Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Ricordi d'un viaggio in Sicilia

169027
De Amicis, Edmondo 2 occorrenze
  • 1908
  • Giannotta
  • Catania
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Valli dopo valli, monti dietro monti, e sempre quello stesso spettacolo d'un bel paese che gli uomini abbiano abbandonato per effetto d'una maledizione misteriosa. E avrebbe la sua bellezza e il suo incanto anche quello spettacolo se parlasse agli occhi soltanto; ma esso dice all'animo nostro una cosa troppo triste perché la nostra immagine vi si possa compiacere con quel vago senso di riposo e d'abbandono che suol provare nelle grandi soliditudini. E quella cosa è espressa in una parola antica e pur troppo sempre viva, che riassume mille mali nell'enunciato d'un problema formidabile: il latifondo, la gran piaga incancrenita della isola. Il latifondo, che vuol dire la campagna senza case coloniche e senz'alberi, e i contadini costretti a vivere nei grandi centri, dove son sottoposti a gravami da cui dovrebbero essere esenti, e donde debbono fare ogni giorno un lungo cammino per recarsi al lavoro; il latifondo che favorisce il furto campestre, l'abigeato, il malandrinaggio, il brigantaggio, e crea una catena di parassiti sfruttatori fra il grande proprietario assente e il lavoratore abbandonato a sé stesso; il latifondo, funesta espressione economica, che, come disse un illustre statista siciliano, filtrandosi, spiritualizzandosi per lungo abito di servaggio nelle menti, nel costume, nella vita intima, separò le classi, le fortune, gli animi, e mettendo in opposizione gl'interessi dei signori con quelli del popolo, e mantenendo questo nell'ignoranza, riduce la maggioranza lavoratrice in condizioni di minoranza legale di fronte ai suoi oppressori, prevalenti nelle Provincie, nei municipi, in tutte le rappresentanze pubbliche, e quindi padroni d'ogni cosa, tiranneggianti a loro beneplacito e perpetuatori della miseria. Voilà l'ennemi! come disse Gambetta. E i quarantasei anni trascorsi dopo l'unificazione d'Italia non l'hanno punto smosso dalle sue fondamenta secolari. La vendita dei beni ecclesiastici, che pareva gli dovesse dare un crollo, non fece per contro che favorirlo, poiché di quei beni s'impinguarono la borghesia e l'aristocrazia, creando un nuovo feudalismo terriero in aggiunta all'antico, abolito soltanto di nome nel 1812. Il tentativo di riforma fatto dal Crispi si spezzò contro un'opposizione minacciosa dei grandi interessati, veri sovrani dell'isola. Nessun'altro uomo di Stato ebbe poi il coraggio di ritentare la prova. Prima cura d'ogni Governo è di reggersi in piedi, e per reggersi hanno tutti bisogno d'essere sorretti dai potenti. E le cose non muteranno fin che non siano diventati potenti i deboli, fin che il numero non sia anche la forza. Ma quando sarà mai, se la forza non è possibile senza la concordia, e la concordia è tanto difficile nell'ignoranza, e riesce tanto facile ai padroni seminar la divisione fra i servi? Ma ecco uno spettacolo che rompe come per magìa il torso dei pensieri malinconici. Lontano, nel cielo sereno, un'enorme piramide azzurra s'inalza, solitaria, stendendo così largamente i suoi fianchi da parere che ricopra una provincia intera; una montagna che dà l'immagine d'un mondo; un prodigio di bellezza e di maestà, che vi fa aprire la bocca come per lanciare un grido d'ammirazione. Una nuvola bianca la corona; un manto candido veste la sua sommità e si rompe più sotto in una quantità di strisce simmetriche scintillanti che somigliano alle frangie di un immenso velo di trina ingemmato; in giro alle sue falde si stendono vaste macchie bianche, che paiono strati di neve, e grandi macchie oscure, che sembrano ombre dense proiettate da nuvole invisibili. E via via che il treno le si avvicina, la montagna par che si dilati e imbellisca: le macchie bianche sono città e villaggi, le macchie oscure sono boschi, aranceti e vigneti; da ogni parte sorgono ville, fioriscono giardini, s'aprono strade, corrono acque, sorride la fecondità, splende la vita. Che maravigliosa sorpresa e che gioia dopo quel lungo viaggio a traverso ai latifondi disabitati e alla triste regione zolfifera! - Ecco l'Etna! - mi dice un Catanese, mio compagno di viaggio -; ecco la nostra gran madre benefica e sovrana tremenda!

O cari fanciulli del popolo, operai, studenti, buoni amici sconosciuti d'ogni età e d'ogni ceto, ospiti affettuosi e giocondi, come egli ha ben capito e sentito la gentilezza del vostro intento, e che profonda gratitudine ve ne serberà in cuore fin che gli anni e l'infermità non gli abbiano spento l'ultimo barlume di memoria delle giornate luminose e felici che ha trascorse sotto la bellezza incantevole del vostro cielo e in mezzo alle vestigia gloriose della vostra storia!

