Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

191993
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 6 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Chi pretende d'ingrassar polli senza guardare a spesa, vi riempie la mangiatoia di grano, acciocchè ne abbiano sempre a loro piacere. Ma questo è un errore contro l'economia, perchè mangiando sempre non si dà loro quel buon nutrimento per ingrassarsi a dovere, che ne deriva dalla regola, con che difficilmente giungono alla perfezione, od almeno di più rado e con maggiore spesa. Altri per maggior risparmio pretendono ingrassarli con sola crusca frammischiata anche con un poco di verdura cotta ; altri poi più discreti presentano a quelli ora grano, ora crusca, ma nessuna di queste maniere è confacente per avere un pollo grasso, saporito e buono. Si sa che la crusca, non essendo altro che la scorza del grano, non può somministrare un buon nutrimento, onde, costretto il pollo a cibarsi continuamente di essa senza poter mangiare di quegl'insetti, vermi e semi tanto da lui graditi, coll'aggiunta di più del tedio per la libertà perduta, per la privazione del sole e dell'aria libera, unitamente alla pena del carcere, è impossibile che il medesim possa farsi grasso. Che anzi, se si vuole osservare con rigore, si vedrà che sarà quel pollo stato migliore allorchè l'avete imprigionato che quando lo estraete per ammazzarlo. Finalmente la verdura cotta finisce col renderlo insipido. Il dargli poi alternativamente grano o crusca è un altro errore. Il grano lo ingrassa, la crusca lo purga, e non fa che scarso progresso in grassezza, oltre a che non riesce mai un pollo saporito. Non si accorda ai polli la crusca in capponaia, se non quando sono già grassi a perfezione, e che, per qualche circostanza, fa bisogno di lasciarli ancora dentro, senza che decrescano, allora si usi un poco di quella un giorno sì, l'altro no, un poco di verdure, od un poco di sabbia grossa, con che si manterranno nel medesimo stato per qualche tempo ; diversamente penserete di far l'economia e sarete ingannate. Per avere dunque polli grassissimi in poco tempo e con un buon terzo, per non dire la metà, di grano meno di quello che consumate ingrassandoli, come si pratica comunemente, tenete per sicurissima, ed osservate la seguente maniera, e con gran risparmio avrete pollame perfetto. All'inverno date loro da mangiare verso mezzo il mattino; ma avvertite che il grano sia in tanta quantità che non ne manchi, anzi che sempre ne avanzi, dovendone mangiare a sazietà ; quando più non mangeranno levate ad essi tutto il grano, il quale unito con altro fresco per formare la suddetta quantità presenterete loro di nuovo a mangiare nella sera successiva sia al chiaro di una lanterna alle quattro o cinque ore, e quando non mangeranno più levate intieramente tutto il grano, che non restituirete ad essi fino a mezza mattina del giorno vegnente, avvertendo, quando più non mangeranno, di sostituirvi subito acqua, e di lasciarvi il lume finchè abbiano bevuto a sazietà, perchè beveranno moltissimo. Acqua non se ne lasci mai mancare, tenendovela tutto il giorno. Mangiano in questa maniera con grande appetito, ed il cibo massimamente della sera, col dormirvi appresso, si cangia in ottimo nutrimento. In questa guisa s'ingrassano molto più presto e con minor quantità di grano tanto d'autunno che d'inverno e nella primavera cominciante. Nell'estate poi, sebbene le giornate siano più lunghe, il cibarli due volte, una circa le dieci, l'altra a vespero, basta a quei polli che sono di buon appetito ; ma poiché non tutti sono sempre eguali, si potrà dar loro da mangiare anche alle nove, quindi al dopopranzo, e finalmente sulla sera, ma sempre a sazietà e con acqua continua. Praticando questo metodo troverete che un cappone vi costerà caro in grano per otto o dieci giorni, e poi cessa dal mangiare a proporzione che s'ingrassa. Il pollame mangia con grande