Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbiano

Numero di risultati: 14 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

L'angelo in famiglia

182118
Albini Crosta Maddalena 8 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Io credo che la maggior parte dei malfattori e dei cattivi soggetti che contaminano la società, abbiano incominciato dallo scoraggiarsi; hanno detto a sè stessi: io per me non riesco certo a bene, e si sono dati al male, passo passo, od a salti, o slanciandosi una volta per sempre... ma poco su poco giù è questa la storia di tutti i tristi. Dunque tu, figliuola amatissima, ravviva la tua fisionomia rattristata, ritorna il sorriso sulle tue labbra e la giocondità nel tuo cuore. Ti sta tanto bene su quel giovane viso l'allegria che, malinconica, ti si riconosce appena, non sei più quella. Oh! sorridi; tutto quanto ti fa dire con un sospirone povera me! non è forse altro se non un'immaginazione della tua vivace fantasia, un'esagerazione che fai a te stessa di quei vincoli, di quei pericoli che tu puoi scongiurare se il vuoi. Oh! tu la conosci la ricetta, tu la conosci; pure io te la voglio ricordare perchè ti voglio bene, perchè ti voglio sana; ma sana non di corpo soltanto, ma altresì di anima. La ricetta è sempre, sempre il buon Gesù e la sua legge d'amore. Ma questo Gesù in forma umana è vissuto una sol volta sulla terra; noi non abbiamo il benefizio di sentire la sua parola viva, di ascoltare i suoi dolci ammaestramenti; ma non è con noi nel Sacramento? Non ci resta il Vangelo? Oh! il Vangelo è l'acqua che lava ogni lordura; è il balsamo che sana ogni piaga; è l'alito che vivifica, che ricrea, che rinnova. Il buon Dio mi ha chiamata all'alto ministero di spiegarti la sua parola di amore, d'insegnarti come devi diportarti nella famiglia e nella società; ed io nella confusione che Iddio abbia voluto scegliere un mezzo cotanto basso per un fine sì alto, mi piego all'ubbidienza, lascio libero sfogo alla sollecitudine grandissima che mi desta nel cuore l'età delle speranze, che è appunto la tua, e ti parlo. Nei tuoi sfoghi tu hai detto lagnandoti quasi,che faccio? Io te lo dirò, mia cara, o piuttosto non io te lo dirò, ma tel dirà al cuore col mio mezzo la cara Mamma nostra Maria, quella Vergine benedetta che ci ama tanto e che io prego m'inspiri tutto quanto può e deve riuscire utile alle anime delle care giovinette. Sì, in voi è la speranza della famiglia, della società, della patria, in voi, fanciulle, che avete lunghi anni a voi davanti, e dovete e potete recare al mondo l'esempio, il conforto, l'appoggio che solo può dare la vera virtù. Che faccio? Domani, mia cara, ti risponderò: oggi rialza l'animo tuo abbattuto, rianima il tuo cuore; abbandonati nelle braccia della Provvidenza, di quella Provvidenza che ci è madre amorosa, e vivi sicura: tu sarai piùforte che oste schierata in campo contro i nemici della tua salute.

Pagina 30

Ti pare strano e quasi incredibile che ci abbiano a che fare tra loro le vivande ed i costumi, le vesti e l'intelligenza? Prendendo la cosa così vagamente si crederebbero davvero impossibili tali rapporti; ma se per poco tu esamini ben benino la faccenda, ci scommetto, converrai perfettamente con me. Ma ora mi avvedo che se mi dilungo in quest'argomentazione, perdo di vista, od almeno mi allontano da quello che più davvicino riguarda i doveri della sorella maggiore; e però mi riservo di comunicarti le mie idee in proposito ai legami che passano tra il vitto ed i principj, nella conferenza che tratterà dei pranzi e quindi della ghiottonerìa. Tu adunque, donnina provvida e previdente, dopo la colazione comune ed uniforme, mandi alla scuola quelli tra i tuoi fratelli e sorelle che ci debbono andare; ma li mandi dopo d'esserti bene accertata che hanno compiuto con diligenza i loro cómpiti, e dopo d'averli tu stessa guidati ed indirizzati al bisogno. Fra il giorno ti occupi della casa, dei genitori, se Iddio te li ha serbati, e quando le tue forze pajono indebolirsi, e il tuo cuore ha bisogno di qualche cosa che lo sorregga, lo levi a Dio, e pur toccando coi piedi la terra, sollevi al cielo il tuo spirito tuffandolo, per così dire, nel mare di dolcezza che è il cuore di Gesù, e ti senti incoraggiata, rinforzata, rinnovata. La convivenza con diverse persone d'indole probabilmente differente e fors'anche opposta, ti costerà non solo fatica, ma bene spesso contrasto: quel contrasto che non potrà essere vinto con altra arme se non con quella della virtù e dell'annegazione, cercando costantemente di correggere il carattere tuo e quello dei tuoi soggetti ed uguali. Qualche volta dal tuo petto uscirà prolungato e mesto un sospiro, le tue braccia come stanche ed abbattute si abbandoneranno in atto di prostrazione; ma se il tuo occhio si solleverà in alto e s'incontrerà con qualche immagine della Vergine Santa, che la tua pietà porrà in ogni angolo della casa, quasi a profumarla, a santificarla, Essa, la Mamma nostra pietosa, t'infonderà una virtù, una forza, che ti renderà capace di tutto fare, di tutto ottenere, di trionfare delle maggiori difficoltà. La tua operosità non interrotta, permettendoti di sollevare tratto tratto il tuo cuore alla fonte dell'amore, renderà amabile la tua compagnia, efficace l'opera tua ed oltremodo feconda, e non ti priverà del necessario riposo della mente e del corpo. Questo riposo ti verrà talora da una passeggiata; talora da una visita carissima fatta o ricevuta; talora da una buona lettura; talora da una combinazione imprevista, che Dio penserà Lui stesso a mandarti se vedrà che l'avrai meritata; ma il riposo in un modo o in un altro verrà, stanne pur certa. Dopo di avere dedicato te stessa ai tuoi fratelli, ti guarderai bene di far loro sentire il peso del tuo sacrificio, poichè essi, oltre al provarne umiliazione, ne sarebbero molto probabilmente irritati, e questo non concorrerebbe sicuramente a rendere efficace l'opera tua, ma l'attraverserebbe e le sarebbe di ostacolo spesso insuperabile. Il tuo regno, tel ripeto ancora, il tuo regno sia regno di amore, di dolcezza, ed essendo condiscendente in tutto quanto non urta il principio e la regola indeclinabile della casa, potrai usare di una santa fermezza in tutto il resto. Le tue cure non saranno interrotte nella giornata, nè dal ritorno a casa dei tuoi, nè dal loro coricarsi, osservando tu sempre pel pranzo e per tutto il resto quelle massime di uniformità e di economia alle quali ho solo accennato, ma che tu hai bene compreso. Guai se tu facessi delle preferenze, o parzialità, guai! ne andrebbe grandemente compromessa la tua autorità e svanirebbe il tuo ascendente! Tu, come angelo della famiglia, appartieni non tanto alla terra quanto al cielo, quindi non devi tenerti paga di curare nei fratelli e nelle sorelle la vita del corpo; tu devi, curare assai più in essi la vita dell'anima, quindi offrir loro in te stessa l'esempio di una fede cieca, operosa, costante. Tu devi avvalorare il tuo esempio con buoni consigli, con saggi ammaestramenti, insegnando tu stessa ai tuoi fratelli ed alle sorelle le verità della religione, le preghiere e le pratiche, ajutandoli a compierle, conducendoli alla Chiesa, ai Sacramenti, alla predica e anche più alla spiegazione della Dottrina Cristiana. Oh! se tu con quella dolcezza insinuante che nella bocca di una giovinetta semplice e virtuosa acquista tale un fascino da cui non sanno sottrarsi neppure le anime inveterate nel vizio e nell'incredulità, se tu con quella dolcezza inviterai, ammaestrerai coloro che teco hanno comune la nascita, l'educazione, la fortuna e perfine il nome, oh! la tua famiglia si manterrà o diventerà una famiglia di santi, una famiglia veramente invidiabile. Che se il demonio riuscirà ad infiltrarsi in quel santuario consacrato dalla tua presenza e dalla tua virtù, e prenderà dominio di taluno dei tuoi cari, oh! non ti perdere di animo, no non ti perdere di animo! il Signore permette che il tuo cuore sia trafitto, ma solo per rinvigorire, per ritemprare la tua costanza! Già ti pare quell'anima diletta sia perduta nell'abberramento dell'incredulità o delle passioni; già ti pare veder quell'anima sull'orlo del precipizio che la deve gettare in un luogo di eterna riprovazione; già tu la vedi precipitata... No, non temere, non temere; là in fondo a quel cuore sopita, ma non morta, c'è l'idea di Dio, anzi la fede in Dio; quell'idea di Dio si risveglierà, la scuoterà, la muterà, la risusciterà, e quello che ti sembrava un tizzone d'inferno, diventerà carbone ardente sull'altare del Dio che tu adori, che tu ami! Oh! è pur bello quel racconto evangelico in cui si narra come gli apostoli si trovavano sul mare, e questo furioso ingrossava, ingrossava; le onde si sollevavano spaventosamente; il vento sibilava con orrido suono e quegli uomini la di cui fede era ancor debole e vacillante, si spaventarono, e svegliarono il maestro divino che sul fondo della barca placidamente dormiva. E, non temete, diss'egli con quella sua voce soave, e levatosi in piedi comandò ai venti ed al mare, e si fece bonaccia. Fatti animo, figliuola, quel fratello, quel padre, quell'anima che ti preme, è la barca in preda alle onde; ma in fondo alla barca 26 c'è Gesù, quel Gesù che vi è stato collocato nell'infanzia, nella primitiva educazione... Destalo tu Gesù in quel cuore, colla tua fervorosa, incessante preghiera, e quel Gesù si alzerà, e dicendo: Non temete, porrà in silenzio il vento delle passioni e ritornerà nel tuo diletto congiunto la calma, la pace... L'arcobaleno sfoggia nel cielo azzurro i suoi bei colori, e ti annunzia il sereno, la fede. Leva a Dio l'inno del tuo ringraziamento!

