Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La fatica

169128
Mosso, Angelo 11 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Come i granduchi della Toscana abbiano fatto progredire le scienze. L'Universita di Pisa. - VI. Cenni biografici su Stenone. La santità dei suoi costumi. La sua morte. CAPITOLO TERZO. Di dove provenga la forza dei muscoli e del cervello. (Pag. 53 a 77). I. La legge della conservazione dell' energia. Ermanno Helmholtz e R. Mayer. - II. Le piante e gli animali. - III. Le varie dottrine sulla natura dell' anima. L' indirizzo moderno della fisiologia. - IV. La trasformazione dell'energia nella vita. - V. I processi chimici nell' attivita cerebrale. Esperienze su Bertino per mostrare gli effetti dell' anemia cerebrale. CAPITOLO QUARTO. Caratteri generali e particolari della fatica. (Pag. 78 a 106). I. La velocità di propagazione dell' eccitamento nervoso. Miografi. - II. Modificazioni delle contrazioni muscolari per effetto della fatica. - III. Esperienze di H. Kronecker e le leggi della fatica. - IV. Ergografo. - V. Varî tipi della fatica muscolare scritti coll'ergografo. Professor V. Aducco. Dottor Maggiora. Dottor Patrizi. Influenza dell'allenamento. - VI. Esame del modo col quale funziona l'ergografo. Trac- ciati della fatica muscolare scritti senza partecipazione della volontà, irritando direttamente i muscoli od i nervi nell'uomo. CAPITOLO QUINTO. Le sostanze che vengono prodotte nell' affaticarsi. (Fag. 107 a 133). I. Le scoperte di Lavoisier e di Spallanzani sulla respirazione. La fatica non dipende esclusivamente dalla mancanza di qualche cosa nel muscolo che ha lavorato. Esperienze colla lavatura dei muscoli. - II. L'affanno del respiro. Le rane possono muoversi anche quando si leva loro il sangue. Frequenza maggiore dei movimenti respiratori nelle anguille in seguito ai movimenti muscolari. Respirazione periodica. - III. Perchè la respirazione diventi più attiva in seguito al lavoro dei muscoli. Ch. Richet. Raffreddamento del corpo per l'attività maggiore della respirazione. - IV Mutamenti che si producono nella sostanza del muscolo che lavora. I veleni che hanno origine nel nostro corpo. - V Il sangue di un animale affaticato contiene delle sostanze nocive. Differenze tra gli uomini nella resistenza alla fatica intellettuale. La debolezza del cervello. - VI. I neurastenici. L'Aprosexia. La pazzia circolare. CAPITOLO SESTO. La contrattura e la rigidezza dei muscoli. (Pag. 134 a 155). I. La contrattura. Il torcicollo reumatico. Il crampo degli scrivani. La catalessi. - II. Esperienze nell'uomo sulla contrattura. Analisi di questo fenomeno. III. La debolezza della vista. Crampo di accomodamento. Cause della miopia nelle scuole. - IV Malattia di Thomsen. - V La rigidità cadaverica. W. Kühne. La rigidità del cuore. - VI. Paragone fra la contrazione normale dei muscoli e la rigidità cadaverica. Rossbach. La rigidità improvvisa nei soldati morti nelle battaglie del 1870. CAPITOLO SETTIMO. La legge dell'esaurimento. (Pag. 156 a 183). I. Il lavoro compiuto da un muscolo stanco gli nuoce di più che un lavoro maggiore compiuto in condizioni normali. - II. La fatica come sensazione interna. Diminuzione della sensibilità nella fatica. - III. Ricerchedel professor L. Pagliani sulla differenza di sviluppo tra i ragazzi poveri ed i ricchi. I coscritti di Caltanisetta sono riformati per deficiente statura in causa all' esaurimento prodotto dall' eccessivo lavoro. L'interno della Sicilia. - IV I carusi. Pasquale Villari e la questione sociale. Gli orrori delle solfare. - V. L'industria moderna. - VI. Il macchinismo. Il socialsmo. Miglioramenti nelle condizioni del proletario. Nobilitazion della fatica. CAPITOLO OTTAVO. L' attenzione e le sue condizioni fisiche. (Pag. 184 a 217). I. Differenza nella forza dell' attenzione fra le scimmie. L'attenzione secondo Fechner. - II. Mutamenti che succedono nel respiro dell' uomo per effetto dell' attenzione.- III.Periodi di attività maggiore o minore nelle funzioni del cervello. Questi periodi non dipendono dal respiro. Oscillazioni successive. Oscuramenti periodici della vista. - IV Ipnotismo ed estasi. Affreschi del Sodoma che rappresentano santa Caterina a Siena. - V. Natura dell'attenzione. Meccanismo col quale si desta questa funzione. - VI. Non dipende unicamente dall' afflusso più copioso di sangue al cervello. - VII. Materialità del processo organico dal quale dipende l' attenzione. Il nervosismo moderno ha prodotto le conferenze umoristiche e le opere buffe. Debolezza della memoria nella fatica. - VIII. Tempo della reazione fisiologica. La fatica allunga il tempo della percezione. S. Exner. - IX. Differenze tra i popoli settentrionali e i meridionali La razza latina e più agile. CAPITOLO NONO. La fatica intellettuale. (Pag. 218 a 250). I. La memoria. La natura della coscienza. Wundt. II. L'immaginazione. La scelta delle immagini. Münsterberg. - III. Insensibilità degli organi interni. perchè non possiamo misurare nè esprimere le sensazioni e i sentimenti. - IV Differenze fra i varii nomini riguardo al sistema nervoso e al cervello. - V. I fenomeni caratteristici della fatica intellettuale. - VI. Disturbi nelle funzioni digerenti. Effetti della fatica. Male di capo. Stanchezza degli occhi. - VII: Göthe. Il suo libro sui colori. Studi del Göthe sulla fatica degli occhi. - VIII. Le immagini successive, e le immagini della memoria. Fechner. - IX. Inizio delle allucinazioni nella fatica intellettuale. I fenomeni di eccitamento. - X. La debolezza del cervello. Cambiamenti nel carattere per effetto della fatica. Lo stato di depressione. CAPITOLO DECIMO. Le lezioni e gli esami (Pag. 251 a 304). I. Note sulle emozioni di chi parla in pubblico. II. Esperienze coll'ergografo fatte dal prof. Aducco prima e dopo la sua prolusione nell'Università di Siena. - III. Tracciati del dottor