appetito per quattro o cinque giorni e nulla più. Per avere polli sempre pronti ed a perfezione conviene avere due capponaie, nelle quali siano distribuiti in guisa, che terminati quelli di una, sottentrino quelli dell'altra, avvertendo che quelle sieno larghe di quadrato, acciocchè stiano comodi e si possano girare, e distanti di gabbia dal pavimento , perché patiscono molto quando siano infecciati di escrementi al piede. Dopo tutto ciò bisogna avere la precauzione d'introdurvi dentro di notte i polli nuovi che si vorranno unir loro ; perchè facendo questa introduzione di giorno si corre rischio di vari pollicidi. Non fu mai trovato vantaggioso ingrassare i polli liberi in una stanza, come usano alcuni invece di capponaia; e ciò per le ragioni seguenti : I° ci vuole molto grano di più, perchè molto mangiano senza regola e senza ottenere un perfetto fine ; 2° si consuma un'altra parte di grano inutilmente, quella cioè che rimane attaccata agli escrementi; 3° avendo troppa latitudine, fanno maggior moto, e non s'ingrassano sì facilmente ; 4.° difficilmente si conoscono quelli che sono alla perfezione, se non facendoli passar tutti, onde avviene, che si lascierà uno grassissimo, che deteriora, e si ammazzerà un buono , od un mediocre , che potrebbe migliorare ancora. Il pollame, giunto all'estremo di grassezza, se non si uccide, smonta, nè torna più all'essere di prima, nè vi è altro mezzo per conservarlo grasso a lungo che quello di sopra, di dargli erba di tempo in tempo, ghiaia o crusca. Quando poi principiano i polli a dimagrirsi, lo fanno cosi in fretta, che pare vogliano intisichire. Conviene allora restituirli in libertà acciocchè si rimettano, mangiando sassi per la prima cosa, essendo la principale loro purga. Rimessi che siansi in vigore, ripongansi nella capponaia dove s'ingrasseranno di nuovo a mezza grossezza circa ma non di più, ed allora ammazzandoli troveransi polli incomparabilmente migliori di quelli ingrassati a tutta perfezione una volta sola, come dimostrò più volte l'esperienza , acquistando essi un sapore molto migliore, maggior tenerezza e delicatezza, con una umidità nella carne, che dà la maggior soddisfazione. Per conoscere poi quali sieno i polli più grassi della capponaia , all'occorrenza che si vogliano uccidere , senza spaventarli col tirarli fuori tutti, si osservano quando mangiano, perchè allora i perfetti sembra che prendano il grano per ischerzo, e col becco lo fanno saltar via. Quelli, senza cercar altro, sono grassissimi, e senza dubitarne si ammazzino. Niun pollo, in capponaia che sia, cresce più nè fa carne, ma solamente ingrassa ; ai pollastri però cresce la cresta : quindi si osserveranno talora polli scarnati, ciò non ostante grassi, lo che dà l'avvertimento, che prima d'imprigionarli conviene che sieno già bene in carne e ben pasciuti di fuori. Spesso si osservano nelle capponaie non solamente polli come mummie, ma anche altri che sembrano etici affatto e destituiti di forze, con la cresta impassita o nericcia, senza che mai si possano rimettere, anzi peggiorano continuamente, e molti di essi terminano di vivere con danno del padrone, il quale non può più approfittarsene. Da uno dei tre casi ciò dipende : o che per iscarsezza d'acqua sia loro sopraggiunte la pipita, o perchè abbiano mangiato troppo di cose difficili alla digestione, come granelli di uva , ghiande di roveri rotte e simili; ma il più delle volte ciò avviene in quei polli straziati nei viaggi e condotti da un mercato all'altro, ed anche a casa da lontano. Se nel primo caso conviene levare la pipita secca destramente con uno spillo, alzandola un poco per volta lateralmente alla lingua, e non mai nel mezzo, perchè molte volte quella si rompe ; e dato loro alcune briciole di burro fresco per lenire il dolore, si rimettano in libertà, finchè sieno restituiti in carne ; se non si toglie loro la pipita muoiono. Se nel secondo, conviene affatto farli