Pagina 390

Nella società vi hanno molte buone cose, le quali ci vengono dalla legge di Dio o scritta sulle tavole del monte Sinai, o scritta sulle tavole del cuore umano, e questo ci spiega come taluni senza avere la grande ventura di essere cristiani cattolici, abbiano un fondo di rettitudine e di bontà che ce li fa amare e stimare grandemente. Ma pur troppo nella società vi hanno delle cose assolutamente cattive, le quali partono dalla violazione della legge divina e rivelata, e da queste, che portano stampate in fronte un marchio di condanna, tu saprai sempre conservarti illesa; altre però ve ne hanno nè buone nè cattive, che una lunga consuetudine 42 ha accettato e tramandato alle generazioni, e quindi non ti è dato di risolutamente respingerle, ma di esse è obbligo tuo star ben bene in guardia: fra queste io pongo in prima fila il codice delle convenienze e delle cerimonie. Questo codice potrebbe bensì essere modificato da una società sinceramente cristiana; ma siccome l'elemento prevalente non è sempre il cattolico, vale a dire il migliore, così ci è forza, almeno in parte, sottoporci ad esso se non vogliamo suscitare un vero male che sarebbe risvegliato dall'eccentricità o dall'intolleranza. La nostra sommissione a questo codice non dev'essere assoluta, si intende; ma relativa, e deve lasciarci sempre aperti gli occhi, affinchè non veniamo poi condotti fuori di strada. I più innocenti e i meno bugiardi paragrafi di quel codice sono quelli che riguardano il linguaggio dei complimenti, i quali fanno ripeterti da uno le professioni della massima servitù, mentre alla prova egli ti rifiuterebbe il benchè minimo servigio. Eppure qui vi ha un pericolo grande alla tua fantasia, pericolo che potrebbe comunicarsi più tardi al tuo cuore, allorchè da un complimento generico si passasse a una dimostrazione speciale a tuo riguardo. In guardia, in guardia! Colui che arde oggi il suo incenso davanti a te, lo arderà domani davanti ad un'altra, e bene spesso i bellimbusti hanno tale e tanta provvisione d'incenso, che lo bruciano successivamente a tutte le dee di una festa, di un'adunanza, di un paese, od a tutte le più belle, non già per esprimere un sentimento, ma per ostentare gentilezza di modi, ed uno spirito raffinatamente galante e moderno. Io stessa ho veduto fumare l'incenso a' miei piedi, allorchè ai miei venti anni, giovane sposa, per obbligo di convenienza, mi sono recata in elegante acconciatura ad un brillante ritrovo; per un momento ho creduto che dal mio povero individuo emanasse alcunchè d'interessante; ma quando il dì seguente con abito dimesso e con un velo trascuratamente allacciato sotto il mento mi recai alla chiesa, vidi più d'uno di quei petulanti cicisbei volgere lo sguardo da me, meravigliati e disgustati di vedermi senza strascico, senza gemme, senza fiori, e non ebbero neppure il coraggio di salutarmi. Questo fatto si ripetè parecchie volte, risvegliando sempre in me una voglia matta di ridere, di ridere; l'ho narrato a molti; ma ora che mi è dato imprimergli una maggiore pubblicità, ne afferro a volo la buona occasione, ansiosa che al veritiero mio racconto pensino le illuse damigelle quale sia il conto da farsi dell'adorazione prodigata alle nostre vesti, ai nostri monili, al nostro volto vantaggiato dalle galanterie, dalle sottigliezze e da quegli adornamenti che lo possono mettere in risalto. Bisogna cominciar per tempo a ragionare ed essere serie a questo mondo; non prendere ed accettare come oro massiccio quello che si mostra come tale, ma forse non è se non un cartone dorato; guardati quindi dal ricevere come atto di adorazione fatto a te certe espressioni studiate, compassate, esagerate ed entusiastiche. Jeri stesso un giovane cavaliere mi confessava che tra di loro i giovanotti eleganti studiano le parole, le maniere per adescare ed illudere le fanciulle inesperte e le donne sperimentate, riservandosi poi di farne i complimenti a quelli che vi sono riusciti e le beffe agli altri i quali hanno fatto, come suol dirsi, un buco nell' acqua. Ma allora questo incenso che si brucia alle divinità della terra è un giuoco, un'ironia, uno scherno? Davvero, è così, non è altro. Quando in fondo al cuore vi ha una passione nobile, un amor vero, un sentimento forte, gli uomini sdegnano e sfuggono le incensazioni, le occhiate languide, le adulazioni, e tutte quelle odiosissime smorfie che compromettono chi ne è fatta segno; ma conservando ed aumentando dentro di sè la stima per la giovane vagheggiata, non ardiscono fissarla in volto, o dirigerle una parola che non sia altamente rispettosa e discreta, e ben lungi dal metterla in impaccio, spiano ogni sua mossa per vedere se nulla nulla vi ha in essa di posticcio o di civetteria. Allorchè son ben sicuri che il suo cuore è vergine come il suo sguardo, e che resiste e si tien chiuso ad ogni affetto non legittimo e non protetto dalla più severa virtù, con passo celere e pur tremante si recano dal padre, o dalla madre, o dai parenti a domandare come una grazia grande sia loro dato il bene di porre in dito all' onesta e pudica donzella l'anello di sposa. Sta sull'avviso, fanciulla, contro coloro che abusando dell'ingenuità del tuo carattere, della soverchia credulità fomentata dall'amor proprio e perfino talvolta dalla stessa tenerezza del tuo cuore, studiano la via per giungere ad esso, ti adulano, t'incensano; per carità, non prender sul serio le loro dimostrazioni, i loro elogi, le loro dichiarazioni, come non prendi sul serio quella che altrui ti fa quando, scrivendoti, ti dice: Servitore umilissimo. Avresti tu il coraggio di dire a costui: ebbene, se mi siete servitore, fermatevi alla mia anticamera, prestatemi i vostri servigi? Se ogni signora avesse lo spirito di trattare in simigliante maniera coloro che le profondono inchini, riverenze, smancerie e sospiri, ben presto gl'incensieri dei ganimedi diventerebbero oggetti d'antichità, ed i loro complimenti sarebbero registrati fra gli atti più umilianti, ingannevoli e ridicoli di una società che si dice, ed in certi rapporti è infatti, supremamente civile. Ma non devi tu essere eccentrica od intollerante, quindi sopporta fino ad un punto conveniente, e finchè non nasca urto colla virtù, col pudore e colla carità, le adulazioni che ti vengono fatte, sempre però sentendo e facendo sentire che tu le stimi pel loro valore; parole, pure parole, nulla di più. Un simile contegno potrà far diventar veritiere quelle lodi bugiarde, attirando su di te la stima, una stima profonda, che potrà generare molto facilmente un sentimento più profondo, efficace e vantaggioso. Quanto a te guardati sempre dall'adular chicchessia; ma ove emerga il vero merito, la tua lode non sia avara; ma suoni sincera e sinceramente sentita dal tuo cuore, ed anzichè inorgoglire colui al quale sarà diretta, riuscirà d'incoraggiamento, di compenso e di esca al suo ben fare. Ma l'incenso, oh! l'incenso non lo devi ardere che davanti a Dio! Egli solo merita tutte le nostre adorazioni, e le usurpa vilmente chi arde agli uomini quell' incenso che deve ardere soltanto davanti a Lui, o se lo lascia ardere davanti a sè come ad un idolo. L'incenso è per Iddio! Che se le tue buone azioni ti attireranno una lode meritata, riferiscine a Dio solo l'onore e la gloria, pensando e credendo, che l'incenso è dovuto a Lui soltanto.

Pagina 655

non mi do no il vanto di narrarti cose da te ignorate; mi sta a cuore di farti vedere che quantunque non si raccolgano più fra loro i Cristiani all'agape fraterna nelle catacombe, e non abbiano più luogo fra noi i greci simposj, dove si mangiavano le morene alimentate colle carni degli schiavi, gettati loro vivi a divorare nelle ampie vasche dei vasti giardini, e si beveva in tazze d'oro guernite e tempestate di gemme, pure vi sono ancora in mezzo a noi conviti e banchetti che si accostano meravigliosamente ai primi ed ai secondi. Non è necessaria una fina penetrazione per convincersi che nei pranzi di famiglia in cui sono radunati i membri dispersi a festeggiare le grandi solennità del Natale o della Pasqua, benchè non vi sia la povertà delle vivande come fra gli antichi Cristiani, ma regni invece un'abbondanza se non assoluta, almeno relativa, pure si rinnovi veramente l'antica agape; io proteggo e decanto la bellezza di questi costumi che conservano qualche cosa del patriarcale e del primitivo, purchè non si guasti ogni cosa col surrogare alle vivande per così dire tradizionali, altre di nome nuovo, di gusto nuovo, di raffinatezza o di lusso disdicevole alla grandezza semplice, primitiva e caratteristica di simiglianti desinari. Ed a chi fosse tentato a credere bandita dai nostri costumi e dai nostri tempi una semplicità sì primitiva e pur sì solenne, mi è caro narrare un uso che tuttodì si mantiene presso alcune famiglie distinte, in alcune province della nostra cara Italia; uso che vorrei predicare ai quattro venti, per trovare chi lo rendesse universale non solo nella forma e nella figura, ma assai nella sostanza ed in ciò che rappresenta. Nel dì della Pasqua, al posto del capo di casa si pone sulla tavola una coppa di elegante e terso cristallo con entrovi un po' d'acqua benedetta; lì presso si colloca un ramoscello d'ulivo pure benedetto, e quando tutti della famiglia e gl'invitati sono riuniti intorno alla tavola, prima di sedere attendono che il capo di casa bagni il ramoscello nell'acqua benedetta, ne asperga uno ad uno i commensali, dando e ricevendo augurio di pace, e di quegli altri beni secondo richiede il caso; finita la pia e solenne cerimonia comincia il pranzo, al quale nessuno, io credo, vorrà negare il nome ed il merito della vera agape primitiva. So di un padre vecchio e valoroso militare, il quale vedendosi un dì di Pasqua assiso accanto un figlio ufficiale che sospettava investito delle nuove perverse dottrine, non ebbe il coraggio d'impartire l'usata benedizione, e mesto ed accasciato sedeva alla mensa. Quel figlio che pareva pervertito, ma aveva invece cuor buono ed animo retto, richiese con istanza al genitore la causa della sua tristezza, ed egli voltosi verso la tazzetta d'acqua santa ch'era stata posta in un canto, disse sorridendo amaramente: il timore del ridicolo l'ha esiliata! Il giovane si levò di botto, e porgendo al padre l'ulivo e l'acqua benedetta, gettandosegli al collo lo baciò con riverente affetto, e con voce commossa gli disse: Vi prometto che se avrò figli, non mancherò di rinnovare ogni anno nella mia casa la pia cerimonia, e di tramandare ad essi la benedizione che da voi ricevo. Tutti furono inteneriti a quella scena; il vecchio Maggiore lasciò cadere nel vasettino di cristallo due grosse lacrime che gli alleggerirono il cuore d'un gran peso, benedisse con trasporto i figli suoi, i figli de' suoi figli, indi consolato sedette con essi. Ahimè! per l'ultima volta egli celebrava quaggiù la festa della Risurrezione. Pace all'anima sua benedetta, pace! Da simiglianti desinari è impossibile non resti qualche cosa pei poveri, e questo completa il quadro bellissimo di un pranzo cristiano benedetto da Dio, rigeneratore della virtù che affratella gli animi e riaccende ed avviva gli affetti più santi. Pur troppo, l'ho già detto, il gusto corrotto e depravato dei materialisti è penetrato fino nelle case cristiane, ha tolto o cerca di togliere quell'impronta simpatica e grande, appunto perchè semplice, che tocca il cuore e lo rallegra, introducendo in sua vece un lusso smodato nelle vivande, e nell'apparato con cui si dispongono e si servono. So che tu essendo figlia di famiglia devi accettare la tua come è; ma so ancora che da un dì all'altro puoi tu stessa essere chiamata a reggere una casa, ed io vorrei salvarti dalla tentazione di rimodernarne i costumi, di raffazzonarla e camuffarla con cerotti e cosmetici, i quali non la farebbero più bella nè più geniale, e tanto meno migliore. Oltre a ciò vi sono delle giovanette che arricciano il naso in vedere nel dì di Natale sul desco di famiglia un apparato semplice ed un pasto abbondante e buono sì, ma frugale, e quasi si vergognano di dirlo colle amiche e colle conoscenti, parendo loro necessario l'introduzione di un lusso ch'io trovo sovranamente disdicevole a simiglianti riunioni. Nel Vangelo allorchè si parla del Padre buono, il quale accoglie il figliuol prodigo che a lui pentito ritorna, si dice aver egli ordinato ai servi di uccidere il vitello grasso onde preparargli un banchetto. Si parla però di un vitello, non già di raffinate vivande come si usa da molti oggidì, i quali, pare, vogliano rinverdire gli usi degli antichi simposj. Abbi caro in generale di conservare tutto quanto ha di tradizionale e di antico nella tua famiglia, e più specialmente ciò che tende a conservare in essa una certa maestà e semplicità di costumi, cui va unita l'unione dei diversi membri. Molti si sobbarcano a gravi sacrificj ed a faticosi viaggi, per riunirsi il Natale e la Pasqua coi parenti lontani, e qual compenso ne avrebbero essi se invece di trovare oggi come vent'anni fa ammannite le identiche vivande, coll'identica di sposizione, trovassero invece un desinare alla moda, con adornamenti nuovi, con un impianto molto differente? Quel pranzo per me è quasi un ritratto di famiglia che amo conservato tal quale, non abbellito o adorno con fronzoli o con frange. Ho insistito molto sul bisogno della semplicità, della sobrietà e della misura, e più ancora sulla bellezza della conservazione dei tradizionali costumi nei pranzi di famiglia, perchè essi sono l'espressione e quasi lo specchio del principio che li muove, l'amor vicendevole. Fra l'agape fraterna ed il greco simposio non c'è che un passo facile a valicare e pericoloso, il quale dalla purissima e santa gioja del trovarsi tutti riuniti i membri di una famiglia intorno al desco paterno, fa passare alla prosastica e bassa gioja (se pure è gioia) di gustare cibi prelibati, di empirsi il corpo, di inebriarsi la testa; e l'idea principale, l'idea madre va perduta insieme alla semplicità, all'affetto... Vedo che dovrò ancora intrattenermi teco in proposito, affinchè non s'infiltri in te pure lo spirito di tutto materializzare, di tutto ridurre alla macchina, al numero, al piacere. La materia c'è, lo sappiamo tutti: la materia costituisce il nostro stesso essere, od almeno la sua parte inferiore, il corpo; la la materia ci circonda, ci nutre, ci minaccia; ma che la materia prenda il posto dello spirito, od a lui si pareggi, la è questa una cosa che nessun'anima ben nata può tollerare; ora tu sta ben all'erta, veglia attenta, affinchè non s'introduca dentro di te, intorno a te, neppur uno di quei principj che la potrebbero generare... La materia è serva e lo spirito è padrone, Iddio ha posto la distanza tra servo e padrone, noi la dobbiamo mantenere, ed a questo riguardo incomparabilmente più che in qualunque altro. Colui che mi presta il suo servigio è un uomo della mia stessa natura il quale a sua volta può diventar mio padrone; ma la materia è di natura più bassa ed infinitamente inferiore alla mia, alla tua anima, creata ad immagine e somiglianza di Dio! Tieni serva la materia, padrone sempre sempre lo spirito.

