ne desumono delle leggi. Ora poi che la metereologia va pigliando basi scientifiche così stabili, si può escluderla davvero dagli argomenti frivoli. Se però non si avessero a mettere in campo che inutili geremiadi sulla siccità o sulla pioggia ostinata, è meglio tacere. E non vorremmo essere troppo severi con le madri di famiglia che si confidano le loro angustie domestiche, piccole e grandi, tra cui è l'eterno argomento della servitù... Questi e altri discorsi, però, come quelli dei colleghi d'ufficio riguardo alle miserie della loro professione, vanno tenuti nell'intimità, e sono compatibili solo se non si prolungano troppo. Chi poi ha noie, dolori, fastidi, preoccupazioni tutte personali si guardi bene dal metterle come tema in una conversazione: non avrà altro effetto che di annoiare gli astanti, e di riceverne qualche parola di stereotipato compianto, che ben mostra la loro indifferenza. Certe confidenze non sono permesse che tra intimi amici, da cui veramente possiamo avere conforto e consiglio. Si deve cercar, invece, nel soggetto del nostro discorso, di scegliere ciò che comunemente è gradevole. Le notizie buone, sia degli amici, sia delle vicende pubbliche, le festività, le ricorrenze, gli spettacoli, i libri, le esposizioni, i viaggi, i lieti incontri... E la lista sarebbe infinita. Tra le persone colte e fini, si parla volentieri di argomenti letterari e scientifici, si pongono e si sviluppano questioni morali e psicologiche, e la conversazione resta continuamente nutrita. Trovandoci poi in gruppi ristretti, o in dialogo con una persona sola, è arte cortese quella di saperla intrattenere con ciò che la riguarda e la interessa di più. Alla madre di famiglia si farà parlare dei suoi figli, colla modesta massaia ci potremo intrattenere di economia domestica, colla persona devota delle ricorrenze e solennità e funzioni religiose, col giovane studente dei suoi studi e dei suoi progetti per l'avvenire. Al vecchio chieder notizia sugli usi del suo tempo, all'agricoltore dell'andamento dei suoi raccolti, dei vari modi di coltivazione, ecc. ecc. Ma bisogna stare attenti. Ci son per esempio certi letterati che si impuntigliano e si seccano quando il profano vuol entrare nel suo campo; ci sono gli scienziati che tengono volentieri per sè le loro cognizioni; ci sono i medici che stanno all'erta per paura di essere indotti a dare un consulto gratis, ci sono i funzionari pubblici che hanno paura che si voglia carpir loro qualche segreto d'ufficio. Vi sono poi moltissimi, (anzi è tendenza comune) che nella conversazione voglion dimenticare le noie delle loro consuete occupazioni, e dimostrano chiaramente che tale argomento non è loro gradito. E noi rispetteremo le loro riserve. Così pure, mentre è cortesia informarsi di ciò che riguarda gli interlocutori, e interessarsi delle loro vicende, bisogna star ben attenti che tale interessamento non abbia a sembrar loro indiscreta curiosità. Ci sono taluni così ombrosi che solo a chieder loro dove andranno a passar le vacanze o a che ora arriverà quel tal parente che desiderano tanto, piglian l'aria di chi riceve una domanda indiscreta, e si esimono dal rispondere, o lo fanno con aria dispettosa. E anche questa gente va lasciata stare e con loro bisogna tenersi sulle generali. Si devono cercare, discorrendo, argomenti su cui facilmente si va d'accordo, ma è bello e utile ravvivar la conversazione anche con qualche obbiezione, per meglio svolgere tutti i lati di un argomento, e permettere ad ognuno di dire la sua. La discussione è uno dei piaceri più delicati. Ma si badi però di non andar mai tant'oltre che la disputa si accalori, e quando così si vedesse che accade, è bene sviar l'argomento, o troncarlo con una celia opportuna. Ognuno deve portare il suo tributo alla conversazione comune. E' disdicevole e offensivo per gli altri starsene sempre a bocca chiusa, e quasi