digiunare, finchè abbiano smaltita la durezza, facendo anche loro inghiottire un sorso d'olio d'oliva od un poco di burro, dando loro poi successivamente da mangiare scarso miglio, e rimettendoli anch'essi in libertà. Per evitare l'ultimo inconveniente, quello appunto che più sovente accade, quando vi arrivi una condotta di pollame straziato e magro, il quale è sempre assetato, bisogna prima dar loro dell'acqua e poi metterlo in libertà in luogo aperto dove vi sia grano e crusca, nel qual frattempo osserverete che per lo più, lasciato quello e questa, andranno in cerca di sassolini, dei quali ne mangeranno moltissimi, e poi mangeranno dell'erba, con che si purgano dei patiti disastri : che se vorrete perfezione di carne e grassa in polli di questa sorte, li dovete per lo meno lasciare in libertà per quindici giorni pasciuti ad erba e crusca, e meglio a grano, acciocchè si rinvigoriscano bene ; altrimenti difficilmente avrete polli senza eccezione. Il pollame, passato l'inverno, essendo in luogo dove possa spaziarsi, massimamente se prativo, nulla costa, procurandosi da se stesso cogl'insetti, vermi, semi ed erba sufficiente vitto, che se date loro anche un poco di crusca, stanno benissimo. Della custodia si incaricano i fattori o i contadini. A chi ha questa comodità conviene tenere il pollame ; a chi lo deve da principio pascere a grano assolutamente non conviene, venendo ogni pollo in tanto grano a costare il triplo ; onde meglio sarà vendere il grano, col ricavo del quale si comprerà il doppio e più di pollame già grasso. Alcuni poi sono tutti intenti a dare ai polli da mangiare, ma non si dànno nessuna briga di dare ad essi da bere, quandochè è più necessaria l'acqua che il cibo. Un pollo in libertà che sia, morirà bensì dalla sete, ma non morirà mai dalla fame. Nell'inverno si può pascere il pollame senza spesa prima di ritirarlo in capponaia, anche con granelli delle vinaccie, ma non in troppa quantità, perchè sono difficili alla digestione, e qualche pollo stenta a digerirli. Ai pollastrelli però troppo piccoli non si convengono, non avendo forza sufficiente. Usano alcuni di dar loro questi granelli anche dopo che sono imprigionati, ma poco riescono. I galli d'India però, ossia polli d' India, ne sonoghiottissimi; ad essi faranno bene in ogni tempo, ma moltpo più il formento saraceno, chiamato formentonetto: per ingrassarli poi meglio, e renderli di buon sapore, si sforzino a mangiare con far la polenta di grano turco, che si riduce in pillole bislunghe della grossezza di circa un dito, che bagnate prima nell'acqua, si mandano loro in gola con un dito in discreta quantità mattina e sera, rimettendoli dopo nella capponaia.

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Per coltivare la camelia nel canestro dovrete aver cura di scegliere quelle che sieno cariche di gemme, che abbiano già raggiunta la metà del loro volume. Talvolta le gemme sono molte, le une presso alle altre, e perfino due o tre in un fascio. Staccate quelle che sono superflue, tagliandole orizzontalmente con un temperino, evitate le scosse, e sopratutto non toccate il peduncolo. Guardatevi inoltre di non bagnare le camelie con acqua soverchiamente fredda ; e se la loro vegetazione non apparisse vigorosa, concimate con un po' d'acqua grassa, lavate ed asciugate le foglie davanti e sul dorso, e la camelia riuscirà nel canestro come in piena terra. Il canestro per la coltivazione delle piante bulbose negli appartamenti è assai semplice ; se ne forma la base con un paniere di zinco o di latta, si provvedono quindi alcuni pezzi di tubo poroso, se ne scava la parte interna fino a che essa abbia conveniente dimensione. Si collocano in essa i bulbi cinti di musco e si innaffiano. E per dare all'apparato un aspetto agreste si può aggiungervi una qualche pianta parietaria. Con tali cure il vostro canestro vi offrirà tale vaghezza di fiori, quale vi appresterebbe il giardiniere più perito.