Maggiora. - IV. La fatica prodotta dagli stati psichici intellettuali, e la fatica prodotta dagli stati psichici emozionali. Aumento della temperatura del corpo nel far lezione. - V. Vari modi di far lezione. - VI. La disposizione. Gli appunti per far lezione. L'improvvisare. - VII. Le lezioni troppo lunghe. - VIII. Mutamenti che succedono nell' organismo di chi fa lezione. - IX. Gli insegnanti nelle scuole militari. - X. Gli esami e gli esaminatori. - XI. Esperienze fatte dal dottor Maggiora nel 1889. La diminuzione della forza muscolare durante la sessione degli esami. - XII. Edmondo De Amicis. Effetti della stanchezza intellettuale. - XIII. Nuova serie di esperienze fatta durante gli esami nel 1890 dal dott. Maggiora. - XIV. Perchè diminuisca la forza dei muscoli nella fatica del cervello. I salmoni. La morte per fame. - XV Tracciati della fatica scritti dal prof. Aducco durante gli esami. Come in alcuni per la fatica intellettuale si produca un periodo di eccitazione più lungo che in altri. In tutti si osserva una debolezza dei muscoli quando si prolunga la fatica intellettuale. Esperienze col cloroformio. CAPITOLO UNDECIMO. I metodi del lavoro intellettuale. (Pag. 305 a 329). I. Qualità mentali di Carlo Darwin. Suoi metodi di lavorare. - II. Le differenze che si osservano nelle funzioni del sistema nervoso al mattino ed alla sera. Variazioni diurne della forza muscolare. - III. Fisiologia della eccitazione cerebrale. Dottrina chimica della eccitazione per effetto del lavoro. - IV. Azione della febbre sull'attivita cerebrale. Come la debolezza possa divenire causa di eccitazione. Il risvegliarsi della mente che precede la morte. - V Il lavoro notturno. Azione delle tenebre e della luce. Giovanni Müller e Jac. Moleschott. Teoria dell' umore secondo Stricker. - VI. Varii metodi di comporre e di scrivere. - VII. Genio e fatica. Raffaello. Newton. Göthe. Legame del pensiero colla parola. Flaubert, Alfieri. Modo col quale Balzac scrisse i suoi libri. CAPITOLO DODICESIMO. Lo strapazzo del cervello. (Pag. 330 a 351). I. Giacomo Leopardi. Alessandro Humboldt. - II. Lo strapazzo del cervello nelle scuole. Axel Key. Dati statistici. Esperienze fatte. - III. I danni e i vantaggi del lavoro intellettuale. Beard e il nervosismo moderno. Rousseau. - IV Lo strapazzo del cervello negli artisti. Duprè. Statistica della pazzia. I politicanti americani. - V Cavour. Sella. Lettere e confidenze di ministri sullo strapazzo del cervello. Fenomeni della stanchezza intellettuale nei deputati. Esempi e studi dal vero.

Cerchiamo ora di conoscere alcune delle trasformazioni più importanti che succedono nei muscoli, e vedremo dopo se nei centri nervosi vi siano dei mutamenti che abbiano qualche rassomiglianza con quanto succede nei muscoli per effetto della loro funzione. Nel riposo i muscoli flessori delle dita hanno la prevalenza. Bisogna fare uno sforzo coi muscoli estensori, per vincere la flessione naturale delle dita nel riposo. Una contrazione troppo forte del muscolo, od un eccessivo lavoro, non permettono più al muscolo di rilasciarsi completamente, e a questo stato di tensione anormale del muscolo, venue dato il nome di contrattura. Quando uno afferra la sbarra del trapezio, e solleva alcune volte il peso del suo corpo colla forza delle braccia, oppure quando uno fa una buona remata, se dopo finito lo sforzo lascia cadere le braccia lungo il corpo, si accorgerà che le mani stanno impugnate. Uno degli esempi più comuni della contrattura, è il torcicollo reumatico. Quando per una causa qualunque il muscolo sternocleidomastoideo entra in contrazione persistente, non possiamo più tener bene dritto il collo. Il mento si volge dalla parte opposta e si alza leggermente, per cui la testa rimane piegata verso la spalla. Toccando, si sente che da questo lato vi è nel collo un muscolo teso che siamo incapaci di far rilasciare colla volontà. Vi sono delle persone molto eccitabili che dopo essersi affaticate nello scrivere, sentono un'estrema stanchezza nella mano. I movimenti delle dita riescono dolorosi e meno sicuri. La difficoltà cresce quando queste persone sanno di essere osservate, e mettono maggior attenzione nello scrivere. Il carattere si altera profondamente, e in alcune si fa quasi indecifrabile. Se si tratta di impiegati che debbono scrivere molto, la malattia fa dei progressi rapidissimi: dopo un' ora o due di lavoro devono smettere, perchè la mano trema e le dita sono quasi irrigidite. Appena cessano di scrivere, la mano ed il braccio non presentano più alcuna irregolarità nei loro movimenti, ma persiste il dolore. Tale malattia conosciuta col nome di crampo degli scrivani, è abbastanza frequente. Il sintomo più caratteristico è una grande stanchezza che si sente nella mano, ed una difficoltà nei movimenti, limitata al pollice, all'indice e al dito medio. In alcune persone basta lo scrivere poche righe per stancare la mano; esse debbono smettere non solo perchè la scrittura si cambia, e si fa inintelligibile, ma anche per il dolore, il formicolio e il senso di tensione che provano nei muscoli della mano. Il crampo dei muscoli quando si mostra nei suonatori di piano o di violino li obbliga pure al riposo. Generalmente queste sono persone ipocondriache, un po' isteriche o nervose, che abusano dell'attivita dei muscoli, e sono talmente eccitabili che basta un lavoro di pochi minuti per far produrre in esse la contrattura. Vi sono dei nuotatori abilissimi che non osano allontanarsi dalla spiaggia del mare, perchè temono i crampi alle polpe. Tutti abbiamo provato la molestia che danno questi crampi, quando compaiono improvvisamente la notte mentre dormiamo. Di solito si producono in seguito ad una contrazione dei muscoli, ma nelle persone molto nervose succedono anche mentre le gambe stanno immobili. Toccando la gamba si riconosce quale sia il muscolo che