sdegnoso della compagnia; è presunzione e petulanza voler sempre tener tutti pendenti dalle nostre labbra. E' bene, se si deve fare un racconto piuttosto lungo, chiederne prima licenza con una parola gentile, e se vediamo che il discorso annoia o non interessa, si interrompa senz'altro, sviando con garbo, senza mostrare risentimento o dispetto. Ma se gli ascoltatori si infastidiscono, bisogna pensare che talvolta è colpa del parlatore, che la tira troppo lunga, confonde troppe cose insieme, apre interminabili parentesi, ripiglia stentatamente il filo del discorso. Chi sappia di aver tali difetti, abbia la prudenza di non metterli in mostra. A un amabile e facile parlatore si presta orecchio assai volentieri anche a lungo, e gli si perdona un po' d'indiscrezione. Non è bene però che una donna prenda la parola e la tenga per tempo notevole, essa correrebbe il pericolo di passare da saccente e presuntuosa, taccia intollerabile nel suo sesso. Coloro che poi non vorrebbero mai lasciar parlare gli altri, e troncano e ripigliano loro le parole in bocca sono paragonati da Mons. Della Casa a quei polli che nell'aia si rincorrono per togliersi di becco la spiga di grano. Giacchè nella conversazione l'arte necessaria è non solo di saper parlare, ma anche di saper ascoltare. Bisogna ricordarsi che anche gli altri hanno diritto a esporre le loro idee, e non annoiare con continue interruzioni; bisogna aspettare la fine di un discorso prima di far una domanda superflua o un commento forse inopportuno. E bisogna tollerare con pazienza certi sfoghi prolungati di vecchi e d'infermi, e la ripetizione delle stesse cose, e spesso anche fastidiose e inutili querimonie. E se talvolta accade di sentir cose anche spiacevoli, per una ragione o un'altra, e non si abbia autorità sufficiente a imporre il silenzio, bisogna rassegnarsi a udire anche quelle, senza impegnarsi in dispute inutili: basterà il tacere come segno della nostra disapprovazione e come salvagaurdia della nostra responsabilità. Bene inteso però che se fossero offese alla morale o alla fede o ai più sacri sentimenti umani (il che non si suppone che come eccezione in una brigata civile) non è il caso affatto di dissimulare una ben legittima indignazione. Si può e si deve interrompere il discorso in bocca al malcreato, e allontanarsi da lui. In tutti gli altri casi, dobbiamo cortese ascolto a chi parla, e partecipazione alle sue idee. E' perciò sconvenientissimo, mentre uno intrattiene la conversazione, alzarsi, passeggiare per la stanza, guardar l'orologio, tamburellar le dita sulle ginocchia e sui mobili. E quando siamo in dialogo diretto con qualcuno, si devono tener gli occhi rivolti a lui, e mostrar di comprendere e gustare ciò ch'egli dice, e non mai guardar qua e là, mostrando una scortese distrazione. Ma il nostro interesse per ciò che viene raccontato non deve però estrinsecarsi con interruzioni inutili, con domande anticipate, con commenti ad ogni passo. E anche non bisogna esagerare nelle esclamazioni e nelle approvazioni. Si lasci finire il discorso, e poi si risponda con calma e con moderazione: daremo maggior prova di cortesia e d'interesse. Che dire poi di taluni, che dopo aver f atto una domanda non aspettano la risposta, e foggiandola da sè, fabbricano su questa osservazioni e commenti che naturalmente riescono a sproposito, e senza dar tempo a rettificazioni proseguono con una ridda di altre domande, di esclamazioni, di consigli?... Dio ci scampi da questi cotali!... E Dio ci scampi anche da coloro che, dopo essersi appena preso il tempo di salutarci, aprono immediatamente le cateratte della loro eloquenza per narrarci enfaticamente tutto ciò che è loro accaduto da che non ci siamo visti, e tutto quello che hanno fatto o fanno o faranno, e quel che non faranno altresì, e il perchè... Dico ce ne scampi Iddio, perchè i rimedi della prudenza umana sono