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Però sono da lasciare que' giocattoli che presentano estremità acuminate, od angolari, superficie scabra ; o che sono fatti con materie facili a sciogliersi, peggio poi se abbiano qualche azione venefica o medicinale, siccome avviene di parecchie sostanze adoperate per colorire alcuna specie di confetti. Non è raro il caso che si veda qualche bambino avido di calcinacci, della terra, del carbone, e quando lo può, ne colga a pizzichi e l'inghiottisca. Questo mal vezzo trae per lo più origine da qualche malore ond'è travagliato il bambino. Perciò non basterà che la mamma o la sorella sorvegli attenta, perchè il meschino non torni alla funesta voglia ; ma dovrà ricorrere al medico, il quale amoroso e paziente indagherà la causa di questo sconcio e vi porrà riparo. Se non che ponendo pure in opera le più sollecite cure, è impossibile il sempre antivenire le malattie: delle quali son molte e spesso segrete le cause. Onde importa assai che le madri e le nutrici non cessino di osservare anco i minuti sintomi, pei quali si manifesta qualche infermità nei bambini. Così la diminuzione dell'appetito, l'insonnia, o l'inusata sonnolenza, il singhiozzo, il vomito, la tosse, lo sternuto, la troppa frequenza delle evacuazioni, ecc., debbono porre in avvertenza più sollecita per la salute del bambino. Un errore molto diffuso fra la plebe si è il credere che la vivezza del colorito, le paffute guancie, l'occhio ceruleo, la pelle bianca, la capigliatura bionda siano nei bambini altrettant segni di robustezza e di sanità. Il fatto prova quasi constantemente il contrario, perocché quella delicata avvenenza troppo spesso svanisce per cagione di varie infermità che si palesano. Un malore che di frequente molesta i bambini, è il lattime o crosta lattea : che incomincia a manifestarsi per via di alcune pustolette, sulle guancie specialmente. Queste, più o meno rilevate, estese e ripiene d'un umore chiaro e viscido, si rompono in breve e ricopronsi d'una crosta, la quale poco a poco dilatandosi può ben presto invadere larga parte del tenero corpicciuolo, e può produrre enfiagioni alle glandole del collo e protendersi tormentosamente agli occhi. In tal caso la mamma prudente anzichè sollecitare la guarigione del bimbo infermo per mezzo di unguenti o di bagni o d'altri rimedi locali, ricorre col consiglio del medico a medicamenti depuratorii, p. es. al siroppo di salsapariglia, al decotto di dulcamara, e cose simili che sono facili a procacciarsi. L'afta o afte, cioè un'ulceretta biancastra superficiale, la quale viene in bocca, accompagnata da un calore abbruciante, tormenta non di rado i bambini. E la sbagliano quelle madri che credono di guarire sempre questa malattia, facendo uso di liquidi astringenti e purgativi della bocca, perocchè molte volte l'afte è un segno tardo di malattie interne. Onde la mamma assennata appena s'avvede di qualche difficoltà nel poppare, di salivazione smodata nel bimbo suo e quindi qualche segno d'afta, si studia di tenergli pulita e spesso rinfrescata la bocca, e intanto ricorre ai consigli del medico. Malattie ancor più pericolose per i bambini sono la rosolia, la scarlattina e il vaiuolo. Dalle quali tanto più si vuole stare in guardia, poiché è difficilissimo che da un bimbo non si propaghino a quegli altri che non ancora precedentemente affetti, si trovino a contatto più o meno diretto. Però quando alcuno di cotali morbi si manifestasse in una casa, converrebbe anzi tutto allontanare i fanciulli sani. Riguardo a' rimedi poi è di usarne pochi e semplici; importa assai che per mezzo di bevande adatte si mantenga il piccolo infermo in un moderato e continuo sudore. A tal uopo ferve egregiamente l'infuso o la scottatura di