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Le buone maniere

202587
Caterina Pigorini-Beri 7 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
  • paraletteratura-galateo
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A scuola non sederti davanti al tuo professore o alla tua istitutrice, prima che essi stessi non si siano seduti e te lo abbiano accennato col capo o colla mano: se sei al refettorio alzati all'entrare del direttore e della direttrice o dei superiori, senza indugio. Non dire sì, no, e peggio col cenno del capo, ma sì signore, no signora, veramente mi pare così e così, o piuttosto, mi hanno affermato che le cose dovrebbero essere così e così. Non umiliare i condiscepoli più poveri, non invidiare i maggiori, non essere superbo del tuo ingegno nè umiliato se qualche volta non arrivi subito a comprendere. Se sei convittore o collegiale, o hai mensa comune per qualunque ufficio, non guardare alla porzione del tuo compagno coll'occhio del bue; non mettergli neppure per ischerzo la forchetta nel piatto, non mostrare di accorgerti se mangia male, ma mangia bene tu stesso, e tutti insieme non battete la solfa coi cucchiai, il che produce un rumore assordante e sconveniente. Non presentare un còmpito sgorbiato, un quaderno mantrugiato o spiegazzato, o con macchie d'inchiostro o col puzzo di merenda. Non spedire una lettera macchiata o male scritta o mal chiusa o non intestata convenientemente. Non domandare a alcuno clove egli va. Non dire parole volgari, nè frasi sconvenienti, nè parlare nel tuo dialetto nativo in presenza di chi non l'intende, o in una lingua straniera con chi, anche potendo, non l'ha studiata e si sentirebbe umiliato. Non dire mai: il tale è un ebreo, ma invece: è un israelita. Poichè l'ebreo appartiene ad una sètta, ma l'israelita ad un popolo, che fu per giunta un popolo eletto. Non dir mai ad alcuno: siete pallido, avete cattiva cera, sembrate un po' indisposto; perchè qualche ipocondriaco potrebbe risentirne danno e qualche altro potrebbe voler nascondere o dissimularsi un male penoso e inutile a sapersi, da chi non può recargli alcun sollievo. Non mostrare troppo zelo per la conversione dei peccatori o per il trionfo d'una causa anche buona, o verso una persona amata o i superiori o nell'adempimento del tuo dovere. Un politico molto spiritoso che potè vincere tutte le difficoltà della vita disse una volta: Quanti uomini si fanno dei nemici per essersi mostrati più realisti del re. Il troppo zelo nuoce! Non cercare la confidenza di alcuno, specie se è infelice e non puoi giovargli: non farti troppo grande coi poveri o coi sollecitatori, perchè potrebbero metterti al repentaglio di dover accordare appoggi e denaro a gente immeritevole, o di dover fartene, rifiutando, dei nemici. Non mostrarti troppo contento della tua sorte specialmente con chi soffre; un proverbio francese dice: bisogna farsi povero conversando coi ladri. Non parlare di te stesso nè in bene nè in male, e non occupare gli altri in alcun modo della tua persona; PIGORINI-BERI C., Le buone maniere. 8 perchè se dici bene hai l'aria di essere vanaglorioso e desti l'invidia oltre il ridicolo; se dici male, trovi tutto il mondo disposto a non contraddirti. Non immischiarti degli affari altrui. Questa non solo è una passione intollerabile in società, ma si va a rischio di avere il male, il malanno e l'uscio addosso. Un proverbio marchigiano dice: Chi s'impaccia delli affari altrui - dei tre malanni gliene toccan dui. Non sceglierti un amico fra i troppo ingenui. È stato detto che un nemico spiritoso è meno da temersi di un amico sciocco. Non riportare discorsi intesi anche passando, specialmente se non son lodativi della persona a cui son diretti. I napoletani dicono: Chi ciarla riporta, schiaffo vuol dare. Se è necessario avvertire un amico del biasimo a lui portato o di porlo in guardia contro un pericolo o contro un altro uomo, fallo cautelatamente, così che non possa diventar rosso in presenza tua, e non ti serbi mal animo di avergli fatto sapere che tu hai sentito a notare alcun suo difetto. Non mettere cattive abitudini nei giorni solenni di strenne, di doni, di lettere, di mancie, se non sei sicuro di poter perseverare; perchè una volta che tu mancassi, la tua dimenticanza sarebbe presa in sinistra parte. I piemontesi dicono: È meglio uccidere un uomo che mettere una cattiva abitudine. Se accetti un invito a pranzo non andare troppo presto, ma neppure troppo.tardi, badando che potresti riuscire prima inopportuno, e dopo molesto, per aver fatto ritardare altrui, come abbiamo ripetutamente detto. Se le persone di servizio del tuo ospite commettono qualche disattenzione non raccoglierla e fingi di non accorgerti o cerca scusarle se hanno mancato. Se tu dovessi trovare qualche cosa nel tuo piatto che