a questo proposito assai scarsi. Tacere, e aspettar la fine del diluvio, per esaurimento? Ma l'esaurimento non avviene mai, le riserve sono eterne. Mettere una frase d'approvazione o di contrasto sarebbe appoggiar imprudentemente una mano sopra una valvola che provocherebbe nuovi getti impetuosi. Non c'è altro, se non liberarsene al più presto possibile, e cercar di scansare simili incontri, quando si disegnano da lontano. Coloro non sono, in fondo, altro che egoisti, e l'egoismo è nemico capitale di ogni cortesia. Per questi, la conversazione non è che un monologo, a tutto loro perpetuo beneficio. Badiamo anche al nostro modo di parlare. Non si devono metter fuori le parole con tal rapidità da soffocare gli altri e non farsi intendere; e nemmeno così lentamente da indurre a noia chi ci ascolta, oppure con una pronunzia strascicata, con innumerevoli ripetizioni. E si guardi anche di non prender l'abitudine di intercalari, innocenti bensì, ma ridicoli, e che talvolta nel senso del discorso producono bizzarri accozzi di idee, e curiosi equivoci. A persone bene educate è inutile poi raccomandare di non usar mai espressioni di imprecazione, o altre che vi somiglino, nemmeno per via di figura rettorica. Si scansino anche le esclamazioni popolari proprie al parlare d'ogni città. E in quanto alla bestemmia (che purtroppo infierisce in certe regioni d'Italia anche nelle classi elevate) l'opinione pubblica va fortunatamente segnando una energica reazione, e il Governo saggiamente l'ha assecondata con sanzioni punitive ai colpevoli. Può accadere, nel discorso, di dover nominar qualche cosa che la decenza vieterebbe. La persona urbana evita lo scoglio con mutar l'espressione, e se poi è anche persona colta, sa cavarsela graziosamente con una metafora, una perifrasi, una citazione classica... Ognuno sa poi che in una conversazione non è lecito appartarsi in due, e parlar segretamente. Ma se ciò qualcuno facesse, non si deve mostrar curiosità, anzi allontanarsi e guardar altrove. Nel parlare si eviti l'enfasi, l'esagerazione, la prosopopea. Certuni si rendono intollerabili col parlar sempre di sè e delle cose proprie, in perpetua lode, altri, raccontando ciò che han visto o sentito, vanno tanto esagerando che divengon ridicoli, e perdono il credito, come millantatori e bugiardi. Nel discorrere, si tenga il volto atteggiato a corretta piacevolezza, senza smorfie e contorsioni; non si apra troppo la bocca, non si gestisca continuamente, si evitino i suoni onomatopeici. Raccontando poi una facezia, si conservi la serietà sino in fondo: chi s'interrompe a mezzo col riso sciupa il piacere altrui e perde l'effetto. Il linguaggio da usarsi in conversazione dev'essere corretto ed elegante, ma senza affettazione. Si evitino le parole troppo ricercate, i termini troppo tecnici, gli inutili barbarismi. E' poi una sconvenienza, in un salotto dove si trovano persone di altre provincie, parlar il dialetto locale. Purtroppo tale uso permane, in certe regioni, anche tra persone altolocate, ma speriamo che col tempo si faccia luogo alla nostra bella e cara lingua comune. Quando due o più persone, dopo aver ben cinguettato nel loro dialetto, si rivolgono al forestiere e gli chiedono: Lei capisce non è vero? - è naturale che quello risponda: Io non ascoltavo ciò che non è diretto a me. Usar poi una lingua straniera in presenza di chi non la comprende, è mancanza ancor più grave, perchè, oltre metterlo fuori dalla conversazione, gli si aggiunge una specie di umiliazione per l'inferiorità intellettuale di quella tal ignoranza, mentre può valer più di noi per mille altre ragioni. Nel discorrere, insomma, bisogna aver una quantità di grandi e piccoli riguardi, i quali palesano la persona gentile e padrona di sè, e destano la simpatia e la gratitudine. Con la conversazione si collegano naturalmente le presentazioni, i saluti, i complimenti.