tiglio o di papavero o di violetta, addolcita con un po' di siroppo di gomma , o d'ipecaquana, finchè non s'è inteso il medico. Avverti che la rosolìa è preceduta da starnuti , da lagrimazione con leggiera febbre ; e si manifesta poi in moltissime papille rosse per tutto il corpo. La scarlattina invece è preceduta da mal di gola, da tosse asciutta con febbre , e si spiega quindi in una tinta scarlatta onde si ricopre tutta la pelle. Più spaventosa assai è la malattia del vaiuolo, che ne' tempi addietro ha troncata la vita a tanti bambini e a tanti adulti, e che ai fortunati superstiti lasciò tristo ricordo con indelebili e deformi cicatrici, con parziale o totale cecità. Queste terribili conseguenze vennero in massima parte menomate, mercè la vaccinazione. E però, poichè l'arte medica giunse a scoprire un sicuro rimedio a sì grave malattia, è obbligo di ogni madre valersene a prò de' suoi figli, assoggettandoli una o più volte all'innesto del vaccino, contro la cui innegabile utilità cadono i pregiudizi, le diffidenze e le scipite accuse del volgo. Un periodo pericoloso della vita dei bambini si è quello della prima dentizione: durante il quale corre la salute loro mille rischi. Nè a superare questi riesce sempre di per sé la madre amorosa e prudente. Perocchè succedono nei bimbi infermi tali fenomeni da porre talvolta in impiccio la mente esperta del medico. Pertanto se lo spuntare dei primi denti, oltre il calore straordinario della bocca e la diarrea, cui si rimedia coll'apprestare al bimbo un po'di siroppo di tamarindo e di gomma, sarà segnalato da altri indizi di infermità, prudenza vuole che se ne affidi la cura al medico. Molte sono le madri, che si mostran troppo corrive a giudicare come effetti di vermi le frequenti infermità dei bambini. Nulladimeno succede non di rado che i meschinelli ne siano tribolati : e si può trarne indizio dalle pupille dilatate e smorte che si osservano in essi; dal fetore del fiato loro, dalle doglie di ventre onde si lagnano. Rimedio abbastanza pronto si è il seme santo, dato in dose proporzionata, e poi una piccola porzione d'olio di ricino. Più efficace e potente riesce il calomelano, che vuol essere ordinato dal medico e con molta discrezione. In non pochi casi basta una decozione di corallina o di qualche altra pianta come la genziana, la ruta. Sempre poi che un bimbo vagisca e strida per dolori di ventre, si può ricorrere ad impiastri emollienti e calmanti , oppure a qualche clistere di decotto di malva, aggiuntavi a bollire una testa di papavero. Di altre e altre malattie che assalgono e attristano la vita nostra fino da' suoi primordi , si potrebbe parlare, ma sarebbe fuor di proposito. Quindi basterà il raccomandare altamente alle madri e alle nutrici che pongano la più solerte cura a prevenire colla giusta igiene le malattie dei bambini; e che si studino colla vigilanza più attAnta a ripararvi tosto , facendo senza alcun riserbo ricorso all'arte medica. Utile consiglio alle madri di famiglia si è pure il provvedersi annualmente di certe erbe, di qualche fiore che la provvida natura appresta in ogni parte a servigio dell'uomo. Questi fiori é queste erbe medicinali si fanno seccare all'ombra e si ripongono poi in vasi ben chiusi. La viola mammola che orna e profuma nella primavera le rive erbose dei prati ; e dei campi, è fiore da farne raccolta e da serbare. Allorché alcuno di casa ha bisogno di sudare, torna giovevole assai una tazza d'infuso, che si prepara con un pizzico di fiori di violette, su cui si versa l'acqua bollente, che si addolcisce con un po' di miele o di zucchero. Alla stagione che comincia a biondeggiare le messe, si fa raccolta nei campi dei rossi e copiosi papaveri selvatici, detti rosolacci che nascono frammisti alle