Pagina 689

Io aborro quella proposizione comunissima; al giorno d'oggi il mondo è più cattivo, poichè credo termissimamente che tutti i tempi abbiano la loro parte buona e la loro parte cattiva, e che non si possa trovare una radicale differenza all'infuori di quella portata al mondo della venuta di Cristo, vale a dire la rilevazione e la redenzione, la qual differenza non solo non ha peggiorato, ma ha grandemente migliorato il mondo e la società. Tuttavia è innegabile; in certi tempi più che in altri prende piede nei costumi degli uomini (i quali si dicono civili) il predominio della materia sullo spirito, e ciò in giusta misura che guadagna terreno l'incredulità sulla fede; per cui ai nostri giorni come a quelli sciaguratissimi dell'Impero, vediamo prendere la smania del banchettare e la sudicia leccornía, una proporzione considerevole, e questo ci fa immaginare anzi perfettamente comprendere quello che potevano essere ed erano infatti fra i Greci i sontuosi simposj. Ma quelli si può dire fossero ristretti ad una sola classe di persone, poichè si facevano esclusivamente dai grandi; i nostri invece si fanno o si imitano pressochè da tutti, e dal ceto più elevato al ceto medio e fino a quelli che dovranno misurare il pane ai flgliuoli per molti giorni affine di riparare al soverchio di cui si sono dispendiati in un solo desinare, si cerca, si tenta, si vuol godere il sensuale piacere di una corpacciata... Figliuola, ti muove a schifo questo nojoso discorso? Lo credo, poichè io non ho meno schifo di te in fartelo; pure pazientiamo amendue, chè nè tu, nè io possiamo saltare un argomento di tanta attualità, senza pericolo di mancare al nostro debito di premunirci contro le tentazioni. Coraggio, e avanti! Ho sempre inteso dire non doversi discorrere, fuorchè in cucina, di piatti e di vivande, e so che la mamma mia, un po' antica se vuoi, ma di occhio fine ed attento, non voleva mai sentir parlare avanti il desinare di quanto si apparecchiava, nè dopo voleva si ricordasse quanto si era mangiato, dicendo essere questo privilegio da lasciare agli animali ruminanti, non doversi quindi usurpare dagli animali ragionevoli. Ora invece una moda ancora più sciocca di quella che fa dei cappelli femminili una vera torre oggi, per ridurli domani ai minimi termini, od alla forma di una stiacciata; una moda sciocchissima, dico, ha introdotto il mal vezzo di parlare, e non per incidenza, ma con una tal quale importanza e serietà dei cibi squisitissimi mangiati o da mangiarsi, al che vanno unite stropicciatine di soddisfazione per una pietanza ben riuscita, e sospiri di cordoglio per una vivanda alquanto passata di cottura, o come dicono assassinata, e più ancora per qualche altra cui i proprj mezzi non giungono a procurare! Lo so; tu non ridi nè sospiri per una vivanda più o meno squisita, ma so e ti annuncio che ci sarà chi trova in te un essere imperfetto ed incompleto nella mancanza di raffinatezza del gusto, e ci sarà perfino chi ti compiange di non saper apprezzare e gustare, com'essi fanno, le minime differenze fra un salume od un frutto od un altro che viene da questo anzichè da quel paese. Non deridere chi così ti ragiona, poichè la carità nol permette; ma ringrazia il buon Dio, il quale non ha permesso che tuo pie si lordasse in tale sozzura, e prega per coloro che vi sono immersi. Io insisto colla maggior costanza, affinchè si usi nei pasti la massima frugalità, poichè questo, oltre a giovare alla domestica economia, giova altresì all'economia morale degli animi, facendoli usi a considerare e più a praticare quella succosa verità che bisogna mangiare per vivere, non vivere per mangiare. Io vorrei tu preferissi ad ogni vivanda il pane e la minestra; questo farà bene al tuo corpo e se sano lo renderà sempre più robusto; ti renderà più facilmente contentabile, e quindi più facilmente contenta, poichè pane e minestra in qualunque paese, in qualunque tempo ed in qualunque condizione ne troverai sempre, o quasi sempre grazie a Dio; questo gioverà a mantenere in te lo spirito di carità e di fratellanza, poichè ti farà pensare a quelli che del pane e della minestra fanno l'unico alimento, ed agli altri ai quali pur troppo molte volte è scarso e manchevole. Tu non sei una certosina, quindi non sei tenuta ad una mortificazione assoluta, e tu non solo puoi, ma devi mangiare di quello che dà la casa, cioè... il cioè lo rimando a domani, oggi, tiro innanzi tutto d'un fiato. Tu devi mangiare quello che mangiano gli altri di casa tua per non distinguerti da essi, e non ostentare o sfoggiare una virtù la quale richiede un sacrificio ben lieve, e che parrebbe voler mettere in risalto il difetto degli altri; ma nello stesso modo con cui potresti vestire un abito regale se tu fossi regina, tenendone totalmente staccato il cuore, così tu puoi e devi accostare alle tue labbra le vivande più squisite senza farne un'occupazione della tua mente o una dilettazione del tuo animo, ricordando sempre che l'animo e la mente non debbono nuotare nelle acque pantanose di un putrido stagno, ma debbono rinfrescarsi e rinvigorirsi nelle onde limpide e gorgoglianti di un puro ruscello... Più ascendiamo la scala degli uomini d'ingegno, e più li vediamo staccati dalla materia, appunto forse perchè l'ingegno non è formato di materia e neppure di gas, ma di uno spirito che viene direttamente da Dio, ed ha qualche partecipazione alla sua purezza, alla sua perfezione. Non posso fare a meno di sorridere meco stessa, ogni volta mi ritorna alla mente quel notissimo episidio del grande astronomo inglese, il quale pareva dimenticare i bisogni del corpo per la scienza. Un amico suo si trovava un dì nel suo gabinetto, allorchè venne annunciato al vecchio studioso ch'era servito in tavola; ma il vecchio non si mosse: all'amico venne allora in mente di fargli una burla, e disse al servo che Newton voleva pranzare nella sua camera da lavoro, e portasse quindi nell' antisala le vivande, ed egli stesso avrebbe poi servito il maestro. L'amico fu ubbidito, poichè era intimo di casa, e si mangiò solo quanto era destinato al grand'uomo. Finito il pasto egli rientrò dall'astronomo, il quale dopo qualche tempo esclamò: non mi ricordavo che debbo ancor desinare, ed allorchè l'amico riprese: come, non vi ricordate di avere già desinato? Newton sedette di nuovo dicendo: è vero, l'avevo dimenticato. Questo aneddoto non prova invero una soverchia delicatezza nell'ammiratore del grand'uomo; ma mostra in quanto poco conto fosse da questo stato tenuto il pensiero del mangiare e del bere, da fargliene fino dimenticare la necessità. 45 Io non approvo la moda antica che prescriveva alle giovinette di viver d'aria, per così dire, permettendo loro appena appena di toccar cibo in presenza agli estranei, e proibendo assolutamente l'assaggiar vino; ma riprovo altresì e più ancora la moderna che fa delle damigelle altrettante baccanti, e cioè mangiatrici e bevitrici senza riguardo e senza misura. Anche qui io sto per la sincerità, e mi piace che la damigella mangi e beva quanto richiede il bisogno suo, non troppo per contentare il gusto, nè poco per parere un essere sentimentale. Certo ch'io amerei, tel ripeto, tu non ispregiassi il pane, e ti abituassi a non aver bisogno di molto carname, poichè carne fa carne, e dalla carne si passa poi al carnale... Bevi pure il vino, ma poco, poichè esso ti fa montare alle gote un colore forzato, eccita la tua fantasia, e toglie dalla tua persona quel non so che d'ideale, di delicato tanto bello e caro, poichè è lo specchio dell'anima tua. Non essere nè ti mostrar ghiotta mai, e con ogni cura abituati a saper resistere alla tentazione di gustare di quei cibi o di quei dolci, benchè ti sieno presentati, che più appetisci; questo ti abituerà alla mortificazione e quindi al sacrificio, e ti renderà forte contro te stessa, contro tentazioni più violente e crudeli, e pericolose... Forse tu lo hai già il lodevole costume di non gustar frutta in dì di sabato, o nelle vigilie della Madonna ad onore appunto della Madre nostra che è ne' cieli; ma se non l'hai, incomincia adesso ad avertelo caro, e l'esperienza ti mostrerà che Essa largamente compensa la tenue privazione non solo col suo ajuto, ma ancora colla gioja che infonde nel cuore di chi fa il più lieve sacrificio in onor suo. Tu non vai ai banchetti se non quando vi sei obbligata ed accompagnata dai tuoi genitori; pure oltre alle regole della sobrietà vi ha quella di troncare od eludere ogni discorso contrario alla santa purità, od alla carità cristiana. Ove si parlasse di cosa che offenda il pudore, se assolutamente tu non potessi ritirarti, la bella virtù, se tu l'invocherai in tuo soccorso, ti saprà trovare qualche ingegnoso mezzo per troncare il discorso, o volgerlo a meglio. E chi t'impedisce di parlare con alcuno di tutt'altro, fingendo di neppur udire? E se questo non lo puoi fare o non ti riesce, e chi t'impedisce di uscire in un motto, in un racconto che faccia ridere la brigata, o dia appiglio a taluno di farla ridere? E se non hai spirito bastevole a trovare un mezzo qualunque per troncare quel brutto parlare, e non vale il tuo contegno severo, o la tua aperta disapprovazione... senti mo' cosa mi casca in mente! chi t'impedisce di riversare un bicchiere sulla tovaglia, di farne un po' di baccano, e perfino di rovesciare un piatto, una bottiglia? Pensi che sia una birichinata codesta? Forse sì; ma se serve a proteggere il tuo giglio olezzante, io la trovo una birichinata innocente, una birichinata passabile, e... te la consiglio.