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Qualunque sia l'opinione dei genitori riguardo alle doti eccezionali dei loro bambini, abbiano almeno la prudenza e la cortesia di tenerla per sè, e di non costringer gli amici a una ammirazione seccante e fittizia. Ma è ben raro che tale saggia norma sia messa in pratica. Il visitatore che capita nel salotto dove già si trova la piccola meraviglia è costretto a udir la strimpellatina sul pianoforte, la poesiola d'occasione, la canzonetta in francese. Ricorderò sempre un bambino dai cinque ai sei anni, che era stato ammaestrato a cantar l'aria del Trovatore: - Di quella pira... - e l'aveva eseguita in un pubblico concerto. Il giorno dopo, in un salotto di signore, apparve con la sua mamma, e ci fu chi le rivolse qualche complimento sull'esito di quel concerto e sulla disinvoltura che il piccino aveva mostrato. La buona mamma, tutta ringalluzzita, credette dovere di gratitudine offrir di nuovo lo spettacolo e il bimbo accondiscese subito, e con molta serietà. Uscì dal salotto e passò nel corridoio attiguo, poi, sollevando la tenda, proprio come gli avevano insegnato a fare, si presentò sulla soglia e fece un grande inchino. E non dimenticherò mai l'espressione crucciata e sdegnosa del visetto, perché, alla sua comparsa, non si fece immediato silenzio. Poi eseguì la sua cantatina, fece di nuovo un inchino, e si ritirò colla gravità di un hidalgo spagnolo. Comparendo poi di nuovo nel salotto, apparve non molto soddisfatto degli applausi e delle lodi che pure non gli furono lesinate. Mamme di buon senso, risparmiateci questi miserandi spettacoli. Per regola generale, i bambini non dovrebbero esser condotti in visita, e nemmeno trovarsi nei salotti. Se una mamma vuol tuttavia procurare ai suoi piccini il gusto di star con qualche lieto coetaneo, lo faccia pure, quando sappia che la casa ove li conduce ha un giardino o un cortile, o almeno una stanza dove potranno giocare sorvegliati da una donna, non mai in altro caso. Bisogna anche avvezzare i bambini a non toccare quel che vedono, a non mostrarsi indiscreti, se vien loro offerto qualche dolce o qualche frutto. E se nascesse qualche piccola lite fra loro, la mamma prudente tagli corto, non dia importanza alla cosa: rimasta poi sola coi suoi, potrà farsi raccontare com'è andata la cosa, ma si guardi da quella benedetta parzialità che la farebbe inclinare a dar loro ragione, anche quando non la meritano. Ci sono ora, e in gran voga, i balli di bambini. Meglio sarebbe per quelle creaturine delicate e impressionabili, una bella passeggiata all'aria aperta; più igienica e soprattutto più educativa. Ma poiché ormai non si può abolire l'usanza, e non sempre si possono rifiutare gli inviti, la buona mamma abbia almeno cura che le sue creaturine (specialmente le femminette) non abbiano a ricevere troppo anticipatamente colà quelle tristi impressioni di vanità, di leziosaggine che purtroppo son destinate a trovare in seguito. A tavola, devono avvezzarsi presto e conoscere e osservare le buone regole. Si avvezzino inoltre a parlar poco, a non essere esigenti, a far buon viso a ogni cibo. Quando ci sono invitati, i bimbi sotto i dieci anni non dovrebbero sedere cogli altri così pure i genitori, invitati da un'altra famiglia, dovrebbero lasciar a casa i loro figlioletti. Ma se questo spiacesse agli ospiti, se per i figli di questi fosse una gioia desiderata l'aver dei piccoli compagni, si può condurli, a patto però che sappiano stare da personcine bene educate. Allora si prepara loro una piccola mensa presso a quella dei grandi e, pur sorvegliandoli, si lascino godere in libertà. Nelle famiglie aristocratiche, però, i bimbi non compaiono mai a tavola se c'è invito, e pranzano con la governante