biade. Nell'agosto si raccolgono i fiori del giallo e quesi panocchiuto verbasco o tassobarbasso, che per lo più cresce nei dirupi e nelle rive. E di quelli e di questi si preparano bevande adatte a promuovere il sudore ne'malati. I fiori del sambuco seccati e tenuti in serbo possono eziandio tornare vantaggiosi per prepardre impiastri, e colla decozione di essi a far bagni in alcuni casi. Anco la tenera corteccia e le foglie fresche di questa pianta possono venire a taglio in casi di risipola. Pianticella pure utilissima si è la malva, che nasce spontanea e abbondante in tutte le parti. I fiori, le foglie, gli steli, le radici stesse di malva servono a farne decotti attissimi per bagni e per clisteri. La cicuta che sorge in luoghi ombrosi, freschi, umidi e che ha foglie molto somiglianti a quelle del prezzemolo può, sebbene velenosa, venire in acconcio per farne cataplasmi, cuocendo nel decotto di essa un po' di farina di lin-seme, o di cruschello, secondo le prescrizioni del medico. L'orzo co'suoi grani, la gramigna, la fragola, la canna colla loro radice valgono ad apprestare altrettanti decotti, vantaggiosi in parecchie malattie infiammatorie. Nel modo stesso che la camomilla porge coi suoi fiori il mezzo per preparare e infusi, e suffumigi, e bagnuoli, e cataplasmi in altre non rare occorrenze. Nei prati all'aprirsi della primavera e nelle parti più umide si vede levarsi un'erba a fogliuzze frastagliate, che si adorna precocemente di fiori rotondi , giallo-lucenti e inodori. Or bene le foglie di quest'erba, detta ranuncolo, possono , pestandole, e applicandole alcun tempo sulla pelle, fare le veci di vescicatorio in caso d'urgenza. In ogni casa, anco di contadini, dovrebbe poi sempre tenersi in pronto una piccola porzione di filacce , di pezzette di lino, una benda, di cui pur troppo s'ha d'uopo, quando meno si pensa.

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Amare ed onorare i genitori non si può senza amare insieme i fratelli che sono sangue del loro sangue, e la cosa più cara che essi abbiano al mondo. I fratelli sono come le dita d'una stessa mano, ed i rami d'uno stesso tronco: hanno fra loro comuni gli affetti, gli interessi , le gioie , i dolori , quasi ogni atto della vita: come potrebbero non amarsi gli uni cogli altri ? Molto più che tutti insieme rappresentano i genitori, i quali non vivono che per l'affetto dei loro figli. L'amor fraterno si cita come tipo del perfetto amore. Quei che sono nati del medesimo sangue devono cospirare concordi al bene vicendevole e della famiglia, amarsi di specialissimo affetto, ed aiutarsi in ogni necessità col consiglio , coll'opera ,coll'esempio. Che brutto spettacolo dà una famiglia, quando i fratelli si astiano e si fanno la guerra! Per contrario nulla é più dolce e consolante a vedersi d'una figliuolanza numerosa concorde nell'opere e nell'amore. Cresce allora in ciascuno la forza e la confidenza, e nella pace non turbata prospera la fortuna dell'intera famiglia. Di ciò persuase, figliuole, siate compiacenti, amorose e buone coi vostri fratelli. Compatiteli nei loro difetti, correggeteli, se fallano, con bella maniera, procurate di precedere loro nel buon esempio. Nulla contesa o invidia sia tra voi che sedete alla stessa mensa e dormite sotto il medesimo tetto. Amate che i fratelli vostri seno innocenti e senza vizio, ornati di vera virtù: amate che temano Dio e Lui conoscano e Lui onorino ; e si ricordino che l'ombra e la figura di questo mondo tosto passa via. Amate che fuggano le vaghezze mondane, le male compagnie, i luoghi e le persone, dove e colle quali s'offende Iddio senza rispetto. Amate che fuggano le parole disoneste, ogni costume ed atto reo che stacca il cuore dal timore di Dio e lo trascina in brutali affetti.