rimane contratto, e malgrado ogni sforzo della volontà, non possiamo rilasciarlo e il dolore può durare parecchio tempo. Nelle donne isteriche la contrattura è frequente: e il medico l'osserva anche in alcune malattie del midollo spinale. Questo prova che la contrattura è un fenomeno dipendente dal sistema nervoso, ma può anche essere locale. Vi sono delle persone isteriche nelle quali basta comprimere leggermente un muscolo, perchè entri in contrattura e non possano più rilasciarlo così che si può produrre un torcicollo artificiale, strisciando leggermente o anche solo col toccare il muscolo sternoeleidomastoideo. Nell' ipnotismo si vede bene qualche volta comparire nei muscoli uno stato che venne descritto col nome di flessibilità cerea. Le dita, le braccia, i muscoli del tronco e del collo, le gambe, mantengono senza, resistenza la posizione che loro vien data, come se la persona fosse fatta di cera. Questa condizione particolare dei muscoli è pure conosciuta col nome di catalessi, e comparisce più specialmente nell' ipnotismo, tanto che alcuni autori vollero chiamarlo catalessia sperintentale. Toccando i muscoli della faccia o anche quelli degli occhi, si producono delle contratture e delle smorfie che possono durare parecchie ore. Qualche volta la contrattura diviene una malattia grave, e vi sono delle isteriche nelle quali le estremità rimangono fisse in certe posizioni senza, che si possano più rilasciare. Solo per mezzo del cloroformio si rilasciano i muscoli, ma la contrattura, appena cessa l' azione dell' anestetico, torna a riprodursi. Certe donne che hanno un braccio piegato, e che malgrado ogni sforzo della volontà non possono distenderlo, quando si svegliano lo trovano in un'altra posizione, ma sempre contratto e rigido, perchè durante il loro sonno coll'uso del cloroformio gli fu variato di posizione, ed esse di nulla si accorsero. Questa è la contrattura spastica, come la si vede qualche volta anche nel sonnambulismo e può durare pochi minuti, alcune ore, e anche dei giorni. La patologia della contrattura fu studiata specialmente da Charcot, che scrisse delle pagine da grande maestro su questo argomento, nei suoi trattati delle malattie nervose, e ci ha riprodotte colla fotografia delle immagini raccapriccianti di questi ammalati.

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Questo non dipende da ciò che gli insetti più piccoli abbiano relativamente i muscoli più voluminosi, ma perchè questi hanno una energia muscolare maggiore. Una formica porta un peso ventitrè volte maggiore del suo corpo. In nessun animale la contrazione dei muscoli è tanto rapida e frequente quanto negli insetti. Noi ci accorgiamo della grande differenza che passa tra gli insetti, nel loro modo di volare, quando li sentiamo passar vicini all'orecchio. Le farfalle che battono lentamente le ali non fanno rumore; e vi sono anche gli uccelli che volano insidiosamente senza che si facciano sentire. Il ritmo dei battiti delle ali è una delle cose più importanti nello studio del moto, e ad esso i fisiologi hanno rivolto la loro attenzione, per conoscere quante volte un muscolo è capace di contrarsi e di rilasciarsi in un minuto secondo. Il suono acutissimo che mandano le zanzare è dovuto ai movimenti che fanno le ali volando. Si determinò la frequenza di queste contrazioni, paragonando i suoni che i vari insetti producono nel volo colle vibrazioni che producono le note musicali. Così sappiamo che le api comuni producono un suono come il la, ossia 440 vibrazioni al secondo. Poi vi sono delle differenze tra il maschio e la femmina. Nel Bombus terrestris il maschio, che è piccolo, produce un ronzio in la, mentre la femmina, che è più grossa, produce un'ottava superiore.LUBBOCK, Les sens et l'istinct chez les animaux, 1890; pag. 68. La mosca dà, un fa, ossia eseguisce 335 battiti per secondo. Marey ottenne la prova grafica di questi calcoli. Noi sappiamo che, quando si prende una mosca per le gambe, essa batte le ali egualmente. Marey avvicinava una mosca tenuta a questo modo fino al punto che le ali toccassero un cilindro affumicato che girava rapidissimamente. In questo modo ciascun colpo lasciava una traccia leggera, levando il fumo. Conoscendo la velocità colla quale gira la carta, perchè un diapason vibrante venne dopo avvicinato al cilindro, si vide che la mosca batte in ogni secondo 330 volte le ali. Le api, che furono meglio studiate, ci dànno un esempio convincentissimo che esse cambiano andatura come l' uomo, secondo le emozioni che le agitano. È una nota piu acuta che mandano quando si stuzzicano e volano concitate. L'ape tranquilla, che va in cerca di miele sui fiori, nel suo volo produce un la, e quando la sera arriva stanca all'alveare, il ronzìo che manda fa un suono più basso, cioè un sol; come noi che dopo una lunga marca camminiamo con passi più lenti.

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Io ritengo come molto probabile che le prime contrazioni che eseguisce un muscolo bene riposato, abbiano una natura differente dalle contrazioni che eseguisce un muscolo affaticato. La fisiologia del muscolo in riposo è per me affatto diversa da quella del muscolo stanco. Infatti non vediamo che, passato il fenomeno della contrattura, nel principio di una serie di contrazioni, quelle che vengono dopo, se non sopraggiunge troppo presto la fatica, si rassomiglieranno molto più fra di loro che non rassomiglino alle prime. Certo qui si tratta di fenomeni complessi. Il muscolo che lavora modifica rapidamente la sua eccitabilità. Sembra strano di ammettere che nel muscolo che incomincia a lavorare, dopo un lungo riposo, si produca subito una manifestazione di fatica obbedendo ad una eccitazione nervosa troppo forte; e che questa fatica perduri, mentre che le contrazioni aumentano di altezza, ma io non vedo altra interpretazione che sia più logica.