Pagina 698

Per carità, fuggi come il libro, così il teatro, allorchè non hai la morale certezza che vi si diano spettacoli onesti, nei quall il tuo pudore e la tua virtù non abbiano a patire detrimento alcuno. Allorchè vedi le tue amiche adornarsi per correre al teatro, o le vedi tornare beate e giulive dal goduto divertimento, e ti corre l'acquolina alla bocca, ed una certa quale invidiuzza ti serpeggia nel cuore, pensa che non si chiudono oggi le partite; forse domani stesso nelle circostanze mutate, e nella convivenza di persone migliori, un dubbio, un sospetto crudele le agiterà, le invelenirà. Che cosa è? Hanno visto jeri al teatro essere falso quello che pareva buono, buono quello che pareva falso, e si sono confuse la testa, non sanno più discernere il vero, domare la fantasia, frenare il cuore. Povere giovinette, eravate sì buone, sì semplici, sì contente, ed in un lampo siete diventate sì meste, sì infelici! Pure, se tu parli ad esse, ritornale a Dio, al ritiro, alla casa, tu tornerai la calma al loro cuore, il discernimento alla loro intelligenza, la virtù all'anima loro. Oh! fanciulla, nella purezza è la pace, la gioja ogni bene. Quando poi tu fossi sicura che lo spettacolo è buono, od almeno che non vi ha nulla affatto di male, ed i tuoi genitori desiderassero condurviti, io non mi opporrei più, dopo di averti raccomandato per la centesima volta di osservare la più scrupolosa modestia nel tuo vestire, nel tuo contegno ed in tutta la tua persona; di tenere ben le briglie al tuo cuore, affinchè non ti prenda la mano, e divenga padrone; di aver sempre in mira il buon Dio e la sua santa legge, e di non fare nè permettere mai atti o discorsi che la ledano menomamente. Ma la casa, la casa, chi ti può dire le gioje intime, ineffabili, ch'essa ti offre nel suo seno, se ti concentri in essa, se in essa tu cerchi dopo che a Dio le soddisfazioni del cuore e dello spirito?...

Pagina 720

E poi noi abbiamo veduto appena qualche cosa del tesoro di beni da essa operato; Iddio che vede nelle più recondite latebre del nostro cuore e nelle viscere della società, ci renderà noto un giorno quanto bene abbiano generato quelle virtù umili e nascoste. Non trascurare adunque, o damigella, le piccole occasioni di acquistarti meriti per il cielo; ma santamente industriosa per lo spirito, non ne lasciar passare neppur una, poichè a quella forse che sei tentata di trascurare vanno attaccate le grazie celesti più copiose ed elette. Quando ti pajono piccole e di poco pregio le minute virtù sparse sul tuo sentiero, pensa alla Madre Crespi, e non te ne lasciar sfuggir neppur una, neppur una!

Pagina 830

Per la qual cosa, sebbene le gravissime e molteplici nostre cure non ci abbiano permesso finora di scorrere il libro da te offertoci, tuttavia questa comune sentenza di personaggi prudenti e probi non può a meno di conciliarti anche le nostre lodi, anzi di suscitare il desiderio che ti adoperi di restituire a chi te lo ha donato, il talento a te concesso per l'utilità del prossimo, accresciuto ancora con più fecondo frutto di scritti non dissimili, e ti guadagnerai così per sempre una più splendida corona di gloria. Implorando intanto larghissimo frutto spirituale a questo tuo lavoro, come auspice di esso e qual pegno della Nostra paterna benevolenza con tutto l'affetto, o Filia Diletta in Cristo, ti impartiamo l'Apostolica Benedizione. Dato in Roma presso San Pietro 13 Giugno 1881. Il quarto anno del nostro Pontificato. LEONE P. P. XIII.

Pagina I

Galateo della borghesia

201853
Emilia Nevers 6 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Pagina 100

Nessuno può credere quanta parte abbiano quelle minuzie nella vita e come sia grato ad un ospite il ritrovare un pochino delle comodità di casa sua presso coloro che lo accolgono. Conosco una buona ragazza che è zitellona oggi per aver trascurato quelle piccole formalità, quelle attenzioni che sono come il profumo della garbatezza. Era una signorina colta, buona, ma per disgrazia la sua mamma non conosceva punto il governo della casa nè vi badava: sonnecchiava, leggiucchiava e mangiucchiava tutto il giorno, mentre la figlia dipingeva o faceva di bei ricami. Si propone alla signorina un bravo giovine, ricco, bello, di cui s'innamora subito. Le cose si combinano senza difficoltà... non manca che la sanzione dei genitori del giovinotto: una vecchia coppia modello, Filemone e Bauci. Le signore che chiameremo Giulia e Maria, essendo in villa, lo sposo offre di venir a passare colà alcuni giorni coi suoi, perchè le due famiglie possano conoscersi bene. Si accetta con giubilo, si aspettano gli ospiti con ansia, la mamma sdraiata in un seggiolone a pianger tarde lagrime su Paolo e Virginia, la sposa a miniar due bianche tortore avvinte da un laccio di rose. Verso le dieci, ora a cui si è calcolato che gli ospiti giungeranno alla stazione, le signore si scuotono, scendono in giardino ad aspettarli. Ma sì!vengon le dieci, le dieci e mezzo, le undici; hanno bel appuntare gli sguardi, tender l'orecchio, nessun rumore di ruote, nessun polverìo sulla strada. Grand'inquietudine. Che non vengano? E perchè? La signorina impallidisce, la mamma sospira. Ma ecco spuntare in quella, a piedi - sotto il solleone - una brigatella lamentevole: un omettino secco, in maniche di camicia, con un fazzoletto in capo, un donnone tanto rosso da suggerire serii timori d'apoplessia, un giovinotto polveroso, imbronciato... - Dio buono! A piedi! grida la signorina. - A piedi! ripete la madre. Come? perchè? - Sicuro, a piedi, sclama l'ometto (che era il babbo dello sposo). A piedi! tre miglia sotto la sferza del sole, in agosto! Cosa da morire.Ma non c'erano carrozze. - Ah!certo! dice la madre della sposa. Bisogna comandarle, sa... - O dove le avevo a comandare? in piazza della Scala? replica il babbo, un bravo ambrosiano che chiama pane il pane. Bisognava comandarle qui! Era giusto: era vero... e le signore restarono impacciate. Si profusero in scuse e condussero gli ospiti... in camera? No: li conducevano dritto ad ammirare la villa: ma il babbo, senza complimenti, parlò di colazione. Ah! sì... la colazione! Ci avrà pensato la cuoca! La cuoca invero ci aveva pensato: così il servo: ma la tavola era apparecchiata senza ordine, senza cura, senza fiori: ma la colazione non aveva nulla di accurato. Le colazioni richiedono un antipasto preparato con cert'eleganza: sardine, acciughe o gamberi in conserva, burro, fichi o cocomeri, secondo la stagione: pesci se si è vicini a qualche lago: frutta, vini di diverse qualità, dolci, piattini leggeri, ma ben ammanniti. Invece c'era una profusione di vitello tiglioso (tutto vitello), di salumi rancidi, di cacio asciutto: il pane era raffermo: il vino,preso dall'oste del villaggio, era pessimo. I genitori si sogguardarono. Il desinare fu il fac-simile della colezione. La giornata scorse lenta ed uggiosa: le signore non sapendo che dire nè come trattenere gli ospiti. Alle otto il padre dello sposo parlò d'andar a letto. - Ah! i letti! sicuro! esclamarono le due signore. Convien prepararli. Maria ci avrà pensato? No: Maria non ci aveva pensato: ignorava che gli ospiti pernottassero. Immusonita, andò a metter sossopra le guardarobe semi-vuote, perchè gran parte della biancheria restava per mesi nel cesto della roba da accomodare. Ci volle un'oretta prima che i forestieri potessero salire in stanza. Finalmente la cameriera venne a dire che era pronto e, scortati gli ospiti fino alla loro camera, se la battè, senza domandar altro. I due vecchierelli, rimasti soli, si diedero a esaminare quella camera con sospetto giustificato. Non c'erano zolfanelli; l'acqua era tepida; non c'era che un cuscino per ogni letto, viceversa un coltrone buono Ciò che insegna la mamma. - 9. pel gennaio, nessun libro, nessuna traccia di lumino, e la madre dello sposo ci era avvezza. Le lenzuola..... Dio giusto!... erano umide, anzi bagnate... C'era da pigliar un malanno. I poveretti fecero gran lavori per sostituire plaids e scialli al coltrone, s'affidarono al destino e dopo una notte bianca, benedicono i primi raggi del precoce sole d'estate. Verso le sei cominciarono a tender l'orecchio, sperando che qualcuno si moverebbe, che capiterebbe il caffè.- Aspetta un'ora, aspetta due, eran le otto e mezza e non s'udiva ancora nessuno degli abitanti della villa a dar segno di vita. Si decisero ad aprire una finestra, poi la porta. I loro vestiti, le scarpe, erano sulla seggiola dove li avevano provvidamente preparati; ma ancor sudici, polverosi. Si rassegnarono ad infilarli tali e quali, e andarono alla scoperta. Tutto buio, silenzioso. Cucina senza fuoco, servitù e padroni addormentati: il padre picchiò all'uscio del figlio e svegliatolo: - Da' retta, disse con flemma. Ti rammenti una novella francese detta l' homme qui fait le ménage, in cui ad un povero diavolaccio che vuol far da sè il bucato, il burro e la minestra ne capitano d'ogni colore? Se ti senti la vocazione di faire le ménage, sposa codesta signorina: noi si torna all'ombra del duomo ed in casa tua per ospiti non ci si capiterà! E partirono con un pretesto, ed il matrimonio andò in fumo, e la signorina sospira ancora oggi davanti alle due tortorelle avvinte da un laccio di rose. Ho già detto che in villa i rapporti si stabiliscono più facilmente. Così è lecito ai vicini appiccare discorso se s'incontrano: così inquilini della stessa villa ponno entrare in relazioni senza l'intervento di terzo o lo scambio di biglietti di visita. È lecito del pari, per chi ha ospiti, condurli seco alla sera dalle persone dove sono soliti di radunarsi ed alle gite che si fanno insieme, e ciò senza preavviso e presentandoli al momento. Perfino chi si recasse a pranzo da amici ed avesse ospiti potrebbe condurli seco. Le signorine non escono sole in villa: ma ponno permettersi un breve tratto di strada da una casa all'altra, ed una visitina senza chaperon alle amiche. Per le gite invece ci vorrebbe sempre almeno un babbo od una signora maritata.