non fa parte delle salse, vinci il ribrezzo e cerca nascondere e dissimulare l'accaduto. Se hai invitato, sii cortese; non badare se qualche malavveduto ti rompe un oggetto anche di valore, se il servo ti fa cadere una posata, se ti si macchia il tappeto o la tovaglia. Non sederti troppo vicino o troppo lontano dalla tavola e non spiegare la tua salvietta pel primo e molto meno non stendertela sulle ginocchia come i contadini o sul petto. Non allungare troppo i piedi a rischio di pestare quelli del tuo vicino. Se ti manca un coltello, una posata, del pane, accenna piano al domestico che te lo serva, senza chiamarlo forte come all'albergo. Non mordere nel tuo pane e non tagliarlo col coltello, ma spezzalo a piccoli pezzi quanto basti per portarlo alla tua bocca con due dita. Non soffiare nella tua minestra e non stendere col coltello salse, frotte o burro sul pane; salvo che prendendo il the, il che può essere tollerato. Non tagliare la vivanda che a misura di accostarla alle tue labbra, e ricordati che il pesce non vuol esser tagliato col coltello. Non ripulire la forchetta o il coltello sul pane nè gettarlo poi sotto la tavola; nè gettare le ossa quando le hai spolpate. Bisogna evitare di versare il sale o di notare se siete per caso tredici a tavola, perchè vi potrebbero essere delle persone superstiziose che se ne spaventerebbero. Non parlare colla bocca piena a rischio di farti andare la roba in traverso e di dover schifire o turbare i convitati. Non fare rumore nè colle labbra nè colle mascelle, e sopratutto bada di usare tutta quell'attenzione per cui le tue labbra e i contorni della bocca rimangano estremamente puliti. Non accostare mai il coltello alla bocca e non intingere il pane nelle salse colle dita. Non sbucciare le mele o le pere in spirale ma in quarti e man mano che le mangi, tenendole colle forchettine. Non mangiare troppo in fretta per non affrettare gli altri, nè troppo adagio per non farli attendere. Se hai il singhiozzo allontanati un momento e non tornare se non è passato. Il solo atto di moverti ti darà un'agitazione salutare che forse imporrà il freno a' tuoi nervi. Ripulisci la bocca prima di bere, giacchè non vi ha cosa più ripugnante che vedere un bicchiere coll'orlo ingrassato. Se mangi degli sparagi, della selvaggina, ecc., ti sarà permesso di prenderla colle dita. Chi presiede alla gentilezza, alla grazia, alla sceltezza dei modi in Italia e ne dà quello che si chiamerebbe in musica la intonazione, ha l'abitudine di fare così; e tutt'al più per la selvaggina potrai valerti del lembo della salvietta. Mangiando frutti piccini col nocciolo o uva o ribes, i rifiuti non si rovescieranno sulle mani per porli nel piatto; ma nel piccolo cucchiaio da dessert se c'è; e se non c'è, sul piatto inchinandovi sopra leggermente. Nel bere bisogna fare lentamente; non far rumore colla gola bevendo; e bisogna asciugarsi la bocca dopo che si è bevuto. Per prendere il caffè è di regola lasciarlo freddare sino a che si possa bere senza versarlo nel piattino, perchè non isgoccioli sulla tovaglia, sugli abiti o sul tappeto, dato che si prenda in piedi e mormorando, come dicevano i nostri nonni. Alla padrona di casa è riservato il maggior còmpito in tutto quello che riguarda il buon andamento d'un convito, d'un salotto, d'un ricevimento, sia pure il più cordiale e il più alla buona. La donna ha il dovere di regolare tutto quello che si attiene alla casa, al focolare domestico; l'uomo ne è il doveroso sostenitore, quello che deve fornire i mezzi del benessere; ma la donna deve darne l'intelligenza e il modo di goderne. Infine, diremo anche noi con parole non nostre per avere maggiore autorità: «una donna anche nervosa in casa propria sarà sempre gentile e amabile. «Questa specie di ospitalità, meglio esercitata in Francia che in alcun altro paese, è una delle cose che maggiormente contribuisce alla piacevolezza della società. Non si deve in casa propria nè andare in collera, nè formalizzarsi, nè mostrarsi bisbetici, nè avere sprezzo o durezza: ecco delle massime che sono generalmente osservate dalle persone educate». In tutti questi comandamenti di cui più d'uno può parere una superfluità e una formalità quasi ridicola, si cela una incontestabile saggezza, di cui le persone non superficiali, ma sinceramente amanti della dignità personale non possono nè debbono fare a meno. Essi se non foss'altro aiutano l'uomo a stare costantemente sopra sè medesimo; ciò evita molte cattive conseguenze anche nella parte morale dell'educazione, esercitando le facoltà relative alla prudenza e all'attenzione, e produce l'effetto infalliblle di dare all'uomo delle buone abitudini, che si convertono poi, come abbiamo ripetutamente detto, in suggestioni corrette e virtuose, indispensabili al rispetto di sè medesimo e degli altri.