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Chiunque abbia fatto un’ ascensione sopra una montagna si sarà accorto che l'ultima parte della salita per toccare la vetta, costa uno sforzo assai maggiore che non abbiano costato altri passi più difficili, quando si era meno stanchi. Il nostro corpo non è fatto come una locomotiva che consuma la stessa quantità di carbone per ogni chilogrammetro di lavoro. In noi, quando il corpo è stanco, una quantità anche piccola di lavoro meccanico produce degli effetti disastrosi. La ragione l'ho già accennata nel precedente capitolo, ed è che le prime contrazioni, il muscolo le fa consumando sostanze differenti da quelle che consumerà in ultimo quando è stanco. Per servirmi di un esempio dirò che anche per il digiuno nel primo giorno si consumano dei materiali che abbiamo nel corpo, i quali sono diversi da quelli che spremeremo per così dire dai nostri tessuti negli ultimi giorni della inanizione. Ho detto che il nostro corpo risente un danno maggiore per il lavoro che fa quando è già stanco. Una delle ragioni di questo fatto è che un muscolo avendo consumata nel lavoro normale tutta l'energia della quale poteva disporre, si trova obbligato per un soprappiù di lavoro ad intaccare per così dire, altre provvigioni di forza che teneva in riserbo; ed a far questo occorre che il sistema nervoso lo aiuti con una maggiore intensità dell'azione nervosa. Ma quantunque lo sforzo nervoso sia più cospicuo, il muscolo stanco si contrae debolmente. Quando solleviamo un peso vi sono due parti che si affaticano: l'una è centrale, puramente nervosa, cioè la parte impulsiva della volontà, l'altra è periferica, ed è il lavoro chimico che si trasforma in lavoro meccanico dentro alle fibre muscolari. Kronecker aveva già detto che il peso non stanca ma che l'eccitamento stanca. Ho voluto provare se questa legge trovata nelle rane è pure vera per l'uomo. Adattai all' ergografo una vite, V (fig. 5. capitolo IV). Girando questa vite che passa dall'altra parte del montante I fra le due sbarre d' acciaio, nelle quail si move il corsoio N, si dà al peso un punto di appoggio più vicino alla mano: e il dito medio viene esonerato dal peso nel principio della sua contrazione. Se mentre il muscolo si contrae per fare un tracciato della fatica, noi giriamo avanti la vite V dell' ergografo, possiamo far sì che il dito lavorando, prenda il peso ad altezze successivamente minori. Scaricandolo a questo modo del peso, vediamo che nel principio quando il muscolo è riposato non si accorge della differenza. Il muscolo pare dunque indifferente al peso che solleva quando è nella pienezza delle sue forze. Una volta dato l'ordine al muscolo di contrarsi, questo produce il massimo del suo raccorciamento sia che il peso debba sollevarlo per tutta la contrazione, o solo durante una parte della medesima. In questa prima parte delle mie esperienze venne confermato quanto Kronecker aveva osservato nelle rane. Quando l' energia del muscolo è diminuita per effetto della fatica, il muscolo sente un beneficio se lo si scarica, dandogli un appoggio che lo liberi da una parte del peso. Chi dopo essersi affaticato solleva con stento 50 chilogrammi, troverà che uno di più è troppo pesante. Ma se non è stanco e ne solleva 80 o 100, uno o due di più oltre il cinquantesimo passano inavvertiti. Avremo occasione di esaminare meglio questo fatto, intanto possiamo, da quanto ho detto, paragonare i movimenti alle sensazioni. Vediamo ripetersi qui ciò che tutti abbiamo provato in un concerto, dove non ci accorgiamo se nell'orchestra vi sono 35 o 40 violini. Entrando in una sala sfarzosamente illuminata, non ci accorgiamo se le candele accese solo 90 o 100, ma quando non vi sono più che due candele accese, o due violini che suonano, ci accorgiamo subito se uno cessa di suonare o l'altra di splendere. Così noi intravediamo una prima legge della fatica e delle sensazioni, che cioè l'intensita loro non è del tutto proporzionale all'intensità della causa esteriore che le provoca.

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Nelle fabbriche, negli opifici, le macchine diventano sempre più poderose, e gli organi dei vari congegni prendono dimensioni sempre maggiori, va crescendo la velocità del loro moto e la produttività del loro esercizio; e per quanto abbiano già superato quel limite che poteva prima immaginarsi, continuano a crescere ancora. Le mazze più pesanti che si fossero adoperate fin dal principio del secolo, sono quelle che anche oggi battono sopra l'incudine dei fabbri, e il maglio di ferro attaccato al lungo manico pesa circa dieci chilogrammi. Solamente in qualche fucina si vedevano mossi dall' acqua dei magli di 5000 chilogrammi. Adesso nelle fucine di Terni un martello pesa centomila chilogrammi, ed ogni suo colpo corrisponde alla forza di diecimila uomini; ma esso cade dall'altezza di cinque metri, mentre che la mazza del fabbro cade appena dall' altezza di un metro e mezzo; di quello ogni colpo produce il lavoro di 500,000 chilogrammetri. Un uomo lavorando tutto il giorno nel sollevare un peso, produce colle due mani 73,000 chilogrammetri. Il martello di Terni produce dunque per ogni colpo più lavoro che in una giornata produrrebbero sei operai. Ma il martello che è mosso dal vapore supera in rapidità di colpi le braccia dell'uomo, perchè può fare anche 100 colpi al minuto, e se pensiamo che non si affatica e che lavora la notte, impassibile fino a che dura il carbone che lo alimenta, noi rimaniamo sbalorditi della potenza di queste macchine. Non solo nella forza e nella velocità, ma anche nella destrezza per i piccoli lavori, la macchina fece incredibili progressi. Un uomo può a macchina fare in un giorno tante calze, quante ne fa la migliore calzettaia in un mese; e le macchine a cucire fanno 1200 a 1500 punti al minuto, mentre un' abile cucitrice ne fa solo 50. È una impressione che sbalordisce quella che si prova visitando per la prima volta una grande officina. Da lontano l' aspetto uniforme del caseggiato, e il profilo monotono degli enormi camini, non lascia sospettare che sotto quelle mura annerite vi sia una attività così grande. Appena entrati ci sorprende lo sfoggio smisurato della forza. I forni che sfavillano in mezzo al fumo, le braccia gigantesche degli stantuffi che funzionano,la corsa vertiginosa dei volanti, la trasmissione della forza per mezzo degli assi e delle corregge e delle corde d'acciaio, i cilindri e le ruote che frullano, il frastuono dei congegni e delle leve che scattano, e tutti quegli scheletri fantastici di macchine, che sembrano vivi e si snodano e si fermano e rispondono obbedienti all'uomo, ci riempiono di ammirazione per l'industria moderna. Si comprende però subito che quelle macchine non sono fatte per alleggerire la fatica dell'uomo, come avevano sognato i poeti. La velocità con cui volano le ruote, il rullare dei martelli e la furia con cui tutto cammina, ci dicono che il tempo entra come un fattore prezioso nel movimento dell'industria, e che là dentro l' attività degli operai deve vincere le forze della natura. E dinanzi a quelle macchine che ruggiscono, si vedono degli uomini seminudi, grondanti di sudore, che seguono frettolosi dei pesi enormi, i quali girano intorno come se una mano misteriosa li sollevasse. Il sibilo del vapore, il cigolare delle carrucole, l'agitarsi delle articolazioni, il modo con cui sbuffano quegli automi giganti, ci avvertono che essi procedono inesorabili nel loro moto, che l'uomo è condannato a seguirli, che non vi è più riposo per lui, perchè ogni minuto di svago consuma il tempo che vale danaro, perchè annienta l'alimentazione e il moto di quei colossi. Ogni distrazione, ogni svista può trascinare quegli operai negli ingranaggi, fra i denti delle ruote che li stritolano; e l' immaginazione ricorre paurosa alle mutilazioni, agli omicidi che quei mostri fanno intorno per ogni piccola imprevidenza, per ogni esitazione di chi li governa.