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Ed erbe, fiori ed arbusti rivestono i lembi delle spiaggie, i dossi delle rupi, le sue profondità più riposte, e ve n'ha che a sembianza di selva, come abbiano messo radice negl'imi gorghi, grado grado crescendo si innalzano. E queste, che al vegetare si direbbero piante, al moversi che fanno animanti, così diramano le immiense lor braccia che, intrecciandosi insieme e stranamente moltiplicando, disseccano i fondi e li colmano, finché emerse all'aperto s'assodano a formar terre ed isole nuove. Tanto la forza creativa del braccio onnipotente anche oggi fra l'acque vigoreggia e sornuota alle superficie dei mari ! Ma una schiera pressoché innumerevole d'abitanti, la multiforme famiglia dei pesci e d'altri viventi, o guizza per le onde, s'aggrappa agli scogli, e si distende nelle secche e pei banchi che soggiacciono all'acqua. Popolo vario, singolare e per aspetti, per istinti, per grandezza notabile; dalla conchiglia minuta minuta, cui l'occhio appena ravvisa, alla gigantesca balena, che rassembra ad isola nuotante. Nè intendo tenertene ora discorso, o giovinetta: in età più matura, ove svolga alcuna pagina dei naturalisti, qual diletto non ne proverà l'animo tuo, e come non s'alzerà ad ammirare e ringraziare la sapienza e l'amore dell'ottimo Provvidente! Il quale, se, assoggettando i pesci al dominio dell'uomo, gli apparecchiava nelle loro carni un sano e saporito alimento, nell'infondere nel mare tante altre ricchezze, ciò fece onde si giovasse la medicina a ricomporre la guasta salute, o l'umana industria ai comodi e alle agiatezze della vita. E quelle medesime perle che voi talvolta, o fanciulle, mirate sospese al collo delle vostre madri, e quei coralli, di che v'abbellite forse voi pure nei giorni festivi, non crebbero nel fondo delle acque ? Mente adunque chi dice il mare un vasto ed uniforme deserto, una solitudine sconsolata. Non si allegra esso di mille isole e mille? non s'apre in seni, non allargasi in golfi, e a capi o promontori non infrange gli spumanti suoi flutti? E le sponde che, per quanto remote, qua e colà lo interrompono, e i lidi a cui sempre approda, non gli aggiungono varietà e meravigliosa vaghezza? Ed esso il mare conduce e scorge nel porto desiderato il nocchiero sbattuto e stanco, quasi a premio della fiducia che mostrava nell'affidarsi alle insidiose sue braccia. E verrà pure per voi, o giovinette, verrà giorno in cui, fatte navigatrici di questo infido mare nel mondo, il fragore dei marosi, il sibilo delle tempeste, gli scogli a cui avrete rotto talvolta, vi renderanno desiderose di calma. E dal fondo dell'anima combattuta invocherete il porto della vera pace. In Dio vi sarà dato trovarla.

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In questo ospizio si raccolgono povere fanciulle dai tredici ai venti anni, le quali non abbiano sussitenza o soccorsi, che però sieno abili per la persona al lavoro. Entrando recano seco una piccola dote, e pagano alla casa cento lire, ed ivi restano, se è loro in grado, tutta la vita. Mangerai del lavoro delle tue mani: quindi l'ospizio delle Rosine non ha redditi; tutto l'occorrente per sostenerlo esce dai lavori delle fanciulle ; tutto l'occorrente per mantenere le vecchie e quelle che cadono inferme, esce pur esso dal loro lavoro. Le arti e le manifatture coltivate dalle Rosine sono varie quanto è versatile l'ingegno delle donne; d'una manifattura poi non già ne pigliano una parte, ma ne conducono tutto il lavorio, dallo sbozzare la materia prima fino all'opera perfetta. Tale è il setificio. Si comprano in primavera i bozzoli, e nella casa per mano delle Rosine se ne fa la trattura, poi si passa la seta al torcitoio, e di qua ai rocchetti, ed a tutte le altre operazioni che la preparano pel telaio : quindi fabbricano belle stoffe di gros, levantine, rasi, e specialmente nastri, pei quali hanno oltre ai venti telai. Anche i