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È assai probabile che costoro abbiano avuto il pensiero necessario a questa loro ripugnanza incomoda, ma non difficile a comprendersi, portando con sè l'occorrente per servire il loro rispettabile io; ma ciononostante preparerete tutti quei piccoli oggetti che possono servirgli, senza che abbia la noia di domandarveli. Ci sono alcuni così timidi che non lo farebbero mai anche se loro lo chiedeste istantemente; ciò obbliga l'ospite a quella gran virtù che è il prevedere e il prevenire, nel che si riassume gran parte del tatto sociale. Se uno quando arriva da un viaggio ha bisogno di un ristoro e l'ora della colazione o del pranzo è ancora lontana, l'ospite cortese gli farà portare l'occorrente in camera o lo guiderà nella sala da pranzo, profittando di quel momento per fargli sapere l'ora dell'asciolvere e per chiedergli cosa di solito egli preferisce al mattino, e quali sono le sue abitudini. Se egli protesta di non averne, voi seguite le vostre, cercando di non imporgliele e di indovinare ciò che gli può far piacere di più. È costume di mostrare all'ospite la vostra casa e il vostro giardino se lo avete; ciò è un dovere preciso perchè egli si senta in casa propria e sappia che in casa vostra non c'è nulla da nascondere. Tuttavia non farete come quel vanesio che non risparmiava a' suoi visitatori nè un filo d'erba odorosa, nè il ricettacolo degli animali inferiori. Questa mancanza di tatto è comune anche ai Capi di Istituti, delle Gallerie, dei Musei, dei Gabinetti, i quali non trascurano neppur la carta da filtro, e le cordicelle per legare gli scartafacci o i registri. Queste ingenuità sono assolutamente da evitarsi. Chi non è specialista in materia, chi non ha ragioni particolari o per ufficio o per interesse proprio di osservare minutamente, ne prova un senso di stanchezza e di noia da cagionare pensieri tutt'altro che lusinghieri alla vostra persona e alle cose vostre. Se si rassegna ad ascoltarvi e a seguirvi, è soltanto per effetto della sua buona educazione o della sua pietà che gli ha insegnato a sopportare pazientemente le persone moleste. Tutti noi abbiamo provato questa impressione penosa in qualcuna di queste visite, in qualcuna di queste ospitalità; la buona educazione ci ha imposto questo sagrifizio, ma la nostra coscienza si è ribellata e ha protestato contro questa importunità che ha prodotto in noi il proponimento di non cascare mai più sotto una coazione di gentilezza, la quale è tanto più penosa perchè ci costringe ad essere ingrati senza nostra colpa per un moto spontaneo dell'animo. Così quando ospiti insigni vanno in provincia, il ricevimento ufficiale talvolta diventa a dirittura una fatica e, per alcuni temperamenti, dannoso alla salute. Importa di non eccedere nelle dimostrazioni di cordialità e conservare quella discrezione che è la prova di quello spirito, il quale rende amabili le persone avvezze a vivere in società. Il vostro ospite non lo trascurerete, ma lo lascerete libero di moversi e di respirare liberamente; se è una signora le servirete di compagnia fin dove è lecito senza parere curiosi o intromettenti; se è un uomo secondo la condizione vostra e le abitudini del luogo, lo farete padrone della vostra casa accennandogli le ore dei pasti e delle conversazioni che darete in suo onore. Prevederete quel che potrebbe occorrergli durante le ore notturne, perchè se ha abitudini non siano turbate, specialmente se fosse di età alquanto avanzata. Cosicchè non mancherà mai un lumicino da veglia, qualche ristoro: quelle piccole cose che evitano i languori agli stomachi deboli o li impediscono nei delicati. Quando egli partirà, avrete tutto preveduto; le provvigioni pel viaggio, le valigie alla porta, cercando di allontanare finchè potete la noia molestissima delle mancie ai vostri domestici, il che rivelerà in voi un intimo senso di delicatezza e di previdenza. Non tutti gli ospiti sono in condizione di spendere molto per non figurar male, secondo un cattivo pregiudizio sociale; non tutti gli ospitati hanno i mezzi in relazione della vostra casa o del vostro genere di vita; a tutti indistintamente la mancia è un pensiero umiliante, quasi importi istintivamente l'idea di offendere il proprio simile. Infine egli è certo che l'uso è comune in società; ma non è meno certo che bisognerebbe liberarsene fino ad una certa misura, come si sono evitate le mancie tradizionali in taluni uffici e in talune istituzioni del capo d'anno e del ferragosto. La mancia al domestico, la quale fa pensare che l'albergo è una istituzione salutare perchè là almeno non si fanno complimenti, toglie una parte della cordialità e dell'espansione all'ospitalità. L'ospite veramente cortese e scelto sa di per sè compensare le proprie persone di servizio del lavoro straordinario occorso in certi giorni, e nel mentre impedisce la rapace avidità de' suoi domestici, ne educa i sentimenti, evitando la loro mormorazione e facendo sì che essi servano gli ospiti tutti ugualmente dal più ricco al più povero, senza secondi fini e senza mancanza di riguardi.