Pagina 118

Bisogna sapere e dire a tutti dove si vuol andare, calcolare approssimativamente il tempo necessario, e ciò perchè nessuno si stanchi, e quelli che sono rimasti a casa non abbiano a sentir inquietudini. Portando seco la colazione vi sono tre sistemi: talora è uno solo che fa da anfitrione, invitando gli altri; di solito invece ognuno reca il proprio contingente, e ciò dietro un accordo con l'organizzatore della gita, perchè non si trovino troppi commestibili uguali, e non manchi invece qualche cibo indispensabile, e questo è il pic-nic inglese; finalmente (e questo è il sistema più comodo) ognuno reca la propria colazione e se la mangia con qualche scambio fra invitati. In generale quelle colazioni, quando semplici, constano di salumi, carni fredde, formaggio, frutta e caffè. Per semplificare i trasporti ognuno si munisca di una sacchetta ad armacollo con entro un coltello di quelli a doppio o triplo uso, una barchetta di cuoio, un tovagliolino; quella barchetta permette di bere nel proprio bicchiere, cosa sempre gradita. Le signore non ammettano famigliarità; non facciano comunanza di piatto e bicchiere con qualche giovane. Son cose che danno luogo a molto critiche. Quando si vuole che le colazioni abbiano un carattere un po' elegante, si reca l'occorrente per apparecchiare la tavola sull'erba, si prendono i servitori e la lista dei piatti sarà più ricca; saranno ben accetti tonno e sardine in olio, galantine, pasticci di fegato, polli in maionnesa, torte e panattoni, frutta scelta, vini di lusso. Non bisogna mai scordare qualche vino un po' forte che serve a vincere la stanchezza, nonchè il caffè nero, il quale è ottimo per dissipare quella specie di stordimento prodotto dall'aria e dal sole che i francesi chiamano: La griserie du grand air et des feuillets vertes. Alle signore raccomando di non bere troppo vino e di limitarsi ad una sola qualità, perchè è facile che il vino vada alla testa quando lo si beve all'aria aperta e molto accaldati. In quanto al contegno da tenersi in quelle gite deve essere conveniente come se si fosse in un salotto; saranno escluse cioè dalla gente per bene le celie triviali, le famigliarità fuor di luogo, le espressioni men che oneste e non si dirà per scusare, anzi, quasi per legittimare ogni eccesso, la solita frase: Oh in campagna! tutto è lecito... invocando così la teoria delle Saturnali o delle Kermesse. Non ho agio di studiare qui i vari tipi riprovevoli; i faceti che fanno arrossire le signore, gli sbrigliati che vociano e cantano e fanno cento pazzie, i noiosi che brontolano, le svenevoli che ora scivolano o chiedono soccorso, ora gemono per la lunghezza della via, le civettuole che vogliono sequestrare tutti i cavalieri, godendo della stizza delle altre; non posso che dichiararli fuor della legge, rispetto al codice della cortesia. Pel ritorno non è amabile insistere, perchè s'affretti, o si anticipi, ma si deve stare al parere della maggioranza. Se una brigata si divide, perchè certuni si spingono più lontano, questi debbono fissare l'ora del ritorno per la colazione, e se tardano troppo, gli altri hanno diritto di mangiare senza aspettarli. Se si esce in barca od a cavallo (sui somarelli) è disdicevole ed inurbano, ove qualche signora mostri paura, deriderla, e per celia fare dondolare il battello, oppure frustare l'asino. La paura è un'impressione nervosa; riesce difficile bandirla, penoso il sopportarla; può avere delle tristi conseguenze. Invece di deriderla, convien rispettarla come un'infermità... quando si tratta degli estranei. Ben inteso che chiunque farà bene a volerla estirpare sia nei proprii figli che nei proprii amici: ma, lo ripeto - in società ci si va per diletto, e ci vuole vicendevole indulgenza e cortesia; le lezioni sono sempre fuor di posto. Alla sera vi sono molti trattenimenti possibili in villa; pel giuoco e la musica le lettrici si riferiscano al capitolo delle veglie. Pel ballo è lecito di accettare cavalieri anche senza presentazione, ma è preferibile non farlo, e nessun uomo garbato si prevarrà della libertà campagnuola per esimersi da questo atto di doverosa cortesia, tanto più che basta si rivolga a qualche signore che conosca appena per ottenere quel piccolo servizio. È scortese in un uomo ballare senza guanti, per più motivi, ma specialmente perchè con le mani sudate si sciupano affatto i vestiti alle ballerine. I giuochi innocenti (che converrebbe chiamar perfidi) sono generalmente il pomo della discordia fra villeggianti. Basta nominarli perchè ognuno si rannuvoli, e gli obesi pensino con raccapriccio a gatta cieca, i sedentari al giuoco della posta, i sonnolenti al giuoco degli spropositi o agli indovinelli, i suscettibili alla berlina, ed è una gara, perchè su dieci persone ognuno vorrebbe si scegliesse..... il giuoco che piace a lui e dispiace forse agli altri dieci. - Dunque, che si fa? (dicono i giovani). - Gatta cieca! (risponde l'organizzatore). - Chè! (coro di matrone ed uomini seri). - La posta? - Chè! Chè (coro inferocito). - Il bastimento carico di... - Uh! roba rancida (coro di ragazze). - Gli spropositi? - Uh! Uh! (coro inferocito). Infine si arriva a scegliere...... e vengono i pegni, i brontolii. Consiglio chi giuoca di ricordarsi che in società il divertimento di tutti deve costituire anche il divertimento individuale, perchè, chi cerchi soltanto questo, si troverà spesso in opposizione con la maggioranza, e non godrà punto. Si accettino tutti i giuochi e non si mostri stizza quando si è acchiappati o quando non si riesce a indovinare una sciarada od un enimma: non si creda nemmeno di trovare, in certe frasi accozzate a casaccio, delle allusioni maligne e non si protesti. D'altra parte, quando si fa la penitenza della berlina, si eviti di dire delle verità; nulla offende di più i suscettibili, che quello di vedere indovinato qualche loro difettuccio. Val meglio dire una frase nulla, una delle solite frasi trite, che peccare di malignità e dar dispiacere o suscitar rancori. Se dovessi dir tutto il mio pensiero, soggiungerei che quantunque sia accettata da molti, trovo la berlina un giuoco poco innocente e poco cortese. Se si fanno sciarade in azione, travestimenti od altro, si deve evitare le gare per la scelta del costume e della parte; sopratutto ricordare che nessun giuoco va pigliato sul serio, e preso a pretesto di recriminazioni o malumori.