in altra sala. Sarebbe molto desiderabile che i bambini non fossero nemmeno condotti in chiesa, finchè son troppo piccini. E' impossibile tenerli quieti durante le funzioni, e con la loro irrequietezza, con le loro strillatine, con l'andare e venire fuori del banco, disturbano gravemente. Inoltre mi sembra anche più rispettoso e più educativo serbar loro come un'attrattiva e come un premio il recarsi alla chiesa quando avranno la capacità di starvi convenientemente. Ma se bisogna condurveli, si sorveglino almeno con molta serietà, e si conducano fuori se non si possono frenare. In viaggio... la faccenda diventa seria. Passato il momento della prima sorpresa, dopo aver assaltato i canapè e i finestrini, i bimbi cominciano ad annoiarsi, ad aver mille bisogni, a piagnucolare. Gli altri viaggiatori sbuffano, la povera mamma arrossisce, si tormenta, cerca di contentare una voglia, di frenar un'altra e promette e minaccia come può, e chiede scusa ai molestati, e ricorre a tutti gli espedienti. Se la irrequietudine dei poveri bimbi chiusi in quello stretto spazio e privati dei piccoli comodi a cui sono assuefatti non tocca gli estremi limiti, i viaggiatori devono mostrarsi cortesi e arrendevoli, e pronti a compatire. Ma se i bimbi sono stati viziati da una mamma troppo debole, la mamma raccoglie, in questi primi contatti col pubblico, i primi amari frutti delle sue mancanze. A buon conto, ci sono i compartimenti per signore sole e bambini: la mamma viaggiatrice procuri di accaparrarsene uno, e si sentirà meno a disagio. Una buona abitudine da far subito prendere ai bambini è quella della lingua nazionale, invece che del dialetto. Ma badiamo bene, sia lingua buona, e non un intruglio di provincialismi: una bambinaia toscana sarebbe a questo proposito un elemento prezioso. Circa l'uso che c'è ancora, nelle famiglie ricche, di prendere una straniera perchè i bimbi agevolmente s'impadroniscano di altre lingue, non v'è nulla da biasimare; si badi soltanto che queste lingue straniere non prendano la precedenza sulla lingua nazionale, col bel risultato di renderla malagevole e imbarbarita sul labbro dei nostri ragazzi. Il bambino deve essere lieto spontaneamente, per la sua anima ingenua e aperta a tutte le impressioni. Se lo vedete scontroso e crucciato, cercate di guadagnarvi la sua fiducia con modi carezzevoli, ottenete la confidenza del suo dispiacere, che sarà cosa ben facilmente consolabile e rimediabile, e mandatelo poi a giocare. Non si deve dargli vinti tutti i punti, perché non diventi capriccioso e ostinato, ma nemmeno si deve contrastarlo o affliggerlo senza ragione, il che gli metterebbe nel cuore i germi della tristezza, dell'invidia, della ribellione. E si usino sempre con lui modi soavi e tranquilli: al fare ruvido e sgarbato egli risponderà, per reazione, con altrettanto sgarbo, e ne prenderà l'abitudine. Quanto male gli porterà poi questo nella vita! Che diremo poi di quelli che si godono a stuzzicare i bambini, facendoli inquietare a bella posta? Che nascondono i loro giocattoli, li contrariano nelle loro voglie, li beffano, li irritano, per lo stupido gusto di goder le loro bizze? Costoro sono responsabili dei caratteri irascibili, diffidenti, dispettosi, che si formeranno in tal modo. Non è bene nemmeno stuzzicarli a una smoderata allegria, come fanno altri, per divertirsi in modo tutto opposto. Il bambino ha il diritto di esser trattato con quei riguardi che si devono a un essere in formazione, sacro per la sua innocenza e per la sua debolezza. Lasciamoli alla naturale ingenuità, alla loro grazia timida e sincera, e non guastiamo il bello che veramente è in loro; ci basti assecondare con senno l'opera santa della natura.

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