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Soltanto i pazzi sono uguali nella pazzia e anch'essi poi qualche volta la variano: può darsi che come noi, anche le nostre persone di servizio abbiano qualche assalto nervoso; bisogna compatirli e sopratutto non tentarli nell' ira. L'ira conduce al sangue, specie le classi incolte; chi ha più giudizio l'adoperi; e tornata la calma si riprenda con dolcezza o se la cosa è inaccomodabile si licenzi senza chiasso. Se la colpa è lieve, il certificato sia tale che non possa precludere ad alcuno una vita tranquilla e onorata; se è tale da non potersi dissimulare, notate nel suo libretto il tempo che è stato in casa vostra senza commenti, il che deve tacitamente mettere gli altri sull'avviso; e nello scegliere una persona di servizio il pensiero deve esser quello di non levarla da alcuna casa, sia pure sconosciuta, perchè si contraggono obblighi e una certa responsabilità morale a cui la prova potrebbe non resistere, e non essere coronata dallo sperato successo. In caso di disdetta per motivi gravi, meglio è di pagare il tempo indetto dalla consuetudine locale e lavarsene le mani al più presto; in caso di malattia evitare sin che si può l'ospedale, e lasciare a questi infelici il conforto di credersi, se non in casa loro, fra persone pietose che sanno comprenderne e alleggerirne le pene. Questa pietà non potrà sempre destare la gratitudine nei loro cuori, ma potrà contentare il vostro nella soddisfazione d'un tratto di umanità, che solleva l'uomo agli alti ideali d'un dovere compiuto. Guariti che siano non menar vanto verso di loro della vostra carità; non rinfacciare questo o altro beneficio ad essi fatto; ciò farebbe perdere a voi il pregio, ad essi il dovere di esservene grati: e in ogni caso tener sempre presente al pensiero la massima di quel filosofo stoico, il quale fu uno schiavo illustre e sapiente: esser miglior cosa che gli altri siano ingrati che tu uno sciocco.

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Essa sarà al corrente del movimento intellettuale, sociale e politico del suo paese, perchè non le abbiano a riuscire incomprensibili le leggi che deve rendere carne e sangue della crescente generazione. Ma questa conoscenza delle cose, questa coltura, questo amore dello studio, non deve degenerare in pedanteria, la quale spesso involontariamente tradisce l'abito peculiare dell'insegnamento. Le letterate non sono molto amate dal pubblico, perchè teme sempre di trovare in esse il tono cattedratico. Il sapere deve zampillare come sapienza spontanea, e le cognizioni essere assimilate così, che ne venga un ornamento del discorso e non un peso per l'interlocutore. Anche la dottrina delle donne deve avere il calore dell'affetto. Se per tutte le altre donne la moderazione e la dolcezza sono un ornamento dell'amabilità, in lei debbono esse il principale fattore del carattere. La mondezza dell'abito e la sua semplicità austera saranno il suo primo figurino di moda; e la conoscenza delle cose della vita non deve far altro che insegnarle a schivarne i pericoli e a porsi come un faro luminoso davanti alle piccole coscienze, che vanno svegliandosi negli alunni ad essa affidati. E poichè, come dice il Pascal, la virtù d'un uomo non deve misurarsi da' suoi sforzi, ma da ciò che fa ordinariamente, è naturale che l'esempio della virtù non può venire che da colui il quale l'esercita nelle piccole evenienze della vita. L'uomo si corica la sera, si alza la mattina, si veste, fa affari, mangia e digerisce quando non ha lo stomaco guasto: questa è l'intelligenza animale, come ha detto un filosofo, la materia in moto. Nessuno potrebbe immaginare neppure approssimativamente il numero di idee o di pensieri di quella folla nera, compatta, che esce ogni mattina dalle nostre case, inonda le piazze, ciarla, stride, piange, si rallegra e si dilegua silenziosamente nelle prime ore della notte buia, per ricominciare il domani colla stessa disordinata consuetudine il lavoro faticoso della vita materiale. Quel milione di teste che interrogate in un momento non appassionato sanno esprimere così bene i sentimenti più nobili, il gusto più fine, lo slancio più eroico, tal da poter sembrare la voce di Dio prese separatamente; per un contrasto bizzarro, specie di animali inconscienti con volto umano, pare non sappiano ragionare dirittamente, nè sentire profondamente le cose che esprimono, quando sono tutte insieme. Egli è che l'uomo singolo vive incatenato nelle consuetudini: e spetta a coloro che insegnano l'indirizzare l'intelletto umano ad averne di buone, di nobili, di oneste. Questa educazione delle consuetudini appartiene di diritto alle maestre, che essendo donne, sole sanno sorridere all'infanzia, sole possono cogliere per simpatia i primi moti di un'anima che si sveglia alle loro prime carezze. Egli è perciò che noi abbiamo intitolato e dedicato questo capitolo alla maestra e non al maestro; l'uomo non ne capirà mai nulla, salvo che per eccezione e poichè abbiamo fuse le scuole maschili colle femminili, non si vede più la ragione perchè una donna non possa condurre i