Pagina 131

Quella madre, negando alle sue ragazze un po' di brio, un po' di liberetà, le spinge a desiderare con ardore il matrimonio come liberazione, fa nascer in esse la falsa idea che le donne maritate abbiano l'esclusivo diritto di divertirsi, di esser allegre, e così - invece di prepararle ai loro doveri futuri - le prepara a trasgredirli, dà loro un falso concetto della vita di moglie e di madre. E le madri che persistono a voler rimaner giovani, non vedendo le prime rughe ed i primi capelli bianchi: che vanno al ballo scollacciate mentre le loro ragazze, a diecisette o dieciotto anni portano ancora vesti corte, e sono ancora trattate come gli altri bimbi di casa? Per fortuna, questo tipo ormai è raro; specialmente nei grandi centri non sembra più legittimo che le signore mature s'aggirino (penosamente) nel turbine del walzer, con fiori in testa, facendo della gioventù delle figlie una specie di clausura,e da quel tedioso e triste isolamento spingendole all'improvviso nella malintesa libertà di qualche matrimonio combinato per loro senza consultare nè gusti nè simpatie. Ai nostri tempi, i figli hanno peggiorato un pochino, almeno in apparenza, ma i genitori, ed in ispecie le madri, sanno intendere assai meglio il loro còmpito e se v'ha una menda da notare è quella che si sagrificano troppo. Chiudiamo la parte della madre con un cenno sopra una questione gravissima in tutte le famiglie borghesi: la servitù. Il modo con cui si tratta è un'altra gran norma per ravvisare subito la signora per bene. La servitù ormai è diversa da quella d'una volta; non si vedon quasi più quei tipi di gente invecchiata in casa che ama il servizio ed il padrone. Oggi la servitù passa per le famiglie, quasi senza fermarsi, un po' per I'irrequietudine che spinge tutti a migliorar il proprio stato, un po' perchè i padroni stessi sono più esigenti. È quindi impossibile trattar con fiducia delle persone che domani forse ci avranno lasciato. D'altra parte se - filosoficamente parlando - le persone di servizio sono uguali ai padroni, in pratica la diversità di stato esige dei rapporti speciali e prima condizione di questi si è che l'uno comandi e l'altro ubbidisca. In generale,per ottener l'ubbidienza, bisogna con la servitiù, come coi ragazzi, non ammettere nè la famigliarità nè la discussione. L'ordine va dato con chiarezza e con certa autorità: non con arroganza. Il rimprovero dev'essere severo, ma breve.Se la persona di servizio si riscalda, va richiamata all'ordine con sangue freddo. La vera superiorità del padrone deve manifestarsi nella dignità dei modi. Chi scende a triviali ingiurie si mette - non al livello della persona di servizio - ma al disotto, perchè insulta chi è più debole di lui. Nulla è più volgare e disgustoso che quelle scene in cui la signora educata dimentica se stessa, alza la voce, ricorre al vocabolario delle erbivendole, esponendosi a ricevere insulti della peggior specie. E riesce ancor più disgustoso, se l'origine del diverbio è un'ingiusta pretesa od un atto di tirannide. Seppur è grave errore trattar la servitù da pari a pari, è più grave, però, il trattarla con crudeltà, lo scordare che sotto il servo c'è l'uomo, e che se i difetti inerenti alla servitù ed il decoro ci vietano di farcene degli amici o dei compagini, l'umanità ci vieta di farne delle vittime. Anche di fronte alla servitù il rispetto si ottiene, non con la prepotenza, ma con la stima ispirata dalla nostra condotta e con l'equità. Le vere dame non si permettono quasi mai con le cameriere i capricci di certe persone di poca coltura, arricchite per caso. Le trattano con dolcezza quasi pietosa, come si trattano i deboli ed i fanciulli, e si mostrano indulgenti ai loro difetti perchè tengono conto delle circostanze che li hanno fatti nascere - e sopratutto non se ne fanno delle compagne. Una signora per bene, per esempio, invigilerà la cameriera - ma non la terrà con sè in stanza a lavorare, rendendola così la confidente di tutti i discorsi e di tutti gli interessi di famiglia - non uscirà a passeggio con lei - non la farà desinare alla sua tavola - non le permetterà di raccontar ciarle sul conto delle persone che vengono per casa. Potrà, se la vede triste, informarsi dei suoi dispiaceri; non le confiderà i proprii, essendo difficile che possa ricavarne un conforto,e più probabile che ne senta uno svantaggio, quella famigliarità facendo scemare il rispetto. Taluni vanno a teatro, a far gite e visite con le fantesche. È usanza che assolutamente dinota che non s'ha uso di mondo. Ciò non è lecito che per bambinaie od infermiere. Se per qualche motivo la fantesca vi segue, stia a parte. Quando,per caso, una persona di servizio fa più di ciò che si è pattuito, consiglio di premiarnela subito; altrimenti, mancando quella persona di delicatezza, è facile che se ne faccia un pretesto per esser esigente, pigra e scortese. Légouvé, nel suo aureo libro - Nos fils et nos filles - racconta il caso di una cameriera che, nel tempo della guerra, trovatasi con la padrona in esiglio ed in circostanze pericolose, la servì con zelo e ne fu trattata come sorella. Tornati tempi più tranquilli, la cameriera, sebbene sempre onesta e divota, erò accampava molte pretese, e ad ogni osservazione, rispondeva con certa amarezza: Dopo quel che ho fatto per i miei padroni! La signora, per suggerimento del marito, posta nel bivio di mostrarsi ingrata o di non esser più padrona in casa propria, scelse un mezzo termine, diede alla cameriera il denaro necessario per stabilirsi a far la sarta. Siccome tutti non hanno il modo di sdebitarsi così lautamente, convien sdebitarsi subito, se vi è stato un servizio più faticoso del solito; malattie, ospiti, nozze, dando un bel regalo, senza dirne chiaramente il motivio, perchè sarebbe indelicato, ma con una perifrasi che indichi come quel dono sia un supplemento di salario: e siccome il buon cuore non si paga, così al dono si aggiungerà qualche parola lusinghiera ed affettuosa. Dalla servitù si richieda poi qualche civiltà; si abituino a dar il buon giorno e la buona notte: non si permetta che fra di loro scendano a diverbii villani. I francesi dicono: tel maître, tel valet: è giustissimo. Spesse volte basta veder la fantesca per giudicar della padrona: se vi appare in ciabatte, spettinata, discinta, potete supporre che serve in una casa dove c'è poco decoro. La brava massaia, che ha cura d'anime, deve anche sulle proprie fantesche esercitar un'influenza moralizzatrice, insegnando loro od esser linde, a tenersi ben ravviate, a non sciupar la roba propria nè quella dei padroni. Ma, insomma, codesta padrona di casa deve dunque badare a tutto ed a tutti? Invigilare le cose le più infime e le più importanti, dagli studi severi del figlio, dalla sorveglianza così ardua delle ragazze di cui si deve scrutar psicologicamente il cuore, scender alle ciabatte della cuoca? Senz'altro, care signore, senz'altro! Nella borghesia in cui, con mezzi relativamente limitati, c'è molta coltura e si vive nella buona società, una vera madre di famiglia deve possedere le doti le più diverse... la pazienza la più infinita. Del resto, credetelo, molte dame si occupano anch'esse del governo della casa, poichè dove non c'è vigilanza, c'è spreco e disordine, e ben lungi dall'esser un avvilirsi è un onorarsi, è un mostrare mente superiore, l'attendere alla propria casa; e la donna che lo rivela schiettamente, sarà più stimata che quella che, con una male intesa albagia, voglia farne mistero. E qui torna opportuno un appunto. Se è contrario alla vera finezza il millantarsi quando si è in cospicua condizione, è schiettamente ridicolo il millantarsi... quando questo non è il caso, il volersi far credere ricchi quando non lo si è, il chiamar pomposamente l'unica fantesca la mia servitù; la mia villa, una bicocca; il descriver viaggi immaginari,pranzi luculliani, citando cifre esorbitanti..... e spesso assurde: l'attribuire le proprie toelette alle prime sarte, e così via. La zitellona ideale, sorella o zia. - Se è in casa propria, col padre ed i fratelli, senza madre deve avere le doti della padrona di casa. Se è col fratello e la cognata, od in casa propria con la madre, non ha altra missione che quella di ausiliare. Deve tenersi ugualmente lontana dall' affettar troppa indipendenza e dal far troppe svenevolezze. Dopo i trent'anni può uscir sola, vestir come una signora, permettersi le letture che più le piacciono (sempre nei limiti di ciò che si addice ad una donna). Non faccia la libera pensatrice, nè la vittima; non dica di aver rifiutato venti partiti principeschi; non declami contro la malvagità maschile. Sia semplice e buona; la bontà sarà il suo ornamento, supplirà alla bellezza che spesso le manca, alla gioventù che sfuma.In casa non si lamenti d'esser inutile e spostata; chi ama trova sempre un posticino ed essa ami i suoi; faccia in modo che a lei si volgano gli adulti per consiglio, i piccini per conforto. Ami, e non si troverà nè inutile, nè sola. Ma si ricordi che le tocca una parte secondaria; si guardi bene dal voler contendere alla cognata l'autorità in casa, ed alle fresche nipotine la palma della bellezza. Si guardi dall' acrimonia, dalla maldicenza, e se fra i suoi non trova un appoggio nè occupazione,si ricordi che vi sono tanti che soffrono - bimbi senza madre, e genitori privi dei figli, e gente senza tetto, senza pane. Adotti per famiglia i poveri, oppure consacri il tempo ad utili studi. Imiti l'esempio delle inglesi, ed a chi sogghignasse sussurrando: vieille fille, risponda che erano vielles filles Miss Florence Nightingale che andava sui campi di Crimea a raccoglier i feriti, Miss Hill che in Londra faceva fabbricar case pei poveri, Miss Martineau che dettava scritti di economia politica, e da noi fu zitellona Maria Gaetana Agnesi. La zitellona reale pecca invece spesso per certe debolezze che fanno sorridere. Ora vuol far la bimba ed esser messa a pari delle sorelline e nipotine, ora vuol che prevalga il suo senno. È acrimoniosa, pettegola. S'immischia di tutto, critica tutti, essendo però suscettibile a segno da piangere per la menoma allusione al suo celibato. Le signorine, i bimbi sono le sue vittime - li tiranneggia, lagnandosene. Non vuol rinunziare a nessuna festa, a nessuna gita, a nessun abbigliamento e gli abbigliamenti vuol uguali a quelli delle giovinette di sedici anni. È un cruccio per tutti, perchè si rende ridicola in società, o assumendo un far d'ingenua, o facendo il broncio perchè trascurata. Soffre e fa soffrire, non vedendo che i suoi mali e dimenticando che anche chi ha marito e figli trova più spine che rose nella vita. La giovinetta ideale. - Come è semplice, come è dolce quella parte! Amare e sorridere, ecco quanto le si chiede! Dev'esser ingenua, buona, allegra sopratutto; l'allegria nella gioventù è quasi un dovere. Dev' essere operosa, pronta anche ai lavori più umili, e come la madre, educata in gentile eccletismo di abitudini, in modo che sappia passare dalle occupazioni casalinghe alle occupazioni intellettuali; con la mamma, spolverare, stirare; col babbo, mettersi a fare qualche conto, a scriver qualche lettera d'affari. Insomma dev'esser esperta in molte cose, libera da ogni sussiego e memore che la donna piace a tutti nell'esercizio delle sue attribuzioni, che Goëthe nel Werther ci presenta la sua Lotte intenta a spalmar il burro sul pane dei fratellini, e Rousseau, nel dipingere la donna ideale che dà per moglie all'uomo ideale (nel famoso Emile), dice: « Sofia è esperta in tutti i lavori del » suo sesso, sapendo perfino fare i proprii vestiti; se n'intende » di cucina, sa il prezzo delle derrate e tien i conti; » dovendo un giorno esser madre di famiglia, si esercita » nella casa paterna. Pel momento suo primo dovere è » quello di figlia, suo unico scopo serivir la madre ed » aiutarla ». Servir la madre... Meditate questa parola, signorine. Ne ciò basta: occorre alla signorina un'altra dote, una dote che poche ragazze hanno: sapersi annoiare. Per inconscio egoismo le fanciulle aborrono ciò che chiamerò le minuzie del dovere. Far la partita col nonno, trastullarsi coi bimbi, rammendar il bucato, copiar le lettere del babbo, ecco delle cose da cui rifuggono, eppure nulla è così caro come l'aspetto di una giovinetta che si sagrifica un pochino per altrui! La cieca ubbidienza ed il rispetto di una volta non si esigono più - non occorre dar del lei ai genitori e baciar loro la mano, ma la deferenza è sempre necessaria; e se anche una signorina sa di poter fare quasi in tutte le occasioni a modo proprio, però nel contegno deve apparir sottomessa, rispettosa; non deve mai dar ordini, nemmeno alla servitiù, ma trasmetterli. La vanità non le è lecita, ma le è imposto di esser sempre linda e ben ravviata. In Inghilterra soltanto le signore ammalate si permettono la veste da camera fuor della loro stanza da letto; tutte le altre, donne e ragazze, fin dalle otto del mattino sono pettinate e vestite. Se le occupazioni casalinghe non permettono d'imitarle, eviti però sempre la signorina di girar per casa scapigliata, in pianelle, con gonna sudicia, senza busto. Quel disordine è disgustoso. Chiuda le treccie in una reticella, metta delle scarpe, un vestito a vita larga, di quelli detti matinée, semplice,povero, se vuole, ma non sfilacciato, non macchiato. La giovinetta reale. Oh! qui, se non avessi segnata la via, mi formerei tanto da scriver un volume. Gli è che la giovinetta ideale è una sola - e le giovinette reali offrono dieci, venti varietà di tipi, tutti egualmente riprovevoli. Ne sceglierò due: la giovinetta chic e la giovinetta bizzarra. L'una troppo donna; tutta vanità, pretesa, capriccio: in casa, aliena dal lavoro utile, smaniosa di quelle cose che, secondo lei,dinotano ricchezza - cavalcare, cantare, suonare, ricamare, dipingere; ma senza studio, a sbalzi, per affettazione; arrogante con chi le sembra povero o non addetto alla haute; insensibile agli affetti e decisa a cercar nel matrimonio, non l'amore... - oh! che cosa antiquata! - ma il milione. L'altra invece, non abbastanza donna, sdegna l'ago; lascia che la mamma fatichi e cucisca e stiri da sè, restando immersa nei libri, e seppur le si fa osservare che nelle nostre umili dimore i tordi non piovon arrostiti in bocca, e se si vuol che si occupi della casa, si stringe nelle spalle o se la cava dicendo che non prenderà marito, che non vuol diventar schiava, ed altri discorsi di questo genere: quella ragazza confonde l'ingegno colla stravaganza: pretende di distinguersi in tutto; rifugge dal passeggiare, dal ballare, dal vestirsi con buon gusto. A diciotto anni vuol ragionare e non vivere... Ed intanto i poveri genitori non hanno nè aiuto, nè conforto. Si è riso moltissimo delle signorine romantiche del 20 o giù di lì, nudrite di latte, frutta e poesia; delle figurette da strenna con la vita da ape, il bocchino stretto, i capelli pioventi sulle spalle in lunghi riccioli, il cuore caldo di entusiasmi pegli eroi di Walter Scott o di Dumas, ed assorte nella ricerca dell'ideale (un giovane pallido, tisico, povero, senza nome... oh! specialmente senza nome!). Eppure in quelle ragazze derise c'era - sotto la posa - molto vero sentimento. Nelle bambole, nelle emancipate d'oggi che cosa c'è? Egoismo e capriccio. E con tutte le loro pretese non sono persone per bene. Il giovinotto ideale è sottomesso ai genitori, buono per le sorelle e pei bimbi, garbato verso i visitatori. Non fa l'orso. Sia che incontri un'amica delle ragazze, un visino fresco come rosa, od un'amica della nonna, una vecchierella tutta grinze, saluta con cortesia. Accompagna la mamma; fa, a volte, le sue commissioni; aiuta i piccini nel còmpito, studia senza farsi pregare. Il giovinotto ideale continua - sebbene quasi uomo - ad esser docile ed amoroso coi suoi. È ordinato, tranquillo, ilare - non.... Ma ciò che non fa lo vedremo nel giovane, come è realmente. È cosa singolare che il progresso abbia prodotto un tal ribasso di galanteria, e sarebbe bello lo studiarne le cagioni. Comunque sia, le donne, che nel rozzo medio-evo eran quasi adorate, che vedevano i cavalieri erranti affrontare ogni pericolo, ed i baroni arrischiar la morte nei tornei per un loro sorriso - le donne che nel secolo scorso erano fatte segno del rispetto il più assoluto da parte dei marchesi incipriati e portate alle stelle dai poeti - come la Beatrice del Dante, la Laura del Petrarca, la divina Emilia del Voltaire, la marchesa d'Houdetot, le donne cui non si parlava che col cappello in mano e velando di perifrasi la semplicità delle parole - ora, confessiamolo, sono trattate con gran disinvoltura dai signori uomini ed in casa e fuori. Liberarsi da ogni soggezione, mancar ad ogni riguardo, sembra privilegio maschile. Perfino la mamma ammette che l'uomo non abbia obbligo d'esser garbato, e quando fa la rassegna dei cassetti del signorino, dove i mozziconi di sigaro alloggiano coi guanti bianchi, i canocchiali con gli stivaloni ed i compassi coi solini, mormora rassegnata: già, gli uomini son tutti così! lo ripete quando il signorino mette i piedi sulle seggiole, non si alza per dar posto alle sorelle, non raccoglie da terra il libro od il lavoro della mamma, bestemmia contro la servitù, fuma in salotto, scappa come il diavolo dall'acqua santa se capita qualche amica di casa un po' matura; gli uomini son tutti così. Tutti così? E perchè? Ed è veramente necessario? Capisco che un po' di astrazione può esser legittimata col pretesto degli studi o degli affari, ma non vedo per quale ragione, negli uomini, il disordine diventi un diritto; non vedo perchè debbano potersi esimere dall'ordine, che è risparmio di tempo, di denaro e dalla creanza, che è il modo di farsi voler bene e di provare la propria superiorità di educazione, e forse di cuore. L'ordine diventa abitudine se s'impara da bimbi, e nessuno mi vorrà negare che sia giovevolissimo. Smarrir il proprio fazzoletto, collocar regolarmente il bastone in luogo dove non si può ritrovarlo, lasciar l'ombrello al caffè, son cose da nulla: ma non è aggradevole lasciarvi il portafogli, è spiacevole senz'altro perder delle carte di importanza, e spesso poi riesce pericoloso il seminar di qua e di là la propria corrispondenza. Considerando inoltre che il tempo è denaro, quanto non si spreca coll'eterno smarrire e cercare?.... Ma, diranno i signori uomini, perciò appunto sono create le donne; a loro tocca di cercar la nostra roba, di mettercela sotto mano... Benone: e queste donne ve le