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Ma non sarà mai che si trovi un organamento della società, nel quale gli uomini non abbiano a faticare, nel quale non si distinguano quelli che lavorano colle braccia da quelli che lavorano col cervello. Gli uomini sono già, nascendo, fisiologicamente diversi. Per quanto si risalga in alto nella leggenda e nella storia si trovano gli uomini che per vivere faticano, e gli uomini che per accrescersi il godimento della vita fanno faticare. Anche se una legge ci mettesse tutti nella medesima condizione, sarebbe presto infranta: perchè la legge non potrebbe mai vincere la natura; e gli uomini si dividerebbero subito secondo le attitudini particolari che hanno avuto nascendo. È una legge della natura che i deboli obbediscano ai forti, e i più forti siano guidati da coloro che sono più abili e più astuti. Chi nasce con più ingegno, e squisitezza di senso, sarà sempre colui che comanda: perchè l'oculatezza, la perseveranza, la prudenza, la temperanza, l'attitudine ad adattarsi e la svegliatezza della mente, non sono doni che la natura regali a tutti gli uomini, e chi nasce con essi saprà farsi obbedire. La scomparsa delle differenze sociali è sfortunatamente un sogno, più assai che non sia la fratellanza universale dei popoli. Però in mezzo all'agitazione che va crescendo, e che alcuni vorrebbero affrettare verso la rivoluzione sociale, bisogna ammettere che il benessere del proletario è cresciuto da per tutto, o che almeno in nessuna parte è peggiorato. In questo secolo la popolazione si è raddoppiata nell'EuropaNel 1810 la popolazione dell'Europa era calcolata a 180 milioni, nel 1886 a 347 milioni., e la vita dell'uomo è divenuta più lunga. Per il vitto, per l'istruzione e l' igiene, da per tutto è progresso. Il timore che aveva l'operaio che gli mancassero i mezzi di sussistenza, perchè le macchine lo avrebbero sostituito, non si è verificato. La richiesta del lavoro invece di scemare è cresciuta. E la macchina ha messo alla portata del popolo gran parte di ciò che prima era riservato al ricco. Le pretese maggiori che ora accampano gli operai, nascono da ciò: che essi hanno un ideale più elevato della loro esistenza, e che la civiltà ha loro creato dei bisogni, che prima ad essi erano affatto sconosciuti. Tutto oggi nobilita la fatica. La civiltà crescendo, crebbe il desiderio del lavoro, come il mezzo di soddisfare ai cresciuti bisogni, e mitigare le ingiustizie e la disparità della fortuna. Il mondo antico poggiava sulla schiavitù del lavoro, e nessuno dei grandi pensatori della Grecia e di Roma, si oppose mai a quella; perchè la fatica materiale dell' uomo era messa alla pari di quella delle bestie, e lo schiavo non era un cittadino, ma una cosa. Fu il cristianesimo che proclamò l' eguaglianza degli uomini, e ci fece intravvedere per la prima volta la comunanza dei beni. A mano a mano che crebbe il progresso civile, gli uomini si andarono uguagliando sempre più, fino a che la nobiltà ed i privilegi sono caduti. Ma l'umanità non si arresta nei suoi progressi, ed oggi siamo travagliati dal problema grave e pauroso di un' eguaglianza più radicale. Questa è la grande difficoltà, della quale si preoccupano tutti coloro cui stanno a cuore la libertà ,e la dignità umana. E non è più una questione di partito, non è più un' agitazione che si faccia con intenti sovversivi; è una convinzione profonda, è un sentimento sacro di moralità, che ci spinge a studiare i mezzi, perchè la proprietà si divida senza fare violenza, senza spargere il sangue, perchè chi dà il lavoro lo conceda in virtù di leggi umane, perchè chi lo riceve non diventi uno schiavo, perchè la razza umana non degeneri sotto l'usura della fatica.

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I colombi viaggiatori pare che abbiano una certa avversione per le Alpi. In alcuni viaggi fatti da Torino verso il Belgio furono così notevoli le perdite dei colombi, che si crede siansi smarriti nelle gole delle Alpi, e che siano stati preda degli uccelli rapaci, o che, girando le Alpi fino presso il mare, per la valle del Rodano, possano essere ritornati nel Belgio. Abbiamo detto pare che essi abbiano avversione alle Alpi, perchè in realtà sul Cenisio e a Fenestrelle abbiamo delle stazioni militari di colombi viaggiatori, e dalle informazioni pubblicate dal capitano Malagoli non risulta che le perdite di essi, nei loro viaggi, siano maggiori di quelle che sogliono essere per i colombi del piano.