fanciulli di ambo i sessi fino alle classi superiori, restando così esclusi gli uomini, i quali maneggiando colle loro grosse mani quei teneri cuori minacciano d'infrangerli. Se altro non fosse, ciò educherebbe gli uomini al rispetto e alla reverenza verso coloro che sono dolci, che sono soavi, che sono deboli. Più tardi li daremo in mano ai retori, agli scienziati e ai filosofi; essi non arriveranno mai troppo tardi: l'abito degli affetti sarà già formato. È stato detto che per ben intendere la scienza dell'anima bisogna studiarne l'alfabeto accanto ad una culla. Ma quell'inno alle culle gli uomini non sapranno mai cantarlo; e tutta l'educazione d'un popolo è in mano di chi insegna all' infanzia, perchè solo chi ha veduto il principio delle cose grandi, può giudicarne l'andamento. Gli insegnamenti della scienza e della filosofia sono dottrine e non moti dell'animo; esse possono calmare le ebbrezze dell'intelligenza, non saziare la sete dei nostri cuori e indovinarne la fine. E questa sete d'affetto è la rivelazione di quell'ideale che solo l'educazione può raggiungere. Questo grande compito dell'educatrice dovrebbe crearle un'atmosfera più atta a far maturare la messe della virtù e della sapienza popolare e metter lei sopra un trono. Invece non è così, si direbbe anzi che sia tutto il contrario; e ciò si spiega colle premesse; ma tocca in gran parte ad esse di distruggere la continuità di quel giudizio ingiusto; e non sarà loro difficile se sapranno, prima di entrare nel gran meccanismo dell'educazione nazionale, di che fardello si gravino le spalle e quanto sia faticoso ufficio e di che lagrime grondi e di che sangue. Se l'educatrice ha una posizione difficile in società e nella scuola, ne ha una non meno grave nei collegi e nei convitti, in genere nella vita di reclusione. La vita delle recluse, specie di quelle che sono già adulte e quindi restìe al vivere in comune, è degna di uno studio di importanza capitale. I rapporti tra le maestre e le scolare e tra esse e il mondo sono tanto complessi, da non poter essere accennati che sommariamente. La prima necessità è di rendere i collegi e i convitti così lieti e sereni da impedire la noia, da evitare il pettegolezzo, da rendere tranquillo e calmo l'ambiente. Se l'istitutrice deve evitare con ogni fatica le predilezioni anche involontarie, deve altresì invigilare a che le allieve con contraggano intimità troppo sentimentali, e quelle disposizioni alla sensibilità eccessiva che deprimono il carattere e tolgono il concetto del vero nei cuori della gioventù. Anche il così detto parlatorio deve essere accomodato di guisa che le anime giovanili possano espandersi lietamente, impedendo le esagerazioni, ma coltivando la naturale confidenza dei figliuoli verso i genitori. Infine i collegi debbono essere case di educazione, con regole fisse, ma con spontanea naturalezza nei modi e negli affetti. E i convitti, come lo dice il nome, luoghi in cui si convive transitoriamente, vale a dire grosse famiglie in cui l'urbanità, la tolleranza reciproca, i servigi scambievoli hanno una impronta regolamentare indispensabile pel migliore andamento dell'azienda e per un raccoglimento necessario alla conquista d'un titolo accademico; ma che ospitano appunto delle persone già sul limitare della vita; non possono avere quelle discipline fisse e rigorose e strette, che si addicono ai collegi propriamente detti. Le convittrici e i convittori degli istituti normali e superiori debbono essere le custodi di loro stesse: nel loro tratto cortese e educato saranno escluse le parole vivaci, i nomignoli impertinenti, le consorterie o le ostilità aperte o i maneggi sotterranei. Lo studio in comune, il pasto in comune, le passeggiate in comune possono essere altrettante discipline morali e sociali; e l'aiuto, l'emulazione, perfino la lotta urbana nelle difficoltà scolastiche, altrettanti ammaestramenti civili per l'esercizio pratico della vita. L'istruzione in sè e per sè, non vale nulla; la trasformazione sociale si è effettuata, le idee si sono moltiplicate; le nazioni sono divenute intelligenti; ma si sono staccate man mano dai loro sentimenti e gli entusiasmi salutari le hanno abbandonate. E così questa grande rivoluzione intellettuale ha stipato i cervelli senza fecondarli e minaccia di abbandonare i popoli alla follia della loro intelligenza. Ora è all'educatrice che è riservato il Sursum corda! E questo otterrà per sè e per gli altri non colle pedanterie scolastiche, coll'orpello d'una laurea, colla vanità d'una patente, colle pretese di un titolo rimbombante, colle arti o colle scienze o col sapere la storia greca, romana, la teoria darwiniana o fare dei versi; ma coll'essersi assimilati gli studi che nel campo morale e intellettuale le vietino le mode bizzarre negli abiti e le maniere virili o scomposte, o sconvenienti. Questa salutare assimilazione le indicherà quella perfetta educazione civile, la quale irradiandosi da lei porterà ne' suoi discepoli l'urbanità, e spronerà allo studio, al rispetto delle consuetudini paesane e delle altrui opinioni e condurrà le giovani menti a venerare in essa non soltanto il sapere ma la virtù; onde poi accoglieranno nei cuori quel possente anelito, per cui la civiltà si diffonde, si stabilisce e rende meno aspro e meno difficile il vivere in comune. PIGORINI-BERI C., Le buone maniere. 11