conducete dietro all'Università, in viaggio, allo studio? No, eh? Ed allora come farete? Sarete saccheggiati, o sciuperete in poco tempo tutta la vostra roba. Le cose materiali hanno poi un nesso con le morali, in guisa che l'uomo il quale del disordine si crea una seconda natura, difficilmente eviterà la confusione anche nelle idee, nelle abitudini, e diventerà astratto e sregolato a segno da rendersi importuno oltre ogni dire in casa e fuori. È nota a tutti la storia di quel tale che, respinto da un banchiere, cui lo si proponeva per impiegato, veniva dal medesimo richiamato in gran premura mentre attraversava il cortile. - Signore, vi accetto, diceva il banchiere al giovane trasecolato. E sapete perchè? perchè v'ho veduto a raccattare uno spillo. Ciò m'ha rivelato che avete ordine ed accuratezza, le due prime qualità del negoziante. E quel giovine, da impiegato, diventava socio e genero del principale, e, come lui, milionario. Non pretendo certo che tutti i giovani facciano concorrenza ai cenciaiuoli, ma mantengo che anche negli uomini l'ordine e la nitidezza sono due doti preziose. Così lo sgarbo per sistema è cosa bruttissima - il rifiutarsi ad accompagnar le sorelle, il motteggiarle quando sono un pochino eleganti, il derider con scetticismo precoce i modesti divertimenti di famiglia, l'introdurre soggetti disdicevoli, e davanti alle ragazzine di dodici o di quattordici anni, nominar signore di dubbia fama, raccontar aneddoti poco edificanti, son tutte cose contrarie a quel galateo di affezione, di scambievoli riguardi che crea la dolcezza dei rapporti intimi. Il bimbo ideale non ha che un'occupazione: giuocare; un dovere: obbedire. Ma veramente il suo galateo riguarda affatto la mamma, dal primo giorno al quinto o sesto anno della sua vita. Il galateo del lattante ideale è semplice. Dev'esser sempre pulito, sempre in belle vesticciuole o cuscini bianchi, con una cuffietta,oppure con la testolina nuda ben spazzolata (nessuno più crede che quella crosta che la polvere forma sul cranio sia igienica). Possibilmente lo si tenga in una stanza un po' appartata ed i pannolini non sieno mai semplicemente messi ad asciugare, ma sempre risciacquati, al quale scopo convien buttarli man mano in un gran bacile pieno d'acqua. Però, se si preferisce o se si deve tenere il piccino allato, lo si tenga in una culletta e si ripongano in un canestrino i suoi pannolini e le sue fascie, evitando di disseminarli per la stanza, il che sarebbe brutto ed incomodo perchè diffonderebbe dappertutto odor di latte o... d'altro. Al lattante non si dia in mano qualunque cosa pur di tenerlo tranquillo, perchè il continuo picchiare gli nuoce e certi oggetti ponno tornargli pericolosi. Il meglio è una radice d'ireos attaccata ad apposita catenella. Sopratutto si eviti di poggiar il bimbo qua e là sui canapè, sulle seggiole, il che lo mette a rischio di esser schiacciato da qualche visitatore miope, o dimenticato. So di una signora astrattissima, la quale un giorno, nel rigovernar delle biancherie, poggiò il suo lattante sopra una delle tavole dell'armadio; poi riposto il bucato, chiuse, se ne andò... Per poco il piccino rimaneva asfissiato. La signora o la bambiania tengano un lenzuolino di gomma da porre sulla cuna od in terra nel luogo dove poggiano la creaturina quando è più grandicella - abbiano pure sempre un gran grembiale di gomma. Appena è possibile, insegnino al piccino gli elementi del galateo - lo abituino a salutare, a rispettar la gente e la roba. Non ridano se volta le spalle ai visitatori, se ad un bacio risponde con un buffetto, o dice graziosamente all'uno: sei vecchio, all'altro: sei brutto... Quelle cose che fatte da bimbi di due anni paiono tratti di spirito, da quelli di quattro tornano già uggiose e da quelli di sei, sembrano bell'e buone scortesie. È smania generale ora metter i bimbi a tavola a sei mesi e per prevenire certi... inconvenienti, collocarli in apposita seggiola, per cui, sul più bello, c'è un gran tramestio, la seggiola vien aperta per di dietro, l'oggetto... che offende, vien tolto con maggior danno che se rimanesse dov'è, e seppur babbo e mamma non respirano che essenza di rose, spesso e fratelli e nonni e zii... hanno il naso più perspicace. Preferisco l'uso inglese che vuol che il bimbo mangi più spesso degli adulti, faccia pasti più brevi ad ore più adatte, e ritengo che il metterlo a tavola troppo presto renda piuttosto più difficile che più agevole il dargli delle buone abitudini. Comincia a mangiare con le mani, a imbrodolarsi, e si compatisce: è tanto piccino! Poi seguita, e non si vorrebbe più compatirlo, ma lui, che non sa di logica, s'impunta a continuar nel suo sistema e ci vuol molta fatica a correggerlo. Quando poi il bimbo cammina, trovo bene tenerlo in una stanza con pochi mobili e coi suoi balocchi, e non permetter che metta sossopra tutta la casa, seminandola di carta, di puppatole, rompendo i mobili. Non è amor materno quello: è disordine, e non c'è più cattiva abitudine che quella di far d'un bimbo un piccolo iconoclasta. La signora di Genlis narra a questo proposito che andando a far le sue visite da sposa, vestita in gran gala, s'intende, capitò in casa d'una signora di cui il bimbo, viziato oltre ogni dire, appena la scorse, allungò le mani verso il suo cappellino, un cappellino nuovo, fiammante, gridando: lo voglio! lo voglio! - Che vuoi, carino? chiese la mamma, cui premeva contentarlo. - Il cappello! subito! lo voglio! voglio giuocare! - Ebbenebimbo mio, disse la madre con gran sorpresa e terrore della sposina, chiedilo con buona maniera e la signora te lo darà. Per fortuna, conclude la Genlis, egli non volle mai valersi della buona maniera ed il cappello fu salvo. Più grandicelli, i ragazzi non devono mai dar ordini ad alcuno, mai interrompere il babbo e la mamma, nè immischiarsi dei loro discorsi, e dire, non richiesti, il loro parere e disturbare chi è occupatocon ciancie, chiasso o domande importune. A tavola devono aspettar d'esser serviti e non allungar le mani verso il piatto e non far ossernazioni sulla qualità dei cibi. Il parlar poi senza discernimento, ed il riferire ciò che hanno veduto ed udito è cosa biasimevolissima in loro. Il bimbo, che spesso non intende bene e ripete peggio, può far nascere dei gravi disgusti. Convien imprimergli ben in mente la differenza che c'è fra il dir tutto a tutti in tutti i momenti ed il mentire. Alla mamma od a chi per essa, affidi ogni cosa, nulla agli altri. Del resto, se sarà abituato a cansar la curiosità e le ciarle, non baderà nemmeno ai discorsi che non lo riguardano. Gli si faccia poi notare che il motteggio è la cosa più inurbana e stolta che vi sia; che il bimbo inesperto, ignorante, non può intender bene ciò che fanno e dicono gli adulti e quindi non deve permettersi di censurarli nè di deriderli; che la canzonatura, villana coi pari, diventa irrispettosa verso i maggiori, crudele e codarda verso i deboli e gli infelici. Si procuri anche di non far conoscere al bimbo la differenza delle fortune e di avvezzarlo garbato, sicchè rifugga da chi non ha educazione, ma non borioso, sicchè rifugga da chi è povero. Sia talmente avvezzo al rispetto verso i superiori ed i vecchi da non accorgersi dei loro difetti, nonchè da criticarli - non veda che il suo professore è brutto, che il suo nonno, poveretto, non si tien pulito e copre di tabacco tutto ciò che gli capita vicino. Ami... e sia cieco come l'amore. Sarà più contento e più caro. Conoscevo un ragazzetto il quale, tornando alla casa paterna dopo aver vissuto per alcuni anni con una zia che lo viziava, un giorno in cui l'avolo, veterano di Napoleone, raccontava al solito una delle sue campagne, si fe' lecito di interromperlo sclamando: -Eh! nonno! ormai quella storia la sappiamo a mente è la decima volta che ce la racconti! Il nonno si scosse arrossì e con un sospiro: -Sarà vero, disse... divento vecchio! divento vecchio! Ma il babbo balzò in piedi, e con sdegno - Tuo nonno è stato uno dei gloriosi che hanno tenuto alto l'onore deI soldato italiano, disse. Prega Dio, di poter anche tu, da vecchio, ripeter sempre la stessa storia di coraggio e di virtù! Il ragazzo capì il suo torto, tanto più che da quel tempo il povero nonno non volle più dirle, le sue storie, rispondendo avvilito a chi gliele chiedeva: No, no; è sempre la stessa cosa: annoia. È necessario che il bimbo impari la delicatezza e sappia come affligger le persone attempate sia grave torto. Il rispetto pei vecchi stava nel galateo degli antichi: qualunque ragazzo, a Sparta, doveva alzarsi davanti ad essi; sta nel galateo dei selvaggi: sarebbe strano che fosse meno osservato nei tempi moderni dalla gente più civile. Ma per ottener nei fanciulli quella creanza e quella delicatezza che a volte essi non hanno per istinto, è mestieri non lasciarli mai con le persone di servizio. Mi spiego. Quando la nutrice o la bambinaia, che si devono scegliere con grande cura, sono partite perchè non s'ha più d'uopo dei loro uffizi, convien industriarsi in modo che il bambino non stia in intrinsichezza con cuoche, servitori o cocchieri, gente che molte volte ha contratto gran numero di vizi e per abitudine poi tiene un linguaggio rozzo ed inverecondo. Ma, direte voi, i bimbi devono dunque star sempre coi genitori? Non lo credo; credo anzi che sia pessimo costume tenerli in salotto quando si riceve, condurli in visita od a teatro. E dunque, mi chiederete, come si combina la cosa? In quattro modi, secondo me e sono: Il collegio. - Non l'approvo, ma lo accenno per chi avendo negozio e non potendo mai accudire ai propri figli vuol torli da pessimo contatto. La scuola. - Nelle ore di scuola i genitori sono liberi possono dedicar quindi tutte le altre ai figli. Un'istitutrice o almeno una bambinaia fidata, di nota moralità. Vi sono molte donne di buona famiglia le quali, incapaci per salute di far la cameriera, e non tanto colte da far le maestre, possono assumere la guida di ragazzi già grandicelli. Finalmente, oltre alla scuola, chi non volesse fermarsi in casa alla sera, potrebbe prender qualche maestra fidata che lo supplisse. Ma..... e se non s'hanno i mezzi di tenere questi maestri? Suppongo che allora non s'avrà nemmeno i mezzi di girar teatri e feste.Comunque, reputo dovere trovar un modo di evitare ai ragazzi la vicinanza delle fanteshe, da cui in generale non impareranno nulla di buono. Si può trovare una perla che cucini e stiri perfettamente, eppur tenga discorsacci da trivio ai bimbi. D'altronde, con le serve il piccino si abitua a continui battibecchi, perchè, essendo il padrone, non vuol obbedire; prende anche spesso il vizio di dir bugie.Avevo una cameriera, la quale ritenevo fidatissima, sicchè, non potendo uscire per indisposizione, le davo il bimbo da condurre a passeggio. Due o tre volte, al ritorno, gli trovai in mano dei balocchi, e mi disse che glieli aveva comperati la cameriera. Io la rimproverai, avendo per norma di non permettere che i bimbi accettino doni dalla povera gente. Essa si scusò dicendo che voleva tanto bene a quel piccino! Ebbene, sapete perchè gli faceva quei regali? Perchè, impaziente e manesca, s'era lasciata trasportare a percuoterlo,e voleva così comperar il suo silenzio. Notandogli dei lividi sui bracci, sospettai la cosa, e seguendo la donna la verificai e la licenziai. Altre volte la fantesca stringe col piccino un patto di colpevole compiacenza: gli dà delle leccornie perchè egli non dica di averla veduta a bere il vino ed il caffè. Queste cose turpi, alla servitù, per lungo costume, sembrano naturali: ma pei ragazzi, che lezioni! E non si supponga che io esageri: le gazzette recano storie di ragazzi tormentati o pervertiti che dimostrano qual sia il danno dell'affidarli a gente inetta o peggio. Ma se l'intimità è dannosa, non ne vien di conseguenza che sia lecito l'essere inurbani e si deve inculcare al ragazzo il rispetto per chi serve, fargli intendere che in qualunque ceto l'onesto ha diritto alla stima. E meno saranno i rapporti che il ragazzo avrà con la servitù, più vi potrà essere da tutte e due le parti creanza e decoro; poiché la persona di servizio ricorderà che il bimbo va trattato con riguardo come membro della famiglia da cui dipende, ed il bimbo, rispettato, potrà più facilmente rispettare. Passiamo ora alla suocera ideale. Questa vuol bene alla nuora come ad una figlia. In ciò sta la sola norma de' suoi rapporti con lei - e di rimando la nuora ideale è una figlia. La suocera e la nuora reale invece hanno dato origine al proverbio: « Suocera e nuora, tempesta e gragnuola ». Galateo della Borghesia. - 3. È un fatto che fra esse i rapporti sono difficilissimi, e che stentano ad evitare i piccoli disaccordi. La suocera esige troppo: dimentica spesso che lei, madre, sta bene abbia pel figlio un'indulgenza senza limite, ma che non può pretendere lo stesso dalla moglie. Ha troppa facilità di disapprovare, di rimproverare in quel modo che offende di più, cioè con insinuazioni ironiche e con una persistenza che fa pensar che la censura sia un partito preso e toglie valore persino alle osservazioni più giuste. Se ha delle figlie, stabilisce fra esse e la nuora una tale differenza che questa si sente estranea. lnquanto alla nuora facilmente teme che la madre cerchi di controbilanciare la sua influenza presso il marito e quindi, nelle occasioni in cui questi le rifiuti alcunchè, crede sia origine del rifiuto la suocera e se n'adonta. Non osa censurarla, ma ben lungi dallo studiarsi di far quello che le piace, cerca anzi con certa malizia di far il contrario - da ciò quelle guerricciuole di dispetti, di mezze parole pungenti, di sguardi sarcastici, che mettono in bando la pace delle famiglie. Le suocere dovrebbero ricordarsi d'essere state giovani..... e nuore, e compatire; mentre le nuore dovrebbero riconoscere i diritti dell'esperienza e dell'età, e così le cose andrebbero meglio. Gli è in ispecie davanti agli estranei ed ai bimbi che quelle lotte vanno evitate; l'estraneo sarà impacciato e se ne vendicherà col motteggio - il bimbo sarà scosso nel suo rispetto, nella sua fede. Come fargli intendere sino a qual punto sono complesse le cose umane, sicchè una pessima suocera può esser una santa madre ed una buona donna? Come fargli intendere che quei battibecchi sono una trascuranza del galateo famigliare - non l'espressione d'una vera antipatia - d'un vero biasimo? E nelle divergenze d'idee a chi ubbidirà? Nulla è più triste che quelle discordie e quel vedere una tenera sposina od una povera vecchia diventate vittime d'una specie di persecuzione, tutta superficiale forse, non ispirata da malevolenza, ma pur dolorosa, poiché i colpi di spillo alla lunga uccidono come i colpi di pugnale. Ci sarebbero delle centinaia di studi psicologici da fare su questa strana circostanza, che certi rapporti, certe gelosie alterano l'indole delle persone, ne cambiano i modi. Non è qui il luogo di scender a queste disamine; basti ripetere che il galateo va osservato anche fra suocera e nuora, e che se la tenerezza non ispira certi riguardi, bisogna invece impararli dalla creanza e non stabilire uno stato di cose intollerabile, in cui l'assenza d'affetto non ispira indulgenza e l'intimità sembra legittimi la mancanza di riguardi. Fra zia e nipote, fra cugini, è inutile accennare norme; i rapporti siano cordiali e sinceri, ecco tutto. È contrario al galateo morale ed a quello della società il parlar male dei propri congiunti, l'accoglierli male specialmente in presenza d'estranei. Un punto delicato è quello che riguarda il modo di condursi coi parents pauvres, i congiunti poveri. Secondo me, quando, per caso, sorge fra congiunti una eccessiva disparità di fortuna, la assoluta intrinsichezza, l'uguaglianza nelle abitudini, diventano incompatibili. Il povero non potrà star col ricco se non a patto di dipendere da lui, ossia di accettar inviti a desinare, in teatro, in campagna, ecc.: il che farà nascere una specie d'inferiorità che lo renderà facilmente suscettibile, che gli farà temere di esser posposto dal parente ad altri congiunti od amici più ricchi: da ciò invidia segreta, segreti rancori. Il galateo d'altra parte esige che il parente povero non assuma una certa boria ridicola come se in lui fosse merito essere consanguineo d'un ricco, come pure che non pigli un contegno umile, quasi da inferiore. Nel ricco poi, ci vuol ancora più studio per non offendere, per non millantarsi, per non fare che i suoi doni sembrino elemosine; per non escludere, male a proposito, dai suoi ricevimenti il congiunto, di cui teme che il vestir modesto possa farlo scapitare, lui, l'ospite, in faccia ai suoi invitati. Insomma, è ben arduo pel ricco non somigliar a quel tal risalito del brioso Paul de Kock, il quale, ad ogni piè sospinto, diceva agli amici meno fortunati: - Oh! per me posso far questa spesa: mes moyens me le permettent. Bouilly, il vecchio autore di cui è sì pietosa la storia (si diè a scrivere perchè l'unica sua figlia, riluttante allo studio, imparasse l'ortografia e fatto di lei, coi suoi scritti le sue lezioni, un modello di fanciulla, a sedici anni se la vide morire), Bouilly, di cui gli ingenui e carissimi racconti hanno fatto le delizie delle nostre mamme, racconta d'un villico, il quale, fatto milionario, un bel dì, in mezzo ad una festa, si vide piovere dal villaggio - a tradir le sue umili origini - la propria sorella rubiconda fattora. Il milionario cerca di indurla a non entrar nel salotto od almeno a celarsi in un angolo; l'onesta donna si meraviglia, rifiuta senza intendere; ma la chiave del mistero gliela dà il fratello, dicendo ad uno dei nobili ospiti che gli chiede come mai quella donna gli sia sorella: - Sorella di latte, nulla più! La contadina fugge colpita al cuore da quella parola crudele e ripetendo fra i singhiozzi: - Rinnega il suo sangue! Eppur quanti, senza arrivar a questo punto, s'industriano però ad allontanar i parenti per festeggiar estranei, credendo così d'innalzarsi al disopra... di se stessi! Vanità umane! Ma chi tratta così, creda pure che, sprezzando la vera cortesia, la cortesia del cuore, non si nobilita, e tutt'al più fa ridere alle sue spese. Con ciò non impongo intimità fra il contadino e lo scienziato, per esempio, o fra il povero ed il milionario - ammetto che le vicende della vita dividono molte famiglie: ma domando sempre l'urbanità e la cordialità. Il galateo intimo può chiudersi qui per non allungarlo di soverchio, poichè in molti punti s'unisce al galateo della società.