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In leggero grado questi sogni ad occhi aperti credo che li abbiano provati tutti coloro che sono un po' nervosi e che hanno più che tanto affaticato il cervello. Più specialmente la sera, ma anche di giorno, quando siamo stanchi, mentre si legge, la mente comincia a distrarsi, e si vedono comparire delle immagini. Appena l'attenzione si ridesta le immagini scompaiono, ma lasciano una memoria del loro passaggio, e poi per un certo tempo ci lasciano ripigliare il lavoro. Sopravviene una nuova distrazione, e quella stessa figura od un' altra ricompare di nuovo, e la si vede distintamente; di rado è una persona nota od un paese veduto. Ma questo succede mentre siamo convinti che non dormiamo. Il mattino quando siamo freschi e riposati, è difficile che si presentino tali immagini. Un valente scrittore drammatico mi raccontava che quando egli scrive deve chiudersi nello studio, perchè egli è obbligato a far parlare continuamente ad alta voce i suoi personaggi. Egli li riceve come sul palcoscenico , stringe loro la mano, offre loro una seggiola, li segue in ogni piccolo gesto, e piange e ride con loro come se l'azione fosse vera. La voce dei suoi attori egli la sente sempre quando scrive, ma debole e fioca. Se questa poi la sente più forte e sonora, egli smette subito di scrivere, e va a passeggiare. Questo è uno dei sintomi che l'avvertono di essere stanco, ed egli lo conosce per lunga esperienza e sa che se non smettesse di lavorare a questo punto, non potrebbe più addormentarsi. Nel comporre uno dei suoi drammi, essendosi affaticato troppo, cadde in uno stato tale di orgasmo che egli sentiva non solo parlare i suoi attori quando li evocava nel pensiero per scrivere e correggere le scene, ma alcuni di questi non volevano più tacere. Egli non si impensierì molto di questo fatto, tanto era persuaso che dipendeva solo dalla stanchezza, fece un piccolo viaggio e questa allucinazione scomparve completamente. Tutte le indagini che fece sulla fatica si aggirano sul raffronto della fatica muscolare con la fatica del cervello, e m' accadrà poi di dover parlare estesamente di questo argomento. Accennerò intanto alcuni fenomeni che mi occorre mettere in rilievo per uno primo schizzo della fatica intellettuale. La fatica, il digiuno, e tutte le cause debilitanti possono renderci più sensibili. Dopo una lunga marcia diventiamo più eccitabili. Le più piccole molestie ci si fanno insopportabili, ed acquistiamo una impressionabilità maggiore. Jolly trovò che nei malati i quali soffrono di allucinazioni dell'udito, si riscontra oltre quella del cervello una sensibilità maggiore (od una iperestesia, come si dice) del nervo auditivo. Questo esempio valga per dimostrare che l'aumeuto di eccitabilità si produce non solo nei centri nervosi, ma anche dentro i nervi che fanno comunicare il cervello col mondo esterno. Nei due o tre anni di preparazione che mi è costato questo libro, per raccogliere delle notizie e dei fatti, interrogavo spesso i miei colleghi ed amici sui fenomeni della fatica. Mi rivolgevo generalmente ai medici, e alle persone che credevo avessero potuto eccedere nel lavoro, ed avvertire meglio in loro stessi certi fatti. Ora mi avvenne che fra i miei conoscenti, quattro mi dissero che la fatica intellettuale li eccitava. La domanda che io faceva loro era generalmente questa: "come ti accorgi di essere stanco ?" Quattro dei miei amici mi risposero che insieme ad altri fenomeni, essi provavano una maggiore eccitazione all'amore. Questa risposta franca e spontanea mi fa credere che tale fenomeno sia assai più frequente di ciò che non paia a primo aspetto. La ragione di questo apparirà nel seguente capitolo, dove misurando la forza muscolare prima e dopo un lavoro intellettuale vedremo che si riscontrano delle grandi differenze. In molte persone vi è un periodo di eccitamento che precede la stanchezza, il quale dura lungo tempo prima che si manifesti l'esaurimento. In altri invece lo strapazzo intellettuale è accompagnato da una rapida depressione della forza, ed e in loro brevissimo il periodo di eccitazione. Di questi si può dire con sicurezza che un lavoro intenso del cervello produrrà una depressione nella attività degli organi che servono all'amore.

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Se mi bastasse il tempo io vorrei scrivere un libro col titolo: Genio e fatica. lo non dico che il genio sia la pazienza, e nessuno, molto meno un fisiologo, può ammettere che i genii abbiano potuto semplicemente colla volontà e la perseveranza essere quello che furono, dico solo che la fatica è la base della creazione nelle scienze e nelle arti. Vi sono veramente degli uomini privilegiati. Come si conoscono dei prodigi di memoria, così vi sono degli ingegni di una fecondità meravigliosa: ma se guardiamo più da vicino questi ingegni, e li studiamo nella natura loro, possiamo persuaderci che essi pure non sono esenti dalla dura legge della fatica. Il processo del loro ingegno, il meccanismo della loro immaginazione, il fondo delle loro attività, è sempre il medesimo. Solo che opera con una prodigiosa rapidità e sicurezza e novità di risultati; per cui questi uomini stanno più in alto di tutti, e a chi li contempla di sotto, sembra che la loro altezza sia inarrivabile, e che un miracolo li abbia spinti fin lassù. Neppure Raffaello aveva, se così è lecito esprimersi, il dono soprannaturale del genio, che trova nella immaginazione la forma sublime del bello e lavora seguendo ciò che gli detta la voce arcana della coscienza. Questo tesoro della inspirazione non credo che la natura abbia concesso ad alcuno. Anche per Raffaello la fatica in la base della fama immortale, e lo disse prima di tutti Michelangelo che certo fu giudice competente: Raffaello non ebbe quest'arte da natura ma per lungo studio.CONDIVI, Vita di Michelangelo Buonarroti, pag. 82, I pregiudizii che corrono intorno alla forza del genio sono molti, e dipendono in grande parte dall'amore che abbiamo noi del meraviglioso e dal desiderio che hanno il maggior numero degli uomini