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È da osservare scrupolosamente che quella mezza luce non sia soverchiamente appannata e che le giardiniere non abbiano troppo profumo o sembrino foreste di felci, o peggio che portino sui rami verdi dei fiori finti. Questo è un falso lusso di borghese indomenicato che fa ridere le persone di buon gusto e che si intendono di vera eleganza e di vera distinzione e sopratutto che amano i fiori veri, i quali sono la poesia della natura. Ormai è invaso il costume di offrire il che in ogni visita, il che può essere un ristoro per molti da non disprezzarsi; c'è anche chi fa girare altre ghiottonerie secondo le mode e i tempi. Ma per dare il the occorre che l'acqua sia sempre calda e allora si ricorre al chaumoir alla russa, e per lasciarlo aromatico al couvre théière: cose tutte venute di fuori e che ricordano gli usi goldoniani, quando si dava la cioccolata, e di cui alcuni tratti nelle commedie ci fanno ancora ridere di cuore e si riproducono rimodernati nei salotti eleganti. Chi non ricorda quando la marchesa Beatrice fa dare la cioccolata a Ghita, la moglie del primo laterale destro della nobile e antica comunità? Chi non ha riso a sentir Ghita che vuol fare un brindisi colla cioccolata? E quando sente che è calda si volge alla vicina stupita e dice: cioccolata che scotta?! Ehi, chi è di là? e la consegna al servitore scandalizzato di sentirsi chiamare da una persona che fa visita alla sua padrona, la nobile Marchesa di Montefosco? - Ciò raggiunge il grottesco e noi orgogliosamente crediamo che nessuno ora farebbe così. Eppure accade tutti i giorni qualche cosa di simile: chi non sa dove mettere il cucchiaio; chi non sa intingere un biscotto; chi lascia cadere le goccie sul tappeto o sull'abito, chi s'imbratta o rovescia; e perfino chi accostato il the alla bocca non lo trova abbastanza caldo e dopo averlo preso lo rifiuta. L'atto è incivile, ma una padrona di casa, che non ha persone adatte e abili a servire, non deve mettersi in questo cimento, crearsi delle ragioni di malessere e prestarsi ad un ridicolo tanto sicuro quanto inevitabile. Una conversazione di gente che naturalmente sa chi è, ma che o non è presentata o vuol stare su le sue, prova l'abilità della padrona di casa. È da dubitare che ce ne siano molte, perchè il genio della conversazione è raro corne il genio delle arti e della poesia. Ma pur ce n'è qualcuna, e nell'aridità della vita mondana tutta esteriorità e convenzioni una bella e discreta parlatrice è più ammirata che un oratore eloquente. Questa forza non è tutta sprecata: essa eleva il salotto ad una palestra di ginnastica intellettuale, in cui si raffinano i sensi e si acuiscono le facoltà della prudenza, della grazia e dello spirito. Quando una persona sta per partire mentre ne arriva un'altra, se non si è ancora congedata, bisogna attenda un pochino per non lasciar credere che lasci la sala per lei: se è in piedi si sbriga ancora più presto non trattenendo nè l'arrivata se anche la conosce, nè la signora che deve riceverla. Se non la conosce è presto spiegato; se ha rapporti cordiali o solo anche di conoscenza, nota di volo che era già sull'uscire. Ad ogni modo tutto questo deve accadere con prontezza ma senza confusione o incomodando i vicini, ciò che rivela quello che si chiama la mancanza di mondo. All'arrivo in una città di un gran personaggio, che per ragioni di carica o di posizione sociale si è obbligati di visitare senza conoscerlo che di nome o di vista, anche fosse in una famiglia non amica o all'albergo, sarà dovere di ognuno di portare una carta di visita piegata da un lato o di mandarla da un domestico, per mostrare la premura doverosa verso un superiore, un ospite, un nome insigne. Toccherà a chi riceve la carta di mostrare il proprio gradimento o il desiderio di conoscere la persona che ha mostrato di comprendere il proprio dovere e non gli mancherà modo di farlo sapere. Può darsi ch'egli non risponda; e in questo caso il visitatore non ripeterà l'atto ossequioso, che potrebbe diventare molesto o riuscire inopportuno, per chi è costretto di riceverne molti e non può corrispondere a tutti. Ciò del resto non deve esser preso come un'offesa fatta alla vostra persona che gli è perfettamente sconosciuta, e non deve sconsigliare alcuno di rinnovare l'atto ossequioso quante volte se ne presenti il caso e l'opportunità. Infine tutta questa spiegazione dei doveri sociali messa in compendio vuol dire: che la gentilezza delle maniere può diventare potenza fecondatrice di civiltà, e riuscire utile agli uomini dissipando malintesi ed equivoci, appurando fatti male interpretati, sciogliendo i ghiacci dei cuori e le nebbie dell'intelletto, migliorando gli animi nel raddolcire i sentimenti umani e alzando altari dove parevano aprirsi gli abissi degli odii infecondi e delle discordie fratricide.