Pagina 14

Un uomo non deve mai offrir seggiole o occuparsi di donne che abbiano già un accompagnatore: sarebbe importuno invece che cortese. Sedendo, bisogna evitare di dar le spalle a quelli che passano, per cui nei sedili posti lungo i viali si starà sempre voltati verso il viale stesso. Leggere o lavorare nei giardini pubblici non è molto conveniente: sembra un'affettazione. Chi accompagna dei ragazzi però, e quindi rimane in giardino per lunghe ore, può farlo, ma deve scegliere un sedile un po' appartato. A passeggio le signorine devono star accanto alla madre, e, se son due, camminare insieme davanti di essa: ma una signorina non deve mai passeggiar a fianco d'un giovine. Anche tra persone di famiglia bisogna, in istrada o nell' uscire, osservar certe norme. Per esempio, i bimbi passano sempre prima della madre e stanno davanti, dovendo ella sorvegliarli: ma codesta norma pei maschi cessa verso l'epoca della prima comunione, mentre per le femmine continua sino ai ventun anni e più. In carrozza, i ragazzi siedono dalla parte dei cavalli, così le signorine se c'è il babbo: ma quando si maritano il babbo cede loro il posto, a meno che non sia molto attempato o malaticcio. Il marito, recandosi a passeggio od a teatro, darà il braccio alla madre, alla suocera o ad altra signora attempata se ve n'è, e non alla moglie: ma lo darà alla moglie se vi sono soltanto delle parenti ancora nubili e se non c'è altro cavaliere. Una signorina non deve uscir col proprio fratello se non è ammogliato: potrà uscire con uno zio, con un cognato, mai con un cugino. I figli, fuori di casa come in casa,debbono sempre mostrare la maggior deferenza ai genitori, e farebbero pessima figura trascurandoli a vantaggio dei forestieri. Se mai s'avesse qualche notizia da comunicare o molte cose da dire è meglio far un tratto di via insieme. Una signora non si fermerà con un giovanotto se non le è parente o molto intimo, ed anche allora per poco; una signorina non si fermerà nemmeno con un parente e non si lascierà scortare da lui se è con la cameriera o l'istitutrice: nemmeno lo sposo può aver codesto diritto. In istrada, pei ragazzi, la creanza esige che siano raccolti, ubbidienti; pei signori che non sieno... come dirò? troppo garbati, cioè che non si voltino a piantar gli occhi in faccia a tutte le donnine, che non facciano osservazioni ad alta voce, che non si diano a seguir una signora, passandole e ripassandole davanti ed impuntandosi a starle vicino e ciò nè di giorno nè di sera: perchè a volta una signora per bene può esser costretta ad uscir sola a tarda sera e l'uomo creanzato non le deve dar molestia - zuffolare, canticchiare, far il mulinello col bastone, formar una lunga fila che tien tutto il marciapiede, spinger la gente e per troppa fretta proseguir la propria via sui calli del prossimo, non ceder la dritta, sono altrettanti crimini contro la creanza. Noterò che la signora interpellata in istrada da uno di quei galanti, non deve mai rispondere, nemmeno per respingerlo. In carrozza una signora non deve troppo atteggiarsi sì da tradir vanità: è anche scortese fermarsi con lo sportello già aperto, a dar ordini al servitore od al cocchiere così che la gente non possa passare. Non dirò neppure che il chiamarsi da un marciapiede all'altro, l'impegnar un diverbio in istrada, il segnar la gente a dito son cose viete, perchè lo sanno quasi i bimbi in fascia. Fissar le persone e poi parlarsi all'orecchio e ridere in modo da far capire che si sta canzonando qualcuno, rientra nella stessa categoria, ma lo accenno perchè l'ho veduto a fare a molte signorine che, non sapendo o non curando le leggi di cortesia, credono in tal modo di mostrar dell'arguzia - nel qual caso chi sarebbe più arguto che i monelli o le fruttivendole del mercato che schiamazzano come i passerotti quando vedono della gente civilmente vestita?

Pagina 37

Madre e figlia, che non abbiano in famiglia nessun uomo, possono recarsi insieme alle veglie. Darò altri ragguagli nel capitolo che tratterà vari tipi della società e dei rapporti speciali fra indvidui. Un'ultima parola. I giovanotti non faccian nè gli uomini serii nè i Don Giovanni, suscitando gelosia e forse dispiaceri alle persone che corteggiano con ostentazione. Gli uomini serii siano meno serii che possibile, i babbi si mostrino pazienti e clementi, non tengano sospesa sul capo delle loro donne la minaccia della partenza, come nuova spada di Damocle, le mamme procurino di tener gli occhi ben aperti e di adattarsi presto a far i fiori di spalliera: non piglino per buona moneta certi inviti, certi complimenti con cui si vuol indurle a ballare; però se mai la passione del ballo le domina, ballino qualche polka in piccola brigata non in una gran festa. Ballare e custodire una signorina son cose che non vanno d'accordo.

Pagina 66

Cerca

Modifica ricerca