celebri di nascondere la loro fatica, per parere dappiù di quello che sono. Alcuni errori biografici sono veramente singolari, come l'esempio celebre del pomo di Newton che veduto cadere, inspirò al grande filosofo l'idea della gravitazione universale. Ora Newton, come Galileo, come Darwin, fu precisainente uno dei pensatori più infaticabili. "Non perdo mai di vista il mio soggetto, diceva lui, aspetto che i primi albori aumentando a poco a poco, diventino una piena luce raggiante ". Un solo uomo mi parve un tempo facesse eccezione a questa regola, il Göthe: per la sterminata vastità del suo ingegno, e l'altezza della sua mente. Avevo letto la sua autobiografia, le sue lettere, la vita interessantissima che ne scrisse il Lewes, e non perchè il Lewes sia un fisiologo, ma, perchè è ammesso da tutti, devo dire che anche a me parve essere la migliore. Ma per quanti studi biografici io abbia letti intorno a Göthe, mi parve sempre più che fosse un uomo cui il lavoro non dovesse aver costato fatica. Più che tutto me lo faceva credere ciò che Schiller disse di lui con queste parole: "mentre noi altri dobbiamo raccogliere e provare tutto con fatica per produrre lentamente qualche cosa di tollerabile, egli non ha bisogno che di scuotere leggermente l'albero per far cadere i suoi bellissimi frutti maturi e pesanti " Während wir Andern mühselig sammeln und prüfen müssen, um etwas Leidliches langsam hervorzubringen, darf er nur leis an dem Bäume schütteln, um sich die schönsten Früchte, reif and schwer, zufallen zu lassen. - 21 Juli 1797. Ma però ebbi più tardi a ricredermi, quando nell'opera Zur Farbenlehre del Göthe, lessi nell'ultimo volume, questa, sua confessione: "I miei contemporanei fino dal primo apparire dei miei tentativi poetici si mostrarono abbastanza benevoli verso di me, o per lo meno riconobbero che io aveva talento poetico ed inclinazione. Eppure i miei rapporti coll' arte della poesia, erano meravigliosamente strani e del tutto pratici, in quanto che io, un soggetto che mi colpisse, un modello che mi eccitasse, un processo che mi attirasse, lo portavo così lungamente nell'interno del mio sentimento, fino a che ne risultasse qualche cosa che potesse considerarsi come un mio prodotto, e dopo che per anni lo avevo formato silenziosamente; finalmente tutto d’un tratto, e quasi istintivamente come se fosse maturo, lo mettevo sulla carta ".Opera citata, tag. 277. Flaubert lavorava quattordici ore al giorno, e tutti sanno che in questo scrittore la ricerca della perfezione dello stile era divenuta una malattia. Di lui si raccontano tanti aneddoti; fra gli altri che si alzava la notte per correggere una parola; che rimaneva immobile per delle ore colle mani nei capelli, chino sopra di un aggettivo. Lo stile lo tiranneggiava, era una passione per lui l'affaticarsi cercando insaziabile la legge misteriosa di una bella frase, e finalmente questa disperazione dell'anima finì per diventargli un ostacolo insuperabile al lavoro. Nella vita del Flaubert vi sono alcuni lati originali che interessano il fisiologo. Flaubert disse penser c'est parler e nessun altro scrittore forse lo ha superato nello studio dei rapporti fra il pensiero e la parola. Egli provava il ritmo dei suoi periodi sul registro della propria voce. Una frase cattiva, diceva, è un peso al torace e si trova fuori delle condizioni della vita se non va d' accordo colla fisiologia del linguaggio, se armoniosamente non si puo recitare ad alta voce .Journal des Goncourt, pag. 277. Stricker ha fatto degli studi fisiologici intorno a questo argomento, e dimostrò che mentre pensiamo ad una parola la pronunciamo silenziosamente e che possiamo sentire i movimenti della laringe, come se parlassimo senza dar suono alle parole. Tutti abbiamo visto le mille volte nella strada, delle persone che parlano ad alta voce, e passando loro vicino si chetano , e quando abbiamo fatto pochi passi innanzi riprendono a parlare. La presenza nostra li distrasse dal loro pensiero, e poscia subito vi ritornarono involontariamente e ricominciarono a parlare. Del legame indissolubile che unisce il pensiero colla parola, offrono begli esempi le biografie dei grandi scrittori, quelli specialmente che lasciarono nelle opere loro un'impronta più evidente delle forti passioni che agitavano il loro animo. Alfieri ritornato a venti anni dall'Olanda, col cuore pieno traboccante di malinconia e di amore, sentì la necessità di applicare la sua mente a qualche forte studio. Si mise a leggere Plutarco."Le vite di quei grandi, egli dice, sino a quattro e cinque volte le rilessi con un tale trasporto di grida, di pianti e di furori pur anche, che chi fosse stato a sentirmi nella camera vicina mi avrebbe certamente tenuto per impazzato ".Vita di Vittorio Alfieri, Capitolo VII. Balzava in piedi agitatissimo e fuori di sè, e lagrime di dolore e di rabbia gli scaturivano dagli occhi. Balzac Onorato, il celebre romanziere, che ebbe una tale fecondità, da non essere paragonabile che alla maravigliosa vivacità della sua, fantasia, produsse tanti libri, che non si crederebbe essergli potuto avanzare il tempo per correggerli tutti. Pure c' è qualche cosa in lui che fa stupire più della sua facilità ed è appunto la faticosa ed improba difficoltà del suo modo di lavorare. Ecco come egli componeva i suoi libri: meditava a lungo il suo argomento, poi ne buttava giù un abbozzo informe in poche pagine. Quest' abbozzo mandava alla stamperia; di là gli rimandavano in larghi fogli le prime bozze di stampa. Egli riempiva queste bozze di aggiunte e di correzioni per tutti i versi, cosicchè tali correzioni parevano un fuoco d'artificio venuto fuori da quel primo suo getto. Si rifacevano le bozze, e già nelle seconde era scomparso tutto il testo delle prime: egli lo rimaneggiava ancora, lo modificava, lo mutava instancabilmente e profondamente. Alcuni romanzi furono tirati sulla dodicesima prova di stampa, altri toccarono la ventesima. I compositori si disperavano quando avevano che fare con un suo manoscritto; gli editori si rifiutavano di sopportare le spese delle sue giunte e correzioni.