nastri sono d'ogni qualità, e veramente belli, ma si dei drappi che di questi, non se ne lavorano né damascati, né a colori, perché richiederebbero, come avviene nelle fabbriche, continui mutamenti alle macchine per ogni nuova moda, e quindi necessità di ammettere nella casa a tal bisogno persone esterne: le Rosine fanno opere seriche che sono sempre occorribili, e che non possono rimanersi invendute pel mutare della moda. Vi è pur la fabbrica di tele, e specialmente di mantili, ma i telai sono pochi, perché è lavoro di troppa fatica per donne. Vi è l'opificio dei cotoni, e quivi pure si compera la materia prima, e la si lavora fino alle tele. Il lanificio è nella casa di Chieri, perchè riescirebbe in Torino dannoso al lavorio delle sete ; è un lanificio compiuto, e vi si purga, si scardassa, si fila la lana e si tesse ; vengono ivi fabbricati panni d'ogni più bella qualità e finezza. È facile poi l'indovinare, che ove sono donne operose, vi debbono essere tutti i lavori di merletti; difatti vi è la fabbrica dei tulli, lavori di pizzi, ricami d'ogni sorta, a cotone, la trama a felpetta, e tutti con quella finezza che può riuscire fra donne operose e non affrettate dalla necessità. Vi si introdusse pure di recente una nuova manifattura pel filo d'oro, che vale a ricami assai belli che trapuntano le Rosine, e vale specialmente per paramenti di chiesa : anzi di questi esse ne fanno d'ogni sorta, dal candido camice fino alla maestosa continenza onde si copre il sacerdote che impartisce la benedizione ai fedeli. L'albergo delle Rosine é un emporio di manifatture; esse quindi usano di queste come pratica una grande azienda commerciale: hanno un fondaco o una bottega, nella quale si vendono da fidate persone i lavori delle loro mani. Di qui si ritrae il valsente necessario per l'acquisto della materia prima, per la conservazione delle fabbriche, e pel mantenimento delle manifatture. Il solo istituto di Torino contiene trecento fanciulle, tra le quali intorno a cinquanta o vecchie o ammalate. Lo Stato provvede dalle Rosine tutti i panni per vestire le armate, ed esse non solo fabbricano il drappo, ma anche tutti gli ornamenti , e fatti tagliare da abili sarti gli abiti, li cuciscono, e li spediscono da poter essere senz'altro indossati, talchè le milizie sono vestite per mani di vergini savissime. I Torinesi poi e gli stessi commercianti ricorrono volonterosi a fare mercato a quest'ospizio, e perché ne hanno buona compera ed ottimo lavoro, e perché é una compiacenza vestire o arredarsi colle opere di mani tanto pure. Sei maestre ed una direttrice intendono ai lavori, e sovente sono visitate dalla dama d'onore che reca gli ordini della regina, la quale tiene in ispecial protezione quelle fanciulle laboriose, ed or ora donò loro largamente per aggrandirne l'ospizio. Esse poi hanno conveniente istruzione ; e se escono sono rimeritate delle fatiche, ma ne escono poche. Da qualche tempo anche le figlie di Rosa Govone si sono date all'istruzione dei bambini delle scuole elementari, e riescono a meraviglia. Il loro istituto d'istruzione in Torino é uno dei più riputati di tutta la città. In tutto lo stabilimento, vasto, ben ventilato, é la decenza consueta ove sono donne savie e bene educate; quelle giovani poi, floride di salute, modeste di abiti e di costumi, mostrano all'aspetto la quiete dell'animo. Tale é l'istituto veramente mirabile che poté creare una povera donna; tanto é vero che la provvidenza suole sovente valersi di piccoli mezzi nelle opere più grandi. Rosa Govone offri l'esempio, per cui senza gravare i cittadini, senza il censo lasciato dai trapassati, si possa formare un ospizio di soccorso ; mostrò ai poveri che ove manca lo spirito di beneficenza, le loro stesse mani possono fare scaturir la carità, come la verga di Mosè percossa sulla pietra effondeva larga vena a dissetare il popolo eletto.

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