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Le carte di visita spedite per augurio in città lontane sono ammesse al ricambio, anche tra signore e uomini, purchè abbiano in fondo a destra scritto o litografato il nome della città da cui sono state spedite, o qualche altro segno che non rappresenti una visita. C'è anche chi manda una carta per ogni persona della famiglia: ciò è permesso e anche consigliato: così pure il lasciare alla porta la carta piegata o col corno in numero uguale alle persone visitate è ammesso dalla buona educazione: tuttavia questa superfetazione non pare ragionevole, giacchè quando si visita la padrona di casa è detto che si visitano tutte: si dovrebbe però duplicare o triplicare la carta quando ci fossero numerosi ospiti da visitare in una sola casa. Le carte di visita possono essere nominali e collettive: per esempio marito e moglie, il tale e famiglia; e far precedere il titolo nobiliare se c'è, nel qual caso bisogna abolire il nome di battesimo. Una condizione di buona educazione è quella di non mandare la propria carta di visita di qua e di là, a persone troppo più di voi, che probabilmente non si ricordano il vostro nome, a gente trovata in viaggio o ai bagni, a relazioni lontane o trascurate. Ciò obbliga una persona, specialmente ora che i contatti sono innumerevoli, a tenere, sotto pena di parere ingrati o superbo o male educati, un registro di nomi e di città e un segretario per centinaia d'indirizzi, nel che non c'è chi non scorga un incomodo che guasta il piacere del ricordo che avete mostrato di lei. È naturale che ci ricordiamo d'un personaggio, ma il personaggio se veramente è tale, ha molte cose da pensare e potrebbe credersi senza nostra offesa dispensato dal rispondere.- Ora il nostro amor proprio ne soffre una pena che, come accade di molte nostre disgrazie grandi e piccole, ci andiamo a cercare da noi stessi. La morale di tutto questo è che dobbiamo studiare sempre di essere opportuni, la gran virtù pratica della vita e dobbiamo persuaderci che in società ci sono consuetudini e convenzioni a cui dobbiamo rassegnarci, perchè nate da lontana origine, come la limitazione delle classi. È perciò che ora una casa aristocratica, la quale apre le sue sale a una società un po' mista (necessità prima di tutto della vita politica e della facilità di salire dal più umile stato alla più alta fortuna), non dà col suo invito il diritto delle famigliarità e dimestichezze tra gl'intervenuti, i quali debbono stare sull'attenti prima di portare la propria carta ad una persona che sia da più di loro. Sarà sempre il maggiore che lo autorizzerà a farlo portando o mandando la sua, specie le donne, le quali impegnano a maggiori legami che un uomo. Egli può, anzi deve, senza molta frequenza, portare la sua carta alla signora: e se il marito non corrisponde, deve ritenersi senza offesa congedato. Ciò accade così spesso da dover cercare con ogni studio di evitare questo piccolo urto all'amor proprio: e sarebbe stato anche inutile di notarlo qui, se non fosse una delle mancanze di tatto più comuni nella vita sociale odierna, e che crea dei malintesi e un malessere il meno giustificabile, ma non per questo meno affliggente per gli uomini di poco spirito. Lo spirito sociale è una dote incomparabile e si può acquistare anche senza sapere tutte le alchimie che ne accompagnano le cerimonie, pur di metterci un po' di buona volontà e di attenzione, spogliando il proprio io della presunzione, e osservando le consuetudini innocenti delle persone bene educate.

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Non ignorando che una sapiente leggenda tolse dalla costola sinistra del suo cuore, dove si crede abbiano sede gli affetti, la donna, egli la tiene in quel rispetto che rivela un animo gentile ed amoroso, senza sdolcinature, ma evitando quello che ha l'aria di un imperativo, il quale nella crescente civiltà è diventato un vecchio e incomodo elemento di tirannide morale, rifiutato dal progresso e dalla ragione. E posto al contatto di donne loquaci e litigiose o importune si solleva al di sopra delle piccole questioni inevitabili nella vita, con quella fortezza, senza di cui un uomo non potrà mai credere di essere bene educato.

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Passa l'amore. Novelle

241371
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
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- Può darsi; ma può anche darsi che li abbiano comprati. Hanno danari più di me e di te. Ti piacciono? - Sono troppo belli per una contadina come me. - Proviamoli.... Ti staranno bene.... Lasciami fare. - Quando sarò lavata e pettinata.... Don Pietro, con le mani che gli tremavano, le aveva già tolto di capo il fazzoletto, e preso e aperto uno degli orecchini tentava d'introdurre il gambo nel forellino del lobo dell'orecchio che egli teneva fermo delicatamente con due dita. La crescente commozione prodòttagli a ogni lieve movimento della Trisuzza dall'involontario contatto con la calda e fine pelle del collo e delle guancie di essa, gli impediva di imbroccare il forellino. La Trisuzza, paziente, sorrideva, senza nessun sospetto per quel fremere delle mani, per quel respiro accelerato che le soffiava lievi tepide ondate di fiato su la nuca, per quegli occhi luccicanti, accesi di desiderio osservati levando la testa verso don Pietro che si spazientiva di non riuscire. - voscenza permetta, - disse Trisuzza. E fece sùbito da sè, rizzando la testa, rossa in viso dalla vanità che le gonfiava il cuore per l'inatteso ricco ornamento. Il povero sant'uomo si sentì preso da vertigine alla vista di quel collo, di quelle braccia, di quel seno ansante, e chiudendo gli occhi, quasi non vedendo lui nessun altri avrebbe visto, neppure la Trisuzza, si chinò rapidamente e la baciò sotto la gola. - Zitta! come a una figlia! Come a una figlia! - balbettò. La Trisuzza aveva su le labbra un sorriso di stupore, niente più.

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