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Quanto maggiori saranno le cure perchè vivano tranquilli, perchè abbiano le qualità dei cibi che possono meglio desiderare, e trovino nella colombaia tutti gli agi e i piaceri di cui hanno voglia, tanto più ritorneranno facilmente alla loro abitazione quando verranno lanciati lontano. L'istinto che li guida è una specie di nostalgia, e la sicurezza che in nessun luogo potranno star così bene quanto a casa loro. Per farli uscire la prima volta dalla colombaia si aspetta una giornata piovigginosa, oppure si apre la finestra verso sera e si obbligano i piccioni ad uscire sul davanzale o sui tetti vicini. In questa prima ucita sono timidi, e guardano intorno con diffidenza. Allungano il collo e sembrano studiare il luogo circostante. Alcuni si lanciano timorosamente sul tetto delle case vicine, ma presto rienrano nella loro soffitta. Basta ripetere questo tentativo un'altra volta, e si troverà subito che qualche piccione più intelligente si libra nel'aria e fa dei gran giri, come un fanciullo che ha bisogno di correre e di giocare. Per addestrarli a conoscere la loro casa di lontano, feci portare i miei in un paniere chiuso, nel mezzo di una piazza, un chilometro distante dal laboratorio. I colombi liberi si sollevarono in alto, fecero un giro per l'aria e poi si diressero spediti verso la loro casa. Un altro giorno li portammo a Moncalieri, poi ad Asti, poi ad Alessandria, e così poco per volta li abituammo a percorrere tutta l'Italia superiore fino a Bologna e ad Ancona. Avremmo potuto addestrarli a percorrere uno spazio anche maggiore, ma la distanza di cinquecento chilometri era più che sufficiente per i miei studi sulla fatica. Del resto non conviene portarli troppo lontano, perchè ad ogni lanciata se ne perdono molti per istrada. Nel primo anno i colombi si orientano male. Riferisco qualche esperienza che ho fatto. Il giorno 8 luglio 1890, col primo treno delle 5 antimeridiane, portammo in Asti dieci piccioni, nati in marzo e che avevano perciò quattro mesi. Questi colombi non avevano mai viaggiato e conoscevano solo il tetto della colombaia e le case vicine. La sera li avevamo macchiati di rosso sulle ali per riconoscerli da lontano, e macchiammo di azzurro dieci altri vecchi, che avevano già fatto il viaggio tra Bologna e Torino. Alle ore 7 precise si aprirono i due cesti nella stazione di Asti, che è distante circa 50 chilometri da Torino. Appena usciti dalla cesta, i colombi vecchi presero la direzione della città, che trovasi quasi ad angolo retto colla direzione di Torino. I piccioni giovani li seguirono, ma si vide subito che restavano indietro. Fecero un giro sopra la città e poi scomparvero. Dopo un'ora e 15 minuti erano già arrivati al laboratorio tre dei vecchi. Alle 9.20 i colombi addestrati erano già arrivati tutti. A mezzogiorno nessuno dei giovani era ancora giunto; solo all'1.10 ne arrivarono due insieme, e più tardi ne arrivò un terzo. Si vedeva che erano molto stanchi, perchè si posarono sul tetto stando appollaiati sulle gambe, mentre i vecchi che avevano fatto il medesimo viaggio erano vispi, tubavano e continuando a volare facevano grandi giri nell'aria. Sopra dieci dunque non tornarono a casa che tre soli di quei piccioni giovani; questo prova che l'istinto loro non giova molto, se non sono addestrati. E non poteva essere molto difficile per essi di orientarsi, purchè si lasciassero guidare dalla vista delle Alpi e della collina di Superga, le quali si scorgono da Asti. Mandai un altro giorno dieci piccioni, di quattro mesi, ad Alessandria, che dista 90 chilometri da Torino, e non ne ritornò neppure uno a casa; benchè anche da Alessandria si vedano bene le Alpi che fanno come un anfiteatro che chiude il Piemonte, e dove dev'esser facile il ritrovare una città come Torino. Nei piccioni adulti bisogna però ammettere che vi è un istinto di orientamento. Non è vero che i piccioni sappiano percorrere solamente le linee dove furono addestrati. Sono noti i casi di piccioni che comperati nel Belgio e portati in Italia e nella Spagna in canestri chiusi, riuscirono a fuggire dalle mani degli allevatori e ritornarono a casa. Nel 1886 da Londra venne fatta una lanciata di nove colombi portati dagli Stati Uniti d'America; tre riuscirono ad attraversare l'Oceano, e ritornarono a casa. I colombi militari che fanno servizio fra Roma e la Sardegna, attraversano il mare in cinque ore circa, ed è certo uno dei risultati più brillanti, da far rivaleggiare le nostre colombaie militari con quelle dell'estero. Merita, ammirazione il coraggio di questi animali che si lasciano andare così pieni di fiducia alla guida del loro istinto sulle onde sterminate del mare, di cui certo non vedono la fine. Da Roma non è possibile vedere la Sardegna, perchè la distanza che separa Monte Mario da Monte Limbara è di 299 chilometri. Per vedere questi due punti bisognerebbe elevarsi sulla sua verticale ancora di 1510 metri circa.Le distanze chilometriche e i dati che qui riferisco li ebbi dalla Direzione del R. Istituto geografico militare di Firenze. Ora è certo che il piccione non si alza più di 500 o 600 metri. Quando i piccioni militari si dirigono da Roma verso la Sardegna, si affidano all' istinto dell' orientamento perchè essi non vedono nulla dinanzi a loro, altro che acqua. La leggenda e la storia dei colombi sono piene di poesia. Le città di Babilonia e di Gerusalemme furono già celebri per i loro colombi. In Roma questo animale fu sacro a Venere; e persino nella religione di Cristo la colomba fu presa come simbolo mistico di amore. Il colombo che ha scelto una compagna, non l'abbandona più per tutta la vita. Si dà loro per le nozze un cesto di vimini che è fatto quasi come un elmo, od una grande pera, ed essi lì dentro, come in casa loro, incominciano l'idillio della vita che hanno descritto i poeti. Nel vederli in quei loro nidi mi venivano spesso alla mente i versi bellissimi di Petronio, che ho scritto sulla porta della colombaia militare del mio laboratorio:

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